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Perché 16 giovani del Montana stanno facendo causa allo Stato per i cambiamenti climatici. E cosa potrebbe accadere in caso di vittoria

16 Giugno 2023 14 min lettura

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Perché 16 giovani del Montana stanno facendo causa allo Stato per i cambiamenti climatici. E cosa potrebbe accadere in caso di vittoria

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

I cittadini hanno diritto a un ambiente sano? In Montana sì, per Costituzione. L’articolo II della Costituzione dello Stato recita infatti: “Lo Stato e ogni persona devono mantenere e migliorare un ambiente pulito e sano in Montana per le generazioni presenti e future”. Sedici giovani, dai 5 ai 23 anni, supportati Our Children's Trust, un'organizzazione no-profit di advocacy con sede a Eugene, in Oregon, si sono appellati a questo articolo per fare causa allo Stato che ha anteposto gli interessi dell'industria dei combustibili fossili e ha violato il diritto costituzionale a un “ambiente pulito e sano”. Se dovessero vincere, il caso potrebbe diventare un precedente anche negli altri Stati dove sono state presentate cause simili.

La causa “Held vs. Montana” prende il nome da Rikki Held, la figlia di un allevatore che a causa della siccità e delle inondazioni ha visto uccidere il bestiame della sua famiglia. Rikki era l’unica maggiorenne quando è stata presentata la causa nel marzo 2020. Accanto a lei ci sono due fratelli che amano cacciare e pescare e raccontano come la foresta su cui fanno affidamento per il cibo si stia deteriorando intorno a loro. C’è un bambino di 5 anni che fatica a respirare perché il fumo degli incendi ha aggravato il suo asma. O una giovane donna indigena che teme che gli effetti del cambiamento climatico faccia perdere alla sua tribù le antiche tradizioni culturali che le hanno permesso di superare guerre e genocidi. Ognuno di loro, scrive Grist, è stanco dell’inazione dei politici che anzi non solo non sono in grado di mitigare il problema, ma lo peggiorano attivamente. I 16 accusano il governatore e altri funzionari di aver trascurato il loro dovere costituzionale di preservare e proteggere l’ambiente per le generazioni future. “Nonostante gli imputati sapevano che i giovani querelanti vivono in condizioni climatiche pericolose che creano un rischio irragionevole di danni, continuano ad agire in modo attivo per aggravare la crisi climatica”, si legge nella causa.

Il Montana ospita luoghi leggendari, come il Parco Nazionale di Yellowstone, visitati da campeggiatori, escursionisti, turisti, ma anche le più grandi riserve di carbone degli USA, la Formazione Bakken e i suoi miliardi di barili di petrolio non sfruttati, il Big Sky State, il quinto produttore di carbone e il dodicesimo produttore di petrolio del paese. L'industria del carbone è stata anche una manna per l'economia locale: I posti di lavoro nell'industria del carbone sono retribuiti circa il 30% in più rispetto ai redditi mediani dello Stato.

Nonostante il Montana sia tra gli Stati più esposti al cambiamento climatico, colpito da incendi che hanno bruciato le foreste sempreverdi e reso inutilizzabili grandi tratti di ranch, negli ultimi 20 anni, i legislatori statali hanno adottato misure a favore dell'industria dei combustibili fossili: solo lo scorso maggio il governatore Greg Gianforte ha firmato una nuova legge che impedisce alle autorità di regolamentazione, come il Dipartimento per la Qualità dell'Ambiente del Montana, di esaminare l'impatto sul clima dei progetti di nuove miniere di carbone o di nuove centrali elettriche che, invece, dovrebbero essere sottoposti a revisione ambientale. Secondo i 16 giovani querelanti, i legislatori del Montana hanno privilegiato consapevolmente lo sviluppo dei combustibili fossili rispetto al benessere dei residenti e alla protezione delle risorse pubbliche, tra cui fiumi, laghi e fauna selvatica. 

Il processo durerà due settimane. Tra gli imputati figurano il governatore Greg Gianforte, il Dipartimento delle risorse naturali e della conservazione e altre quattro agenzie statali. “Come è possibile che il Dipartimento per le risorse naturali, che ha il compito di aiutare a garantire che la terra e le risorse idriche del Montana forniscano benefici alle generazioni presenti e future, ha affitta terreni per la trivellazione di petrolio e gas e destina meno dell'1% delle entrate alla protezione delle foreste dello Stato dagli incendi?”, si chiedono i querelanti nella causa. 

Lo Stato ha cercato più volte di far archiviare il caso. I legislatori hanno persino tentato di modificare le leggi sulla protezione ambientale per eliminare la base giuridica della denuncia. Il procuratore generale ha chiesto alla Corte Suprema di Stato di togliere il caso dalle mani della giudice Kathy Seeley del primo tribunale distrettuale di Helena e di emettere una sospensione che bloccasse tutto proprio quando doveva iniziare la deposizione dei testimoni esperti. La Corte ha respinto entrambe le richieste. Seeley ha respinto un'altra mozione di archiviazione alla fine del mese scorso, anche se ha stabilito che la legge approvata lo scorso maggio non sarebbe stata presa in considerazione al processo. 

La giudice Seeley dovrà valutare se le richieste di risarcimento dei querelanti sono accurate; se le emissioni di gas serra e gli impatti del cambiamento climatico del Montana possono essere misurati in modo incrementale; se tali impatti possono essere attribuiti alla produzione di combustibili fossili; e se una sentenza favorevole aiuterà i querelanti e avrà un impatto sulla condotta dello Stato.

Un portavoce del procuratore generale Austin Knudsen ha definito le istanze presentante dai 16 giovani “rivendicazioni prive di merito e politicamente motivate” da parte di un'organizzazione che cerca “di imporci la sua agenda autoritaria sul clima”.

La causa è “di importanza critica in un momento in cui il nostro governo statale sta attivamente minando i luoghi che rendono unico il Montana”, ha dichiarato Melissa Hornbein, un avvocato del Western Environmental Law Center che sta lavorando al caso. “Abbiamo un governo che sembra davvero intenzionato a distruggerlo”.

“Ci vuole coraggio per opporsi al proprio governo e sottoporsi a ore e ore di deposizioni da parte dello Stato, e far sì che il proprio passato, la propria vita personale e la propria vita privata vengano scavate in un processo”, ha aggiunto Hornbein riferendosi alle pressioni che i 16 giovani dovranno affrontare.

“Ho fatto tutto quello che potevo fare come persona. Ora credo sia giunto il momento che il mio governo agisca”, ha dichiarato a Grist Claire Vlases, 20 anni, studentessa del Claremont McKenna College nella California meridionale, unitasi alla causa quando aveva 17 anni, ancor prima di poter votare. “Se il Montana come Stato fosse in grado di riconoscere che ha promosso i combustibili fossili andando contro la sua Costituzione, sarebbe un enorme fattore motivante per i giovani di tutto lo Stato che stanno perdendo le speranze”.

Un sondaggio, riporta ancora Grist, ha rilevato che il 59% degli intervistati di età inferiore ai 25 anni vede il cambiamento climatico come una preoccupazione costante, e il 39% afferma che questa preoccupazione ha un impatto sulla propria vita quotidiana. I giovani attivisti hanno ripetutamente implorato i leader mondiali di agire, mentre le emissioni continuano a salire e l'estrazione continua ad aumentare.

Oltre ad avere un forte valore simbolico, una vittoria potrebbe fornire una base giuridica per attacchi legali più mirati in futuro, in particolare in altri Stati che hanno garanzie costituzionali per un ambiente sano o nei quattro Stati (Hawaii, Illinois, Massachusetts e Rhode Island) con minori protezioni ambientali sancite dalle loro Costituzioni. Our Children's Trust ha presentato cause simili in tutti i 50 Stati e alle porte c’è la causa federale Juliana vs. Stati Uniti. 

I colloqui sul clima di Bonn sull’orlo del fallimento

A ridosso della fine dei colloqui delle Nazioni Unite sul clima a Bonn, in Germania, i governi non sono ancora riusciti a trovare un accordo sull'ordine del giorno. “Diventano sempre più concrete le possibilità che le due settimane di colloqui finiscano con un nulla di fatto mentre la crisi climatica si aggrava”, scrive Climate Home News

Proseguono i negoziati sulla riduzione delle emissioni e le misure di adattamento, ma il co-presidente dei colloqui, il pakistano Nabeel Munir, ha avvertito che “tutto il lavoro svolto potrebbe andare sprecato se l'agenda non verrà ufficialmente adottata”. Munir ha definito gli incontri di questi giorni a Bonn come “una classe di scuola elementare” e ha esortato i negoziatori a “darsi una mossa, quello che sta accadendo intorno a voi è incredibile”. 

Sollecitando un accordo, il negoziatore principale dello Zambia, Ephraim Mwepya Shitima, ha avvertito che si corre il “rischio di intaccare la credibilità del processo” e di “interrompere persino alcune delle funzioni critiche dell'agenzia delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici”. 

Tra i motivi di disaccordo tra le economie più avanzate e alcuni paesi in via di sviluppo, l’inserimento di finanziamenti per il clima nell'agenda e la questione dell’inserimento della riduzione o dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili nell'agenda del vertice sul clima COP28 a Dubai. Molti paesi vorrebbero che alla COP di Dubai si arrivasse a una risoluzione formale che parlasse espressamente dell'eliminazione graduale dei combustibili fossili, o almeno che tale eliminazione fosse discussa come punto ufficiale dell'agenda del vertice. Ma a questa ipotesi si oppongono soprattutto gli Stati produttori di combustibili fossili, tra cui l'Arabia Saudita. Anche la presidenza della COP28 è stata cauta, affermando che non c'è ancora un accordo sull'agenda.

Molti esponenti dell’industria dei combustibili fossili, tra cui anche il presidente della COP28 Sultan al-Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi, stanno spingendo per le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio. Ma sono molti i dubbi sull’efficacia di questa soluzione. “Se guardiamo specificamente al settore energetico, le tecnologie di cattura e lo stoccaggio del carbonio saranno utilizzate al massimo per lo 0,1% della produzione globale di elettricità nel 2030”, ha dichiarato Claire Fyson, ricercatrice del think tank Climate Analytics, un istituto di scienza e politica climatica globale fondato nel 2008 e con sede a Berlino.

Gli incontri di Bonn si svolgono ogni anno a giugno e consentono ai negoziatori di portare avanti i colloqui tecnici e di preparare il terreno per il successivo vertice della COP di novembre. Un mancato un accordo sull’agenda da seguire potrebbe pregiudicare l’esito della COP28. 

L’umanità sta “correndo verso il precipizio” della catastrofe climatica, ha commentato l’attivista svedese Greta Thunberg. “Solo una eliminazione ‘rapida ed equa’ dei combustibili fossili manterrà le temperature entro il limite di 1,5°C. I paesi ricchi stanno firmando la condanna a morte di milioni di poveri in tutto il mondo non riuscendo a eliminare gradualmente i combustibili fossili”, ha aggiunto Thunberg.

Un nuovo studio di Climate Analytics ha mostrato che si potrebbe evitare questa catastrofe solo aumentando le installazioni di energia eolica e solare cinque volte più velocemente di quanto avviene attualmente e riducendo la produzione di combustibili fossili del 6% all'anno entro il 2030. Secondo Climate Analytics, l’uso globale di combustibili fossili deve diminuire di circa il 40% nel corso del decennio, con una riduzione del 79% per il carbone. 

Agenzia Internazionale dell’Energia: “Il picco della domanda mondiale di petrolio è all’orizzonte”

Secondo un nuovo rapporto dell'Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), la domanda mondiale di petrolio quest’anno crescerà più del previsto e continuerà a crescere nei prossimi anni fino a raggiungere il suo picco nel 2028. Poi inizierà la discesa.

Le nuove prospettive quinquennali della IEA prevedono un aumento del consumo mondiale del 6%, fino a 105,7 milioni di barili al giorno nel 2028. Nello specifico, la IEA prevede nel 2023 in tutto il pianeta un consumo di 102,3 milioni di barili di petrolio al giorno, 2,4 milioni di barili in più rispetto all'anno scorso e per la prima volta al di sopra dei livelli pre-pandemia, grazie alla spinta di Cina e India. Nel 2024 ci sarà una crescita di 860mila barili al giorno, nel 2028 la crescita subirà un ulteriore rallentamento arrivando a 400mila barili al giorno, raggiungendo presumibilmente il suo picco. 

via Axios

“Il passaggio a un'economia basata sull'energia pulita sta accelerando, con un picco della domanda globale di petrolio prima della fine di questo decennio, grazie al progresso dei veicoli elettrici, dell'efficienza energetica e di altre tecnologie”, ha commentato il direttore esecutivo della IEA, Fatih Birol.

La traiettoria del consumo di petrolio influisce sulle emissioni di carbonio, sulle strategie di investimento e sugli equilibri internazionali. Gli investimenti globali a monte per l'esplorazione, l'estrazione e la produzione di petrolio e gas dovrebbero raggiungere quest'anno i 528 miliardi di dollari, il livello più alto dal 2015, e sono in grado di garantire un'adeguata alimentazione del mondo fino al 2028, ha dichiarato la IEA. Gli investimenti attuali – prosegue l’agenzia – “superano la quantità che sarebbe necessaria in un mondo che si avvia verso le emissioni nette zero. Affinché la domanda totale di petrolio diminuisca prima, in linea con lo scenario dell'AIE di emissioni nette zero entro il 2050, sarebbero necessari ulteriori provvedimenti e cambiamenti da parte dei cittadini”.

Brasile, il presidente Lula svela il piano per fermare la deforestazione in Amazzonia entro il 2030

A un anno dalla morte del giornalista del Guardian, Dom Phillips, e dell’attivista ambientale, Bruno Pereira, il governo del Brasile ha presentato il piano attraverso il quale intende rispettare l’impegno di eliminare la deforestazione in Amazzonia entro il 2030. 

Nel 2021, quando era presidente Jair Bolsonaro, sotto la cui amministrazione la deforestazione è aumentata, il Brasile ha aderito a un patto del 2021 con oltre 140 paesi per porre fine alla deforestazione a livello globale entro il 2030. Il nuovo presidente Lula, entrato in carica il 1° gennaio, ne ha fatto un punto centrale della sua politica ambientale.

"Sono impegnato a riprendere la leadership globale del Brasile nella mitigazione dei cambiamenti climatici e nel controllo della deforestazione”, ha dichiarato Lula durante la presentazione del piano. 

Il Piano d'azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione in Amazzonia stabilisce una politica coordinata tra più di una decina di ministeri fino alla fine del mandato di Lula, nel 2027 e intende potenziare l'uso dell'intelligence e delle immagini satellitari per tracciare le attività criminali, regolarizzare i titoli di proprietà fondiaria e istituire un registro rurale per monitorare la corretta gestione delle foreste, considerate vitali per rallentare il cambiamento climatico globale.

Le autorità incroceranno le informazioni provenienti dal sistema finanziario (come i movimenti di denaro per pagare attrezzature per il disboscamento o per l’estrazione illegale) con il registro rurale, altri database e immagini satellitari per individuare i taglialegna e gli allevamenti illegali. Il piano prevede, tra l’altro, la creazione di un sistema di tracciabilità per il legno, il bestiame e altri prodotti agricoli provenienti dall'Amazzonia, in un momento in cui i paesi importatori richiedono sempre più spesso le prove che non provengano da terre deforestate.

Sotto questo aspetto, il piano introdurrà la certificazione dei prodotti forestali, l'assistenza tecnica ai produttori, la fornitura di infrastrutture, energia e connessione a Internet e l'incoraggiamento dell'ecoturismo. L’obiettivo è quello di sviluppare un'economia verde per sostenere la regione amazzonica, senza la deforestazione e attraverso il recupero delle foreste degradate e l'aumento della vegetazione autoctona. A tal riguardo ci saranno incentivi economici per la conservazione e la gestione sostenibile delle foreste.

Bangladesh: le ondate di calore e la siccità stanno bruciando i campi di tè e rendendo estreme le condizioni di lavoro dei raccoglitori 

“Fa troppo caldo e non posso continuare a lavorare”. Phul Kumari, 45 anni, raccoglie tè a Sreemangal, nel nord-est del Bangladesh, da quando aveva 15 anni: dice di non aver mai sperimentato un caldo e una siccità come quelli di questa stagione di raccolta.

Sreemangal, la capitale del tè del Bangladesh, ha tradizionalmente le più alte precipitazioni del paese e temperature che, pur sfiorando i 30 gradi in estate, sembrano più miti grazie al raffreddamento della pioggia. Negli ultimi anni, con il riscaldamento del pianeta, le temperature sono aumentate, fino a raggiungere i 39°C lo scorso maggio, mentre le precipitazioni si sono praticamente dimezzate rispetto ai livelli abituali.

Le ondate di calore e la siccità stanno riducendo i raccolti di tè nella regione e sta mettendo a dura prova i raccoglitori. Mini Hazra, una raccoglitrice di tè a Barawura, una delle piantagioni di tè della zona, racconta alla Thomson Reuters Foundation che normalmente poteva raccogliere 50-60 kg di foglie al giorno, ma quest'anno è riuscita a raccoglierne solo 15 kg al giorno prima di dover interrompere il lavoro, con evidenti ripercussioni sul suo reddito.

Poi ci sono le ricadute anche sulle stesse piante di tè. L’aumento delle temperature espone le piante ai parassiti, come il ragnetto rosso che danneggia le foglie e richiede l'applicazione di pesticidi per essere controllato, spiega Romij Uddin, professore di agronomia presso l'Università Agraria del Bangladesh.

In questo periodo dell'anno il raccolto è normalmente di 4.500 kg di foglie di tè al giorno, ma quest'anno ha registrato un calo di quasi il 45%spiega Rony Bhowmick, direttore dello Sreemangal Clonal tea garden.

Di fronte all'aumento del caldo - un problema destinato a peggiorare negli anni futuri con il continuo aumento delle emissioni climalteranti - i coltivatori di tè dicono di non poter fare molto per adattarsi, se non garantire ai lavoratori più acqua potabile, riposo e sali reidratanti.

I raccoglitori di tè che un tempo si fermavano solo per bere qualcosa fornito dalle autorità della piantagione a mezzogiorno, dicono che ora portano spesso con sé vasi d'acqua per cercare di rimanere idratati più spesso mentre lavorano in condizioni di caldo.

Il Bangladesh deve fare molto di più per prepararsi e adattarsi al rapido aumento delle temperature, commenta Saleemul Huq, direttore del Centro internazionale per il cambiamento climatico e lo sviluppo di Dhaka: “Le temperature sono uno degli impatti del cambiamento climatico a cui il Bangladesh non è abituato e che deve imparare a gestire con urgenza. Non sappiamo con certezza quali saranno gli impatti, ma è certo che in futuro le temperature insolitamente elevate diventeranno la norma”.

Il boom petrolifero dell'Iraq ha aggravato la crisi idrica nel sud del paese colpito dalla siccità

Mahdi Mutir, 57 anni, ha lavorato come pescatore per tutta la vita. Per anni, lui e sua moglie si hanno sfamato la famiglia di sette persone navigando lungo la fitta rete di canali ad Al Khora, pochi chilometri a nord di Bassora, in Iraq. Ora le cose sono cambiate. Al culmine della stagione delle piogge, la barca di Mutir giace incagliata nel fango. La causa? Una stazione idrica dell’ENI, in Iraq dal 2009, che pompa grandi quantità d’acqua nel terreno per contribuire all’estrazione del petrolio.

“Per ogni barile di petrolio, molti dei quali vengono poi esportati in Europa, vengono pompati nel terreno fino a tre barili di acqua. Con l'aumento delle esportazioni di petrolio, l'acqua dell'Iraq è diminuita drasticamente”, scrivono Sara Manisera e Daniela Sala in un reportage sul Guardian.

L’uso intensivo delle risorse idriche da parte delle compagnie petrolifere che estraggono petrolio iniettando acqua nei terreni sta aggravando la crisi idrica nel sud dell’Iraq, ricco di petrolio ma estremamente arido. 

“L'analisi delle immagini satellitari mostra come nell'ultimo anno una piccola diga, costruita dall'ENI per deviare l'acqua dal canale di Bassora al suo impianto di trattamento delle acque, stia impedendo l'allagamento stagionale dell'area in cui Mutir era solito pescare”, scrivono Manisera e Sala. 

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Un altro impianto vicino, utilizzato da compagnie petrolifere come BP ed ExxonMobil, richiede l’utilizzo di acqua pari al 25% del consumo giornaliero in una regione abitata da quasi 5 milioni di persone. L'impianto di Qarmat Ali, gestito dalla Rumaila Operating Organisation (ROO), composta da BP, PetroChina e South Oil Company of Iraq, utilizza acqua proveniente direttamente dal canale Abd Abdullah, che reindirizza l'acqua dolce da un fiume prima che raggiunga lo Shatt al-Arab, il fiume formato dalla confluenza dei fiumi Eufrate e Tigri, principale fonte idrica di Bassora.

In un comunicato l'ENI ha affermato che la società non utilizza acqua dolce, ma l'acqua dei canali, che è salata e inquinata. Ma stando alle immagini satellitari, analizzate dalle autrici dell’articolo, “l'acqua dei canali che alimentano Qarmat Ali e l'impianto di Al Khora dell'ENI, in fase di costruzione, confluisce a pochi chilometri a sud dei due impianti in un impianto di trattamento delle acque pubbliche che fornisce il 35% dell'acqua utilizzata dalle famiglie di Bassora”.

I dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera

Immagine in anteprima: Frame video KXLH News via YouTube

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