Come l’Africa può aiutare a decarbonizzare il mondo
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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
La scorsa settimana si è tenuto un summit a Parigi su come consentire ai paesi a basso reddito e più esposti agli impatti della crisi climatica di far crescere le loro economie riducendo la loro dipendenza dai combustibili fossili [ne parliamo diffusamente più avanti].
Cosa possono fare i 54 paesi del continente africano per contribuire alla decarbonizzazione del mondo? L’Africa può fare un salto di qualità e coniugare transizione energetica e crescita economica? Sono queste le domande che la giornalista del New York Times, Somini Sengupta, ha rivolto a Wanjira Mathai, direttrice generale per l'Africa e le partnership globali del World Resources Institute (WRI), e Rebekah Shirley, ricercatrice esperta di tematiche ambientali e vice-direttrice per l'Africa del WRI.
Queste due semplici domande hanno aperto a questioni più profonde che hanno a che fare con la sostenibilità finanziaria della transizione energetica, la capacità della rete elettrica e gli investimenti del settore privato.
“L'Africa ha un potenziale di energia rinnovabile superiore a quello di cui ha bisogno il mondo intero, non solo l'Africa. Ma questo non è sufficiente affinché il continenti abbandoni petrolio, gas e carbone per imboccare la strada delle energie verdi”, racconta Shirley al New York Times.
L’esempio del Kenya è particolarmente significativo. Attualmente il paese è in grado di generare più energia di quanta ne consumi. Perché? Perché nonostante si tratti di un territorio dotato di energia geotermica e idroelettrica e con un grande parco eolico in costruzione in una vasta area nel nord, in Kenya l’energia prodotta è ancora troppo costosa per essere utilizzata da molti kenioti e, con l’incremento delle rinnovabili, i prezzi dell’elettricità sono addirittura aumentati. “Siamo in una costante situazione dell’uovo e della gallina”, commenta Shirley. “Abbiamo molta capacità di produzione di energia ma non abbastanza clienti che pagano”.
Prendere in prestito dei soldi per un progetto di energia rinnovabile in Africa è più costoso che negli Stati Uniti o in Europa. Ad esempio, il costo del capitale è del 14% in Nigeria, rispetto all'1% degli Stati Uniti o al 15% del Pakistan. E solo una piccola parte degli investimenti privati per il clima è destinata ai 54 paesi africani, spiega Sengupta.
A questo poi si aggiungono le criticità infrastrutturali. In Kenya, come in gran parte del continente, la rete elettrica è deficitaria, e così anche dove c'è corrente, non è detto che la distribuzione sia sempre affidabile. E così, per una fabbrica locale, può essere più conveniente continuare a operare con un generatore a gasolio.
Infine, ci sono i comportamenti individuali. In tutto il continente, già solo per cucinare o riscaldarsi, le persone usano carbone e legna da ardere. E prima di passare a una stufa elettrica, potrebbero dover passare a una stufa a gas. È uno dei problemi più difficili da risolvere, osserva Mathai.
Se vogliamo aiutare l’Africa a decarbonizzarsi dobbiamo chiederci cosa può fare l’Africa per aiutare il mondo intero a decarbonizzarsi, affermano Mathai e Shirley. Il che significa uscire dal solito approccio paternalistico e coloniale nei confronti del continente africano. Di questo avviso è anche il direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), Fatih Birol. “In assenza di sostegno, dire ai paesi in via di sviluppo: 'Fai questo, non fare quello', non è produttivo né giusto”, ha detto Birol.
È necessario ridurre il costo del capitale per la costruzione di energia rinnovabile. Occorre investire nella rete elettrica. Occorre trovare nuovi clienti in grado di pagare i prezzi elevati, proseguono le due rappresentanti del WRI. In definitiva, occorre stabilire “un nuovo e più equo insieme di regole che governano la finanza e il commercio globale”, sostengono Mathai e Shirley.
Che è poi quello che chiedeva la prima ministra delle Barbados, Mia Mottley, subito dopo la COP27 in Egitto: rivedere le regole dei prestiti per le banche multilaterali di sviluppo, come la Banca Mondiale, e il ciclo del debito in cui si trovano molti paesi più poveri e maggiormente esposti alla crisi climatica. La Banca africana di sviluppo ha recentemente stimato che i 54 paesi del continente hanno bisogno di 2.700 miliardi di dollari per raggiungere i loro obiettivi climatici. Solo una piccola parte di questa cifra è arrivata.
“Questo mondo somiglia ancora troppo a quando era composto di imperi e colonie. Dobbiamo aprirci a possibilità diverse”, aveva dichiarato Mottley subito dopo la Conferenza sul Clima dello scorso anno.
Più o meno le nuove strade che Mottley ha provato a battere per Barbados che, nel 2017, avevano il terzo debito pro capite più alto di qualsiasi altro paese al mondo, spendevano il 55% del loro prodotto interno lordo ogni anno solo per ripagare i debiti, in gran parte verso banche e investitori stranieri, mentre spendevano meno del 5% per programmi ambientali e assistenza sanitaria. Le Barbados sono la rappresentazione lampante di come ogni crisi climatica è una crisi economica e che, in futuro, ogni crisi economica sarà nei fatti una crisi climatica.
È per questo che nel 2018, la prima ministra Mia Mottley, appena insediatasi, ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale una deroga allo schema usuale di ristrutturazione del debito statale: fondi in cambio di politiche di austerità. Ha chiesto di poter spendere i soldi erogati non per tagliare le spese delle istituzioni pubbliche e creare ricchezza per ripagare i debiti, ma per aumentare gli stipendi dei dipendenti pubblici, costruire scuole e migliorare le tubature e l'impianto elettrico e idrico dell’isola.
Dopo due anni di negoziazioni Mottley è riuscita a ottenere un piano triennale di finanziamenti, aprendo una nuova strada all’interno del FMI e della Banca Mondiale per la ristrutturazione dei debiti dei paesi più poveri particolarmente esposti agli effetti del cambiamento climatici. Spendere non per tagliare e ripagare i debiti, ma per progettare, ricostruire, riconsolidare.
“Il fatto che siamo più preoccupati di generare profitti che di salvare le persone è forse la più grande condanna che si possa fare della nostra generazione”, aveva detto Mottley durante la conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2022. “L'ordine globale non funziona. Non garantisce la pace, la prosperità o la stabilità. Le parole dei partenariati globali sono vuote, i partenariati stessi sono blandi, corrotti dall'avidità e dall'egoismo, e rimangono fondamentalmente squilibrati. Il mondo è purtroppo segregato tra coloro che sono venuti prima e a cui immagine è ora impostato l'ordine globale, esso stesso semplicemente l'imbalsamazione del vecchio ordine coloniale che esisteva al momento della creazione di queste istituzioni”.
Inoltre nel round-up sulla crisi climatica di questa settimana:
Concluso a Parigi il vertice sui finanziamenti per il clima: una pioggia di annunci ma pochi risultati
Di tutto questo si è parlato a Parigi lo scorso fine settimana negli incontri sui finanziamenti per il clima, presieduti dal Presidente francese, Emmanuel Macron, e dalla Prima Ministra delle Barbados, Mia Mottley. Il vertice, scrive Politico, si è concluso con una pioggia di annunci e pochi risultati.
Decine di leader mondiali si sono incontrati per discutere di finanziamenti per il clima, transizione ecologica, crisi del debito e come sfruttare fonti di investimento del settore privato per sostenere progetti di decarbonizzazione. L’obiettivo non nascosto di tutti era dare ai paesi più poveri la possibilità di accedere a centinaia di miliardi di dollari per affrontare il cambiamento climatico. “Chi si riunisce a Parigi questa settimana concorda sul fatto che il sistema attuale non è più adatto rispetto all’ambizione di mantenere l’aumento delle temperature globali entro gli 1,5°C”, aveva commentato alla vigilia del vertice l’esperta di politiche climatiche, Rachel Kyte.
Il vertice di Parigi potrebbe dare impulso a una maggiore azione prima dei colloqui sul clima di fine anno, si legge in un’analisi sulla Reuters, anche se, scrive il Guardian, “senza la garanzia di una reale trasformazione del sistema finanziario globale, la mancanza di fiducia tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo potrebbe essere lo scoglio su cui potrebbe arenarsi la COP28”.
L’incontro ha dato comunque la sensazione di “un crescente slancio in avanti”, prosegue Politico. Il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato l’obiettivo di 100 miliardi di dollari in “diritti speciali di prelievo” per i paesi esposti alla crisi climatica e l'impegno della Banca Mondiale a offrire delle “pause sul rimborso del debito” per gli Stati colpiti dai disastri climatici, oltre a un “partenariato per una giusta transizione energetica” da 2,5 miliardi di dollari tra il Senegal e i paesi più ricchi. Tuttavia, il vertice non ha raggiunto un accordo sulla cancellazione del debito come alcuni – tra cui Macron – avevano sperato.
In una prima bozza del rapporto finale, visionata dalla Reuters, si era detto che le banche multilaterali di sviluppo avrebbero aumentato i prestiti di 200 miliardi di dollari assumendo più rischi e forse ottenendo più denaro dai governi. Ma di questa ipotesi non c’è stata più traccia nella versione definitiva.
Per uscire dalla trappola clima-debito, i colloqui di Parigi si sono concentrati sull’attuazione di soluzioni che aiutino ad affrontare entrambi i problemi contemporaneamente. Queste misure includono sistemi di allerta avanzati per le condizioni meteorologiche estreme che possono aiutare le autorità a prepararsi meglio prima che si verifichi un disastro, salvando vite umane e riducendo i danni costosi. La discussione si è concentrata anche sull'espansione di nuovi tipi di assicurazione contro le catastrofi, come quelle sperimentate in Giamaica e Perù, e sull'offerta di pause per il rimborso del debito in seguito a un evento climatico estremo, per frenare l'accumulo di debito in tempi più difficili.
Il presidente dell Kenya, William Ruto, ha chiesto la creazione di una banca verde globale separata dalla Banca Mondiale e dal FMI, avvertendo che i tradizionali finanziatori multilaterali sono “ostaggio” degli interessi dei paesi più ricchi e pertanto non sono in grado di risolvere la crisi climatica.
Macron ha proposto l’introduzione di tasse internazionali sui trasporti marittimi, sull'aviazione o persino sulle transazioni finanziarie per trovare i fondi necessari per sostenere gli impatti della crisi climatica. Ma le probabilità che una proposta di questo tipo ottenga un largo consenso tra i paesi sono molto basse.
In India circa 170 persone sono morte a causa dell'ondata di caldo torrido che ha colpito il paese
Un'ondata di caldo torrido in due degli Stati più popolosi dell'India ha provocato la morte di circa 170 persone, sovraccaricato gli ospedali e interrotto l'energia elettrica, costringendo il personale a usare i libri per raffreddare. 119 le vittime nello Stato settentrionale dell'Uttar Pradesh, 47 nel vicino Stato di Bihar per patologie legate al caldo estremo degli ultimi giorni.
Il più grande ospedale del distretto di Ballia, nell'Uttar Pradesh, non ha potuto accogliere altri pazienti. Gli obitori sono al collasso. Ad alcune famiglie è stato chiesto di portare a casa i propri cari. Le continue interruzioni di corrente in tutta la regione aumentano lo stress da caldo, lasciando le persone senza acqua corrente, ventilatori o condizionatori d'aria. Il ministro alla Sanità dello Stato, Brajesh Pathak, ha annunciato l’avvio di un’indagine per capire se c’è un nesso tra i tanti decessi e le ondate di calore.
Le temperature sono state costantemente al di sopra della media, riferisce il Dipartimento Meteorologico Indiano, con massime che hanno raggiunto i 43,5°C. In India viene dichiarata un'ondata di calore se le temperature superano di almeno 4,5°C la norma o se la temperatura supera i 45°C.
Nonostante gli avvertimenti, i funzionari governativi sono stati restii a collegare l’evento meteorologico estremo all’aumento dei decessi e non hanno chiesto alla popolazione di prepararsi al caldo fino a domenica 18 giugno, quando il bilancio delle vittime ha iniziato ad aumentare.
Il governo federale indiano invierà squadre per assistere e consigliare gli Stati colpiti dal caldo nel nord e nell'est del paese, riporta Bloomberg, mentre il ministro alla Salute, Mansukh Mandaviya, ha annunciato che il Consiglio indiano per la ricerca medica (ICMR) condurrà una ricerca su come ridurre l’impatto delle ondate di calore sulla salute, individuando piani d'azione a breve, medio e lungo termine.
Una settimana prima almeno due persone erano morte e decine erano rimaste ferite a causa di un ciclone che ha colpito la parte occidentale del paese, vicino al confine con il Pakistan, togliendo la corrente a più di 4.000 villaggi, danneggiando strade e sradicando alberi, hanno dichiarato venerdì le autorità. Il numero delle vittime è stato contenuto grazie a un’evacuazione di massa di oltre 100mila persone in India e più di 70mila in Pakistan, hanno spiegato i funzionari.
Secondo gli esperti del clima, le ondate di calore continueranno e l'India dovrà prepararsi meglio per affrontarne le conseguenze. All’inizio dell’anno, in previsione di un aumento delle ondate di calore, il governo indiano aveva definito dei “piani d'azione per il caldo” rivolti ai dipartimenti statali, distrettuali e comunali: un mix di diversi tipi di soluzioni, dalle infrastrutture alle soluzioni basate sulla natura, fino ai comportamenti individuali. Tuttavia, la maggior parte dei piani non teneva conto del contesto locale, è stata sottofinanziata e non era in grado di individuare interventi precisi per i gruppi vulnerabili, scrive il sito britannico Carbon Brief che ha analizzato il piano indiano.
from this the text above:
— Wolfgang Blau (@wblau) June 18, 2023
Types of heat action plans (HAP) pic.twitter.com/jtUTUWg4dd
I piani sulle ondate di calore sono strumenti di politica pubblica relativamente nuovi e, pertanto, in continua evoluzione. Dalla lezione indiana, prosegue l’articolo di Carbon Brief, si evincono due cose: i piani devono essere territoriali, quasi iper-localizzati, per essere efficaci e devono essere finanziati in modo adeguato, altrimenti restano su carta. Gli impatti climatici richiederanno agli Stati di pensare politiche localistiche molto ambiziose.
“I centri delle nostre città, per come sono costruiti oggi, sono trappole mortali”, spiega Eleni Myrivil, prima “global chief heat officer”, nominata da UN Habitat e dall'Arsht-Rock Resilience Center.
La mancanza di vegetazione, gli alti livelli di traffico e l'uso di cemento, vetro e acciaio che assorbono il calore contribuiscono al cosiddetto effetto isola di calore urbana, che può portare le città a essere più calde di diversi gradi rispetto alle aree rurali circostanti. Nell'ultimo anno sono stati battuti record di temperatura in diverse grandi città del mondo e si stima che entro il 2050 quasi il 70% della popolazione mondiale vivrà in città e quasi 1.000 città vedranno le loro temperature medie elevate raggiungere o superare i 35°C durante i mesi estivi, scrive Akshat Rathi, giornalista esperto di clima di Bloomberg. Si tratta del triplo del numero di città che oggi registrano questo tipo di temperature e di una prova allarmante del crescente impatto del caldo estremo sulla vitalità delle aree urbane.
In queste settimane, anche il Texas e la Cina stanno sperimentando un'ondata di caldo torrido mentre il Vietnam e il Laos hanno superato i record di temperatura a maggio.
Le città dovranno pianificare nuove soluzioni per raffreddare le temperature ambientali, che non siano i condizionatori. Ad esempio, spiega Myrivili, portare più acqua in superficie e piantare più alberi.
In Svizzera è passato il referendum che punta a tagliare le emissioni di carbonio entro il 2050
In Svizzera è passato il referendum su una legge che punta a ridurre l'uso di combustibili fossili e a raggiungere emissioni zero nette di carbonio entro il 2050. Una misura che si rende necessaria per garantire la sicurezza energetica e ambientale, alla luce anche del rapido scioglimento dei ghiacciai nelle Alpi svizzere a causa dell'aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici. Tra il 2001 e il 2022 i ghiacciai hanno perso un terzo del loro volume di ghiaccio.
La legge è passata con il 59,1% dei voti a favore e chiederà di abbandonare la dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas per passare all'uso di fonti rinnovabili. La Svizzera importa circa tre quarti della sua energia, e tutto il petrolio e il gas naturale consumati provengono dall'estero.
Il disegno di legge sul clima prevede un sostegno finanziario di 2 miliardi di franchi svizzeri (2,2 miliardi di dollari) in dieci anni per promuovere la sostituzione dei sistemi di riscaldamento a gas o a petrolio con alternative rispettose del clima, e 1,2 miliardi di franchi svizzeri per favorire la transizione delle imprese verso l'innovazione verde.
Gli oppositori avevano sostenuto che le misure avrebbero fatto aumentare i prezzi dell'energia. Quasi tutti i principali partiti svizzeri hanno appoggiato il progetto di legge, ad eccezione del Partito Popolare Svizzero (SVP), di destra, che ha indetto il referendum dopo essersi opposto alle proposte del governo.
La legge sul ripristino della natura va avanti a fatica in Europa, con il voto contrario dell’Italia
Il 20 giugno il Consiglio dell’Unione Europea ha raggiunto un primo accordo sulla legge sul ripristino della natura. Tuttavia, il testo di legge è stato bocciato dalla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo e, in precedenza, dalle commissioni affiliate per l'agricoltura (AGRI) e per la pesca (PECH). È la prima volta che la Commissione ambiente del Parlamento (ENVI) respinge un elemento del Green Deal europeo. Ora il testo torna nella sua versione originale nella plenaria. Il voto decisivo è previsto per la settimana del 10 luglio.
Secondo un recente report dell’Agenzia Europea per l’ambiente, l’81% degli habitat naturali in Europa versa in cattive condizioni. C’è qualche timido segnale di miglioramento per le foreste, mentre la situazione è più critica per terreni erbosi, dune e acquitrini e torbiere basse con ricadute a più livelli: per le specie animali e vegetali che ci vivono; per la salute (ce l’hanno insegnato le zoonosi); per la qualità della vita; per il clima (per fare un solo esempio, le torbiere contengono circa il 30 per cento della CO2 sequestrata nel suolo a livello globale). Anche l’economia ne risente, a partire dal settore agricolo, visto che l’erosione del suolo “costa” all’Unione 3 milioni di tonnellate di grano e 0,6 milioni di tonnellate di mais ogni anno, scrive Lifegate.
Per questo la Commissione europea ha proposto di inserire una legge sul ripristino della natura all’interno della strategia sulla biodiversità per il 2030. L’obiettivo, che si vuole rendere vincolante, è quello di mettere in atto misure di ripristino che coprano almeno il 20% del territorio terrestre e marino dell’Unione, tutto questo entro il 2030.
La legge sul ripristino della natura ha però di fronte a sé un lungo iter che si sta già rivelando accidentato. Il Partito popolare europeo (Ppe), il più numeroso nell’Europarlamento, ha infatti presentato una mozione per bocciarla nella sua interezza.
Il 20 giugno il Consiglio dell’Unione europea, formato dai ministri (in questo caso dell’Ambiente) dei 27 Stati membri, ha adottato il suo orientamento generale. Il testo, così come approvato dal Consiglio, cerca di bilanciare gli “obiettivi ambiziosi per il ripristino della natura” e la “flessibilità nell’implementazione del regolamento da parte degli stati membri”. L’Italia, rappresentata dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, ha votato contro. Legambiente ha definito insufficiente il testo approvato.
A scuola di climate change
Cara Buckley, giornalista del New York Times che si occupa di clima, si è recata alla Slackwood Elementary, una scuola primaria di Lawrenceville, nel New Jersey, dove gli studenti oltre alle solite materie scolastiche sono incoraggiati a parlare di questioni ambientali complesse. Il New Jersey è infatti il primo Stato americano in cui si fa lezione di cambiamento climatico a tutti i livelli scolastici. L’obiettivo è imparare a ragionare per soluzioni, non focalizzandosi soltanto sull’analisi delle criticità e sugli scenari prefigurati da studi e rapporti.
L’educazione al cambiamento climatico è vitale per aiutare gli studenti ad adattarsi alla salute del pianeta, prepararsi per una nuova economia basata sull'energia verde e adattarsi ai cambiamenti climatici che promettono di intensificarsi man mano che questa generazione di bambini raggiunge l'età adulta, spiega al New York Times la principale sostenitrice dei nuovi programmi scolastici, Tammy Murphy, parte del consiglio di amministrazione del Climate Reality Project dell'ex vicepresidente Al Gore e moglie del Governatore del New Jersey, il democratico Phil Murphy. In base ai nuovi programmi, il clima è una materia trasversale a tutti gli insegnamenti, anche alle lezioni di educazione fisica.
Alla Slackwood Elementary, ai bambini viene insegnato che le attività umane, come il trasporto, il riscaldamento e l'allevamento del bestiame, stanno surriscaldando il pianeta. Ma, come detto, l'attenzione si concentra sulla consapevolezza e sulla risoluzione dei problemi. Gli alunni di prima elementare imparano a conoscere il compostaggio, il riciclo e il giardinaggio idroponico, mentre quelli di seconda elementare esplorano l'inquinamento e l’impatto della plastica.
Nei giorni in cui il fumo degli incendi in Canada raggiungeva i cieli statunitensi, le lezioni si sono concentrate su come adattarsi a questi eventi e trovare delle soluzioni. “Li fa sentire parte di ciò che sta accadendo al di fuori della scuola nel mondo reale”, ha detto la signora Liwacz, docente delle Slackwood. “Naturalmente, non tutti i problemi saranno risolti. Ma intanto stanno pensando: ‘Come posso risolvere questo problema? Come posso cambiare questo? Cosa posso fare con me stesso o con i miei amici o la mia comunità per aiutare a cambiare ciò che vedo o ciò che ho notato?’”.
Anche le Nazioni Unite hanno sottolineato il ruolo fondamentale dell’istruzione nell’affrontare il riscaldamento globale. Tuttavia, ci sono forti resistenze a introdurre le questioni climatiche tra le materie di studio. Uno studio del 2016 ha mostrato come al clima siano state dedicate meno di due ore di lezione all’anno, nonostante l’insegnamento faccia parte dei programmi di tre quarti degli insegnamenti di scienza nelle scuole pubbliche statunitensi.
Sebbene nessuno vieti l'educazione al riscaldamento globale, spiega Glenn Branch, vicedirettore del National Center for Science Education, alcuni Stati inquadrano falsamente la scienza del clima come se fosse una questione più di dibattito pubblico che di consenso scientifico. La scorsa primavera, il consiglio di istruzione dello Stato del Texas ha emesso delle linee guida secondo le quali a scuola si dovrebbe studiare il lato “positivo” dei combustibili fossili.
La strada, dunque, è ancora lunga. Ma, racconta Cara Buckley in un’intervista sempre al New York Times, “i bambini vogliono davvero aiutare e sono aperti a nuove esperienze. Mi ha colpito il fatto che fossero entusiasti di parlare dell'ambiente”.
Nuovi video della NASA mostrano il rapido aumento delle emissioni di CO2 nell'atmosfera
Il rapido aumento delle concentrazioni di anidride carbonica nell'atmosfera è il principale responsabile del riscaldamento globale causato dall'uomo. Trovare il modo di ridurre queste emissioni è una pietra miliare dei negoziati internazionali sul clima.
Tuttavia, a differenza di altre forme di inquinamento, questo gas serra è invisibile all'occhio umano. Ciò rende più difficile comunicare al pubblico la sfida del riscaldamento globale.
Ma nuove impressionanti animazioni grafiche della NASA mostrano come le emissioni di CO2 si accumulino nell'atmosfera nel corso di un anno. I video mostrano le emissioni di CO2 provenienti da diverse fonti: combustione di combustibili fossili causata dall'uomo (giallo); combustione di biomassa causata dall'uomo (rosso); ecosistemi terrestri (verde) e oceano (blu). Le aree pulsanti indicano l'assorbimento di CO2 da parte degli ecosistemi terrestri e dell'oceano.
Le animazioni evidenziano lo squilibrio nelle emissioni di CO2 tra l'emisfero settentrionale e quello meridionale. Mostrano anche come la CO2 viene trasportata in tutto il mondo dalle correnti d'aria una volta nell'atmosfera.
Il progetto è un "ottimo esempio" di comunicazione scientifica "Show, don't tell" ["Mostra, non raccontare"], spiega a Carbon Brief Doug McNeall, scienziato del clima del Met Office britannico. "I video ci aiutano a capire processi complessi a un 'livello viscerale'".
I dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera
Immagine in anteprima: Diego Delso, CC BY-SA 4.0, via energy-storage.news