Le mutazioni di SARS-CoV-2 e la corsa contro il tempo per vaccinare più persone possibili
10 min letturaLa variante B.1.1.7., sequenziata per la prima volta in Gran Bretagna, viaggia come un’auto in corsa senza freni. È quanto sta osservando lo State Serum Institute danese, un’agenzia governativa che tiene traccia della malattie e consiglia la politica sanitaria della Danimarca. Secondo quanto rilevato dagli scienziati danesi, la cosiddetta “variante inglese” si diffonde a una velocità tale che le misure di contenimento della pandemia finora adottate, anche quelle più restrittive, sembrano rivelarsi poco efficaci.
Queste osservazioni – scrive il Washington Post in un articolo pubblicato una decina di giorni fa – sono rilevanti considerato che la Danimarca sta sequenziando ogni test positivo a SARS-CoV-2 e, pertanto, ha un punto di vista privilegiato per capire quali mutazioni del virus circolano, a che velocità, e se possono diventare prevalenti.
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La variante B.1.1.7 cresce del 70% a settimana nonostante i lockdown, spiegano gli scienziati dello State Serum institute e lo fa sotto-traccia, in un momento in cui i casi sono anzi in diminuzione. «Stiamo perdendo alcuni degli strumenti che abbiamo per controllare l'epidemia», spiega al Washington Post Tyra Grove Krause, direttrice scientifica dell'istituto. «Senza questa variante, saremmo davvero in una situazione favorevole», aggiunge Camilla Holten Moller, una delle altre leader del gruppo. «Se guardiamo solo l’indice di riproduzione, la diffusione non sembra in crescita», ma la variante britannica si trasmette così rapidamente che probabilmente potrebbe essere il ceppo prevalente del virus in Danimarca già a metà febbraio. Almeno un mese prima di quanto preventivato negli Stati Uniti dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitensi.
Nello scenario peggiore i casi giornalieri potrebbero quadruplicarsi entro l’inizio di aprile. Se invece la variante si rivelasse meno contagiosa o si adottassero misure ancora più restrittive, l’epidemia potrebbe rimanere più gestibile mentre si procede con la campagna di vaccinazione.
«È come se ci trovassimo alla vigilia di uno tsunami: siamo sulla spiaggia e all’improvviso ci accorgiamo che l’acqua si ritrae. Poi arriva l’onda che ci travolge», ha commentato Krause.
Ancora più evocativa l’immagine utilizzata dalla prima ministra Mette Frederiksen. In un post su Facebook ha detto ai suoi cittadini di immaginare di sedersi nella fila più alta del Parken Stadium di Copenaghen, uno stadio con una capienza di 38mila posti, e di vedere un rubinetto che lascia cadere dentro una goccia dopo il primo minuti, due gocce dopo il secondo, quattro gocce al terzo. A quel ritmo, ha detto Frederiksen, lo stadio sarà riempito in 44 minuti, ma sarà sembrato quasi vuoto per i primi 42 minuti.
Per questo motivo la Danimarca ha deciso di adottare misure restrittive nonostante i parametri generali suggerissero di riaprire già alcune settimane fa. L’obiettivo, hanno spiegato le autorità sanitarie danesi, è far vaccinare più persone possibili prima che la variante inglese prenda il sopravvento.
Anche la Germania ha deciso di adottare misure più restrittive, soprattutto dopo che un ospedale di Berlino è stato messo in quarantena perché 20 persone tra operatori sanitari e pazienti sono risultate positive alla variante B.1.1.7. La cancelliera Angela Merkel ha reso obbligatorie le maschere facciali chirurgiche o quelle FFP2 sui luoghi di lavoro, nei negozi e nei trasporti pubblici, e la Francia potrebbe presto seguire il suo esempio.
3) Germany is heeding the dire warning from UK and Denmark CDC on the #B117– It is a beast. https://t.co/XfZOC7UXXB
— Eric Feigl-Ding (@DrEricDing) January 24, 2021
L’obiettivo – spiega in un thread su Twitter l’epidemiologo ed economista sanitario Eric Feigl-Ding – è tenere il più basso l’indice di riproduzione del virus. Non è più sufficiente mantenere il valore R sotto il livello 1 perché “il ceppo B.1.1.7 è del 40-80% più contagioso. Supponiamo di avere 1.000 casi al giorno, con un valore R pari a 0,86 riusciremmo a scendere a 500 casi al giorno in due settimane. Ma con la variante B.1.1.7, in due settimane rischieremmo di arrivare a 3.000 nuovi casi al giorno”, pur avendo un indice di riproduzione sempre sotto l’1.
Inoltre, una panoramica di più studi svolti recentemente nel Regno Unito suggerisce che la variante B.1.1.7 non sarebbe solo più contagiosa ma anche più letale. Secondo questi studi, le persone infette da B.1.1.7 hanno circa un rischio di morire per COVID-19 di circa un terzo maggiore. Ma, questo non significa necessariamente che la variante rilevata nel Regno Unito sia più virulenta. Come spiegava tempo fa Adam Kucharski, epidemiologo della London School of Hygiene & Tropical Medicine, una maggiore contagiosità di un particolare ceppo del virus porterà a un aumento dei decessi (rispetto anche a un’altra versione più letale) a causa dell’aumento delle infezioni e del sovraccarico del sistema ospedaliero.
This shows the additional deaths a strain like B117 can cause - without even accounting for overloaded hospitals being unable to deliver same level of care. pic.twitter.com/r6jAh1DQiM
— Patrick W. Watson (@PatrickW) January 23, 2021
Tutto questo ci dice due cose, spiega la professoressa Krutika Kuppalli, esperta di malattie infettive: 1) In questo momento il Regno Unito è il luogo dove tutti dobbiamo guardare per capire che è fondamentale tenere molto bassi i tassi di riproduzione del virus ricorrendo tutti gli strumenti a nostra disposizione (utilizzo di maschere facciali, lavarsi le mani, mantenere il distanziamento fisico); 2) Va estesa a tutta la popolazione la campagna di vaccinazione quanto prima.
Che cosa sta succedendo?
È come se ci trovassimo di fronte a una pandemia nella pandemia, scrive Chiara Sabelli su Scienza in Rete, sintetizzando i pareri di Ewan Birney, direttore dell’European Molecular Biology Laboratory, e Adam Kucharski.
Già usare il termine variante è fuorviante, spiega a The Atlantic Ramon Lorenzo Redondo, analista genomico presso la Feinberg School of Medicine della Northwestern University. Tecnicamente, ogni versione del virus è una variante. Anche all'interno di una singola persona, il virus cambia e si evolve molte volte.
Quasi tutte queste mutazioni accidentali sono irrilevanti, il virus mantiene l'aspetto e funziona esattamente come il suo antenato. Nel corso del tempo, tuttavia, alcune serie di mutazioni possono sovrapporsi e accumularsi e il virus inizia a funzionare in modo diverso. Non si tratta di stravolgimenti straordinari, ma di piccoli cambiamenti che si stanno verificando su vasta scala e che possiamo cogliere solo quando si manifestano gli effetti di queste mutazioni.
La variante B.1.1.7, rilevata nel Regno Unito, non è l’unica: una seconda (B.1.351) è stata sequenziata in Sudafrica a ottobre ed è divenuta la forma dominante nel mese di dicembre, e secondo analisi preliminari sembrerebbe più contagiosa e in grado di inibire il legame degli anticorpi neutralizzanti con la proteina modificata; una terza (chiamata B.1.1.28.1) è stata individuata in Brasile e Giappone, anch’essa più contagiosa; e poi altre varianti sono state rinvenute in California (L452R) tra novembre e dicembre, e in un cluster di 35 persone nella stazione sciistica di Garmisch-Partenkirchen, sulle alpi bavaresi, in Germania.
La sequenza genomica pubblicata sul sito web virological.org da Eddie Holmes, biologo evoluzionista presso l'Università di Sydney, l'11 gennaio dell'anno scorso, è ormai come una reliquia, spiega ancora Redondo: «Il virus rappresentato in quella sequenza è scomparso, sostituito da molte, molte, molte generazioni successive. Nuovi lignaggi sono sorti in diverse parti del mondo e centinaia di migliaia di sequenze leggermente diverse sono state aggiunte in un database internazionale. Ora ci sono migliaia di genomi SARS-CoV-2 unici, ciascuno il risultato di una miriade di permutazioni. Non esiste un unico codice genetico standard per questo coronavirus, non più di quanto esista un genoma umano standard».
È una questione di evoluzione, osservano Salvatore Curiale, Concetta Castilletti, Antonino Di Caro, Giuseppe Ippolito su Internazionale. “Le mutazioni (o le combinazioni di mutazioni) che diventano predominanti sono quelle che consentono al virus di riprodursi con maggiore efficienza e rapidità e di adattarsi meglio all’ambiente nel quale si trova”, al punto tale da soppiantare il ceppo originario. Alcune mutazioni o combinazioni di mutazioni possono fornire al virus “variato” un vantaggio evolutivo, come una maggiore trasmissibilità o la capacità di eludere la risposta immunitaria dell’ospite.
“Questo manifestarsi quasi simultaneo di mutazioni simili o identiche in campioni raccolti in paesi del mondo assai lontani tra loro suggerisce che si possa trattare di cambiamenti avvenuti per selezione naturale di SARS-CoV-2, sottoposto all’enorme pressione evolutiva derivante dal doversi adattare a un animale, l’essere umano, con il quale sino a pochi mesi fa non aveva mai ‘convissuto’, spiegano i quattro studiosi.
B.1.1.7 (Regno Unito) e B.1.351 (Sudafrica) potrebbero essere, dunque, due lignaggi separati (che hanno avuto cambiamenti simili nella loro proteina spike indipendentemente l’uno dall’altro), evoluzione di un antenato comune (il virus sequenziato da Holmes). Ora, commenta ancora Redondo, l’albero genealogico di questi nuovi ceppi di SARS-CoV-2 è più simile a una foresta. Non sapremo quale lignaggio prevarrà e non è detto che un lignaggio dominante in un'area del mondo, lo sarà in altre.
Inoltre, aggiunge Paul Turner, professore di ecologia e biologia evolutiva all’Università di Yale, a lungo termine la diffusione del nuovo coronavirus sarà più simile al morbillo che all’influenza. Anche se occasionalmente potremmo aver bisogno di aggiornare i nostri vaccini, non avremo bisogno di farlo ogni anno. Ma finché i tassi di infezione rimangono alti, è probabile che il coronavirus acquisisca, nel corso di mesi o anni, la capacità di bypassare almeno parzialmente le nostre risposte immunitarie.
Che cosa possiamo fare?
Per cercare di stare al passo e comprendere l’evoluzione del virus sarà necessario fare il maggior numero possibile di sequenziamenti del genoma. Oggi, un’attività ancora più importante, come segnalato recentemente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il 18 gennaio il Centro Europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie ha pubblicato un rapporto con le strategie per effettuare le indagini genomiche, mentre la Commissione Europea ha chiesto agli Stati membri di sequenziare tra il 5% e il 10% dei campioni positivi.
«Quel che mi preoccupa più di tutto è che la politica ostacoli la condivisione dei dati e la scienza», ha detto a tal proposito Eddie Holmes a Medscape. «Il primo passo deve essere una condivisione dei dati immediata, rapida e aperta. La velocità è essenziale in una pandemia. Qualsiasi ostacolo alla collaborazione rende questo un mondo molto meno sicuro. Questa dovrebbe essere la lezione di questo focolaio».
Non è stato casuale che l’identificazione di una nuova variante sia avvenuta nel Regno Unito che ha iniziato a investire sul sequenziamento del virus dall’inizio della pandemia a marzo 2020, affermano Curiale, Castilletti, Di Caro e Ippolito. Su oltre 380mila sequenze virali depositate al 17 gennaio, più di 165mila erano state effettuate nel Regno Unito, molte di più di quelle fatte negli Stati Uniti (75mila).
A metà gennaio la Danimarca aveva sequenziato circa il 15% dei casi diagnosticati dal mese di settembre 2020, seguita dal Regno Unito (5%), dalla Norvegia e dalla Finlandia (2%), scrive Chiara Sabelli su Scienza in Rete. Nello stesso periodo, l’Italia aveva sequenziato lo 0,034% dei casi, la Francia lo 0,044%, la Germania – che ha deciso di investire 200 milioni di euro nel potenziamento del sequenziamento – lo 0,061%.
La Francia ha avviato delle indagini “flash” su tutto il territorio nazionale coinvolgendo 89 laboratori. Attraverso kit tamponi molecolari sviluppati dalla società Thermo Fisher, i laboratori sono riusciti a individuare la variante B.1.1.7 tramite il cosiddetto risultato “discordante”. La variante B.1.1.7 presenta otto mutazioni sul gene S, due di queste sono delezioni (aminoacidi mancanti). “Una di queste due delezioni fa sì che il test RT-PCR della Thermo Fisher non trovi il gene S, ma solo gli altri due, dando un risultato discordante ‘positivo-negativo-positivo’”, spiega Sabelli. Ogni volta che il tampone dà un esito di questo tipo ci si trova di fronte a una variante B.1.1.7. L’indagine “ha permesso di stabilire in via preliminare che tra l’1% e il 2% dei nuovi casi diagnosticati in Francia fra il 7 e l’8 gennaio erano dovuti alla variante B.1.1.7”.
In base a questi dati, l’Institut national de la santé et de la recherche médicale (INSERM) ha potuto stimare che, nello scenario migliore (indice di riproduzione pari a 1, aumentato del 50% per simulare la maggiore contagiosità della variante), la B.1.1.7 sarà dominante a metà marzo e ci saranno fino a 35.000 ricoveri a settimana due settimane più tardi, mentre in quello peggiore (indice di riproduzione di 1,2 con maggiore contagiosità del 70%) la variante potrebbe essere prevalente a metà febbraio con 20.000 ricoveri a settimana.
Per quanto riguarda l’Italia, l’8 gennaio il Ministero della Salute ha emesso una circolare per armonizzare le operazioni di sequenziamento svolte dai laboratori di riferimento sul territorio nazionale.
E i vaccini?
Qualche giorno fa, Maria Van Kerkhove, epidemiologa delle malattie infettive dell'OMS, ha risposto ad alcune domande sugli scenari prefigurati nei prossimi mesi e ha precisato che “tutto ciò che stiamo imparando su queste varianti non cambia il nostro approccio rispetto alla mitigazione del nuovo coronavirus. Abbiamo gli strumenti. Le misure funzionano”.
Le precauzioni da adottare sono quelle di inizio pandemia: lavarsi le mani, mantenere il distanziamento fisico, usare le maschere facciale. Come detto in Germania è diventato obbligatorio l’uso della maschere chirurgiche o FFP2. L'obiettivo è cercare di far vaccinare la più ampia fascia di popolazione prima che le nuove varianti diventino predominanti.
«Sono abbastanza convinto che ci siano decine, se non centinaia, di varianti con mutazioni simili che stanno emergendo in tutto il mondo in questo momento», afferma a Wired Tulio de Oliveira, genetista e bioinformatico presso l'Università del KwaZulu-Natal a Durban, in Sudafrica, a capo di una rete nazionale di laboratori di sequenziamento. Regno Unito e Sudafrica sono riusciti a rilevarle solo perché i loro governi hanno investito in reti di sorveglianza globali, prosegue de Oliveira. Per questo motivo, gli Stati dovrebbero iniziare a intensificare gli sforzi nel migliorare la capacità di fare test, sequenziamento, tracciamento dei contatti e vaccinazioni. Potrebbero essere necessari anni per inoculare un numero sufficiente di persone per frenare l'evoluzione del coronavirus. «La cosa importante è rendersi conto che dobbiamo portare la trasmissione quasi a zero se vogliamo evitare che nuove varianti emergano in futuro».
Per quanto riguarda i vaccini, quello sviluppato da Pfizer & BioNTech sembra essere ugualmente efficace anche rispetto alla variante B.1.1.7, secondo test in laboratorio effettuati presso la BioNTech. Uno studio pubblicato su Nature ha mostrato che il vaccino sembra essere efficace su virus geneticamente modificati simili alle varianti inglese e sudafricana. Tuttavia, gli autori dell'articolo hanno precisato che “i virus ingegnerizzati non includono la serie completa delle mutazioni della proteina spike trovate nelle varianti” e questo potrebbe costituire una limitazione dello studio, soggetto a peer-review. Il vaccino di Moderna sarebbe in grado di proteggere contro la cosiddetta variante inglese ma sembra essere 6 volte meno efficace contro la B.1.351 (variante sudafricana). Questo non significa che il vaccino lasci senza alcuna protezione contro questa variante, ma per garantire lo stesso livello di efficacia Moderna ha annunciato che avvierà due nuovi test clinici e medita di aggiungere un terzo richiamo a quello attuale, spiega Eric Feigl-Ding in un thread su Twitter.