Omicidi, stupri e furti: le violenze dei militari russi nel villaggio ucraino di Bogdanivka
36 min letturaIl mondo continua a conoscere le atrocità commesse nella regione di Kyiv nelle settimane prima che le truppe russe si ritirassero dalla zona, alla fine di marzo. Insieme ad Astra, il sito indipendente russo Meduza ha scoperto che già in un solo villaggio - Bogdanivka, nel distretto di Brovary a Kyiv - sono documentati tre omicidi e due stupri avvenuti durante l’occupazione russa. Per avere un quadro accurato di questi (e altri) crimini, Meduza ha parlato con gli abitanti di quelle zone, confrontato le loro testimonianze e ricostruito gli eventi accaduti nel villaggio tra l'8 e il 29 marzo, quando le truppe russe erano a Bogdanivka.
- L'occupazione russa di Bogdanivka, un villaggio a circa 20 chilometri da Kyiv, è iniziata l'8 marzo. Una colonna di veicoli corazzati (forse il 6° o il 239° Reggimento Carri dalla regione russa di Čeljabinsk) è passata per la strada principale del villaggio ed è uscita sull'autostrada che porta a Kyiv, dove ha poi subito i pesanti bombardamenti dell’esercito ucraino.
- La sera dell'8 marzo, i soldati russi hanno iniziato a nascondere i carri armati e i veicoli blindati rimasti a Bogdanivka. È probabile che i soldati russi abbiano ricevuto l’ordine di occupare il villaggio e condurre una “operazione di pulizia” (che comporta lo scovare tutti gli uomini con esperienza militare e possibili membri delle forze di difesa territoriale), in attesa di ricevere rinforzi.
- Il 9 marzo, verso mezzogiorno, un gruppo di soldati che andava casa per casa ha raggiunto la zona più orientale di Bogdanivka. I civili vivevano ancora nelle abitazioni del posto. Le loro testimonianze hanno permesso a Meduza di ricostruire i crimini commessi dai soldati russi.
- Il nome del comandante dell'unità che controllava tutte le case di Bogdanivka è Mikhail Romanov. Non ha mai nascosto il volto - ha persino chiesto agli abitanti locali di trovarlo sui social media. Grazie a ciò i testimoni con cui Meduza ha parlato lo hanno potuto identificare dalle foto online. Altre prove indirette confermano che questa persona potrebbe essere un soldato a contratto di Čebarkul' (città nella regione russa di Čeljabinsk), assegnato a una di queste tre unità militari: No. 93992, No. 89547, o No. 87441.
- Sempre il 9 marzo, attorno alle 22, i soldati russi presenti nella zona hanno commesso il loro primo crimine. Hanno sparato ad Alexey Rudenko, un tecnico riparatore, perché in casa sua si trovavano appesi dei pantaloni color kaki: i soldati hanno pensato che facessero parte di un'uniforme militare (in realtà erano solo per pescare, Rudenko non era nell'esercito). Rudenko è morto tra le braccia della giovane figlia.
- Verso mezzanotte, Romanov e un altro soldato con un'uniforme tutta nera hanno sparato a un secondo civile del posto: Alexey Zdorovets, ex deputato originario della vicina città di Brovary. Dopo aver ucciso Zdorovets, gli uomini hanno violentato la moglie per due ore mentre il figlio della coppia era chiuso in un locale caldaia. La donna è riuscita miracolosamente a scappare e più tardi ha rilasciato una dichiarazione alla polizia. I soldati hanno sepolto il corpo di Zdorovets nel cortile della casa, dopodiché hanno dato fuoco a quest’ultima. Hanno anche ucciso i cani della famiglia.
- Il 23 marzo, nella parte settentrionale del villaggio, una zona boscosa, c’è stato un altro omicidio. Konstantin (nome cambiato) ha detto a Meduza che un soldato russo è entrato in casa sua e, spaventato dalla suoneria di un telefono, ha sparato al suocero, mentre Konstantin guardava. Il corpo dell'uomo è stato trovato una settimana dopo nello stesso punto, con ferite di arma da fuoco alla testa.
- Il 28 marzo è avvenuto un altro stupro a Bogdanivka, a pochi giorni dalla fine dell’occupazione, in una zona più distante chiamata Voloshka, che ospita un orto comunitario. I soldati hanno fatto irruzione nella casa di Svetlana Perminova in cerca di cibo e oggetti di valore, poi l'hanno violentata nel seminterrato. In seguito, Perminova ha dovuto lottare contro pensieri suicidi e ha manifestato forme di autolesionismo. Suo marito, Edward Shpilevoi, ha lasciato il villaggio durante l'occupazione per aiutare le forze armate ucraine. A metà aprile è stato trovato morto nella cantina di un’abitazione privata nel vicino villaggio di Shevchenkovo, insieme ad altri sei cadaveri. Sul suo corpo erano presenti segni di tortura.
- Il 30 marzo, probabilmente, le truppe russe si sono ritirate da Bogdanivka. Parti del villaggio sono state minate. A giudicare dai messaggi lasciati dai soldati sui muri e da altre prove, un secondo gruppo di soldati russi è arrivato e ha sostituito il primo durante l'occupazione; sembra abbiano vissuto nelle case prese ai civili ucraini. Gli analisti forensi sono attualmente al lavoro nel villaggio.
All'inizio di aprile, il mondo ha saputo di Bucha, la città divenuta simbolo della crudeltà russa in Ucraina. A Bucha i soldati russi hanno usato armi di precisione per distruggere condomini; hanno giustiziato, torturato e violentato la popolazione civile. Sfortunatamente, queste atrocità non si sono limitate a una sola città: le truppe russe hanno commesso simili atti in diversi villaggi nella regione di Kyiv, sulla riva destra del fiume Nipro, una zona sottoposta a totale occupazione russa nelle prime settimane della guerra. Sul lato opposto del fiume, l'offensiva russa si è interrotta quando colonne di veicoli corazzati hanno subito un pesante bombardamento ucraino alla periferia della città satellite di Kyiv, Brovary. Le truppe si sono poi disperse nei villaggi circostanti.
Tra i luoghi in cui le truppe russe si sono disperse c’è Bogdanivka, piccolo villaggio a nord-est di Kyiv che dista circa 20 chilometri dalla capitale. Prima della guerra, più di duemila persone vivevano nel villaggio. È sulla strada per Brovary, il più grande comune della regione. Il vecchio centro di Bogdanivka si estende lungo la via Khmelnytsky, l'arteria principale del villaggio; la parte nord della città è piena di case a schiera, mentre i "campi" a est sono una zona popolare tra le giovani famiglie della classe media di Kyiv, che vengono qui per costruire casa.
Andando nel villaggio ora, si leggono le parole "Civili. Controllati" scritte sui cancelli fuori dalle case - scritte grandi, in lettere blu scuro, facilmente visibili da lontano. Le truppe russe, una volta finite le perlustrazioni alla probabile ricerca di armi e veterani del Donbas, hanno lasciato queste scritte in tutta Bogdanivka. In seguito, dopo che i russi si sono ritirati dalla regione e l'occupazione è terminata, gli artificieri ucraini sono arrivati e hanno lasciato nuovi messaggi su quei cancelli: un grande punto significa “casa controllata”, mentre un punto interrogativo vuol dire “è pericoloso entrare”. Molti abitanti che sono tornati nel villaggio hanno trovato bombe e fili di trappole esplosive nelle proprie auto e nelle case. Alcuni hanno anche trovato tombe fresche in cortile.
Otto marzo, mezzogiorno: inizio dell’occupazione
La prima colonna di carri armati russi è arrivata a Bogdanivka l’8 marzo. Le telecamere del traffico hanno ripreso i carri armati mentre si muovevano per la via centrale del villaggio, verso mezzogiorno. Diversi blindati hanno subito puntato i cortili delle abitazioni - in una via, per esempio, hanno abbattuto edifici ancora in costruzione. "C'erano circa 10-15 persone", ha detto raccontato Valentin, un abitante del posto, a Meduza. "Sono entrati in un negozio e l'hanno saccheggiato. Poi, con le borse cariche di bottino sulle spalle, sono venuti a vivere con noi".
Kristina, 37 anni (nome cambiato) vive con il padre e la cognata nella parte orientale della città. "L'8 marzo” racconta, “sono scoppiati pesanti combattimenti sull'autostrada che va a Kyiv. Abbiamo visto i carri armati attraversare il villaggio, per strada c’era molto fumo. Alcuni dei nostri vicini sono riusciti a scappare, in qualche modo sono passati oltre la colonna di blindati diretta a Kyiv, superando quelli che erano tornati dalla battaglia". Kristina ha lavorato per diversi anni in una delle principali imprese di costruzioni ucraine; prima della guerra stava progettando di lasciare il lavoro per iniziare una carriera come analista dati. All'inizio di marzo ha comprato i biglietti per Parigi, ma non è mai partita.
(Le truppe russe entrano a Bogdanivka l'8 e il 9 marzo - via Meduza)
Viktoria (nome di fantasia) vive nella casa accanto a quella di Kristina; guardando con il binocolo ha notato l’arrivo dei carri armati. "Il carro armato che si è avvicinato di più aveva una 'O' bianca ed è arrivato all'incrocio di via Zalesskaya, vicino alla pineta. È entrato nel cortile dei nostri vicini, è rimasto lì per un minuto, poi si è girato e ha proseguito per andare da un’altra parte". Viktoria e il marito di solito si trasferiscono nella loro casa a Bogdanivka in primavera, ma nel 2022 hanno deciso di venire in zona dalla fine di febbraio - una volta iniziata la guerra hanno pensato che fosse un posto più sicuro. Non molto tempo prima, il marito di Viktoria, Alexey, aveva finito di costruire nella casa un camino, che li ha tenuti al caldo durante l’occupazione.
La 34enne Yevgeniya (nome di fantasia) ha una casa alla fine di via Zalesskaya, nel quartiere più orientale di Bogdanivka. "Riuscivamo a vedere solo il fumo che veniva dall’autostrada. Ho appeso un lenzuolo alla finestra perché fosse subito chiaro che nell’edificio vivevano dei civili". Yevgeniya ha visto tre carri armati muoversi verso l'autostrada per Brovary; dopodiché sono tornati verso il villaggio, attraversando i cortili delle abitazioni per poi sparire nella pineta. Secondo Kristina, che vive accanto a Yevgeniya, poche ore dopo i soldati hanno iniziato a trasportare borse piene di generi alimentari, spostandosi da un negozio saccheggiato alle case vuote.
All'inizio di marzo, le truppe russe erano ancora decise a isolare Kyiv - operazione che comporta il prendere simultaneamente entrambe le rive del fiume Nipro. Sulla riva destra, ciò ha provocato un’occupazione a tutti gli effetti, con bombardamenti sistematici delle abitazioni civili, finendo così per uccidere centinaia di persone; il mondo ne conosce ora le conseguenze, come per il massacro di Bucha. Gli eventi che si sono verificati nei villaggi e nelle città vicine a Bucha non sono stati meno terribili.
Sulla riva sinistra, la maggior parte della 90esima Divisione Carri ha circondato Brovary. Alcuni, nella divisione, agendo in uno o due battaglioni, hanno tentato di fare irruzione nella città, ma sono finiti sotto il pesante fuoco dell'artiglieria ucraina nei pressi del villaggio di Skibin. I residenti di Bogdanivka, Velyka Dymerka e molti altri villaggi vicini, dove le truppe russe si sarebbero presto ritirate, sono stati testimoni del bombardamento. Dopo questi episodi, il piano della Russia di avanzare verso Kyiv è sostanzialmente morto sul posto.
Incredible drone video of a Russian tank column ambush reportedly from 6th regiment near Brovary Region, Kyiv oblast. The audio looks to be an intercept of a Russian officer calling superiors to report the ambush and death of regiment commander pic.twitter.com/Fyk3jao7mL
— Dmitri Alperovitch (@DAlperovitch) March 10, 2022
Il gruppo investigativo Conflict Intelligence Team (CIT) ha spiegato a Meduza la provenienza esatta della colonna di carri armati finita sotto il fuoco ucraino vicino a Skibin. "Ufficialmente, durante il 'tempo di pace', l'esercito russo combatte ricorrendo ai 'battaglioni tattici' (Battalion Tactical Groups) - gruppi di soldati a contratto con diverse specialità, composti da 500-1000 persone per reggimento. Crediamo che abbiano inviato in Ucraina due BTG insieme a militari del 6° e del 239° Reggimento Carri, muovendosi dalla città di Čebarkul (che si trova nella regione russa di Čeljabinsk). Durante l’inverno, queste truppe erano concentrate nella regione di Bryansk, vicino al confine ucraino, come parte della 90esima Divisione Carri.
Secondo il CIT, questi reggimenti hanno un arsenale di attrezzature vecchie e rare, caratteristica che rende i loro movimenti abbastanza facili da ricreare sulla base di fotografie di blindati rotti e abbandonati scattate dai residenti locali. Che i reggimenti provenissero da Čebarkul è confermato anche da registrazioni di conversazioni intercettate sulla morte del colonnello Andrei Zakharov (un comandante del 6° reggimento carri), pubblicate dalle forze armate ucraine, così come dai documenti del 239° reggimento carri trovati con i soldati russi morti nei villaggi a nord di Brovary.
Infine, i resoconti sui soldati di Čebarkul morti durante l'invasione sono apparsi regolarmente sui social media (come per il gruppo "Typical Chebarkul") dalla fine di febbraio.
9 marzo. I soldati russi commettono due omicidi e uno stupro tra la popolazione
Il 9 marzo, avvengono almeno due omicidi e uno stupro nella parte orientale di Bogdanivka. I tre crimini sono stati commessi da due soldati russi, che si conoscevano tra loro. Ciò emerge dai resoconti della giornata forniti da tutti i residenti di via Zalesskaya.
Mattino: i soldati russi vanno casa per casa
Il 9 marzo, un gruppo di soldati russi si è avvicinato a via Zalesskaya. Quasi subito hanno messo le mani sugli alcolici. "Uno di loro aveva la mitragliatrice in una mano, una bottiglia nell'altra. Sparava e poi beveva un sorso. Era vestito in linea con quello che stava facendo - ai piedi aveva le scarpe da ginnastica rosse di qualche civile", racconta Oleg, un residente di Bogdanivka che vive in un cottage in via Zalesskaya.
Secondo la gente del posto, i soldati hanno rubato un fuoristrada rosso per trasportare gli oggetti saccheggiati dalle abitazioni. "Hanno attaccato un rimorchio al veicolo e hanno portato tutto nella foresta", racconta Alexander, che vive in una via limitrofa" (gli abitanti di Bogdanivka hanno persino trovato una pila di televisori nella foresta vicino al villaggio, dopo che i russi si sono ritirati).
Valentin, un altro residente di Bogdanivka, ha visto dalla finestra l'accerchiamento di via Zalesskaya. "Sono entrati in ogni edificio. Sei seduto lì alla finestra, li guardi muoversi, e poi ti rendi conto che stanno per entrare in casa tua. A un certo punto salta fuori che c’era un carro armato nel mio cortile, tanto che mi sono ritrovato la sua canna sotto la finestra”. Nei video postati sui social media dagli abitanti, si vedono i veicoli russi muoversi nel villaggio in cerca di un posto per parcheggiare, a volte direttamente nei cortili delle case.
C’è voluta solo mezza giornata perché i soldati russi diventassero violenti verso gli abitanti del posto. "Sono entrati in casa di mia suocera", racconta Oleg. "Grazie a Dio quando è successo si trovava da un vicino, mentre io guardavo quello che accadeva dalla finestra di casa mia". Al momento dell’irruzione Oleg stava nascondendo degli ospiti in casa: "C'erano mia figlia, un mio amico e la sua ragazza, che ha 20 anni. Mio figlio ne ha 16 anni. Ho visto come vanno a finire certe situazioni, così alla fine la decisione si è presa da sola. In casa c’era un fucile da caccia, con il mio amico abbiamo deciso che se fossero entrati avremmo sparato".
Quando alcuni soldati hanno scavalcato la recinzione nel cortile di Oleg e aperto il suo cancello dall’interno, qualcuno ha sparato dalla casa (Oleg non ha specificato chi). "Sono abbastanza certa che qualcuno è stato ferito. Come minimo hanno gridato come se ne avessimo feriti 300!” racconta Oleg, “Abbiamo guadagnato 15 minuti per scappare in silenzio. Abbiamo scavalcato la recinzione e siamo andati verso la foresta".
Kristina, la sua vicina, ha sentito qualcuno sparare con un fucile dalla proprietà di Oleg, dopodiché il gruppo di soldati, spaventati dallo sparo, ha cercato riparo nel suo cortile. Secondo Kristina erano in tutto dieci; è uscita sul portico per incontrarli. "All'inizio hanno rotto il vetro e volevano sapere chi fosse il nostro vicino. Volevano lanciargli addosso delle granate", spiega. "Poi la tensione si è allentata e ci siamo spostati sulla terrazza. Hanno iniziato a chiacchierare, hanno chiesto delle sigarette e bevuto la nostra birra. Li abbiamo intrattenuti per circa un'ora".
Il principale soldato del gruppo sembrava essere un certo Mikhail Romanov. Secondo Kristina, è stato lui stesso a rivelare il nome, cercando di scambiare informazioni; gli altri soldati si rapportavano a lui come al loro comandante. "Mikhail sembrava avere sui 30 anni, ma era molto emotivo", racconta Kristina. "Ha iniziato subito a provarci con me, come un adolescente. Diceva cose come 'Uh, se non fosse per la guerra,' e così via. Non mi lasciava in pace. Mi ha chiesto di cercarlo sui social media per poter diventare amici". Come risultato, Meduza è riuscito a trovare Mikhail Romanov.
A giudicare dai profili sui social media, Romanov ha 31 anni. È nato nella città di Plast, nella regione russa di Čeljabinsk. I numeri di telefono che Meduza ha determinato appartenere a lui sono stati utilizzati per una serie di annunci di vendita (mobili, vestiti per bambini, utensili e così via) nella città di Čebarkul': sembra che abbia vissuto lì prima di andare con l’esercito in Ucraina. A Čebarkul' ci sono 11 unità militari assegnate alla 90esima Divisione Carri.
Non sono disponibili informazioni pubbliche sulla sua carriera. Consultando la dichiarazione dei redditi, Meduza ha appreso che dal 2011 al 2013 Romanov ha lavorato come cassiere in una catena di negozi di alimentari russi. Gli account social chiusi, di cui Meduza ha trovato copie archiviate, mostrano il figlio di Romanov che gioca indossando un’uniforme militare. Il Ministero della Difesa non ha risposto alle domande di Meduza per sapere se Mikhail Romanov rappresenti l’esercito russo.
Astra ha saputo di due viaggi in treno - uno al confine ucraino e uno al più grande centro di addestramento dell'esercito russo - compiuti da un passeggero di nome Mikhail Romanov. Data di nascita e secondo nome coincidono con quelli del soldato Mikhail Romanov a Bogdanivka.
Il primo viaggio di Romanov è nella città di Millerovo, nella regione di Rostov, e risale al dicembre 2014. Millerovo si trova a 20 chilometri dal confine con l'Ucraina ed è sede di un campo di aviazione militare. Gli esperti del CIT ipotizzano che il viaggio possa essere legato agli spostamenti di soldati russi da Čebarkul' al Donbas, dove all'epoca erano in corso combattimenti: "La Settima Brigata Separata Carri, ora diventata il 239° Reggimento Carri, stava combattendo nelle autoproclamate repubbliche del Donbas, nell’autunno di quell’anno". Nel 2022, dopo una battaglia vicino a Bogdanivka, i soldati ucraini hanno trovato documenti di quel reggimento di carri armati.
Il secondo viaggio di Mikhail Romanov risale all’ottobre 2021: andata e ritorno da Čebarkul' alla stazione Yelansky, nella regione russa di Sverdlovsk. La guarnigione di Yelansky è il più grande centro di addestramento dell'esercito russo vicino a Ekaterinburg (capoluogo della regione). Là militari e coscritti si riuniscono da tutto il distretto militare centrale della Russia per un ulteriore addestramento, anche prima di prestare servizio come soldati a contratto. Cosa facesse esattamente Romanov lì non è chiaro: i suoi profili sui social media includono foto scattate durante una festa con i suoi commilitoni, prima di diventare un soldato a contratto (in alcuni commenti alle foto, gli amici di Romanov augurano "ai ragazzi" "buona fortuna").
Stando alle informazioni raccolte sia dal CIT che da Meduza, il CIT ha concluso che Mikhail Romanov potrebbe essere un comandante del 139° o del 6° Reggimento Carri. Entrambe le unità sono stanziate a Čebarkul', città dove Romanov vive con la famiglia.
Va fatto notare inoltre che gli abitanti di Bogdanivka hanno aiutato Meduza a trovare i documenti lasciati dagli artiglieri dell'80° Reggimento Carri (anch'essa di Čebarkul'), che aveva precedentemente subito perdite vicino a Černihiv. Meduza non è stato in grado di confermare se Romanov abbia prestato servizio in una di queste unità.
Quattro residenti di via Zalesskaya hanno riconosciuto come l'uomo visto a Bogdanivka un utente chiamato Mikhail Romanov su due piattaforme di social media.
Lo stesso Mikhail Romanov non ha risposto alle chiamate del corrispondente di Meduza. L'utente Mikhail Romanov si collega sul social network russo Odnoklassniki ogni giorno, ma finora non ha risposto ai messaggi di Meduza. Anche i suoi parenti e la sua fidanzata non hanno risposto ai tentativi di contatto dei giornalisti.
I redattori del sito sono riusciti a mettersi in contatto con i genitori di Mikhail Romanov. Il padre, Sergey Mikhailovich Romanov (identificato tramite le foto sui social media che lo mostrano con il figlio), ha dichiarato al telefono di non conoscere nessun Mikhail, riattaccando subito dopo. Sempre Sergey Romanov ha visualizzato i messaggi del corrispondente di Meduza che gli chiedeva di commentare la possibile partecipazione del figlio ai crimini di guerra, ma ha immediatamente bloccato l'account.
Kristina e la cognata "hanno intrattenuto” i soldati per circa un’ora, conversando con loro sulla terrazza. Secondo Kristina, Romanov sembrava il più anziano del gruppo; gli altri avevano all’incirca tra i 18 e i 20 anni. Hanno elencato le diverse città russe di provenienza, tra le quali Kristina ricorda Novosibirsk, Tomsk e Čeljabinsk. “Mikhail ha detto di essere un militare a contratto, mentre gli altri erano soldati di leva, e che eravamo stati fortunati con il loro gruppo. ‘Non avete idea delle atrocità che stanno avvenendo in altre zone’ ci hanno spiegato". Proprio al di là del fiume, i soldati russi stavano infatti conducendo "operazioni di pulizia" in villaggi e città come Bucha.
Un altro soldato che Kristina ricorda è un ragazzo "modesto ed educato" di circa 25 anni, soprannominato “Vitalik”. "Quando sono venuti a casa nostra, Vitalik ha rotto il vetro e si è tagliato la mano. Abbiamo iniziato a urlargli contro: ma voi entrate in casa vostra così? Ha iniziato a scusarsi continuamente, offrendosi di aggiustarlo". Anche Vitalik beveva molto, ripeteva continuamente che si era sposato da poco e che voleva tornare a casa.
"Il suono del loro fuoristrada rubato è diventato un segnale di allerta per tutto l’isolato. Non appena sentivamo il rombo significava che erano tornati", racconta Kristina. Mikhail e Vitaly sono venuti in totale tre volte in zona. L'ultima è stata verso le nove del 9 marzo. Entrambi erano molto ubriachi. Racconta Kristina: "Una volta parcheggiato, Mikhail si aggirava per strada gridando 'Kristina! Kristina, dove sei?', come un rozzo campagnolo. Ha preteso che andassi con lui. Mamma gli si è inginocchiata di fronte, pregandolo di non portarmi da nessuna parte. Mikhail si è offerto di salire in camera da letto, al secondo piano, ma l'ho convinto ad andare in cortile a fumare. Poi è diventato isterico e ha tirato fuori la pistola. ‘Non ci sono leggi in guerra!’ ha detto. ‘Posso farti quello che voglio e nessuno mi punirà. Se adesso non vieni con me ti sparo!’".
Questo episodio è avvenuto dopo che la squadra tattica nel 90° Reggimento Carri aveva subito gravi perdite nella battaglia sull’autostrada per Brovary, dove era morto anche il colonnello Andrey Zakharov, comandante del reggimento. Non era chiaro quando sarebbero arrivati i rinforzi. I soldati russi rimasti avevano probabilmente ricevuto l’ordine di nascondere l'equipaggiamento nei villaggi vicini e di condurre "operazioni di pulizia" per liberare Bogdanivka dai soldati ucraini e dalle forze di difesa territoriale.
Dopo la scenata con la pistola, Kristina ha provato a distrarre Mikhail parlando della sua famiglia, di come lo stessero aspettando a casa. Mikhail ha nominato la moglie, ha detto che stavano risparmiando per comprare una casa, poi ha parlato del figlio e della figlia di otto anni (tutti i nomi forniti corrispondono con quelli degli account trovati da Meduza). I due soldati se ne sono finalmente andati una volta terminato il vino.
"Io e la mia famiglia eravamo appena andati a letto quando abbiamo sentito degli spari fuori", racconta Kristina. Non è chiaro se qualcuno sia stato ferito o ucciso dagli spari sentiti da Kristina. Tuttavia, la sua vicina Viktoria vive a soli 100 metri, e il marito di Viktoria è stato colpito a morte più o meno alla stessa ora.
Sera: casa di Viktoria
Due soldati russi in passamontagna si sono presentati a casa di Viktoria, 52 anni, verso le 9 e mezzo di sera. "Ho sentito dei passi” racconta la donna, “poi dei vetri rompersi in cucina, colpiti dalle raffiche di mitra. Io e mio marito abbiamo gridato che non avevamo armi e che c'erano bambini in casa. Non avevano acceso la luce, cercavamo di riconoscere i suoni al buio".
Tutto è successo molto in fretta. I soldati hanno acceso una torcia puntandola contro le facce delle persone in casa. Erano quattro persone: Viktoria, l’anziana suocera, suo marito Alexey e la loro figlia di 10 anni. La torcia si è soffermata sulla figlia, e uno dei soldati, il più alto, ha detto: "Scusa, piccola". “Poi” racconta Viktoria, “il secondo soldato ha chiesto: ‘Avete una cantina?", e noi abbiamo risposto che c’era solo la sala pompe. Letteralmente un buco di due metri per due. Ci hanno lasciato prendere una coperta, poi i soldati ci hanno portato verso la sala pompe, ma mio marito ha fatto una scenata perché mia suocera è sovrappeso e non poteva entrare nel buco. I soldati l'hanno lasciata da parte, come se si fossero dimenticati di lei".
L'ingresso alla sala pompe nel cortile fuori dalla casa è coperto da una botola verde. C'è una scala di legno per facilitare la discesa nel pozzo. Diverse persone possono stare sul pavimento lastricato di mattoni, se rimangono tutte in piedi.
I soldati hanno chiuso la botola per due minuti, poi l'hanno riaperta. “Uno dei soldati più bassi ha guardato giù, con la pistola in mano, poi ha chiesto: ‘Avete delle sigarette?’, e mio marito ha risposto ‘No, io stesso non fumo da quattro giorni’. A quel punto il soldato ci ha sparato, colpendo mio marito al braccio. Poi lo stesso soldato ha detto all'altro: 'Finiscilo, cazzo', e quello ha sparato di nuovo a mio marito, alla testa. Lui si è afflosciato ed è caduto su nostra figlia, bloccandola. È morto così, su di lei. Gli ho tenuto la mano finché non ho capito che era finita e che stava cominciando a raffreddarsi".
Anatoly, un altro residente di Bogdanivka, ha confermato a Meduza l’omicidio avvenuto nella sala pompe sotterranea. Tre settimane dopo la fine dell'occupazione è stato lui a rimuovere il corpo di Alexander. "Era un mio compagno. Ho guidato i soldati ucraini a identificarlo - mi hanno aiutato a tirarlo fuori dal pozzo", racconta. "Il corpo era rimasto lì per tutto il tempo. Gli hanno sparato in testa, era chiaramente visibile".
Anche Valentin, un vicino di Viktoria, ha confermato la storia. Ha visto i soldati attraversare la casa con le torce e li ha sentiti gridare: "Sigarette! Sigarette!". "Era così tranquillo, tutti facevano la guardia. I soldati non hanno mai trovato le sigarette. Così sono tornati nella sala pompe per chiederle al proprietario della casa. Hanno aperto il pozzo. Prima gli hanno sparato una volta, e dopo l'hanno finito".
Dopo aver lasciato Viktoria e la figlia nella sala pompe, i soldati hanno iniziato a illuminare con le torce una finestra dell’appartamento di Valentin. "Avevo dei vicini nascosti in cantina, due ragazzi di 16 anni", spiega a Meduza. "Così siamo fuggiti. Siamo corsi fuori dall'ingresso sul retro, abbiamo attraversato i giardini verso altre case, dove abbiamo implorato perché ci facessero entrare. Siamo finiti per nasconderci a casa di un nostro vicino, Alexander". Per qualche ragione, i soldati russi non sono poi entrati in casa di Valentin, ma sono proseguiti oltre lungo via Zalesskaya.
Viktoria ha fornito a Meduza il nome del defunto marito: si tratta di Alexey Alexeyevich Rudenko. Non era in servizio nell'esercito a causa di una malattia alla spina dorsale. Negli ultimi anni prima della morte, Alexey ha lavorato come tecnico riparatore, dipingendo e sistemando le case della gente intorno a Kyiv. "Non avevamo armi in casa. Ma mio marito andava a pescare sul ghiaccio, quindi aveva una giacca mimetica con pelliccia nera e pantaloni abbinati", spiega. "Ho sempre arrotolato la giacca e l'ho messa nell'armadio, appendendo i pantaloni su una gruccia. Dopo l'omicidio, quando sono rientrata in casa, ho visto i pantaloni sul pavimento e la gruccia rotta. A quanto pare è successo tutto per via di quei pantaloni".
"Quando siamo usciti dal pozzo erano già le 2.30 del mattino. Sono tornata a casa e ho trovato mia suocera. Stava camminando da sola per la casa, piangeva senza capire niente. Poi ho cambiato mia figlia con dei vestiti asciutti, perché era bagnata fino alle mutande dal sangue di suo padre. Anch'io ero inzuppata di sangue".
Al di fuori di Mikhail Romanov, del suo compagno chiamato Vitaly e di un altro uomo in uniforme nera, nessuno si aggirava per via Zalesskaya quella notte. Tuttavia Viktoria non è stata in grado di confermare l'identità dei due soldati che hanno ucciso il marito; i loro volti erano coperti da passamontagna.
Notte: casa di Yevgeniya
La notte del 9 marzo, intorno alle 10, Mikhail Romanov si è presentato a casa di Yevgeniya, che si trova nella parte più a est della strada.
Era già stato lì a inizio giornata insieme a un gruppo di coscritti, come a casa di Kristina. Secondo quanto riferisce Yevgeniya, uno dei soldati ha sparato al cane, poi ha iniziato a sfondare il cancello. Nel gruppo di soldati c’era Vitaly, che subito ha iniziato a scusarsi, dicendole che lui allevava cani in Russia, a casa sua, e che non aveva sparato al cane. Romanov non ha cercato di presentarsi a Yevgeniya. "Aveva già bevuto qualcosa, si è messo in ginocchio e mi ha baciato le mani", spiega la donna. "Ha detto che voleva andare a casa e ci ha chiesto di non avere paura di loro. Sul momento abbiamo pensato che l’uccisione del cane fosse il peggio che potesse capitarci".
Poi però Romanov ha visto una giacca color kaki in una macchina parcheggiata fuori dalla casa, e il suo umore è cambiato all'improvviso. Si è infuriato e ha sparato un colpo di pistola sopra la testa del marito di Yevgeniya. La coppia è riuscita a calmarlo dicendo che la giacca era un'uniforme per giocare a softair.
Più tardi Mikhail Romanov è tornato a bordo del fuoristrada rubato. Non era con Vitaly, ma con un’altra persona che indossava un’uniforme completamente nera.
"Era completamente buio quando hanno bussato al cancello. Sono scesa nella stanza della caldaia, dove mio figlio stava dormendo, e mio marito è andato ad aprire il cancello", racconta Yevgeniya. "Ho sentito un colpo di pistola, fuori, poi dei passi in casa. 'Vieni fuori!' hanno urlato. 'Dov'è mio marito?’ ho chiesto. Allora l'uomo in uniforme nera ha detto: 'Non hai più un marito. Tuo marito era un nazista, gli abbiamo sparato'".
Allora Yevgeniya ha iniziato a piangere. L'uomo in uniforme nera le ha puntato la pistola alla testa, dicendole: "Se non chiudi la bocca andiamo a prendere il tuo piccino e gli facciamo vedere il cervello della mamma che vola per casa". Poi Mikhail Romanov le ha ordinato di spogliarsi.
Come Yevgeniya ha raccontato a Meduza, per circa due ore Romanov e l'uomo in uniforme nera l’hanno violentata a turno, nel corridoio e sulle scale. Suo figlio è rimasto nella stanza della caldaia per tutto il tempo. "Se ne andavano e poi tornavano, e poi continuavano a fare la stessa cosa. Mi hanno tenuto la pistola puntata alla testa per tutto il tempo. Alla fine sono tornati così ubriachi che non riuscivano a stare in piedi, si sono pisciati addosso e poi sono crollati sulla poltrona”.
Amnesty International e Times hanno confermato le circostanze attorno a questi episodi, attraverso altre interviste.
Mentre i soldati dormivano in casa di Yevgeniya, lei ha preso il figlio dal locale caldaia, spiegandole che bisognava scappare subito, altrimenti sarebbero state fucilate. Prima di lasciare la casa, Yevgeniya ha trovato il corpo del marito e ha toccato la sua mano. Era già fredda. "Siamo fuggite per i campi finché non abbiamo incontrato una casa, allora abbiamo scavalcato la recinzione e abbiamo iniziato a bussare. Siamo state fortunate, era una casa in cui c'era ancora gente”.
10 Marzo: la fuga
Verso mezzanotte Kristina ha sentito qualcuno bussare alla porta. Era una donna con un bambino in braccio. Diceva che due soldati russi l'avevano brutalmente violentata, che il cadavere del marito giaceva nel cortile di casa.
"Era Yevgeniya. Indossava una felpa e dei pantaloni sottili, senza giacca o cappello, anche se fuori era molto freddo", racconta Kristina. Il figlio di Yevgeniya indossava una giacca e aveva un piccolo zaino blu (altri testimoni che hanno visto Yevgeniya quel giorno hanno elencato gli stessi articoli di abbigliamento). Kristina ha sistemato Yevgeniya e il figlio sul divano del soggiorno, avvolgendoli nelle coperte. In casa faceva molto freddo perché i soldati russi avevano rotto le finestre.
Secondo Kristina, quello fu il momento in cui capì che nessun abitante di via Zalesskaya era al sicuro, perché Romanov avrebbe presto scoperto la fuga di Yevgeniya, e avrebbe potuto decidere che bisognava trovare i testimoni dell'omicidio e dello stupro che aveva commesso.
All'alba, qualcun altro ha bussato alla porta. Era Alexander, un abitante di via Krymets ed ex dipendente del ministero dei Servizi di Emergenza. Aveva sentito degli spari, era "consapevole della situazione" e la sua famiglia pensava che dovessero immediatamente fuggire da lì.
La casa di Alexander si trovava verso il centro del villaggio. Nel primo mattino del 10 marzo, 20 persone si erano già riunite sul posto: Alexander aveva chiamato tutti i vicini rimasti nell’isolato. Poi è andato a cercare Viktoria e la figlia.
"Me ne sono accorto guardando col binocolo dal secondo piano, dove abito” racconta Alexander. "Subito ho pensato: 'C'è un bambino lì, che cazzo, stanno per congelare’. All'alba ho deciso di raggiungerli, come ho fatto con tutti gli altri. Non sapevo se ci fossero o meno dei soldati, speravo che si fossero ubriacati di brutto e che stessero dormendo come bambini. Quei cazzo di russi bevono come spugne. Fino ad allora ero rimasto nascosto per due giorni, perché sparavano agli agenti di polizia, ai soldati, agli operatori dei servizi di emergenza, a chiunque avesse un qualche collegamento con lo Stato".
Alexander non è andato a salvare i vicini da solo. Ha portato un certo Valentin, che aveva osservato dalla finestra i soldati russi mentre sparavano al marito di Viktoria. "Appena è uscito il sole siamo corsi da Alexey e Viktoria, per vedere chi era vivo", racconta Valentin "Immaginate di arrivare nella casa, e una bambina vi apre la porta, dice: 'hanno ucciso papà'. Solo perché non aveva sigarette, e perché, come tutti qui, aveva pantaloni da pesca. L'hanno ucciso per niente".
Quando i vicini hanno portato Viktoria a casa di Kristina, Kristina ha visto le macchie di sangue sulle scarpe da ginnastica bianche della figlia della donna. Ma non c'era tempo per pulirle. Viktoria ha chiamato immediatamente la “sezione omicidi" di Brovary: "Ho parlato tutto d’un fiato, dicendo che avevano ucciso mio marito davanti ai miei occhi. Ho ricevuto la stessa risposta che hanno dato a tutte le altre vittime: 'La zona è occupata, la polizia non ha modo di raggiungerla'. Hanno richiamato alcune volte, e mi hanno anche chiesto di mandare una foto del passaporto, ma non avevo intenzione di mandare nulla a gente che non conoscevo. L’operatore ha promesso di richiamare, ma non l'ha mai fatto".
Nel frattempo Kristina si è messa in contatto con suo fratello, che vive a Kyiv. Hanno pensato a un piano per uscire dal villaggio senza imbattersi nei soldati russi. "All'inizio avevamo pensato di raggiungere a piedi il villaggio più vicino, Velyka Dymerka, perché un'auto avrebbe attirato l'attenzione, poi una volta sul posto avremmo potuto cercare un mezzo di trasporto. Ma si trattava di attraversare cinque chilometri di territorio occupato con i bambini, non realistico" (il Procuratore Generale ucraino ha in seguito annunciato che almeno 11 civili erano stati uccisi). Così, alle sette del mattino, Kristina si è messa al volante della sua auto e, seguendo le indicazioni del fratello al telefono, ha condotto Yevgeniya, Viktoria e i bambini attraverso orti e strade sterrate bombardate, fino all'autostrada per Kyiv.
In seguito, Yevgeniya ha denunciato alla polizia l'omicidio del marito e lo stupro. La polizia le ha dato un "opuscolo della vittima" (ora in possesso di Meduza). Yevgeniya ha fornito a Meduza il nome del defunto marito: si tratta di Alexey Zdorovets, ex segretario ed ex vice consigliere comunale di Brovary; non faceva più parte del consiglio al momento della morte. Il sindaco di Brovary, Igor Sapozhko, ha confermato ai media ucraini l’uccisione di Zdorovets. Il consigliere del ministero dell'Interno ucraino, Anton Herashchenko, ha confermato l'omicidio di Alexey Zdorovets e lo stupro della moglie, aggiungendo che "M.S. Romanov, un militare delle forze armate russe" è stato accusato in contumacia di "sospetto trattamento crudele della popolazione civile, una violazione delle leggi di guerra secondo quanto specificato dai trattati internazionali".
Dopo la fuga
Yevgeniya ha iniziato presto a ricevere informazioni da persone che erano tornate a Bogdanivka. La grande casa che aveva condiviso con Alexey, ai margini del campo, era stata rasa al suolo. Nel cortile c'era un corpo sepolto da poco. I soldati russi che avevano sostituito Mikhail Romanov avevano messo delle croci fatte con bastoni inchiodati sulla tomba di Alexey.
A metà aprile, quando il corrispondente di Meduza è andato a vedere la casa di Yevgeniya, il corpo di Alexey era già stato riesumato. "La polizia e il procuratore erano andati a prenderlo", spiega Alexander, vicino di casa della famiglia. Gli ufficiali della polizia regionale di Kyiv hanno raccontato ai giornalisti ucraini dell'omicidio e dello stupro a Bogdanivka il 10 aprile, e il corpo di un uomo è riconoscibile in un video girato sul posto. Nello stesso video, il capo della polizia regionale di Kyiv nomina uno dei sospettati: Mikhail Romanov.
I cancelli della casa sono ancora lì, ma buttati su un lato. Una lavatrice, nera di fuliggine, è l'unica cosa visibile attraverso le aperture delle finestre senza più vetri. Per il resto non c'è più nulla all'interno della casa: niente pareti, niente mobili. Nel giardino, sparsi sotto gli abeti bruciati, si trovano coperte, biancheria intima, scarpe da bambino e barattoli di sottaceti, che qualcuno ha cercato di aprire forando i coperchi con oggetti appuntiti. Una parte del prato è nera perché qualcuno ha acceso un fuoco per provare a cucinare.
Davanti alla tomba c'è una grande gabbia per cani vuota, ma non ci sono più animali in casa. Sul prato c’è il cadavere di un cucciolo. Yevgeniya e Alexey avevano due cani da pastore dell'Asia centrale e nove cuccioli.
Prima della guerra, Yevgeniya e Alexey avevano progettato di finire i lavori all’esterno - avevano già scavato una buca per un laghetto. Alexey voleva percorrere in moto l'Ucraina occidentale, e aveva già comprato l'attrezzatura da campeggio: tende, sacchi a pelo, piatti (la famiglia li ha usati per cucinare durante l'occupazione). "Guardate cosa rimane", racconta Yevgeniya, mostrando le foto della cenere. "Avevamo una vita felice, un sacco di progetti, e ora siamo solo io e mio figlio a vivere chissà dove. Mi sento a pezzi, non riesco a immaginare come convivere con tutto ciò. Devono essere tutti puniti".
23 marzo: il terzo omicidio
Casa di Kostantin
Meduza è in grado di confermare l’uccisione di un altro civile a Bogdanivka. È successo a circa due chilometri da via Zalesskaya, in un quartiere separato dalla parte principale del villaggio da una fitta foresta. Ciò potrebbe spiegare perché i soldati russi non hanno trovato la casa di Konstantin (nome cambiato su richiesta) fino al 23 marzo.
Secondo un testimone che ha assistito agli eventi, l'assassino era "di etnia buriata" e si è coperto il volto con un fazzoletto. Non è chiaro se conoscesse i soldati che hanno commesso i primi due omicidi e lo stupro. A giudicare da questi eventi, l'"operazione di pulizia" russa nella città era ancora in corso a due settimane dall'inizio dell'occupazione.
La casa di Konstantin era uno dei 17 edifici di una cascina non lontano dalla parte principale di Bogdanivka. "Il 23 marzo, intorno alle 11:30 del mattino, abbiamo sentito bussare alla porta. Sono scesa dal secondo piano” racconta Konstantin. “Mio suocero Viktor, di 67 anni, era già al primo piano. Ho guardato fuori dalla finestra della camera da letto al primo piano e ho visto un soldato in uniforme verde scuro con una mitragliatrice. Era solo. Ha bussato senza dire niente per circa cinque minuti; non abbiamo aperto la porta. Perché avremmo dovuto?".
Il soldato ha poi fatto il giro dell'edificio, notando la finestra semiaperta. "Ha rotto il vetro con il calcio della pistola e ha detto: ‘Aprite, altrimenti lancio una granata'. Allora gli ho risposto che non c’era bisogno di farlo, che avrei aperto la porta". Nel frattempo, il suocero di Konstantin era scappato dalla casa attraverso il locale caldaia.
"Ho aperto la porta, alzato le mani, e gli ho detto che ero un civile disarmato. Lui mi ha subito puntato la pistola contro. Poi ha detto: 'Indietro'. Ho iniziato a indietreggiare finché non mi ha ordinato di voltarmi, e così ho fatto", racconta Konstantin. In quel momento, un telefono nella camera ha iniziato a squillare.
"Il soldato ha aperto il fuoco. Ero in piedi con la schiena mezza girata verso di lui, così ho visto il lampo della pistola e sono saltato più in là nella camera da letto. Poi ho buttato giù la zanzariera e sono saltato attraverso la finestra. Ero a piedi nudi. È stato allora che ho sentito mio suocero entrare dall'ingresso principale della casa. Ho sentito due colpi di pistola e ho capito che il soldato lo aveva ucciso".
Fuggito a piedi nudi attraverso un buco nella recinzione, Konstantin ha raggiunto di corsa i vicini; mentre attraversava il giardino, ha udito almeno sei colpi di pistola. I vicini gli hanno dato le chiavi di una casa vuota nelle vicinanze, dove si è nascosto.
Dalla finestra del nascondiglio, ha visto subito un carro armato entrare nel cortile accanto alla sua casa. In seguito ha saputo che i soldati russi avevano setacciato l’abitazione, prendendo tutti i telefoni, i caricabatterie, gli alcolici più costosi e ogni apparecchiatura elettronica trovata. Poi, una volta usciti, i soldati sono saliti sul carro, proseguendo lungo la strada. Konstantin è sicuro che lo stessero cercando per ucciderlo. "Hanno condotto il carro armato fino in fondo alla strada, poi l'hanno girato e sono tornati indietro, rifacendo il tragitto fino a casa mia. Sono riuscito a sentire qualche loro frase, dicevano che bisognava ‘aprire il fuoco per essere sicuri di uccidere’”.
Più tardi, quello stesso giorno, ha fatto ritorno il proprietario della casa dove Konstantin si era nascosto. Insieme hanno deciso di fuggire nella foresta, e quando si è fatto buio sono tornati al villaggio per prendere documenti, telefoni, tende e cibo.
"Sono entrato in casa e ho visto cosa era successo. Mancava la corrente ed era buio, mi muovevo illuminando le stanze con una torcia. Mio suocero era disteso all'ingresso. Gli ho messo una coperta sopra e ho iniziato a fare i bagagli. Ho preso una tenda e beni essenziali, ho messo dei vestiti caldi e ho chiuso la porta a chiave. Poi con i vicini siamo andati nel bosco, abbiamo montato la tenda e abbiamo cercato di dormire. Ma non prendevamo sonno, naturalmente - per via dei nervi, l’adrenalina. La sera saranno stati cinque gradi, faceva molto freddo. Alle tre del mattino non riuscivamo a stare sdraiati, così per scaldarci abbiamo iniziato a camminare attorno alla tenda”.
La mattina, Konstantin e i vicini sono riusciti a contattare un amico che stava salvando le persone dai villaggi occupati. Li ha aiutati a uscire da Bogdanivka e li ha portati a Brovary, dove Konstantin ha denunciato alla polizia l'omicidio del suocero.
Il 2 aprile Konstantin è poi tornato Bogdanivka. Una volta là ha contattato i servizi funebri per seppellire il suocero, ma gli è stato detto che gli investigatori stavano analizzando per le indagini forensi i corpi delle persone uccise dai soldati russi. Il corpo del suocero di Konstantin si trovava in un obitorio locale.
Il giorno dopo, il 3 aprile, sono terminate le indagini forensi. Meduza è in possesso di una copia del certificato di morte del 67enne Viktor. La causa della morte è una "ferita d'arma da fuoco alla testa". Le circostanze della ferita sono state descritte come segue: "occorsa durante le operazioni militari nel villaggio di Bogdanivka". Konstantin ha seppellito il suocero quello stesso giorno.
28 marzo: il secondo stupro
Casa di Svetlana
Meduza ha appreso che il 28 marzo, pochi giorni prima che le truppe russe si ritirassero da Bogdanivka, è stato commesso un altro stupro dai soldati.
Prima della guerra, Svetlana Perminova (la donna ha accettato di condividere il suo vero nome) lavorava come contabile a Brovary. Durante l'occupazione russa, insieme al marito Edward e alla figlia incinta hanno lasciato la città, trasferendosi nella loro dacia - che si trova presso l’orto comunitario di Voloshka.
"Mia figlia era al nono mese", racconta Svetlana. "Mio marito ha preparato un grande letto apposta per lei e l'ha portato nel seminterrato, dove ci eravamo nascosti. La nostra unica paura era che partorisse lì".
La disposizione della cantina - muri di cemento isolati con moquette, una TV e un divano a ridosso di uno scaffale pieno di sottaceti - è osservabile in uno dei video che Edward ha fatto all'inizio della guerra. In uno di questi, la famiglia si sta preparando a mangiare una cena a base di porridge di miglio con fegato in scatola, mentre la TV trasmette il telegiornale.
Il 20 marzo, la figlia di Svetlana ed Edward è riuscita a fuggire da Bogdanivka attraverso uno dei corridoi umanitari. Poi, il 24 marzo, Edward è partito a piedi attraverso un villaggio vicino; Svetlana non è sicura del perché abbia scelto quella direzione. "Non vedeva l'ora di entrare nell'esercito: aveva bisogno di fare qualcosa, di cambiare la situazione. Eravamo sotto completa occupazione, con i russi a Bogdanivka e nei villaggi vicini. Non poteva restare seduto con le mani in mano tutto il giorno, lo stava distruggendo".
Quel 25 marzo Edward non si è fatto vedere, e nemmeno il giorno dopo. Svetlana è rimasta sola nella dacia.
La sera del 28 marzo, tre soldati russi armati sono apparsi nella proprietà. "Il cancello era stato buttato giù dal vento, i soldati sono passati e hanno visto l’auto in cortile", racconta Svetlana. "Da quanto ho capito, stavano cercando un veicolo. Probabilmente sapevano che sarebbero stati cacciati via dalla periferia, perciò avevano bisogno di auto”.
Alla fine però i soldati non sono riusciti a rubare l'auto perché non aveva la batteria. "Sono scesi nel seminterrato, dove stavo io. Hanno mangiato tutto il cibo che avevo; hanno preso pane, uova, i soldi. Hanno cominciato a chiedere se c'erano soldati qui fuori nei giardini, quante persone c'erano nella cooperativa. Avevamo otto pensionati - uno lo avevamo seppellito da poco nella foresta, perché non c’era un cimitero nei paraggi".
Svetlana non è sicura di quanto tempo i soldati siano rimasti nella dacia. Alle dieci di sera, quando era completamente buio, uno dei soldati ha notato il grande letto nel seminterrato. "L’ha indicato dicendomi: 'Guarda che bel letto per scopare'", racconta. "Ed è stato così. Sono indietreggiata all'angolo e poi mi hanno violentata. Hanno preso il mio cibo, hanno preso i miei soldi - va bene, non è nulla. Ma poi mi hanno violentata. Ho 55 anni, chi ne aveva bisogno?".
Due soldati l’hanno violentata a turno, il terzo si masturbava mentre guardava. "Ho pensato che mi avrebbero semplicemente strangolato", racconta la donna. "Mi hanno soffocato, hanno completamente avvolto le dita intorno alla mia gola. Nemmeno ricordo se ho perso conoscenza o no".
I soldati non si rivolgevano tra loro usando nomi o soprannomi, e Svetlana non ricorda i loro volti. "Erano di etnia slava. La polizia mi ha mostrato le fotografie di un altro [Mikhail Romanov - NdA], ma sinceramente non so se fosse uno di loro”.
Il dipartimento di polizia nel distretto di Brovarsky ha registrato i dettagli di quanto avvenuto a Svetlana e ha aperto un’inchiesta penale il 6 aprile, stando a quanto dichiarato da Anton Herashchenko, consigliere del ministero dell'Interno ucraino. L'indagine è attualmente in corso.
Più tardi, quella stessa notte, i tre soldati se ne sono andati insieme al cibo e ai soldi rubati a Svetlana. "Volevo impiccarmi. Avevo già fatto un cappio nel garage. A farmi desistere è stata mia figlia, che ha partorito il 2 aprile. Come mi sono fermata? Avevo preparato tutto, poi il mio telefono ha vibrato - era Viber, o Telegram - e sono tornata in me: 'E mia figlia? Non sopravviverebbe mai a tutto questo’ mi sono detta".
Svetlana ha scoperto cosa era successo al marito Edward solo a metà aprile. "Lo hanno torturato e poi gli hanno sparato", racconta. "Il corpo è stato trovato in un seminterrato nel villaggio di Shevchenkovo [16 chilometri a est di Bogdanivka - NdA]. È andato in quella direzione e a quanto pare l'hanno catturato. Stava inviando ai nostri soldati la geolocalizzazione e il numero di veicoli militari russi che passavano, e temo che abbiano trovato tutto sul suo telefono".
In una conversazione avvenuta con Meduza l’11 aprile, il sindaco di Shevchenkovo, Vladimir Yovenko, ha menzionato sei corpi trovati dalla polizia nel seminterrato di una casa, chiarendo che due di loro dovevano ancora essere identificati. "In seguito hanno detto che cinque erano stati identificati e solo uno no", racconta Svetlana. "E il sesto era proprio Edward. Avreste dovuto vedere cosa gli hanno fatto, metà della testa è sparita".
Il 16 aprile Edward è stato sepolto a Brovary. Il resto dei cadaveri trovati nel seminterrato è stato sepolto a Shevchenkovo diversi giorni prima, il 12 aprile. "Nessuna delle vittime aveva alcun legame con la difesa territoriale o con altre strutture militari. Il villaggio di Shevchenkovo era stato a lungo sotto l’occupazione, ed è durante questo periodo che le truppe russe hanno rapito i civili, li hanno maltrattati e hanno sparato contro di loro” spiega il capo della polizia regionale di Kyiv, Andrey Nebytov.
Svetlana crede che la sua storia e quella di altri testimoni di ciò che è successo a Bogdanivka sotto l'occupazione russa dovrebbero essere raccontate dalla stampa. "Sono bestie. Sono dei mostri", spiega. "E ora sono perduta. Sono morta. Non ho la forza di tenere in braccio mio nipote".
30 marzo: liberazione
Dmitry, un altro residente di Bogdanivka, ha raccontato a Meduza di aver sentito le prime voci sulla ritirata dell’esercito russo a fine marzo. "Il primo segnale che le truppe russe potessero andarsene è arrivato quando due blindati hanno lasciato il cortile accanto a noi. Sono rimasti lì dal 9 al 29 marzo”, spiega Dmitry. "Per tutto quel tempo non se ne sono mai andati. Hanno impacchettato quello che erano riusciti a rubare a noi del posto. Da dietro il mio recinto li ho sentiti mettersi fretta l’un l’altro, continuavano a gridare: ‘Più veloce!’”.
“Secondo Dmitry, il 29 marzo si sono sentiti i veicoli russi muoversi verso il villaggio di Shevchenkovo. "Il 30 marzo siamo usciti per andare al centro del villaggio sulla strada principale - e non c'erano più veicoli militari. La cosa che mi ha fatto più impressione è stato vedere uno dei soldati russi in bicicletta, con tre o quattro subordinati che lo seguivano a piedi. Uno di loro è corso verso di noi e ci ha chiesto da che parte fosse la Russia, così gli abbiamo indicato la direzione. Poi ha chiesto dove erano andati i veicoli militari, e gli abbiamo indicato Shevchenkovo. Sono andati in quella direzione. Un po' più tardi, un altro soldato su un motorino e un altro in bicicletta sono passati, cercando di raggiungere gli altri” (Meduza non è riuscito a trovare altri testimoni di questa scena).
"Che c’è, si sono dimenticati di voi?" ha chiesto uno del posto. I soldati hanno annuito. "Abbiamo riso di loro e siamo andati a casa", racconta Dmitry.
La liberazione ufficiale della regione di Kyiv è stata annunciata il 2 aprile. In seguito è stato dichiarato il coprifuoco, e alla gente è stato vietato di entrare o uscire da Bogdanivka fino ad aprile. Subito dopo, il corrispondente di Meduza ha raggiunto il villaggio.
Epilogo: sul posto, dopo l'occupazione
Entrando in una delle case di via Zalesskaya, devo scavalcare i frammenti di vetro che ricoprono il pavimento. All'interno della casa c'è una cassettiera rovesciata, un mobile da cucina con le ante aperte, un frigorifero aperto e una cassaforte rotta. L'unica cosa non rovesciata è una sedia - qualcuno l'ha messa in fondo alla scala che porta al secondo piano, e sopra c'è una chiave inglese arrugginita. Sul pavimento vicino c'è una bottiglia d'acqua e una lattina di piselli.
La casa di Oleg (dove i soldati russi sono arrivati il 9 marzo durante le perlustrazioni in via Zalesskaya), costruita in mattoni rossi, è per metà annerita dalla fuliggine; il fuoco è chiaramente arrivato da tutte le finestre del primo piano. "Tutto quello che stava sul fondo è completamente bruciato", spiega Oleg. "Hanno preso tutto quello che potevano e poi hanno bruciato il resto. Hanno preso anche la mia macchina. Pensavo l’avrebbero caricata e portata al confine russo, invece l'hanno usata per abbattere la recinzione dei miei vicini".
Alcune strade di Bogdanivka non hanno subito danni così gravi. Ma si possono ancora vedere i punti interrogativi tracciati sui cancelli, fuori dalle case della gente; le giostre sono ancora affiancate da trincee alte la metà di una persona. Nelle trincee ci sono ancora le sedie da ufficio - è così che le truppe russe hanno sistemato le postazioni di tiro per proteggere il sentiero che porta a uno dei cottage, trasformato in base. Metà del tetto dell'edificio è stato distrutto da un colpo di artiglieria, secondo quanto riferiscono gli abitanti del villaggio. Anche un altro edificio che le truppe hanno occupato - una scuola - è stato distrutto. Secondo Dmitry, il danno potrebbe essere stato fatto dai soldati ucraini.
Secondo i dati ufficiali del 9 aprile 2022, in tutti i villaggi della comunità di Velikodymerskaya, che comprende Bogdanivka (insieme ad altri 21 insediamenti), 67 civili sono morti durante l'occupazione russa. Una lista dei nomi delle vittime è stata pubblicata nel gruppo ufficiale della comunità su Facebook, anche se include solo i nomi delle persone i cui corpi sono stati identificati. I residenti continuano a pubblicare post su persone scomparse o prese in ostaggio.
Uscendo da Bogdanivka, i soldati russi hanno minato la zona attorno alla scuola del villaggio, anche se l'edificio è stato successivamente sminato dagli artificieri ucraina. Il cortile della scuola è disseminato da involucri di razioni militari, cracker non aperti, lattine di bevande energetiche e bottiglie di vino. All’esterno ci sono anche due lavatrici. Secondo Dmitry, i soldati russi le hanno rubate e volevano portarle a casa come "trofei", ma non hanno potuto.
Le finestre della mensa scolastica sono piene di sacchi di sabbia, sui banchi è spalmata passata di pomodoro. I resti delle razioni di cibo sono dappertutto: lattine, cracker e una barretta di cioccolato. Nell'auditorium, sembra che i soldati abbiano lasciato sul palco una statua di gesso a buon mercato, che raffigura una donna inginocchiata seminuda, a eccezione di un elmo dorato e un perizoma. I suoi seni sono scoperti: i "gioielli" e i "vestiti" sono stati grattati via, insieme alla vernice.
Articolo originale pubblicato sul sito indipendente russo Meduza - per sostenere il sito si può donare tramite questa pagina.
Immagine anteprima: le truppe russe entrano a Bogdanivka l'8 e il 9 marzo - via Meduza