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“Le compagnie petrolifere fanno profitti senza precedenti mentre milioni di persone finiscono in povertà. C’è bisogno di un nuovo contratto sociale”

9 Febbraio 2023 8 min lettura

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“Le compagnie petrolifere fanno profitti senza precedenti mentre milioni di persone finiscono in povertà. C’è bisogno di un nuovo contratto sociale”

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Il grafico elaborato da Carbon Brief che mostra il massiccio aumento degli utili di BP, Shell, Chevron ed ExxonMobil nel 2022 parla da solo. Nell’ultimo anno, le cinque maggiori compagnie petrolifere e del gas del mondo hanno registrato guadagni per l'incredibile cifra di 158,8 miliardi di dollari, in seguito alla commistione tra effetti dell’invasione russa in Ucraina e crisi energetica. Profitti mai raggiunti prima, l’equivalente di circa 220 dollari per ciascuno dei 719 milioni di persone che ancora oggi vivono in condizioni di estrema povertà.

Shell ha fatto profitti per 39,9 miliardi di dollari, il doppio dell’anno precedente, più dei 31 miliardi di dollari del 2008, Chevron ha raggiunto i 36 miliardi, BP 28, ExxonMobil 55,7 miliardi, ben oltre i 45,2 miliardi sempre del 2008.

Un comunicato della Casa Bianca ha definito “oltraggioso che la Exxon abbia registrato un nuovo record di profitti per le compagnie petrolifere occidentali dopo che il popolo americano è stato costretto a pagare prezzi così alti alla pompa durante l’invasione di Putin”.

L’8 febbraio è arrivato il comunicato della compagnia francese Total Energies che, secondo quanto riportato dall'Agence France-Presse (AFP), ha dichiarato che i prezzi alti del petrolio e del gas hanno fatto lievitare i suoi profitti netti nel 2022 fino alla cifra record di 20,5 miliardi. Sarebbero stati addirittura superiori senza i quasi 15 miliardi di dollari di oneri legati all'uscita dal mercato russo. 

Anche la società norvegese di combustibili fossili Equinor ha registrato profitti record. L'azienda, a maggioranza statale, è diventata il principale fornitore di gas naturale in Europa lo scorso anno, quando la russa Gazprom ha tagliato le forniture. Nel 2022 ha realizzato un utile operativo rettificato di 74,9 miliardi di dollari, più del doppio del suo record precedente. La società, che realizza la maggior parte dei suoi profitti in Norvegia, dove le aziende petrolifere sono soggette a un'aliquota fiscale del 78%, ha dichiarato che prevede di pagare una cifra record di 49,9 miliardi di dollari in tasse per il 2022.

“Le compagnie petrolifere globali segnalano il 2022 come l’anno più redditizio della loro storia. Nel frattempo, il pianeta continua a bruciare mentre i budget delle famiglie si riducono. Dobbiamo cambiare rotta. L’unica direzione credibile da prendere è lontano dai combustibili fossili e verso le energie rinnovabili”, ha twittato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

“Le compagnie petrolifere e del gas sono forse l'esempio più lampante del nostro mondo alla rovescia”, ha commentato in un articolo su Reuters Sandrine Dixson-Decleve, a capo di Earth4All, un collettivo di economisti, scienziati e ricercatori che si batte “per accelerare il cambiamento dei sistemi per un futuro equo su un pianeta finito”. 

Da questo punto di vista è emblematico il caso di Shell che, come sottolinea un articolo di Bloomberg dal titolo “Il grande piano di Shell per combattere il cambiamento climatico (e continuare a causarlo)”, da un lato sta investendo miliardi di dollari in soluzioni energetiche a zero e basse emissioni di carbonio, dall’altro continua a vendere petrolio e gas con profitti record.

Nel 2020 l'allora amministratore delegato, un ingegnere chimico olandese di nome Ben van Beurden, annunciò che entro il 2050 Shell sarebbe diventata un'azienda a emissioni "nette zero". Non da sola. Sotto la pressione dei governi nazionali e di alcuni azionisti, altri giganti europei dell'energia hanno fatto promesse simili: la britannica BP Plc, si è impegnata a eliminare o compensare le proprie emissioni e quelle dei suoi clienti entro il 2050, riducendo la produzione di petrolio e sviluppando al contempo un'importante attività nel settore delle energie rinnovabili. La francese Total SE ha cambiato il suo nome in TotalEnergies SE per riflettere la sua identità di azienda non solo petrolifera e del gas, e sta anche investendo pesantemente nelle energie rinnovabili.

Ma poi, andando ad analizzare i dati, di transizione energetica c’è ben poco. Nel 2021, Shell e i suoi clienti hanno rilasciato nell'atmosfera quasi 1,4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, più delle emissioni del Giappone, la terza economia mondiale. L'anno scorso, con i prezzi elevati a causa della guerra in Ucraina e le conseguenti interruzioni delle forniture, Shell e i suoi concorrenti hanno realizzato profitti record estraendo, trattando, trasportando, vendendo e speculando su petrolio e gas naturale. 

“Siamo arrivati al punto in cui le major del petrolio e del gas accettano che il cambiamento climatico è in atto e che la società si aspetta che lo affrontino”, afferma Michael Liebreich, ex amministratore delegato di Bloomberg e consulente energetico di Shell. Ma le compagnie "non possono farlo così velocemente come dicono perché, fondamentalmente, il petrolio e il gas tengono accese le luci. Ed è l'unico settore che fa fare soldi”.

E, se è vero, che entro la fine di questo decennio, Shell prevede di dimezzare le proprie emissioni di Ambito 1 (quelle emesse direttamente dalle proprie raffinerie e piattaforme di gas) e 2 (le emissioni più indirette, create dai fornitori di energia dell’azienda), che però rappresentano appena il 10% dell’impronta di carbonio della società energetica, l’azienda non ha un piano per eliminare le emissioni che più produce, ovvero quelle generate dal carburante che vende a persone e aziende perché lo brucino nelle loro auto, camion e aerei. 

Gli investimenti in rinnovabili sono saliti a 3,5 miliardi di dollari nel 2022, quasi il 50% in più rispetto all'anno precedente. Ma Shell continua a investire più del doppio, 8,1 miliardi di dollari, nell'esplorazione e nell'estrazione di petrolio e gas. E finora, gran parte dei progressi ottenuti in termini di emissioni sono stati ottenuti vendendo pozzi petroliferi e raffinerie negli Stati Uniti, in Danimarca e in Germania. Questo sposta le emissioni dai libri contabili di Shell, ma non le fa sparire.

Insomma, fino a quando gas e petrolio resteranno attività redditizie per le aziende energetiche, gran parte degli investimenti sarà dedicata ancora alla ricerca, esplorazione ed estrazione di combustibili fossili. 

Perché tassare gli extraprofitti delle aziende energetiche è una forma di giustizia sociale

C’è bisogno di un nuovo contratto sociale “che ponga fine alla crescita incontrollata e senza direzione” della nostra società moderna”, scrive ancora Dixson-Decleve che propone una tassa progressiva sul reddito e sulla ricchezza degli individui e delle società più ricche, “in modo che entro il 2030 il 10% più ricco di tutti i paesi riceva meno del 40% del reddito nazionale”.

D’altronde, persino i “milionari patriottici”, un gruppo di 205 milionari e miliardari, hanno chiesto a Davos che i leader mondiali e i dirigenti d'azienda introducano urgentemente delle imposte sulla ricchezza per contribuire ad affrontare “la disuguaglianza estrema”. In una lettera aperta, hanno affermato che “difendere la democrazia e costruire la cooperazione richiede un'azione per costruire economie più eque in questo momento - non è un problema che può essere lasciato ai nostri figli. Ora è il momento di affrontare la ricchezza estrema; ora è il momento di tassare gli ultra-ricchi”.

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È una sfida che va raccolta, conclude Dixson-Decleve. “I governi devono essere molto più coraggiosi e fiduciosi, sostenere questa agenda e fare delle imprese una forza positiva per la democrazia, la stabilità e il futuro a lungo termine dell'umanità”.

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Immagine in anteprima: Blademaster88, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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