Caro Corriere, ti spiego perché la Grecia è la culla della democrazia (diretta)
5 min letturaUno degli effetti imprevisti della crisi greca è stato quello di portare sulle prime pagine dei giornali un'ondata di articoli sul mondo classico ed in particolare sulla storia della Grecia antica.
Commentatori più o meno improvvisati, forti spesso di una infarinatura risalente ai tempi in cui hanno fatto il liceo classico, si sono sentiti in dovere di spiegare il filo rosso che lega l'antica democrazia ateniese alle recenti vicissitudini economiche del governo Tsipras. È stato così tutto un fiorire di opinioni sulla democrazia greca dell'età di Pericle e sulla sua diretta influenza sul referendum voluto dal Governo greco attuale.
Premesso che voler spiegare l'Atene di Tsipras con il filtro dell'Atene classica è un po' come voler spiegare le politiche di Renzi con le cronache della Firenze di Lorenzo il Magnifico, anche commentatori meno improvvisati sono caduti in tentazione, con esiti non sempre felicissimi.
Umberto Curi, per esempio, sulle pagine del Corriere della Sera, ha spiegato l'altro giorno come, a suo parere, la Grecia venga considerata a torto la “culla” della democrazia moderna occidentale, per cui gli entusiasmi odierni per il referendum popolare voluto da Tsipras sarebbero del tutto fuori luogo.
Le tesi riportate da Curi sono in buona sostanza due:
1) la democrazia ateniese era un regime non molto stimato dagli stessi Greci antichi, di fatti sia Platone che Aristotele (e ci potremmo aggiungere anche Tucidide, Senofonte e Polibio, che Curi non cita) la disprezzavano e il termine democrazia ha in greco un senso “peggiorativo”, in quanto indica il “kratos”, cioè il potere esercitato con violenza ed arbitrio dal popolo;
2) la democrazia ateniese non era democrazia in quanto erano esclusi dal voto donne e schiavi.
Per gli antichisti l'articolo di Curi (giustamente divulgativo, su un quotidiano mainstream) è un po' una scoperta dell'acqua calda, ma resta il fatto che proposto così e così scritto ha qualche punto molto scricchiolante.
Partiamo dall'idea che la democrazia ateniese non sia una vera democrazia perché escludeva dal voto donne e schiavi. L'idea che il demos, cioè il corpo elettorale, debba comprendere “tutti” è una idea essenzialmente contemporanea. Nessuna società antica era mai arrivata a postulare qualcosa di simile, ma, se dovessimo essere così restrittivi, giungeremmo al paradosso che neppure la Costituzione degli Stati Uniti è stata creata per uno stato democratico, dato che non comprendeva all'inizio il diritto di voto per donne e schiavi, e ancora oggi, del resto, il diritto di voto non può essere esercitato automaticamente, ma solo dietro volontaria iscrizione del singolo nelle liste elettorali.
Le democrazie moderne e contemporanee è vero che non discendono dalla democrazia di V secolo ateniese per via diretta. Sono derivate infatti casomai dal sistema “misto”, come lo definì Polibio, che vigeva nella Roma repubblicana, grande e spesso unica vera fonte di ispirazione per le Repubbliche rivoluzionarie americane e francesi, che sono a loro volta le antesignane di tutte le democrazie moderne. Erano e sono sistemi basati sulla rappresentanza, ovvero sul voto di delegati eletti dal popolo per prendere decisioni.
Nulla di tutto questo esisteva della Atene di V secolo, dove invece non c'erano rappresentanti eletti (e pochissime, per altro, erano anche le cariche elettive: giusto gli Strateghi, ovvero i comandanti militari preposti a singole campagne, erano scelti con il voto: tutti gli altri incarichi pubblici erano tirati a sorte). Il corpo elettorale, cioè il “demos”, si riuniva ogni tot giorni e votava tutti i provvedimenti: ciascuno aveva il diritto di proporre leggi o di proporre emendamenti all'ordine del giorno stilato da una una commissione più ristretta, anche lei formata da persone qualsiasi scelte per sorteggio.
In questo modo di procedere, c'è un filo rosso e una qualche analogia con l'operazione voluta di Tsipras, che, dovendo prendere una decisione, ha convocato alle urne l'intero corpo elettorale greco, per averne il parere diretto.
Il parere del popolo democraticamente espresso, naturalmente, non ha nessuna garanzia di essere il “migliore”. Il voto spesso può ben essere frutto di decisioni prese “di pancia”, o con poco acume politico. Ma questo è un rischio presente in tutte le consultazioni democratiche (a dire il vero, è un rischio implicito in tutte le decisioni umane: nulla garantisce che un gruppo di oligarchi prenda decisioni più assennate, per quanto tecnicamente preparati possano essere).
E qui cade la seconda obiezione mossa da Curi: cioè che democrazia sia una parola dispregiativa, che indica lo strapotere, più che il potere del popolo.
Certo: la parola “positiva” per i Greci classici era “isonomia”, cioè uguaglianza davanti alle leggi, e democrazia veniva considerata uno scadimento di questa. Resta però il fatto che, almeno da Erodoto in poi, il termine “isonomia”, già usato da Solone, ha per i Greci classici una accezione che viene legata a regimi in cui il potere viene detenuto da gruppi di oligarchi più o meno allargati, che prendono le decisioni per tutti. Il valore positivo dato alla “isonomia” dipende dal fatto che quasi sempre i filosofi e gli intellettuali che la lodavano facevano parte della classe dirigente, e pertanto erano all'interno della cerchia che era autorizzata a prendere decisioni.
La rivoluzione ateniese di V secolo era stata proprio scardinare questi gruppi di potere, costringendoli a far votare ogni decisione in assemblea, e da un'assemblea composta da membri di tutte le classi sociali, anche le più povere. Platone, Aristotele, ma anche Tucidide e Senofonte, pur con varie sfumature, avevano una pessima opinione della democrazia diretta di età periclea, e ancora peggiore di quella che, negli anni successivi alla morte di Pericle (comunque aristocratico della più bell'acqua e di lignaggio regale), aveva portato alla ribalta una serie di personaggi populisti e popolani, come venditori di lanterne, salsicciai e gente di incerta professione, divenuti in men che non si dica capipopolo. Ma, paradossalmente, è proprio in questa fase che la democrazia antica assomiglia di più a quelle nostre occidentali, in cui oggi la carriera politica è aperta a tutti, e spesso gli uomini di punta vengono dal mondo della piccola impresa, o da altre professioni liberali, e non hanno spesso alle spalle famiglie di tradizioni antiche o grossissimi patrimoni accumulati nei secoli.
Le democrazie moderne, in pratica, anche se nate da radici che i Greci classici avrebbero definite “aristocratiche”, piano piano hanno virato verso la democrazia diretta di stampo ateniese: mentre il primo parlamento americano era costituito essenzialmente di proprietari terrieri di origine anglosassone, oggi il Presidente è un immigrato di seconda generazione nero, come Obama. E la democrazia diretta è in fondo il modello a cui tendono, pur con tutte le incertezze del caso, le varie proposte di voto diretto su Internet.
L'idea di fondo della modernità è l'allargamento del corpo elettorale e il ricorso al voto diretto su sempre un maggior numero di questioni, per garantire l'avvallo delle decisioni da parte di un numero sempre più ampio di cittadini.
In questo, l'idea della democrazia greca sembra ancora vivissima. Per cui forse ha ragione Curi: le nostre democrazie occidentali non discendono direttamente da quella ateniese di V secolo. Tuttavia, spingono per arrivarci.