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Le priorità sul cambiamento climatico da affrontare nel 2022

10 Gennaio 2022 15 min lettura

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Le priorità sul cambiamento climatico da affrontare nel 2022

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Dall'eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili ai fondi da trovare per sostenere i costi dei danni causati dagli impatti della crisi climatica, un articolo della Thomson Reuters Foundation indica sei priorità su cui l’azione sui cambiamenti climatici dovrà intensificarsi nel 2022 per limitare il riscaldamento globale entro 1,5° C. “Sarà l’anno in cui dovremo passare alla modalità d’emergenza”, ha commentato la direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite (UNEP), Inger Andersen.

Taglio drastico e in tempi brevi delle emissioni. “C'è stata troppa enfasi sugli obiettivi di zero emissioni nette entro il 2050 ed è stata prestata poca attenzione a fare riduzioni significative entro i prossimi dieci anni”, ha affermato Robert Watson, ex presidente dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici. Le proiezioni mostrano che le emissioni globali nel 2030 saranno ancora circa il doppio di quelle necessarie per limitare il riscaldamento a 1,5°C. I principali emettitori di gas serra dovranno raddoppiare i loro sforzi per ridurre in modo significativo l'inquinamento da carbonio in questo decennio. Lo sguardo è rivolto in particolare a Cina, Stati Uniti, India, Russia, Giappone e i paesi membri dell'Unione Europea. Alla COP 26 i governi hanno concordato di rivedere i loro piani d'azione per il clima ogni anno (invece che ogni cinque).

Leggi anche >> Il Patto sul clima di Glasgow: “La COP26 non ha dimostrato ai giovani che avevano torto, ma ha reso le loro ragioni l’unica bussola possibile”

Eliminare i finanziamenti ai combustibili fossili. Ci si aspetta che i governi portino avanti l'eliminazione graduale dei loro finanziamenti ai combustibili fossili nei loro Stati e verso le economie in via di sviluppo dopo aver concordato alla COP26 di porre fine, anche se senza una scadenza, ai sussidi “inefficienti” per petrolio, gas e carbone. Secondo una stima del Fondo monetario internazionale i sussidi globali per i combustibili fossili ammontano a 6 mila miliardi di dollari all'anno. I contributi, i finanziamenti e l’assistenza tecnica per i combustibili fossili hanno fatto in modo che i costi di utilizzo di petrolio, gas e carbone per produrre energia si mantenessero bassi, ostacolando così il passaggio sempre più necessario alle fonti rinnovabili, scrive la Thomson Reuters Foundation. La crescita economica attraverso l'utilizzo dei combustibili fossili è uno degli “elefanti nella stanza” che deve essere affrontato quest'anno, ha detto Inge Andersen.

Una transizione equa. Sia nelle economie in via di sviluppo che in quelle più ricche cresce la preoccupazione sulle sorti dei lavoratori impiegati nelle industrie ad alto contenuto di carbonio con l'aumento della pressione per ridurre le emissioni dei combustibili fossili e passare a fonti di energia più pulite. I governi stanno cercando di capire come riqualificare questi lavoratori nella transizione energetica e trovare finanziamenti per una transizione che sia ecologia e socialmente equa, soprattutto per i più vulnerabili. Dopo la COP26, la Confederazione sindacale internazionale - che rappresenta 200 milioni di iscritti in tutto il mondo - ha chiesto l'avvio immediato dei colloqui con i lavoratori e le comunità per realizzare dei piani di “transizione equa”.

Aumentare i fondi per l’adattamento agli impatti della crisi climatica. Dall’uragano Ida negli Stati Uniti alle devastanti inondazioni in Europa e Cina, alla siccità che provoca la denutrizione nell'Africa orientale, i disastri causati dai cambiamenti climatici sono costati decine di miliardi di dollari nel 2021 e hanno causato gravi sofferenze umane. Proprio agli impatti della crisi climatica sarà dedicato il prossimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), in uscita a fine febbraio. Gli effetti del cambiamento climatico stanno inasprendo le disuguaglianze sociali ed economiche e, a loro volta, si aggraveranno se non si interviene, affermerà probabilmente il rapporto. Le risposte ai danni della crisi climatica sono molto indietro rispetto all'accelerazione degli stress climatici e degli shock meteorologici. I finanziamenti per l'adattamento sono di decine di miliardi di dollari in meno rispetto a quanto si pensa sia necessario ogni anno, specialmente nei luoghi più a rischio.

Pagare per i danni climatici. Man mano che i disastri meteorologici estremi diventano sempre più intensi e violenti, aumenterà la pressione sui paesi ricchi responsabili della maggior parte delle emissioni di carbonio affinché aiutino le nazioni più vulnerabili a coprire i costi crescenti degli impatti della crisi climatica. Alla COP 26 i paesi più ricchi hanno accettato di avviare un nuovo dialogo su come finanziare le azioni per prevenire e riparare i danni, dalle case e dagli ecosistemi distrutti al patrimonio culturale perduto. Ma non è stato creato un nuovo fondo “loss and damage” come richiesto dalle nazioni a rischio. “Questo tema dovrà essere in cima all'agenda delle economie in via di sviluppo nella prossima Conferenza sul Clima in Egitto”, si legge nell’articolo.

Un nuovo patto per la natura. La protezione dei sistemi naturali, incluse le foreste, e l'arresto del rapido declino della biodiversità, entrambi elementi chiave per la lotta globale ai cambiamenti climatici, saranno al centro della conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità nota come COP15 a Kunming, in Cina, dal 25 aprile all’8 maggio. La conferenza, che dovrebbe portare a un nuovo accordo globale per la salvaguardia di piante, animali ed ecosistemi, simile al patto di Parigi sul clima, è stata già posticipata tre volte a causa della pandemia. La COP15 sulla biodiversità e la COP27 sul clima saranno “punti di svolta cruciali” per far fronte alla “triplice crisi planetaria” del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e dell'inquinamento, spiega ancora Andersen dell'UNEP.

Proprio ai principali eventi sul clima di quest’anno è dedicato un articolo di Climate Home News. Oltre alla già citate COP27 sul clima e COP15 sulla biodiversità, Climate Home News pone l’attenzione sui due rapporti che l’IPCC pubblicherà presumibilmente a fine febbraio e ad aprile e che aiuteranno a definire strategie di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici. Il primo rapporto, pubblicato nel 2021, ha esaminato i cambiamenti fisici in atto a seguito dell'attività umana. Il secondo valuterà gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi, sulla biodiversità e sulle società e culture umane, sulla loro capacità di far fronte a essi, e sulle opzioni di adattamento. Il terzo rapporto valuterà le modalità per ridurre le emissioni di gas serra e rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera. 

Il 2022, scrive ancora Climate Home News, dovrebbe essere l’anno in cui l'UE definirà la “carbon tax” alle frontiere, una tassa sulle merci importate da paesi con standard ambientali più bassi. La Francia, che a gennaio ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell'UE, sta cercando di arrivare un accordo tra gli Stati membri entro la fine di giugno. La tassa potrebbe spingere paesi come la Turchia, il Brasile e l'Indonesia a prendere in considerazione il prezzo interno del carbonio, ma sta causando attriti con i partner commerciali, in particolare nei paesi in via di sviluppo che hanno criticato la proposta come ingiusta e discriminatoria. Le industrie di alcuni dei paesi più poveri potrebbero essere duramente colpite e le prime bozze non hanno mostrato alcuna disposizione per aiutarle a passare ad alternative più pulite. Un aspetto che l’UE dovrà prendere in considerazione per giustificarla a tutti come una politica climatica e non come una misura protezionistica che favorisca maggiori entrate.

Un editoriale su Nature, infine, suggerisce alcune aree tematiche su cui i ricercatori potranno essere d’aiuto per contrastare il cambiamento climatico nel 2022 e negli anni a venire: dall’innovazione “verde” alla valutazione delle politiche climatiche, dal monitoraggio degli impegni dei governi all’attribuzione degli eventi estremi, la ricerca è ora fondamentale per valutare le azioni fatte, le politiche adottate, gli eventuali progressi e per individuare soluzioni, scrive Nature. D’altronde, come ha recentemente affermato il climatologo Michael Mann in un’intervista, “nella lotta alla crisi climatica gli ostacoli sono politici e non tecnologici”.

Il Brasile estende per legge il ricorso al carbone fino al 2040 e non monitorerà più la deforestazione nel Cerrado

Il Brasile continuerà a utilizzare e sovvenzionare il carbone come fonte di energia almeno fino al 2040, secondo una legge sulla “transizione energetica equa” emanata il 5 gennaio, riporta Reuters. La nuova legge “favorisce i produttori di carbone nello Stato di Santa Catarina prolungando le attività delle centrali a carbone nella regione per altri 18 anni”, prosegue l’articolo. Prima di questa legge, i sussidi governativi per le centrali termoelettriche a carbone avrebbero dovuto terminare entro il 2027. In particolare, le autorizzazioni per tre grandi impianti a Santa Catarina sarebbero scadute nel 2025. Secondo la nuova legge, il governo acquisterà a un prezzo prefissato l'energia generata da un gruppo di centrali termiche a Santa Catarina e l’80% dell’energia dovrà essere prodotta dal carbone estratto nella regione. 

Dov’è la transizione energetica equa, dunque, considerato anche che durante i colloqui alla COP26 il Brasile si è impegnato a ridurre le sue emissioni totali di gas serra del 50% entro il 2030 e a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050? Oltre ad aumentare la domanda di carbone del mercato, la legge istituisce anche un “consiglio per una transizione energetica giusta” che dovrebbe svincolare la regione di Santa Catarina dal carbone. Ma, scrive Reuters, il consiglio sarà formato da agenzie governative, aziende e sindacati per lo più favorevoli al carbone. Secondo Nelson Karam, coordinatore di un progetto per una transizione equa presso DIEESE, un organismo sindacale che si occupa di statistiche e ricerca sul lavoro, la legge si appropria del concetto di “transizione equa” per ritardare la discussione su un effettivo allontanamento dal carbone.

Nel frattempo, l'agenzia nazionale di ricerca spaziale INPE smetterà nel giro di sei mesi di monitorare la deforestazione nel Cerrado, la savana più ricca di specie al mondo, a causa dei tagli al budget. Una cattiva notizia considerato che proprio nei giorni scorsi l’INPE aveva evidenziato che la deforestazione nel Cerrado era aumentata dell’8% nell’ultimo anno.

La lotta dei pescatori colombiani per la difesa dei loro diritti, delle pratiche di pesca tradizionali e dell’ecosistema di Cascaloa Ciénaga

Un gruppo di pescatori sta lottando in Colombia per difendere Cascaloa Ciénaga, un lago situato nella depressione di Mompos, nel nord della Colombia, il cui ecosistema è minacciato dalla costruzione di strade, dighe, miniere e occupazioni di terra che lo rendono ancora più vulnerabile agli effetti della crisi climatica. I pescatori lottano anche per la difesa dei propri diritti. 

“Siamo i protettori naturali di questa bellissima ciénaga, ma siamo stati abbandonati e minacciati, la nostra terra e l'accesso ai nostri fondali tradizionali sono stati depredati, la connessione con il fiume interrotta”, spiega a Climate Change News Nilton Chacon, leader di un'associazione locale di pescatori artigianali

L’accesso al fiume Magdalena è stato interrotto da una strada, da dighe costruite illegalmente e da grandi quantità di residui della deforestazione. Le foreste intorno alla ciénaga sono state tagliate e utilizzate per i pascoli di mucche, un escamotage utilizzato dai grandi proprietari terrieri per privatizzare i terreni pubblici.

Il lago ha perso quasi totalmente diverse specie ittiche. Mentre i pescatori hanno dovuto affrontare minacce violente da parte dei paramilitari assunti dai latifondi, vedere i propri diritti e le pratiche di pesca tradizionali vilipesi, e subire sfollamenti forzati. La Colombia è notoriamente uno dei paesi più pericolosi al mondo per i difensori sociali e ambientali.

“Ho subito innumerevoli minacce e attentati alla mia vita, così come accaduto a molti leader sociali e ambientali di questa regione”, spiega Omar Guarín. “Non possiamo essere guidati solo dall'economia. Dobbiamo chiederci: perché non ci sono più uccelli, rettili e persino lamantini nella nostra ciénaga? Questo è un ecosistema in via di estinzione dove i pescatori tradizionalmente vivevano in armonia con questo ecosistema, pescando e coltivando su piccola scala in base alle stagioni e rispettando i cicli riproduttivi delle diverse specie ittiche”, aggiunge Keila Hoyos, discendente di una famiglia multigenerazionale di pescatori nella comunità di Santa Fe, tra il fiume Magdalena e Cascaloa Ciénaga.

Guarín è ora il presidente della Confederazione Nazionale dei Pescatori Artigianali della Colombia (Comenalpac) che rappresenta circa 120.000 pescatori di tutto il paese. “Uniti, siamo una voce socio-politica molto forte per le conoscenze che abbiamo per apportare cambiamenti e ripristinare queste zone umide e le loro attività di pesca. Per questo dobbiamo essere ascoltati”, aggiunge Guarín.

Gli effetti dell’alterazione dei territori intorno al lago potrebbero esporre ancora di più l’intera area circostante agli effetti della crisi climatica, spiega l’ecologista Juanita Gonzalez, a capo del team di The Nature Conservancy che si occupa di adattamento ai cambiamenti climatici in Colombia.

“Storicamente, le zone umide della depressione di Mompos hanno sofferto periodi di siccità (per El Niño) e inondazioni estreme (La Niña). La nostra modellazione (basata su scenari dell'Istituto di idrologia, meteorologia e studi ambientali della Colombia) ha mostrato che i periodi di siccità diventeranno più intensi ed estesi e anche gli eventi di inondazione estremi peggioreranno", afferma Gonzalez. 

Le zone umide fungono da cuscinetto per le comunità a valle e la grande città industriale di Barranquilla. Suoli degradati e ciénagas disconnesse metterebbero milioni di persone a valle a rischio di inondazioni potenzialmente disastrose, prosegue la ricercatrice che aggiunge: “Il ripristino delle foreste intorno alle ciénagas e ai canali è fondamentale per l'adattamento ai cambiamenti climatici e per ripristinare l’habitat dei pesci”, ha affermato Gonzalez. La protezione delle zone umide è inoltre una strategia importante per mitigare i cambiamenti climatici, poiché le paludi e le foreste sequestrano grandi quantità di carbonio e la Colombia si è impegnata a ripristinare e proteggere le foreste e alcuni ecosistemi delle zone umide nel suo piano climatico 2030.

Alcune buone notizie dalla Cina e dall’India

Martedì scorso Pechino ha dichiarato di aver centrato tutti gli obiettivi sulla qualità dell’aria, quasi dieci anni prima di quanto previsto dagli esperti, come sottolineato in un tweet anche da David Vance Wagner, inviato USA per il clima in Cina sotto l’amministrazione Obama.

Le autorità cittadine hanno affermato di aver ridotto tra il 2013 e il 2021 il peso delle particelle di PM2,5 nell'aria a 33 microgrammi, il 63% in meno. I dati ufficiali sono in linea con quelli registrati dall'ambasciata americana a Pechino e dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP). Sebbene si tratti di un miglioramento enorme, il livello medio di inquinamento è ancora più del doppio del limite  di 15 microgrammi raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Dietro questo risultato ci sono le proteste sui social media (prima dell’azione della censura) e le pressioni della diplomazia USA, ha spiegato Lauri Myllyvirta, direttore del Center for Research on Energy and Clean Air. “Sui social non si parlava d’altro e l’ambasciata statunitense aveva installato monitor dell'inquinamento atmosferico e twittato regolarmente i livelli di PM2,5 per aumentare la consapevolezza sull’inquinamento”, ha aggiunto Myllyvirta. Così le autorità di Pechino hanno ridotto le emissioni del carbone attraverso la transizione verso il gas, dando sussidi alle industrie del carbone, installando macchine che filtrano le particelle nocive prima che venissero rilasciate nell’atmosfera, sostenendo finanziariamente i proprietari delle abitazioni per accelerare la sostituzione delle caldaie a carbone con quelle a gas.

Nel frattempo, secondo quanto riportato da Bloomberg, “le autorità di regolamentazione cinesi hanno proposto di tagliare le quote di anidride carbonica e il governo sta cercando di aumentare il costo dell'inquinamento sul suo mercato per lo scambio di emissioni”. La bozza del piano del governo, visionato da Bloomberg, “suggerisce la volontà di Pechino di mantenere la sua promessa di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e arrivare allo zero netto entro il 2060”. A metà luglio, la Cina ha lanciato il più grande sistema mondiale di scambio di quote di emissioni (ETS) che dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel raggiungere il picco e ridurre le emissioni di carbonio nel paese, riporta il sito Energy Monitor. L’obiettivo principale è estendere l’ETS – che attualmente copre solo la produzione di energia elettrica – alle altre fonti energetiche, sviluppare infrastrutture e capacità di scambio di carbonio tra province, aziende e borse e fornire incentivi alle imprese, agli investitori e ad altri partecipanti al mercato affinché contribuiscano alla decarbonizzazione della Cina e alla transizione verso l'energia pulita. Secondo CGTN, la sezione inglese dell'emittente statale cinese CCTV, l'ETS nazionale cinese “ha registrato un fatturato di 7,66 miliardi di yuan (circa 1,2 miliardi di dollari) nel 2021”. Tuttavia, stando a quanto a riportato dall’agenzia di stampa statale Xinhua, “la Cina farà tutti gli sforzi per garantire la produzione di carbone e mantenere i prezzi del carbone a un livello ragionevole nel 2022”. 

Infine, secondo quanto riportato dal sito Business Standard, in India è stata registrata una crescita significativa della generazione di energia rinnovabile rispetto agli anni pre-pandemia (2018 e 2019), superiore anche a quella generata da carbone e gas. Tuttavia, questi risultati potrebbero essere legati alla fluttuazione della domanda di energia durante la prima ondata della pandemia, all'aumento dei prezzi del gas importato e alla diminuzione delle scorte nazionali di carbone.

Il Giappone pronto a introdurre il PIL verde

Il governo giapponese sarebbe in procinto di introdurre nuovi indicatori per calcolare la ricchezza nazionale. Oltre agli indicatori economici, nel PIL saranno valutati anche gli impatti ambientali. L’obiettivo è premiare gli sforzi da parte delle aziende e del paese nel decarbonizzare l’economia e nel tagliare le emissioni. Più le emissioni verranno ridotte maggiore sarà il valore del PIL. Il nuovo indice sostituisce le emissioni domestiche di anidride carbonica. 

In assenza di un sistema di scambio delle emissioni o di tasse sul carbonio, come previsto da Europa e Cina, il Giappone intende utilizzare il nuovo indice per sostenere la riduzione delle emissioni da parte delle aziende e di altri.

Da Shell a Goldman Sachs: nelle ricerche web sulla crisi climatica un annuncio a pagamento su 5 è delle compagnie di petrolio e gas

Secondo un’analisi del Guardian e del think tank indipendente InfluenceMap, su oltre 1.600 annunci a pagamento su Google, più di uno su cinque sulla crisi climatica è stato pubblicato da aziende con grandi interessi nei combustibili fossili. In questo modo, se un utente cerca informazioni sulla neutralità carbonica, sui combustibili fossili, su questioni inerenti il cambiamento climatico (la ricerca ha preso in considerazione 78 parole chiave legate al clima), visualizza gli annunci di queste aziende, spesso indistinguibili da articoli informativi sulla questione. 

Shell, ExxonMobil, Shell, la compagnia petrolifera statale saudita Aramco, McKinsey e Goldman Sachs sono risultati tra i primi 20 inserzionisti per i termini di ricerca. Ma non mancano annunci pubblicati anche da altri produttori di combustibili fossili e dai loro finanziatori. 

Il rischio è quello di un “greenwashing endemico”, come spiega Jake Carbone, analista di dati senior presso InfluenceMap: “Google sta permettendo ai gruppi con un interesse nell’uso continuato dei combustibili fossili di pagare per influenzare i contenuti a cui accedono le persone, quando cercano informazioni su determinati temi”. La nuova strategia del settore del petrolio e del gas “è quella di influenzare le discussioni pubbliche sulla decarbonizzazione a proprio favore”. 

Come ricordato da un portavoce di Google, di recente è stata lanciata una nuova politica “che vieterà esplicitamente gli annunci che promuovono la negazione del cambiamento climatico”. Ma, a metà dicembre, riporta il Fatto Quotidiano, “il Center for Countering Digital Hate, un gruppo no-profit con sede a Londra, ha dichiarato di aver contato almeno 50 nuovi articoli negazionisti sul clima su 14 siti diversi, tutti pubblicati dopo il 9 novembre, quando la nuova politica di Google avrebbe dovuto entrare in vigore. In alcuni di questi contenuti si definiva il riscaldamento globale una bufala. In seguito alla pubblicazione dei risultati dell’analisi,Michael Aciman, portavoce di Google, ha affermato che la società ha esaminato le pagine in questione ed è intervenuto di conseguenza”.

In Danimarca verrà costruito il parco eolico offshore al mondo con pagamenti allo Stato

Lo scorso dicembre la società elettrica tedesca RWE ha vinto una gara d'appalto per la costruzione di quello che sarà il più grande parco eolico della Danimarca. Un duro colpo per la società danese Orsted, il più grande sviluppatore mondiale di eolico offshore, che aveva anche presentato un'offerta.

“È il primo parco eolico offshore al mondo costruito con pagamenti allo Stato”, ha affermato l'Agenzia danese per l'energia. RWE pagherà lo stato danese per i primi anni di produzione del parco eolico fino a raggiungere un limite di 2,8 miliardi di corone danesi (426,48 milioni di dollari), previsto entro pochi anni.

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La gara sottolinea la forte concorrenza per gli investimenti nelle rinnovabili nei mercati maturi dove i costi sono stati ridotti a livelli tali da poter competere con i combustibili fossili, rendendo possibile la graduale eliminazione dei sussidi per alcuni progetti.

Il parco eolico di Thor, che fornirà 1 gigawatt (GW) di elettricità rinnovabile, è uno dei tre grandi parchi eolici offshore che la Danimarca intende costruire prima del 2030 come parte dei suoi piani per ridurre le sue emissioni di carbonio al 70% al di sotto dei livelli del 1990 2030. Thor dovrebbe iniziare a produrre elettricità intorno al 2026 e i costi di investimento totali sono stimati in 15,5 miliardi di corone danesi (2,36 miliardi di dollari).

Immagine in copertina: Régine Fabri, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

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