Contro le indicazioni europee, il nostro mix energetico si basa ancora su gas e petrolio
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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
La ripresa dalla pandemia prima, la guerra in Ucraina e un’estate siccitosa poi, hanno scatenato un terremoto nei mercati dell’energia, tanto che l’Europa a maggio 2022 con il piano RePowerEU ha deciso di tagliare progressivamente la sua dipendenza dal gas russo e rivedere al rialzo i propri obiettivi per la transizione energetica.
Anche l’Italia si è mossa in fretta per riorganizzare le proprie forniture di gas, in vista di una possibile interruzione di quello proveniente dalla Russia, da cui l’Italia, fino a pochi mesi fa, dipendeva per circa il 40% dei propri consumi.
All’indomani dell’invasione russa il governo Draghi non aveva esitato a inviare in Algeria l’allora ministro degli esteri Luigi Di Maio, accompagnato dall’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, per stringere intese che garantissero all’Italia forniture di gas alternative a quello russo. Il governo Meloni all’inizio del nuovo anno ha completato quegli accordi e ne ha firmati anche con la Libia, nell’ottica di quello che la presidente del consiglio ha chiamato il nuovo Piano Mattei per l’Africa.
Per capire l’impatto delle nuove decisioni in ambito energetico, vediamo come si compone il mix energetico italiano e proviamo a farlo partendo dai dati del 2019, anno più recente in cui non si registrano né l’influenza della pandemia né gli effetti della guerra in Ucraina.
Quanta energia consuma l’Italia
Confrontando i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) relativi all’Italia e la Situazione Energetica Nazionale del Ministero della Transizione Ecologica (MITE) si vede che nel 2019 il consumo interno lordo di energia in Italia, calcolato in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, è stato di 169 Mtep.
Questa domanda di energia è stata soddisfatta dal gas naturale per circa il 36%, da prodotti petroliferi per il 34%, da fonti rinnovabili (che comprendono idroelettrico, solare, eolico e altre fonti) per il 21%. Un ulteriore 5% è stato coperto da energia elettrica importata, mentre il 4% da combustibili solidi (carbone e legna).
Nel 2020, come si diceva, gli effetti della pandemia si sono fatti sentire anche sui consumi energetici italiani, che sono scesi a 144 Mtep.
Nel 2021 sono risaliti a 153 Mtep e, secondo i dati ministeriali, sono stati soddisfatti da gas naturale per quasi il 41%, da prodotti petroliferi per quasi il 33%, da fonti rinnovabili per il 19,5%, mentre i combustibili solidi si sono assestati al 3,5% e l’importazione di energia elettrica ha pesato per quasi il 2,5% della disponibilità di energia.
Se si guarda a quanta l’Italia ne produce e quanta ne importa si vede che il Bel Paese è fortemente dipendente dall’estero: nel 2021 abbiamo prodotto 36,4 Mtep (un dato in calo del 3,4% rispetto all’anno precedente), mentre le importazioni nette sono state di 114,6 Mtep. Questo significa che dipendiamo dall’estero per quasi il 75% dell’energia che consumiamo.
Gas: riserve nazionali ed estrazioni
In Italia si fa molto affidamento su gas e petrolio, nonostante queste risorse siano disponibili in quantità relativamente basse sul territorio nazionale. Secondo i dati del MITE, l’Italia ha estratto nel 2021 circa 3,5 miliardi di metri cubi (mc) di gas naturale dalle proprie riserve nazionali di idrocarburi, a fronte di un consumo annuo nazionale che nello stesso anno è stato di più di 76 miliardi di metri cubi, secondo i dati ministeriali. In termini percentuali l’Italia estrae dal suolo nazionale meno del 5% del gas che consuma. Il resto, più del 95%, lo importa (in seguito vedremo da dove).
Le riserve nazionali di gas naturale non sono abbondanti. Il MITE distingue tra riserve certe, ovvero che “potranno, con ragionevole certezza (probabilità maggiore del 90%) essere commercialmente prodotte”, riserve probabili, che “potranno essere recuperate con ragionevole probabilità (maggiore del 50%)” e riserve possibili, che “si stima di poter recuperare con un grado di probabilità decisamente più contenuto (molto minore del 50%)”.
Le riserve certe ammontano a poco meno di 40 miliardi di mc, ovvero poco più della metà del gas che l’Italia consuma in un anno. Il 55,6% delle riserve certe si trova sulla terraferma, il resto in mare. Le riserve probabili sono quasi 45 miliardi di metri cubi, mentre quelle possibili sono stimate essere 26,7 miliardi di metri cubi.
Inoltre nel 2021 si è registrata un’erogazione di gas dai giacimenti di stoccaggio pari a 1,6 miliardi di mc, si legge nella Situazione Energetica Nazionale, mentre la produzione nazionale ha incluso anche 160 milioni di metri cubi di biometano.
In una conferenza stampa di inizio novembre scorso, il neo titolare del ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) Gilberto Pichetto Fratin aveva proposto di inserire in un “decreto aiuti” un emendamento per autorizzare l’estrazione di gas da giacimenti nazionali con capacità superiore ai 500 milioni di mc. “Potenzialmente si stima una quantità di 15 miliardi di mc sfruttabili nell’arco di 10 anni” aveva dichiarato, avanzando anche la possibilità di destinare quel gas ad aziende nazionali energivore a un prezzo calmierato. Oltre a risultare una soluzione difficilmente adattabile alle regole di mercato, 1,5 miliardi di mc di gas all’anno sarebbero una porzione molto ridotta dei consumi nazionali.
Petrolio: riserve nazionali, consumi, import ed export
Le riserve nazionali di petrolio si trovano in gran parte Basilicata e risultano complessivamente maggiori rispetto a quelle nazionali di gas. Ciononostante, la loro estrazione non incide in maniera sostanzialmente diversa sul consumo nazionale.
Nel 2021 sono stati estratti poco meno di 5 milioni di tonnellate di petrolio, a fronte di un consumo annuale nazionale di 55,4 milioni di tonnellate. In termini percentuali la produzione nazionale ha contribuito per il 10%, mentre il 90% dei consumi è venuto da importazioni (al netto delle scorte accumulate). Le riserve nazionali certe di petrolio sono poco meno di 80 milioni di tonnellate, quelle probabili 75 milioni, quelle possibili 52 milioni di tonnellate.
Il mercato del petrolio è globale (a differenza di quello del gas che è locale, definito anche spot) e infatti nel 2021 l’Italia importava petrolio da tutto il mondo: dall’Africa (21,7 Mtep), dalla stessa Europa (17,8 Mtep), dall’Asia (15,2 Mtep), dal Medio Oriente (14,8 Mtep) e dagli Stati Uniti (2,5 Mtep).
Gli oltre 72 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) che abbiamo importato sono più di quelli che abbiamo consumato e infatti, siccome la domanda nazionale è data da consumi ed esportazioni, abbiamo esportato 27 Mtep tra greggio, semilavorati e prodotti petroliferi.
Nei primi dieci mesi 2022 invece l'Italia ha importato 52,2 milioni di tonnellate di petrolio, con un incremento dell'11,6% rispetto allo stesso periodo 2021. Il primo paese fornitore è stato la Russia, a causa della particolare situazione della raffineria Isab (di proprietà Litasco-Lukoil) che da mesi importa solo petrolio russo non avendo altre possibilità di approvvigionamento. “Al netto di ciò il peso della Russia sarebbe limitato a pochi punti percentuali” si legge su AGEEI (Agenzia di stampa sull’energia e le infrastrutture). La raffineria Isab del polo petrolchimico di Priolo Gargallo (Siracusa), ha proseguito a importare petrolio russo andando in deroga alle sanzioni che altrimenti l’avrebbero colpita. Ora è in fase di discussione la sua vendita.
Gas: quanto ne consumiamo e da chi lo importiamo
L’Italia è un paese altamente dipendente dalle importazioni di gas (più del 95%), sia quello che arriva già in forma gasosa via gasdotto, sia quello che arriva via nave allo stato liquido (GNL – Gas Naturale Liquefatto) e che necessita di rigasificatori (spesso navi a largo della costa) per poter venire poi immesso nella rete.
Dei quasi 73 miliardi di metri cubi (mc) che abbiamo importato nel 2021, quasi 63 sono arrivati via gasdotto. La fetta più grande, 29 miliardi di mc, è arrivata al Tarvisio dalla Russia passando per il gasdotto TAG (Trans Austria Gas), mentre ne sono arrivati 21 miliardi dal Transmed (Trans Mediterranean Pipeline) che porta il gas dall’Algeria a Mazara del Vallo, in Sicilia.
Dal gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipieline) sono transitati più di 7 miliardi di mc dall’Azerbaijan, attraversando Turchia e Grecia e arrivando a Melendugno in Puglia. Sempre in Sicilia, a Gela, sono arrivati 3,2 miliardi di mc dalla Libia, attraverso il gasdotto Greenstream. Il gasdotto Transitgas ha invece fatto arrivare al Passo Gries poco più di 2 miliardi di mc di gas proveniente dal Nord Europa, prevalentemente da Norvegia e Olanda.
Il resto delle importazioni (circa 10 miliardi di mc) nel 2021 è arrivato dal GNL ed è stato rigasificato in tre stazioni, una onshore, due offshore. Circa 1 miliardo di mc è arrivato da Panigaglia, comune di Porto Venere in provincia di La Spezia, Liguria. Quasi 1,5 sono arrivati dal rigasificatore di Livorno, mentre più di 7 dal terminale Adriatico dell’isola di Porto Levante (comune di Porto Viro in provincia di Rovigo), il cui transito viene misurato dalla stazione a terra di Cavarzere.
La maggior parte del GNL è arrivato dal Qatar (circa 6,5 miliardi di mc) e dall’Algeria (circa 3 miliardi di mc, dati 2019). Quote minori sono venute dagli Stati Uniti, da Trinidad e Tobago, dall’Africa (Nigeria) e dalla Norvegia.
Nel 2022 cambia tutto, ma non proprio
Nel 2022 il mercato e le importazioni del gas sono stati stravolti da un insieme di fattori. La domanda di gas da parte dell’Asia in uscita dalla “fase acuta” della pandemia era già cresciuta nel 2021, diminuendo i flussi disponibili per l’Europa. La crisi internazionale dovuta alla guerra in Ucraina poi, insieme a un’estate siccitosa, hanno fatto definitivamente schizzare alle stelle i prezzi del gas, spingendo l’Italia a riorganizzare le proprie forniture.
Nel 2022 dalla Russia sono arrivati meno di 14 miliardi di mc di gas, mentre nello stesso periodo nel 2021 ne erano arrivati 29.
In particolare nei primi 8 mesi dell’anno abbiamo importato 2 miliardi di mc di gas in più (50 miliardi) rispetto a quanto fatto nello stesso periodo nel 2021 (48 miliardi). Secondo un’analisi del think tank Bruegel, da settembre 2021 a ottobre 2022 per tamponare la crisi del gas l’Italia ha speso 60 miliardi di euro, quasi il 3,5% del proprio PIL. A gennaio 2023 tale spesa era salita a oltre 130 miliardi, il 5,2% del proprio PIL.
Un inverno meno rigido delle attese ha fatto però calare notevolmente la successiva domanda di gas, in particolare di quello russo, tanto che se si guardano le importazioni di gas di tutto il 2022 queste risultano in calo di quasi il 10% rispetto all’anno precedente: 68,5 miliardi di metri cubi contro i quasi 76 del 2021. Il calo dei consumi, che pure è avvenuto, non è però ascrivibile necessariamente a politiche energetiche nazionali e comunitarie attente alla riduzione delle emissioni, ma piuttosto a un cambiamento climatico che ha reso l’inverno più mite.
Rispetto al 2021 abbiamo aumentato di oltre 2 miliardi di mc il gas importato via TransMed dall’Algeria (a dicembre siamo arrivati a 23,5 anziché a 21 miliardi), abbiamo aumentato di quasi 4 volte quello arrivato a Passo Gries dal Nord Europa (arrivando a 7,5 miliardi di mc) e abbiamo importato 3 miliardi di mc in più di gas azero dal TAP (superando i 10 miliardi di mc). È leggermente calato invece quello arrivato a Gela dalla Libia (2,6 miliardi di mc nel 2022 contro i 3,2 dell’anno precedente).
Abbiamo invece aumentato i volumi di GNL che giungono ai rigasificatori: ne è arrivato più del doppio a quello di Panigaglia (2,2 miliardi di mc) e a quello di Livorno (3,7 miliardi di mc), mentre è aumentato del 14% quello di Cavarzere in Adriatico (8,2 miliardi di mc).
Il governo italiano si è già mosso nella direzione di puntare su un aumento delle importazioni del GNL, attivando nuove stazioni di rigasificazione, tra cui quella di Piombino, che però ha incontrato inizialmente le resistenze della cittadinanza locale.
A gennaio la presidente del consiglio Giorgia Meloni, dopo aver confermato gli accordi con l’Algeria, si è recata, sempre accompagnata dall’AD di Eni Claudio Descalzi, anche in Libia. Qui ha firmato un altro accordo che prevede un investimento di 8 miliardi (in una partnership tra Eni e l’omologa libica Noc) che serviranno a estrarre gas da due giacimenti marini a largo di Tripoli. Le forniture dovrebbero essere garantite per 25 anni: cominciando dal 2026, dovrebbero arrivare in Italia 8,7 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, in parte tramite il gasdotto Green Stream che arriva a Gela e in parte via nave sotto forma di GNL. Così facendo l’Italia si vincola al gas almeno fino al 2051.
Nel frattempo Eni, nel nome della sicurezza energetica nazionale, ha stretto accordi e collaborazioni per l’estrazione e l’import di gas anche con Angola, Cipro, Egitto, Indonesia, Mozambico, Nigeria, Qatar e Repubblica del Congo.
Tutto questo avviene in un momento in cui la storia dell’energia sta imboccando tutta un’altra direzione. Secondo il rapporto European Electricity Review 2023 del think tank Ember per la prima volta in Europa nel 2022 l’elettricità generata da solare ed eolico (in forte crescita) ha superato quella prodotta dal gas: 22% contro 20%.
Nel 2021 la IEA, nel suo rapporto Net Zero by 2050, avvertiva che per raggiungere gli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C non si sarebbero dovuti inaugurare nuovi giacimenti di gas, petrolio o carbone, ma solo portare a esaurimento quelli già aperti. Nella presentazione del rapporto IPCC AR6 WG3, lo scorso aprile, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres aveva detto che “investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è moralmente ed economicamente una follia. Ma non deve andare per forza così. Dobbiamo triplicare la velocità della transizione verso le energie rinnovabili. Questo significa spostare gli investimenti dai combustibili fossili alle rinnovabili, ora. In molti casi le rinnovabili sono la soluzione più economica”.
Nel 2022 l’Italia ha anche triplicato le esportazioni di gas.
Perché aumentano le esportazioni di gas
La domanda nazionale di gas comprende sia i consumi sia le esportazioni. Ogni anno infatti l’Italia esporta un po’ di gas: nel 2021 ha venduto 1,54 miliardi di mc all’estero, mentre nel 2022 ne ha esportati il triplo, 4,5 miliardi.
Un aumento delle esportazioni di gas in un anno in cui si programmavano i razionamenti per l’inverno potrebbe sembrare molto poco intuitivo. Per capire perché questo sia avvenuto occorre guardare al contesto europeo.
Il prezzo del gas al mercato TTF (Title Transfer Facility) di Amsterdam funge da riferimento per il prezzo a cui viene venduto il gas in Europa. Nel 2022 il prezzo è letteralmente esploso. Di recente però Arera, l’autorità regolatrice per l’energia in Italia, ha deciso di sganciare il prezzo del gas venduto in Italia dal prezzo fissato ad Amsterdam, legandolo invece all’indice di mercato del PSV italiano (che sta per Punto di Scambio Virtuale). In tal modo altri Paesi europei (per lo più Austria, Germania e Paesi dell’Est) in cui il gas risultava più caro si sono rivolti all’Italia per acquistarlo a un prezzo per loro più conveniente. In periodi in cui la domanda effettiva risultava soddisfatta, l’Italia ha esportato il gas in eccesso.
Carbone
In Italia non ci sono giacimenti di carbone, eccetto il giacimento del Sulcis Iglesiente in Sardegna che è inattivo dal 2015. Nonostante l’intenzione di abbandonarne l’uso entro il 2025, secondo la Situazione Energetica Nazinoale in Italia abbiamo importato nel 2021 quasi 8 milioni di tonnellate di carbone: quasi 5 dalla Russia, 1,1 dagli Stati Uniti, 0,7 dall’Europa, 0,5 dall’Australia, il resto da Sud Africa, Colombia e Canada.
Dal 2016 abbiamo più che dimezzato le importazioni di carbone (erano quasi 17 milioni di tonnellate) così come abbiamo spento quasi la metà delle centrali termoelettriche a carbone. Ne esistono però ancora 7 (una è inattiva), dato che l’80% del carbone importato è destinato a trasformarsi nel vapore che fa girare le turbine delle centrali per produrre elettricità. Il restante 20% è invece carbone da coke a ha diversi usi industriali.
Energia elettrica: produzione, importazione e consumi
Dopo un calo dovuto alla pandemia, la domanda di energia elettrica in Italia è tornata quasi ai livelli pre-pandemici: nel 2021, secondo i dati forniti da Terna, è stata di 318 TWh (terawattora, ovvero miliardi di chilowattora, una misura dell’energia erogata).
L’86,5% della domanda è stata soddisfatta da produzione nazionale (circa 278 TWh), una piccola parte della quale (3,8 TWh) è stata esportata. Questo valore percentuale può essere suddiviso in 51% di fonti in energia non rinnovabili e 36% di fonti di energia rinnovabili. Abbiamo invece importato il 13,5% dell’energia elettrica utilizzata (46,6 TWh).
Per quanto riguarda la produzione nazionale (senza considerare le importazioni), nel 2021 circa 180 TWh, ovvero circa il 60% del totale, sono provenuti da centrali termoelettriche, che sono state alimentate soprattutto da gas (quasi il 50%), ma anche da combustibili solidi quali carbone e legno (un po’ più del 6%) e prodotti petroliferi (quasi il 4%). La produzione nazionale di elettricità da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) invece è stata intorno al 40%.
Le scarse precipitazioni hanno condizionato la produzione idroelettrica, che si è assestata al 15,7% (in calo quasi del 6%), pari a circa 45 TWh. È cresciuto invece l’eolico (di più del 10%) che assieme al fotovoltaico hanno prodotto il 16% dell’energia elettrica nazionale (45,7 TWh). Il restante 8,5% è provenuto da geotermico e bioenergie (biomasse, rifiuti urbani e altre).
Secondo i dati Terna nel 2022 le cose per le rinnovabili sono andate ancora peggio: la domanda di energia elettrica complessiva è calata solo dell’1% (circa 317 TWh), ma la quota di quella generata da fonti rinnovabili è scesa fino al 31,1%. La quota importata è stata sempre attorno 13,5%, mentre quella generata da fonti non rinnovabili è aumentata fino oltre il 55%.
A fine 2022 in Italia risultavano in esercizio circa 22 GW (una misura di potenza) di idroelettrico e quasi 38 GW tra solare (25 GW), eolico (11,8 GW) e geotermico (0,8 GW). Altri 4 GW provenivano da biomasse e altre forme di bioenergie.
Dell’energia elettrica prodotta, vengono consumati in Italia all’incirca 300 TWh, la gran parte dei quali dal settore industriale (più di 120 TWh), dai servizi pubblici e dal commercio (circa 80 TWh) e dall’uso domestico (oltre 65TWh). Il resto dal settore dei trasporti, dallo stesso settore energetico e da quello agricolo, ciascuno intorno all’ordine dei 10 TWh.
Obiettivi da raggiungere
“Il cambiamento climatico è una delle grandi sfide del nostro tempo” si legge nella Situazione Energetica Nazionale. “Il settore energetico è uno dei principali responsabili delle emissioni di origine antropica e la sua decarbonizzazione rappresenta quindi la chiave per evitare i possibili effetti dei cambiamenti climatici. L’efficienza energetica e l’elettrificazione dei consumi finali saranno gli strumenti principali per la decarbonizzazione, in quanto il vettore elettrico presenta un’elevata efficienza intrinseca”.
Un esempio su tutti: il settore dei trasporti. Un documento di analisi pubblicato ad aprile 2022 dal Ministero della Mobilità Sostenibile (ora tornato semplicemente “delle infrastrutture e dei trasporti”) mostra che già con il mix energetico attuale, in cui le rinnovabili contribuiscono solo al 40% circa della produzione di energia elettrica, “la sostituzione dei veicoli a combustione interna con veicoli elettrici comporterebbe per l’Italia la riduzione delle emissioni del trasporto leggero su strada del 50%”.
Questo perché il motore elettrico è molto più efficiente del motore termico e dunque richiede complessivamente meno consumo di energia. Nel primo caso infatti circa l’80% delle energia immessa come elettricità nel veicolo finisce alle ruote, mentre nel secondo caso è il contrario: solo il 20-30% dell’energia del carburante immesso in serbatoio viene trasmessa alle ruote, mentre la maggior parte viene dispersa in calore e i prodotti della combustione rimangono in atmosfera, inclusa l’anidride carbonica le cui alte concentrazioni sono causa del riscaldamento globale.
Con il pacchetto del Green Deal europeo FitFor55 l’Europa mira a tagliare entro il 2030 le emissioni del 55% e mira a portare al 40% la quota di energia prodotta da rinnovabili (nel 2021 in Italia eravamo al 19,5%). L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha spinto la Commissione Europea inoltre a elaborare un piano accelerato di emancipazione dal gas russo e con RePowerEU l’obiettivo delle rinnovabili è stato visto al rialzo al 45%. Di conseguenza l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili dovrà essere, al 2030, l’85%. A fine 2022, causa anche la siccità che ha ridotto l’apporto di idroelettrico, tale percentuale era al 31%.
In Italia è stato pubblicato a dicembre 2019 il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), documento che però contiene dati non aggiornati agli ultimi obiettivi europei. Ad esempio, gli obiettivi al 2030 sono ancora fissati al 30% di consumi energetici soddisfatti da fonti rinnovabili. Il governo sta lavorando a una versione aggiornata del documento di cui si attende la pubblicazione.
Nonostante questo, si sa già che per raggiungere gli obiettivi europei entro il 2030 bisognerà per lo meno triplicare la capacità di generazione di solare ed eolico, le due fonti su cui andrà imperniata la transizione energetica (anche secondo la IEA).
Partendo dai quasi 38 GW già in esercizio bisognerà aggiungere più di 60 GW, si legge nella Strategia Energetica Nazionale. Il problema è che nel 2021 sono stati installati circa 1,3 GW di solare ed eolico: troppo poco per rispettare la tabella di marcia. Nel primo semestre del 2022 sono stati installati 1,2 GW, ancora troppo poco, ma complessivamente con le autorizzazioni rilasciate fino a dicembre 2022 il MASE stima si arriverà a 7 GW.
Già a febbraio 2022 l’associazione Elettricità Futura, che riunisce le aziende del settore elettrico di Confindustria, aveva dato disponibilità a “investire 85 miliardi di euro nei prossimi 3 anni per installare 60 GW di nuovi impianti rinnovabili e creare 80.000 nuovi posti di lavoro” si legge sul sito. “60 GW di nuovi impianti rinnovabili faranno risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, ovvero il 20% del gas importato. O, in altri termini, oltre 7 volte rispetto a quanto il Governo stima di ottenere con l'aumento dell'estrazione di gas nazionale”. L’appello è però rimasto inascoltato sia dal governo Draghi prima che poi da quello di Giorgia Meloni. Sembra invece essere stato raccolto dalla neo-segretaria del Partito Democratico Elly Schlein.
Ad oggi l’Italia emette complessivamente circa 350 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Per ridurle del 55% (rispetto ai livelli del 1990) dovremmo scendere nel 2030 al di sotto delle 200 milioni di tonnellate annue.
Uno studio del Politecnico di Milano mostra che rispetto al 1990 abbiamo ridotto le emissioni di circa il 20%, ma non stiamo facendo abbastanza per raggiungere l’obiettivo del 2030: le proiezioni dei trend esaminati mostrano che per quella data resteremo a circa 309 milioni di tonnellate di CO2 di emissioni annue. Occorre fare di più sul fronte della produzione di energia rinnovabile, adeguamento delle infrastrutture di rete, efficientamento energetico, mobilità sostenibile, sviluppo di configurazioni efficienti e adozione del paradigma di economia circolare.
Immagine in anteprima via greentechmedia.com