COP28, che fine ha fatto la crisi climatica?
|
Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
Più di 70.000 diplomatici, politici, dirigenti d'azienda e sostenitori dell'ambiente provenienti da tutto il mondo sono attesi per partecipare alla annuale Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che quest’anno si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dal 30 novembre al 12 dicembre.
Ogni anno, infatti, i delegati di quasi 200 Stati si riuniscono per discutere su come limitare l'aumento delle temperature globali ed evitare le conseguenze più disastrose del cambiamento climatico. La conferenza di quest'anno potrebbe essere particolarmente importante perché le emissioni di carbonio continuano a raggiungere i massimi storici e il pianeta si avvicina a potenziali punti di svolta che potrebbero mandare il riscaldamento globale fuori controllo e innescare cambiamenti irreversibili.
Il vertice di Dubai arriva dopo un’estate di eventi meteorologici estremi a tutte le latitudini e nel bel mezzo delle guerre in Europa e Medio Oriente che potrebbero affievolire ulteriormente i processi di transizione ecologica avviati negli ultimi anni e tenere ancora viva la fiamma dei combustibili fossili.
La crisi climatica è scivolata via via tra le pieghe delle agende politiche dei governi ed è pressoché sparita dai radar dei nostri mezzi di informazione che mostrano la loro allergia ad affrontare fenomeni complessi, come il cambiamento climatico, nei loro aspetti strutturali e sistemici, accendendo i fari solo sui singoli eventi – estremi – e raccontandoli con il linguaggio e la tensione dell’emergenza. Come se la crisi climatica fosse, appunto, un’emergenza che ora c’è e poi passa, e quando non se ne parla più, smette di esistere. Il cambiamento climatico fa notizia quando fa rumore; ma il cambiamento climatico come notizia è un’altra cosa. E purtroppo continuando a parlare della crisi climatica come una emergenza (e solo quando c’è una situazione fuori dall’ordinario), si finisce per dare coordinate sballate che distorcono le lenti attraverso le quali osservare, analizzare e comprendere il fenomeno.
È un discorso che in ambiente mediatico ci ripetiamo da anni: era il 2015 quando l’ex direttore del Guardian, Alan Rusbridger, parlava della difficoltà di coprire il cambiamento climatico e la giornalista, Margaret Sullivan, si interrogava in un editoriale sul Washington Post su come trovare un modo per “mantenere alta l'attenzione sugli effetti del cambiamento climatico, un tema che apparentemente rimane sempre lo stesso, a volte senza agganci al flusso di notizie quotidiane e che dà la percezione di reiterare sempre la stessa notizia” (ad esempio, il mese xy è il più caldo degli ultimi decenni), senza però cedere a un linguaggio dai toni eccessivamente drammatici o che tende a sminuire quel che sta accadendo. Un disco rotto, insomma.
E “un disco rotto” è il titolo dell’ultimo rapporto pubblicato dall’UNEP, il Programma ambientale delle Nazioni Unite, perché riporta informazioni già ripetute da anni: nel 2022 le emissioni sono aumentate del volume record di 57,4 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, tornando su livelli e trend di crescita pre-Covid; le emissioni da combustibili fossili e processi industriali sono responsabili per i due terzi delle emissioni totali e il divario emissivo al 2030 rimane sostanzialmente invariato; gli attuali obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni (NDC) porteranno al massimo a una riduzione delle emissioni del 9% entro il 2030, contro il 42% necessario per rimanere entro la soglia di 1,5°C in più rispetto alle temperature globali dell’era pre-industriale; proseguire con le politiche attuali significa un riscaldamento globale medio di 3°C. “Anche nello scenario più ottimistico preso in considerazione – conclude il rapporto – la possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C è del 14%”.
“Di solito parliamo della necessità di proteggere i paesi e le popolazioni più esposte agli effetti del cambiamento climatico. Ora siamo arrivati al punto in cui siamo tutti in prima linea”, commenta al Guardian Simon Stiell, nominato nel 2022 nuovo segretario esecutivo dell’UNFCCC, la Convenzione quadro dell’ONU sul clima. “Eppure la maggior parte dei governi sta ancora passeggiando quando invece dovrebbe iniziare lo sprint finale. Più procediamo a piccoli passi, più passi ampi e svelti dovremo fare nei prossimi anni se vogliamo ancora rimanere in gara. La scienza è assolutamente chiara”.
Ancor più chiaro, al riguardo, è il rapporto “Stato dell'azione per il clima 2023” del World Resources Institute che ha rilevato come “i paesi siano in ritardo su quasi tutte le politiche necessarie per ridurre le emissioni di gas serra. Dei 42 indicatori valutati, la vendita di veicoli elettrici è l'unico sulla buona strada. Per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, il carbone dovrebbe essere eliminato 7 volte più velocemente del ritmo attuale.
Di fronte a questo scenario, la COP28 sarà innanzitutto una Conferenza sul clima di “accountability”, commenta Andrea Ghianda, responsabile della comunicazione del think tank ECCO. O quantomeno della consapevolezza che quanto fatto finora non è stato sufficiente. “Alla COP28 – prosegue Ghianda – i paesi dovranno accordarsi e dichiarare come vorranno procedere. Il tutto con un senso di responsabilità rispetto alla fattibilità, credibilità e allineamento di tali promesse. Lo stesso vale per le compagnie dei combustibili fossili. Solo in questo modo si potrà raggiungere un risultato credibile e adeguato, ovvero che sia sufficientemente ambizioso per chiudere il divario e al tempo stesso realizzabile”.
Staremo a vedere se le risposte dei Governi e delle imprese saranno un “disco rotto” e prevarranno interessi di parte e interventi a breve termine, che finiranno per ritardare ulteriormente la transizione energetica, o soluzioni e azioni trasformative e innovative, se saranno più forti le nubi dei combustibili fossili che si addensano minacciose su questa COP o più di buon auspicio l’accordo tra il presidente statunitense, Joe Biden, e il leader cinese, Xi Jinping sulla necessità di triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Cosa aspettarsi dalla COP28 a Dubai
“Global Stocktake”, “combustibili fossili”, “perdite e danni”, “finanza climatica” sono le parole a cui prestare attenzione durante questa conferenza sul clima.
Il Global Stocktake sarà il fulcro dei negoziati di Dubai. È il bilancio globale di due anni attraverso il quale gli Stati valuteranno i progressi fatti come comunità internazionale nell’ambito dell’Accordo di Parigi e quali azioni future intraprendere alla luce di quanto (poco) fatto finora. Uno dei risultati chiave della COP28 sarà proprio il contenuto del testo finale relativo al bilancio, considerato che dovrà essere un documento che conterrà le azioni comuni da fare e le valutazioni di cosa è stato fatto a livello globale. Ogni paese ha indicato le proprie priorità rispetto al bilancio: si va da proposte su come i singoli Stati dovranno aumentare l’ambizione dei loro piani climatici (i contributi nazionali determinati, NDC) agli obiettivi globali sulle misure di adattamento agli effetti del cambiamento climatico e sulla finanza climatica dal 2025 in poi. Data la natura onnicomprensiva del Global Stocktake, i contributi di ciascuna Parte sono tanto vari quanto i negoziati della COP: ognuno potrà fare pressione su obiettivi specifici come la transizione energetica, la trasformazione del settore industriale, lo sviluppo di particolari tecnologie. Ci si aspetta uno slancio sulle rinnovabili, ma destano preoccupazioni alcune “forzature” come la proposta della Russia di classificare il gas come “combustibile di transizione”, o quella dell’Australia di inserire tra gli obiettivi globali l’idrogeno a basse emissioni di carbonio.
I combustibili fossili sono l’altro grande tema della COP28. Come vedremo nel dettaglio più avanti, l’assegnazione della Conferenza sul clima a uno Stato petrolifero, gli Emirati Arabi Uniti, e la scelta di Sultan Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera statale, come presidente, hanno scatenato grandi polemiche, tra chi ricorda che non è la prima volta che un paese legato alle fonti fossili (o grande emettitore di gas climalteranti) ospita una COP, e chi invece sottolinea l’evidente contraddizione. Tuttavia, questa situazione farà tenere ancora di più i riflettori accesi sui combustibili fossili, con alcuni paesi che chiederanno un accordo per la loro graduale eliminazione nei prossimi anni.
La presidenza degli Emirati Arabi Uniti ha fatto della “accelerazione della transizione energetica e della riduzione delle emissioni prima del 2030” una delle priorità del vertice, dopo che alla COP27 di Sharm El-Sheik, in Egitto, nel 2022, circa 80 paesi hanno dato slancio all’ipotesi dell’eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili. Tutti questi sforzi, però, alla fine non hanno avuto successo.
Sultan Al Jaber ha affermato che “la riduzione graduale della domanda e dell'offerta di tutti i combustibili fossili è inevitabile ed essenziale”. Alcune Parti (come la cosiddetta “High Ambition Coalition”, che comprende Francia, Spagna e Kenya) hanno dichiarato che daranno priorità alla completa eliminazione dei combustibili fossili, mentre altre hanno posto l'accento sull'eliminazione dei soli combustibili fossili “non consumati” o hanno respinto del tutto l'idea. Altri paesi ancora hanno spinto per obiettivi più specifici, come la fine del carbone o dei sussidi ai combustibili fossili.
Contestualmente, sta cominciando a prendere credito la richiesta di triplicare la capacità rinnovabile globale, promossa dall'Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), sostenuta a settembre dal gruppo delle principali economie del G20 e accolta dalla presidenza della COP28, insieme all’invito a raddoppiare il tasso di maggiore efficienza energetica. Vedremo su quale accordo convergeranno i negoziati.
L’altro grande obiettivo di questa COP è rendere operativo un nuovo fondo per le “perdite e i danni” causati dal cambiamento climatico. La decisione di istituire questo fondo, dopo decenni di pressioni da parte dei paesi in via di sviluppo, è tra i principali risultati della Conferenza dello scorso anno in Egitto. Dopo la COP27, un “comitato di transizione” composto da funzionari governativi di tutto il mondo è stato incaricato di concordare un quadro di riferimento per il fondo. Si trattava di decidere chi avrebbe dovuto versare, chi avrebbe potuto attingere al fondo e dove avrebbe avuto sede.
Anche in questo caso, i negoziati hanno portato a profonde divisioni tra economie avanzate e paesi in via di sviluppo. I paesi in via di sviluppo non vogliono che il fondo abbia sede presso la Banca Mondiale, chiedono che il fondo sia accessibile a tutti i paesi in via di sviluppo e sia sostenuto principalmente con finanziamenti a fondo perduto da parte dei paesi sviluppati. A loro volta, i paesi sviluppati vogliono garantire che il settore privato, i gruppi umanitari e gli Stati più ricchi, come la Cina e l'Arabia Saudita, condividano l'onere di pagare il fondo. Alla fine si è arrivati a elaborato una bozza di quadro che potrebbe essere approvata alla COP28, anche se gli Stati Uniti non concordano sul testo finale e potrebbero riaprire alcune questioni in sede negoziale.
Proprio i finanziamenti per il clima sono l’altro tema importante di questa Conferenza. I paesi in via di sviluppo hanno bisogno di migliaia di miliardi di investimenti annuali per realizzare i loro piani climatici e passare a economie a basse emissioni di carbonio. Ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite, a Bonn, all'inizio di quest'anno, alcuni di questi Stati hanno dichiarato apertamente di non voler discutere della riduzione delle emissioni se non si è posta la stessa attenzione al sostegno finanziario. Il prossimo anno, le Parti dovranno indicare un nuovo obiettivo globale post-2025 per fornire ai paesi in via di sviluppo finanziamenti per il clima, ma ancora i paesi sviluppati non sono riusciti a rispettare il finanziamento di 100 miliardi di dollari l'anno per il clima verso i paesi in via di sviluppo, prefissato per il 2020.
Si tratta di una delle questioni più delicate che potrebbe indirizzare i negoziati della COP28, alla quale è strettamente legato anche il tema dell’adattamento. A Dubai, le Parti dovranno adottare un quadro di riferimento per il raggiungimento dell’“obiettivo globale sull'adattamento”, fissato per la prima volta nell'Accordo di Parigi, ma mai definito. È questa una delle priorità di alcuni paesi in via di sviluppo, che affermano da tempo che la protezione delle popolazioni più esposte e vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici sia meno considerata rispetto agli sforzi per ridurre le emissioni (mitigazione). Alcune Parti probabilmente spingeranno per un riferimento all’obiettivo di raddoppiare i finanziamenti complessivi per l'adattamento - menzionato per la prima volta nel Patto per il clima di Glasgow alla COP26 - e cercheranno delle soluzioni per collegare i risultati dell'adattamento al Global Stocktake.
Alla COP28 proseguiranno, infine, altri due “programmi di lavoro”: uno sulla mitigazione, che si concentrerà su come gli Stati possono aumentare i loro sforzi di riduzione delle emissioni; l’altro sui “percorsi di transizione giusta”, ovvero come raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, garantendo al tempo stesso una “transizione giusta” per le persone in tutto il mondo.
La COP28 sarà un cavallo di troia per le fonti fossili?
Le decisioni che saranno prese sull’eliminazione dei combustibili fossili determineranno molto probabilmente i giudizi finali sulla COP28, considerato, come detto, che il paese organizzatore è uno Stato petrolifero e la presidenza è stata affidata all’amministratore delegato dell’azienda petrolifera statale.
In un’intervista al Guardian, il presidente della COP28, ha detto che potrebbe essere concordata una “solida tabella di marcia” per il taglio delle emissioni entro il 2030, in linea con i pareri scientifici. Ma, avvicinandosi all’inizio delle due settimane di negoziati, si è fatta sempre più strada la voce che l’obiettivo tacito sia quello di usare la Conferenza sul clima come un cavallo di troia per concludere nuovi accordi su petrolio e gas. Un’ipotesi che ha visto la reazione sdegnata del Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, come riporta l'Independent. Di sottecchi, scrive Reuters, Sultan Al Jaber “spera di vendere la visione di un futuro a basse emissioni di carbonio che includa, e non eviti, i combustibili fossili”.
“Questa non è la prima COP ospitata da un paese produttore di combustibili fossili e certamente non sarà l'ultima. Ogni Stato, anche i grandi produttori di petrolio, hanno il loro ruolo da svolgere. Quel che importa sono i messaggi e i segnali che il presidente entrante sta dando, e che parlano della necessità di un'azione urgente e di concentrarsi su come accelerare la transizione verso un nuovo mondo decarbonizzato”, osserva il segretario esecutivo dell’UNFCCC, Simon Stiell, sul Guardian. “È importante riconoscere che l'industria dei combustibili fossili deve essere parte della soluzione. Sappiamo dove si trovano i problemi. Ma per far progredire la conversazione da ciò che deve essere fatto a come deve essere fatto, l'industria dei combustibili fossili deve essere parte attiva e deve dimostrare di essere seriamente intenzionata a portare il mondo verso un'economia a zero emissioni di carbonio”.
Il nodo della questione è proprio questo. Nei giorni scorsi sono trapelati alcuni documenti ottenuti dal Centre for Climate Reporting e riportati per primi dalla BBC che mostrano come, dietro le quinte, i funzionari emiratini abbiano cercato di usare la loro posizione di organizzatori del vertice sul clima per fare pressioni per accordi sul petrolio e sul gas in tutto il mondo.
🚨 BREAKING 🚨
— Centre for Climate Reporting (@ClimateReport_) November 27, 2023
COP28 president secretly used climate summit role to push oil trade with foreign government officials.
A major new investigation with @BBCJustinR based on internal COP28 documents obtained by CCR.https://t.co/wGHXRXvQlk
Nei documenti si legge di far arrivare ai rappresentanti di Brasile, Mozambico, Canada e Australia la disponibilità da parte dell’Adnoc (la società petrolifera statale degli Emirati Arabi, di cui il presidente di COP28 è CEO) a stringere accordi e “valutare congiuntamente le opportunità internazionali di GNL”, il gas naturale liquefatto, un combustibile fossile fattore di riscaldamento globale.
Secondo gli esperti, i documenti dimostrano che gli Emirati Arabi Uniti stanno confondendo il confine tra il loro potente ruolo di ospiti della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite e i loro interessi commerciali in quanto uno dei maggiori esportatori di petrolio e gas al mondo. In passato, i presidenti a rotazione dei vertici delle Nazioni Unite sul clima hanno usato i loro incarichi per promuovere progetti di infrastrutture o di energia rinnovabile. Ma stringere nuovi accordi per produrre più combustibili fossili, che stanno inequivocabilmente riscaldando il pianeta a livelli pericolosi, è un'altra questione.
“Non è assolutamente normale”, ha commentato Kelly Gallagher, che ha partecipato ai vertici della COP sul clima sia come funzionaria del Governo statunitense che come rappresentante di organizzazioni non profit. “Sulla base di quanto ho visto nei documenti trapelati, i timori di un conflitto di interessi erano fondati. Il presidente di una COP non può cercare di negoziare accordi senza vincoli sui combustibili fossili mentre sta cercando di portare il mondo sulla rotta delle emissioni zero nette”.
“A questo punto tanto vale incontrarsi all'interno di una vera e propria raffineria di petrolio”, aggiunge Joseph Moeono-Kolio, consulente della campagna per un “Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili”.
Queste rivelazioni rischiano di rendere ancora più difficile la fiducia reciproca dei negoziatori e di azzerare le speranze di un accordo per obiettivi più ambiziosi prima ancora che il vertice abbia inizio.
Alcune buone notizie e cosa fare per restare in carreggiata
Ci sono anche buone delle buone notizie, riporta ancora Andrea Ghianda su Ecco (qui il loro podcast per seguire la COP28). Secondo le analisi del centro di ricerca Climate Analytics, se l’attuale tendenza delle tecnologie pulite, in particolare quelle legate all’energia solare ed eolica, proseguisse anche nel 2024, il 2023 potrebbe essere l’anno del picco delle emissioni.
Our analysis finds global GHG emissions could start to fall in 2024, if current clean technology trends continue.
— Climate Analytics (@CA_Latest) November 22, 2023
That would make this year – 2023 – the year of peak emissions, and the moment we turn a corner towards our collective climate goals. pic.twitter.com/teddupg4tg
Tutto dipenderà dalla velocità di discesa una volta superato il picco. In vista della COP28, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha sottolineato l’importanza cruciale di triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica per rispettare la soglia di 1,5°C fissata dall’Accordo di Parigi. Questa proposta è stata sostenuta anche da una recente dichiarazione congiunta di USA e Cina che hanno ribadito “la necessità di triplicare le energie rinnovabili per sostituire l'energia proveniente da carbone, petrolio e gas e ottenere una significativa riduzione delle emissioni assolute del settore energetico”.
Triplicare le energie rinnovabili, raddoppiare l'efficienza energetica e ridurre le emissioni di metano del 75% entro il 2030 garantirebbe l'80% dei tagli alle emissioni necessari per mantenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5°C. La triplicazione della capacità rinnovabile globale è il “principale motore” della riduzione delle emissioni al 2030, scrive IEA nel suo rapporto.
Oltre all’aumento delle rinnovabili, IEA indica altri quattro pilastri: il raddoppio del tasso di miglioramento dell'efficienza energetica globale entro il 2030; la riduzione del 75% delle emissioni di metano derivanti dalla produzione di combustibili fossili; lo sviluppo di “meccanismi di finanziamento innovativi e su larga scala” per rendere sostenibili questi cambiamenti nei paesi in via di sviluppo; misure per garantire un “declino ordinato nell'uso dei combustibili fossili”, come ad esempio il divieto di nuove centrali a carbone.
Ovviamente, il raggiungimento di questi obiettivi richiede uno sforzo significativo a livello nazionale e internazionale. Il rapporto individua alcune priorità politiche: standard per i nuovi elettrodomestici ed edifici o divieti per le opzioni meno efficienti; una riforma degli incentivi fiscali e dei sussidi, compresi quelli diretti e indiretti per i combustibili fossili; la riprogettazione del mercato dell'elettricità, riconoscendo il passaggio a sistemi basati in gran parte sulle energie rinnovabili a costo marginale zero; la semplificazione delle autorizzazioni, in particolare per l'eolico, il solare e le reti elettriche; maggiori sforzi per massimizzare i benefici sociali, attraverso schemi di benefici comunitari e altre misure.
L'espansione delle fonti energetiche a basse emissioni di carbonio richiede, inoltre, la rapida realizzazione di nuove infrastrutture: la costruzione di reti elettriche più veloci, lo sviluppo di un maggiore accumulo di energia e la garanzia di un’elettrificazione “intelligente”.
Contestualmente, la IEA chiede di abbandonare la tecnologia della cattura e stoccaggio del carbonio come soluzione per la crisi climatica. “L’industria deve impegnarsi ad aiutare veramente il mondo a soddisfare i suoi bisogni energetici e gli obiettivi climatici – il che significa abbandonare l’illusione che quantità implausibilmente grandi di cattura del carbonio siano la soluzione”, afferma il direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, Fatih Birol.
La strada è un’altra: le compagnie petrolifere e del gas devono investire di più in energia pulita. “Nonostante dal 2018 abbiano realizzato un fatturato medio annuo di 3,5mila miliardi di dollari, le società energetiche dei combustibili fossili spendono solo il 2,5% dei loro investimenti in fonti rinnovabili, che rappresenta circa l’1% del totale globale della spesa per l’energia pulita”, si legge nel rapporto della IEA. “Gli attuali 800 miliardi di dollari investiti ogni anno nel settore globale del petrolio e del gas potrebbero essere dimezzati entro il 2030 se si vuole raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C”.
I dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera
Immagine in anteprima via Il Bo Live