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Cosa ha veramente scritto Spiegel online

28 Gennaio 2012 6 min lettura

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Cosa ha veramente scritto Spiegel online

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Andiamo per ordine. Ecco cosa è successo. 
Andrea Tarquini, corrispondente de La Repubblica, il 23 gennaio scrive un articolo (senza link all'originale) che riporta le affermazioni di Jan Fleischhauer, uno dei columnist dell'edizione online del settimanale tedesco, che scrive:

Partendo dal naufragio, si lancia in un ragionamento sulle differenze tra le nazioni e arriva alla crisi dell'euro. "Quel che può succedere quando per motivi politici si ignora la psicologia dei popoli, ce lo mostra la crisi della valuta"...
Il Fatto Quotidiano il 26 gennaio pubblica una traduzione dell'articolo e la lettera che l’ambasciatore della Repubblica Italiana, Michele Valensise, ha inviato in riferimento all'articolo tradotto. 
Il sito Giornalettismo 'smonterà' il pezzo di Tarquini il 27 gennaio. 
Lo stesso giorno -  Il Giorno della Memoria - Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, esce in prima pagina con il titolo: 'A noi Schettino, a voi Auschwitz' e l'editoriale del direttore Alessandro Sallusti che tra le altre cose (un'imbarazzante conta a chi ha meno morti sulla coscienza) dimentica che l'Italia, con Mussolini e le leggi razziali, ha contribuito al massacro. (Oggi 28 gennaio Sallusti rilancia: Servi dei tedeschi l'Italia dice nein, qui il suo videoeditoriale). 
È vero, noi italiani alla Schettino abbiamo sulla coscienza una trentina di passeggeri della nave, quelli della razza di Jan Fleischauer (autore dell’articolo) di passeggeri ne hanno ammazzati sei milioni. Erano gli ebrei trasportati via treno fino ai campi di sterminio. E nessuno della razza superiore tedesca ha tentato di salvarne uno. A differenza nostra, che di passeggeri ne abbiamo salvati 4.200 e di ebrei, all’epoca della sciagurate leggi razziali, centinaia di migliaia.

Come se non bastasse, Sallusti negli articoli dedicati all'argomento inserisce anche dei virgolettati inesistenti rispetto alla versione originale, realizzando un vero e proprio falso. 
Il giornalista tedesco, sempre il 27 gennaio, rilascia un'intervista ad Alessandro Alviani corrispondente de La Stampa in cui chiarisce i punti più controversi del suo articolo: 'Io frainteso da chi non conosce il tedesco'.
Silke Jantra è tedesca e vive in Italia da 26 anni, ci ha inviato la traduzione dell'articolo spinta da un'esigenza di chiarezza e correttezza. 
'Farsi la guerra per un malinteso mi sembra assurdo. Molti dei commenti su FB e su Der Spiegel online oggi erano veramente brutti, ma soprattutto erano scritti da persone che non avevano letto l'articolo, ma ripetevano soltanto per sentito dire. Bisogna combattere questo! Ci vuole informazione e quando un giornalista dice cose gravi bisogna dirlo con chiarezza, ma non per una traduzione in automatico. Più lo leggo e più sono convinta che ci troviamo di fronte a un gigantesco malinteso. In realtà l’autore dell’articolo sta prendendo in giro i tedeschi e il loro modo subcutaneo di ragionare per cliché. Lo dice anche abbastanza chiaramente: ufficialmente i cliché sono stati abbandonati, ma sotto sotto li viviamo tutti i giorni. Anche la critica alla politica della Merkel mi sembra abbastanza evidente: vedremo fin dove arriverà con il suo modo di pensare (che tutti diventeranno tedeschi)'
Qui la traduzione: 

Fuga di un comandante …. “all’italiana”…. 

Che il carattere di un popolo sia soltanto una falsa etichetta del passato lo impariamo già a scuola e lo stesso vale per i luoghi comuni sulle nazioni. Ma è veramente così? Pensieri anacronistici sul comportamento di un capitano italiano. 

Siamo sinceri: qualcuno si è sorpreso che il capitano del disastro "Costa Concordia" fosse un italiano? Potremmo immaginare una manovra di quel tipo, compresa la successiva fuga del responsabile, effettuata da un capitano tedesco, o addirittura da uno britannico? 

Conosciamo questo genere di persona dalle vacanze al mare: un uomo che si sente protagonista e che ama gesticolare. In teoria si tratta di un individuo innocuo, probabilmente basterebbe non farlo avvicinare troppo a macchinari complicati. Fare "bella figura" è lo sport nazionale italiano, il cui scopo è impressionare gli altri. Anche Francesco Schettino voleva fare una bella figura, ma purtroppo si è trovato davanti uno scoglio. 

Ok, scrivere tutto questo è stato veramente scorretto. Abbiamo rinunciato da tempo agli stereotipi culturali per giudicare i nostri vicini. Questo modo di fare viene considerato zotico o, ancora peggio, razzista (anche se, per rimanere in tema, non è del tutto chiaro fino a che punto l’italianità sia di sé sinonimo di una razza a parte). 

La questione dei caratteri nazionali somiglia un po’ alla differenza tra i generi. In linea di principio, quest’ultima è stata abolita da tempo, ma nella vita di tutti i giorni ci sbattiamo contro continuamente. Basta trascorrere un pomeriggio alla scuola materna per iniziare a dubitare di tutto ciò che la pedagogia spregiudicata ci ha insegnato sui generi come mero costrutto sociale. In realtà, una vera e propria economia sommersa prospera sulla differenza tra Marte e Venere e sul modo migliore per alimentarla. Per quanto riguarda i caratteri nazionali, le indicazioni relative si trovano nelle guide turistiche tascabili, che ci informano sulle peculiarità e dunque sulle diverse tipologie delle culture straniere. 

In un certo senso ancora oggi l’Unno abita in noi 

Soprattutto i tedeschi hanno problemi di identificazione culturale. Gli inglesi, per esempio, ci ritengono ancora oggi un popolo dotato di scarso senso dell’humor - nonostante anni di sforzi intrapresi da noti comici quali Mario Barth oppure Attenzione Cabaret, Hagen Rether. I francesi, a loro volta, prendono in giro la cucina inglese e i belgi scherzano sulla presunta spilorceria degli olandesi. 

Conosciamo il carattere nazionale soltanto nella sua variante negativa, come auto-imputazione. Appena alcuni giovani urlano slogan ottusi, sulla stampa fa la sua comparsa il polemologo Wilhelm Heitmeyer, per spiegarci i pericoli che minacciano la pace sociale ("situazione esplosiva") e perché una ricaduta potrebbe essere imminente. 

In un certo senso, ancora oggi l’Unno abita in noi e non vede l’ora di poter nuovamente colpire, e stranamente questo funziona sempre. 

Non c’è bisogno di scomodare la genetica per giungere alla conclusione che le diverse nazionalità si distinguono tra loro. Sono sufficienti motivi climatici, e persino la lingua gioca un suo ruolo. Normalmente questo non rappresenta un problema, ma non si dovrebbe impostare la politica sulla supposizione che i confini nazionali abbiano un significato solo in senso figurato. Ciò che può accadere quando, per motivi politici, si ignora la psicologia dei popoli, ci viene dimostrato dalla crisi monetaria, che in questi giorni abbiamo perso di vista soltanto perché l'uomo che era in plancia attira su di sé tutta l'attenzione. In questo caso lo scoglio davanti alla nave rappresenta il mercato dei tassi di interesse. 

Difetto di nascita dell'euro? La camicia di forza per diverse culture 

Parlare oggi così chiaramente delle differenti solvibilità dei paesi significa ammettere che alcuni cliché hanno ancora ragione di esistere, senza poter essere per questo accusati di indecenza. Il difetto congenito dell’euro è stato quello di imprigionare culture economiche molto diverse nella camicia di forza di una moneta comune. 

Del resto, per capire che così non poteva funzionare, non era necessario aver studiato economia; una visita a Napoli o al Peloponneso sarebbe stata sufficiente. Ora si sta cercando disperatamente una soluzione. La risposta della Cancelliera è che tutti diventeranno come noi; staremo a vedere fin dove arriverà con questo suo modo di pensare. 

Le nazioni possono cambiare e, volendo, questo ci può essere di conforto. 2000 anni fa gli italiani comandavano ancora un impero mondiale che si estendeva dall'Inghilterra fino all'Africa. Con molta neve e ghiaccio i tedeschi oggi fanno fatica a mantenere in funzione il traffico ferroviario. Purtroppo alcuni cliché richiedono tempo per scomparire; in alcuni casi sono necessarie diverse generazioni. 

Verificato in maniera chiara e oggettiva che tutta la polemica è nata da una lettura errata dell'articolo in tedesco, va posta all'attenzione dell'opinione pubblica e delle persone direttamente coinvolte una domanda, che tanto più è necessaria quanto riferita a fatti che hanno colpito il Giorno della Memoria, dimostrando ancora una volta, casomai ce ne fosse bisogno, che fare memoria è un'azione complessa e tutt'altro che indolore. La domanda è: arriveranno rettifiche o scuse da parte di chi ha frainteso l'articolo e alimentato a vario titolo una polemica che non aveva fondamento? C'è inoltre da chiedersi se non ci siano gli estremi per un intervento dell'Ordine qualora si decida di soffiare sul fuoco per alimentare una polemica che vive di interpretazioni e non di fatti, i quali sono la sostanza del giornalismo. 

Arianna Ciccone, Matteo Pascoletti, Angelo Romano (traduzione dell'articolo di Silke Jantra
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