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Usa, la Corte Suprema emette la sua prima decisione anti-aborto dell'”era Amy Coney Barrett”, la giudice voluta da Trump

19 Gennaio 2021 3 min lettura

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Usa, la Corte Suprema emette la sua prima decisione anti-aborto dell'”era Amy Coney Barrett”, la giudice voluta da Trump

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La Corte Suprema degli Stati Uniti fa un passo indietro sull’aborto farmacologico e reintroduce il requisito per le donne di farsi consegnare la pillola di persona, sospeso durante l’emergenza sanitaria di COVID-19 per ridurre il rischio di contagi per pazienti e medici.

Si tratta della prima decisione della Corte in tema di interruzione volontaria di gravidanza dalla nomina di Amy Coney Barrett, giudice con una chiara visione antiabortista scelta qualche mese fa dal presidente uscente Donald Trump. Non è un mistero l’obiettivo di Trump di assicurare all’organo una maggioranza conservatrice in modo da ribaltare Roe v. Wade, la sentenza della Corte Suprema che nel 1973 ha stabilito la legalità dell’aborto a livello federale.

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La Food and Drug Administration (FDA) prevede che le pillole per l’aborto farmacologico (mifepristone, approvato oltre 20 anni fa negli USA e che può essere usato fino alla decima settimana di gravidanza) siano consegnate alle pazienti direttamente da medici o sanitari, e non vendute o spedite dalle farmacie – anche se non specifica che poi l’assunzione debba avvenire necessariamente in ospedale.

Lo scorso maggio alcuni gruppi e associazioni per la salute riproduttiva rappresentati dall’American Civil Liberties Union (ACLU) avevano citato in giudizio l’FDA, contestando che il mantenimento dell’obbligo di recarsi di persona in ospedale per il farmaco abortivo fosse incostituzionale considerato che l’agenzia l’aveva sospeso per altri medicinali a causa della pandemia.

Secondo l’ACLU, il requisito aumenta il rischio di contagio da COVID-19 e “mette a repentaglio la sicurezza dei pazienti, dei medici e del pubblico in generale, senza alcun vantaggio compensativo. E con implicazioni particolarmente gravi per le persone a basso reddito, le persone nere” che sono quelle maggiormente colpite dalla pandemia. A luglio un tribunale minore aveva dato ragione alle associazioni, e aveva temporaneamente bloccato l’obbligo di consegna in persona.

Ma il mese successivo l’amministrazione Trump aveva chiesto alla Corte Suprema di ripristinare la regola. E così è stato, nonostante il dissenso dei giudici liberali.

Le associazioni anti-abortiste hanno festeggiato la sentenza della Corte Suprema come una vittoria contro gli attivisti che, sostengono, vorrebbero sfruttare COVID-19 per promuovere l’aborto fai-da-te.

La decisione, come scrive Vox, è rilevante in via di principio, perché sembra stabilire la possibilità per il governo di trattare l’aborto in maniera più dura e restrittiva di qualsiasi altra prestazione medica.

Le limitazioni su come ottenere la pillola abortiva, infatti, sono in vigore da oltre 20 anni, e “solitamente hanno costituito un problema minore per il diritto all’aborto. Durante la pandemia di COVID-19, però, assumono potenzialmente un peso significativo sulla capacità dei pazienti di interrompere la gravidanza”, si legge nell’articolo. Nel mezzo di una pandemia con centinaia di migliaia di morti solo negli USA, “qualsiasi viaggio fuori casa – compreso quello a una clinica per abortire – può potenzialmente esporre le persone al coronavirus”.

Nella sua dichiarazione di dissenso, la giudice Sonia Sotomayor (nominata nel 2009 da Barack Obama), ha scritto che tre quarti delle pazienti che abortiscono “hanno redditi bassi, il che rende più probabile che si muovano con i mezzi pubblici per raggiungere la clinica e ottenere la pillola”. Ciò significa che queste pazienti “devono sopportare un rischio ulteriore quando si muovono, talvolta per diverse ore, per raggiungere cliniche spesso molto lontane dalle loro case”.

Julia Kaye di ACLU, ha definito la decisione “agghiacciante” e in grado di mettere immotivatamente in pericolo ancora più persone durante la pandemia, specialmente le pazienti nere o latine o con pochi mezzi economici.

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Per chi vive in aree isolate degli Stati Uniti la telemedicina può essere l’unico modo di accedere alle pillole abortive, si legge in un pezzo pubblicato su NPR: “In una manciata di Stati c’è una sola clinica che fa aborti, costringendo le pazienti a guidare per molti chilometri per accedere al servizio”.

Il governo federale, scrive la giudice Sotomayor, “ha chiesto ai servizi sanitari e ai pazienti di utilizzare la telemedicina” e ha “sospeso molte regole che richiedevano la presenza per ottenere i farmaci perché avrebbero potuto ‘mettere i pazienti e altri a rischio di contrarre il coronavirus’”. Eppure, sotto l’amministrazione Trump, la FDA si è rifiutata di allentare le restrizioni sul mifepristone: “Su oltre 20 mila farmaci approvati dall’FDA, il mifepristone è l’unico per cui è richiesto che le pazienti lo vengano a prendere di persona per poi portarlo a casa”.

Foto anteprima The Supreme Court in Washington, D.C. (@Envios, Flickr/Creative Commons) via nhpr

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