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Nuovo Coronavirus: cosa sta succedendo a livello globale e cosa dicono gli ultimi studi

4 Marzo 2020 33 min lettura

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Nuovo Coronavirus: cosa sta succedendo a livello globale e cosa dicono gli ultimi studi

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32 min lettura

di Angelo Romano, Claudia Torrisi, Andrea Zitelli

(Articolo aggiornato al 5 marzo)

Il nuovo Coronavirus SARS-CoV-2 si sta diffondendo in più parti del mondo, in questo approfondimento facciamo il punto sulla situazione a livello globale, quali sono gli scenari possibili, come affrontare una eventuale pandemia, quali sono le misure che diversi paesi stanno adottando per impedire che il contagio si allarghi e cosa dicono gli ultimi studi su questo virus.

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Non è detto che "COVID-19" andrà via con i primi caldi e non ci sono evidenze che sostengono che si può restare infetti due volte.

In un rapporto pubblicato la scorsa settimana, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha invitato i paesi a seguire l'esempio della Cina nelle misure di contenimento che hanno portato a ridurre fino a quasi fermare l'epidemia.

La situazione a livello globale

Come altri paesi stanno affrontando la diffusione del virus

Cosa dice l’OMS: “COVID-19 può essere contenuto con un approccio globale e la solidarietà di tutti”

La situazione a livello globale

In una nuova conferenza stampa del 3 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è tornata a fare il punto sulla situazione di contagio nel mondo da nuovo Coronavirus SARS-CoV-2.

L’OMS ha dichiarato che il numero di persone contagiate in Cina continua a diminuire. Secondo Bruce Aylward, vicedirettore generale dell'OMS, epidemiologo e a capo di una recente missione dell'agenzia internazionale in Cina, questo risultato si deve, oltre alle decise misure di contenimento, alla velocità con cui si è riuscito a trovare i casi, isolarli, tracciare i loro contatti stretti e tenerli sotto sorveglianza e alla rapidità e all'efficienza nell'esaminarli da parte del sistema sanitario. 

Distribuzione dei casi di COVID-19 nel mondo, dati aggiornati al 5 marzo 2020. Via ECDC

Al di fuori della Cina, sono stati invece segnalati 2055 casi in 33 paesi. A preoccupare maggiormente l’Organizzazione Mondiale della Sanità è la diffusione del contagio in Corea del Sud, in Iran (dove un team di esperti dell'OMS si è recato per capire le dinamiche di diffusione e per assistenza tecnica) e in Italia. L'80% dei nuovi casi nel mondo proviene infatti da questi tre paesi. Il direttore generale dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha però specificato che in Europa anche altri paesi potrebbero trovarsi ad affrontare una situazione simile a quella italiana. 

Sono oltre 80 i paesi nel mondo in cui sono stati registrati casi. Centoquindici sono invece gli Stati dove finora non sono state segnalate persone positive al virus. Lunedì 2 marzo l'OMS ha ribadito comunque che per il momento non si può parlare di pandemia (cioè di una diffusione globale non contenuta del virus) per il nuovo Coronavirus perché degli oltre 90mila casi segnalati a livello globale, il 90% si trova in Cina e principalmente in una provincia, dei restanti l'81% proviene da quattro paesi e degli altri paesi interessati, la maggior parte stanno riportando pochi casi.

Distribuzione geografica dei casi di COVID-19 nel mondo, dati aggiornati al 5 marzo 2020. Via ECDC

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha poi voluto sottolineare che questo virus non può essere considerato come un'influenza, avendo "caratteristiche uniche", come ad esempio la sua capacità di contagio e la malattia che provoca ("più grave dell'influenza stagionale").  L'agenzia speciale delle Nazioni Unite afferma però che “può anche essere contenuto con le giuste misure” e che questo deve essere l’obiettivo prioritario di tutti i paesi, raccomandando un approccio globale.

Nel frattempo, il 2 marzo, il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC) ha innalzato da “moderato” a “elevato” il rischio di una trasmissione diffusa e prolungata di COVID-19 nell’Unione europea e nel Regno Unito. Una valutazione che l’ECDC ha stabilito in base a vari fattori: il numero crescente di paesi con una diffusa trasmissione nel mondo e in Europa, le misure di contrasto adottate che fino ad ora sono state in grado di rallentare il contagio, ma non di fermare l'ulteriore diffusione, i numerosi casi con sintomi lievi capaci di trasmettere l'infezione, le aree precedentemente non interessate al contagio dove sono stati registrati casi non legati a viaggi verso aree infette. 

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Nel caso, in cui poi, il contagio diventi consolidato e diffuso, le attuali misure di contenimento potrebbero non essere efficienti e avere un forte impatto sulla salute pubblica e sui sistemi sanitari, avverte il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie, che specifica, in questa evenienza ci si dovrà preparare ad azioni di mitigazione che includano sforzi coordinati per proteggere la salute dei cittadini europei.

Jonathan D Quick, della Duke University nella Carolina del Nord, ex presidente del Global Health Council e collaboratore dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), intervistato dal Guardian, ha analizzato i possibili scenari che potrebbero svilupparsi da qui in avanti: «Quello migliore è che la situazione in Cina sia sotto controllo, il contagio negli altri paesi termini, non emerga più nessuna diffusione in nuovi paesi e continenti e l’epidemia finisca. Quello peggiore è che si arrivi a una pandemia, la malattia diventi endemica, cioè con una circolazione permanente nella popolazione umana».

Per l’esperto, però, lo scenario peggiore sembra essere quello più probabile: «Abbiamo visto casi in sei continenti, apparentemente "silenziosi" – cioè, almeno in parte asintomatici –, catene di trasmissione da uomo a uomo sia all'interno che all'esterno della Cina, con altri paesi che hanno segnalato casi nell'ultima settimana e nuovi focolai in Iran, Italia e Corea del Sud». Inoltre, «ci sono ancora molte incognite: potremmo aver sottovalutato il periodo durante il quale una persona è contagiosa, per esempio, e la varietà dei modi in cui il virus si diffonde».

Nel caso questa prospettiva si realizzi, precisa comunque D Quick, possono essere ancora effettuate misure per ridurre l’impatto di una possibile pandemia, come mobilitare un numero maggiore di funzionari sanitari, rafforzare i controlli e fornire più strumenti agli operatori sanitari in prima linea. Per l'esperto, però, in base all’esperienza passata, è probabile anche che la gran parte delle persone resti inconsapevole o non convinta «del pericolo che questo virus rappresenta». Per questo motivo è necessario, per fare la differenza, riuscire a fermare l’epidemia in tempo e creare un rapporto di fiducia con le persone, fornendo loro informazioni verificate e non cercando di ingannarle, per ottenere da loro una cooperazione necessaria.

Come altri paesi stanno affrontando la diffusione del virus

Gli ultimi dati ufficiali in Francia parlano di 423 casi confermati di COVID-19 in 13 regioni e cinque decessi di persone positive al virus. I cluster maggiori si trovano nel dipartimento settentrionale dell’Oise e in quello dell’Alta Savoia.

La crescita del numero dei contagiati ha spinto il governo a mettere in atto delle misure di contenimento più stringenti rispetto a quelle prese fino a sabato scorso – che sostanzialmente consistevano in due settimane di quarantena imposte alle persone rientrate da zone considerate a rischio.

Tra queste, il divieto di tutte le manifestazioni con più di 5mila persone, esteso, ha dichiarato il ministro della Salute Olivier Véran anche a quelle che si svolgono «all’aperto, dove le persone possono mescolarsi con altre provenienti da aree in cui il virus è in circolazione». Un provvedimento che ha portato alla cancellazione di eventi come la mezza maratona di Parigi, il Salone del Libro sempre nella capitale francese e altri appuntamenti.

Véran ha anche raccomandato ai cittadini di evitare di stringersi la mano l’un l’altro e di ridurre l’abitudine di salutarsi con i baci sulle guance.

Misure più specifiche sono state prese per le zone più colpite. Nella regione dell’Oise e nella città di La Balme-de-Sillingy, nell’Alta Savoia, fino a nuovo ordine sono vietati tutti gli eventi pubblici con assembramenti di persone. Nei cinque comuni dell’Oise più colpiti (Creil, Crépy-en-Valois, Vaumoise, Lamorlaye, Lagny-le-Sec) e a La Balme, il ministro della Salute ha inoltre raccomandato ai residenti di limitare gli spostamenti e, se possibile, ricorrere al telelavoro. Negli stessi centri circa 100 scuole resteranno chiuse.

Il ministro Véran ha sottolineato che si tratta di provvedimenti provvisori, che saranno necessariamente modificati nel tempo: «Sono misure restrittive, e speriamo che durino per un certo periodo, perché ci consentiranno di contenere la diffusione del virus».

La Francia si trova ora nella fase 2 della strategia, e l’obiettivo del governo è quello di limitare il contagio ed evitare di arrivare alla fase 3, cioè quella di epidemia.

Il direttore generale della Sanità, Jérôme Salomon, ha precisato che, nonostante le misure, i cittadini francesi devono proseguire le loro vite normalmente, e che per questo i trasporti pubblici funzioneranno in maniera regolare.

Domenica il museo del Louvre di Parigi è rimasto chiuso a causa del prolungarsi di discussioni tra il personale e i dirigenti sulle misure di sicurezza da applicare per contenere la diffusione del virus. Lunedì mattina, dopo una riunione, i dipendenti hanno votato nuovamente per la chiusura al pubblico. I lavoratori hanno fatto sapere di essere molto preoccupati per l’afflusso di visitatori da ogni parte del mondo.

Sempre lunedì il presidente francese Emmanuel Macron ha annullato impegni e i viaggi non legati al Covid-19 per concentrarsi sulla gestione dell’emergenza.

Martedì mattina il ministro Véran ha annunciato che il governo sta stanziando ulteriori 260 milioni di euro per gli ospedali francesi, per fronteggiare la diffusione del virus. Le autorità, ha spiegato, stanno «anticipando la possibilità di un’epidemia».

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In Germania i casi accertati di Covid-19 sono 534. Secondo il Robert Koch Institute (RKI), i casi positivi sono diffusi in 15 delle 16 regioni, e la maggior parte si trova nella Renania Settentrionale-Vestfalia, una delle più popolose, in particolare nel circondario di Heinsberg, dove si era tenuta una festa di carnevale a cui aveva partecipato uno dei primi contagiati.

Molte scuole e asili nido sono rimasti chiusi, dopo che membri del personale di alcuni istituti erano risultati positivi al Covid-19. Anche uffici e studi non riaprono, e molta gente sta lavorando da casa.

Lo scorso 26 febbraio, il ministro della Salute Jens Spahn aveva detto che il paese era davanti «all’inizio di un’epidemia di Coronavirus», e di non essere certo che la strategia tedesca di «tracciare la catena dei contagi» avrebbe continuato a funzionare, considerato che la situazione stava cambiando di ora in ora.

Sul sito del ministero sono elencate le misure prese per il contenimento del contagio, decise dal comitato di crisi, formato la scorsa settimana. È previsto che chiunque arrivi dalla Cina in Germania compili un modulo in cui inserisce informazioni sul volo, su dove intende alloggiare nel paese nei seguenti 30 giorni, dove è stato in Cina, le persone con cui è entrato in contatto e le loro condizioni di salute. I moduli saranno distribuiti dalle compagnie aeree (che li invieranno alle autorità sanitarie). Per i voli fuori dalla Cina, i dati di prenotazione devono essere conservati per almeno 30 giorni, per permettere eventualmente l’identificazione dei passeggeri dal posto assegnato. I piloti di voli dalla Cina devono informare le autorità sullo stato di salute dei passeggeri prima dell’atterraggio: se c’è un caso sospetto, il servizio medico dell’aeroporto lo esaminerà direttamente a bordo, e deciderà come procedere. Anche il personale delle ferrovie ha l’obbligo di denunciare alle autorità la presenza di passeggeri con sintomi.

Il comitato di crisi ha anche deciso la cancellazione di grandi eventi come l’ITB Tourism Fair che avrebbe dovuto tenersi questa settimana a Berlino.

In generale, comunque, il Robert Koch Institute ha fatto sapere che continuerà ad attenersi alla procedura di isolare il paziente infetto e provare a identificare tutte le persone con cui è entrato in contatto, anche se coscienti che potrebbe verificarsi un nuovo focolaio che potrebbe essere impossibile da controllare. Secondo RKI chiudere e isolare le città tedesche, invece, non sarebbe utile.

Nel Regno Unito i dati diffusi dal governo contano 105 casi positivi di contagio da nuovo Coronavirus.

Secondo Public Health England, l’agenzia esecutiva del Dipartimento della sanità e dell'assistenza sociale nel Regno Unito, una trasmissione diffusa del Covid-19 in UK è “altamente probabile”. Il direttore Paul Cosford ha dichiarato che, considerata la diffusione negli altri paesi, il Regno Unito deve prepararsi per un contagio più ampio.

Anche il Primo Ministro Boris Johnson ha affermato che potrebbe esserci una «espansione molto significativa» del numero dei casi di Coronavirus nel paese.

Dopo aver istituito una “sala operativa” nell’ufficio di gabinetto, il governo ha lavorato a un “piano d’azione” per rispondere all’emergenza e contenere la diffusione del virus. Johnson ha spiegato che non si tratta di un elenco «di ciò che il governo farà, ma stabilisce le cose che potremmo fare al momento giusto e sulla base di pareri scientifici».

Oltre all’aumento di iniziative di sensibilizzazione verso la necessità di rispettare norme di igiene e di non andare al lavoro se si è malati, il piano prevede misure di “distanziamento sociale”, ossia volte a ridurre i contatti tra le persone per ritardare il picco dell’epidemia. Queste includono chiusura di scuole, smart working, riduzione di grandi eventi. Fermo restando che il paese dovrebbe andare avanti “il più normalmente possibile”.

In ogni caso, ha detto Johnson, le scuole resteranno aperte «se possibile», seguendo i suggerimenti del Public Health England.

Il documento affronta il caso in cui molto personale delle forze dell’ordine fosse contagiato e impossibilitato al lavoro. In questa eventualità, le forze di polizia dovrebbero concentrare il loro impegno nella risposta solo ai reati più seri e al mantenimento dell’ordine pubblico, e l’esercito potrebbe essere chiamato in caso di bisogno.

Le autorità locali inglesi potranno rivolgersi ai tribunali per imporre quarantena e visite mediche, limitando i movimenti di persone che sono casi sospetti o sono state esposte alla malattia. Poteri simili sono già stati dati a polizia e autorità sanitarie.

Per quanto riguarda la sanità, è possibile anche che cure e trattamenti ospedalieri non urgenti vengano rimandati o ritardati per far sì che le strutture si concentrino sui pazienti affetti da Coronavirus, mentre medici e infermieri pensionati potrebbero essere richiamati al lavoro per far fronte all’epidemia.

Durante questa settimana, infine, si legge in un comunicato ufficiale, il governo lancerà una campagna di informazione pubblica rivolta ai cittadini, con comportamenti da tenere per limitare la diffusione del virus – tra cui “lavarsi le mani regolarmente con acqua e sapone”. Successivamente, sarà presentato un nuovo disegno di legge “per assicurare che il governo abbia tutti i poteri necessari per prepararsi all’epidemia di Coronavirus e per affrontarla”.

Anche in Spagna il numero di casi di Coronavirus è in aumento: 242 contagi, tra cui almeno 13 coinvolgono personale sanitario. Martedì 3 marzo la Generalitat Velenciana ha comunicato il primo morto nel paese positivo al Coronavirus, un uomo morto con una polmonite di origine sconosciuta lo scorso 13 febbraio.

Lunedì il direttore del Centro di coordinamento per gli allarmi e le emergenze sanitarie del Ministero della Salute, Fernando Simón, ha spiegato che le autorità spagnole stanno considerando l’ipotesi di aumentare il livello di precauzioni da “contenimento” a “mitigazione”, ma solo a Torrejón de Ardoz e Vitoria, tra le aree più colpite. In quest’ultima città, nei Paesi Baschi, il contagio da Coronavirus si è insinuato all’interno di due ospedali, e oltre 100 operatori sanitari in isolamento su un totale di 220 monitorati perché con sintomi sospetti. Una situazione che ha portato il governo locale a pensare di offrire contratti a tempo determinato a laureati in medicina per sopperire alla crisi di personale.

«Se lo scenario cambierà, ci saranno restrizioni per quanto riguarda assembramenti di persone», ha detto Simón, aggiungendo che misure del genere hanno un grosso impatto economico e sociale per le aree prese in considerazione, «quindi dobbiamo aspettare fino al momento in cui saranno necessarie: né prima, né troppo tardi». Simón ha anche parlato della possibilità di smart working per gli abitanti di Torrejón de Ardoz e Vitoria.

Come racconta El Pais, una delle misure che sono state già messe in atto concerne l’individuazione dei nuovi casi: adesso i test vengono somministrati ai pazienti che presentano i sintomi del Coronavirus, anche se non sono stati in zone a rischio o a contatto con persone contagiate.

Altre decisioni riguardano le regole per i grandi eventi sportivi, in particolare quelli che coinvolgono squadre provenienti da zone con un grande numero di contagi. Martedì pomeriggio il ministro della Salute, Salvador Illa, ha dichiarato che per le competizioni sportive professionistiche in cui è prevista un’alta presenza di tifosi provenienti dalle aree a rischio, «la raccomandazione è che si tengano a porte chiuse». Il provvedimento coinvolge, ad esempio, partite di calcio che coinvolgono Atalanta, Inter e Roma e l’Olimpia Milano di pallacanestro.

Il ministro ha ricordato che le aree a rischio sono le quattro regioni italiane di Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, l’Iran, Singapore, Corea del Sud e Cina. In queste zone, ha aggiunto, sarebbe meglio non viaggiare, se non necessario.

Illa ha infine comunicato che sono sospesi tutti quei congressi, seminari o corsi che coinvolgono il personale sanitario.

Negli Stati Uniti il numero di contagiati è di 215 persone in 20 Stati, stando a quanto raccolto dal New York Times. Diverse di queste si trovavano sulla nave da crociera Diamond Princess, e sono adesso in quarantena all’interno di ospedali o di basi militari. Mike Pence, vicepresidente USA messo da Donald Trump a capo del team che gestirà la crisi, ha detto che oltre 40 sono casi autoctoni (domestic cases), perlopiù in California e nello stato di Washington. Sempre secondo il conteggio del NY Times, sono nove le persone decedute positive al Coronavirus.

Gli esperti sostengono che i numeri di effettivi contagi negli Stati Uniti potrebbero essere molto maggiori rispetto a quanto rilevato finora.

Covid-19 è arrivato negli USA in due modi: attraverso persone infette che sono rientrate dalla Cina e attraverso chi è entrato in contatto con persone provenienti da Cina o altri paesi con casi di nuovo Coronavirus. Come riporta Al Jazeera, l'amministrazione Trump è stata molto criticata per la sua risposta al diffondersi del virus, e per il ritardo nella consegna dei kit per i test ai singoli stati, "rallentando il processo di individuazione e isolamento dei casi, cruciale per il contenimento della malattia".

Agli inizi di febbraio, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) ha dichiarato di aver spedito ai laboratori degli stati circa 200 test. Dopo due settimane, ha annunciato che i test erano imperfetti, e ha chiesto ai dipartimenti sanitari statali di inviare tutti i campioni alla sede centrale del CDC ad Atlanta, ritardando significativamente il processo. Un altro problema riguardava i criteri per i test, inizialmente focalizzati nell'effettuare tamponi per la ricerca del Covid-19 sulle persone che erano rientrate dalla Cina e sui loro stretti contatti.

Il 28 febbraio, però, è stato annunciato il primo caso negli USA con un’origine sconosciuta, ossia senza alcun legame con la Cina. Da quel momento, sono stati identificati altri casi simili. Come ha spiegato alla CNN il dottor Dean Blumberg, specialista in malattie infettive all’ UC Davis Medical Center, «questo suggerisce che il virus è là fuori all’interno della comunità, e significa che tutti sono a rischio. Non sappiamo chi potrebbe averlo, non sappiamo da chi potrebbe averlo preso».

Lo stesso giorno il CDC ha annunciato che il problema con i kit per i test era stato risolto, e che li avrebbe mandati ai laboratori nel paese, insieme a nuove linee guida sui casi sospetti da sottoporre a tampone. Secondo USA Today, "tutti i laboratori statali e locali, nonché privati qualificati, dovrebbero essere in grado di condurre i test entro la fine di questa settimana". Inoltre, la Food and Drug Administration (FDA), l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha ampliato la sua policy e di conseguenza la capacità diagnostica, consentendo a centinaia di laboratori di usare i propri test dopo essere stati convalidati, invece di attendere che l'agenzia completi la revisione dei tamponi. Secondo gli esperti, questo comporterà una grande crescita di casi nelle prossime settimane.

Il segretario per la Salute USA Alex Azar ha chiesto al Congresso 2,5 miliardi di dollari di finanziamenti per monitorare e individuare il virus, supportare i governi statali e locali, sviluppare vaccini e cure e fare scorte di dispositivi di protezione, come le mascherine. Ma, scrive Quartz, questi soldi potranno fare poco per affrontare un problema fondamentale negli USA: il costo elavato di andare dal medico.

L'articolo ripercorre il caso di Osmel Martinez Azcue, cittadino americano che, di ritorno a Miami dalla Cina con sintomi influenzali, si è recato al Jackson Memorial Hospital avendo paura di aver contratto il nuovo Coronavirus. L'ospedale gli ha proposto una Tac, ma l'esame era troppo oneroso per la sua assicurazione sanitaria. Ha chiesto quindi che gli venisse fatto un test per l'influenza. Il test è risultato positivo - dunque Azcue aveva solo un'influenza, non il Coronavirus. Due settimane dopo, all'uomo è arrivata una notifica dalla sua assicurazione sanitaria con un conto di 3.270 dollari. Di questi, avrebbe potuto pagarne solo 1.400 se avesse fornito una documentazione addizionale che attestava che nei tre anni precedenti all'influenza non aveva avuto problemi collegati.

Quello dell'ingente costo delle cure mediche - unito alla mancanza dei giorni di malattia pagati - secondo gli esperti è un problema che andrebbe affrontato quando si parla di strategie di contenimento del Coronavirus, più delle raccomandazioni igieniche.

Secondo il CDC, il contenimento del Coronavirus è una priorità, perché non c'è vaccino per prevenirlo né medicine per curarlo. Per fare questo, raccomanda che le aziende prendano in considerazione il telelavoro, che i dipendenti scolastici evitino i contatti troppo ravvicinati, preferendo soluzioni di e-learning in caso di chiusura delle scuole. Inoltre, "si consiglia alle persone con problemi respiratori di vedere un medico presto". Ma come riporta il Guardian, è noto che gli americani, "e in particolare coloro che hanno piani di assicurazione sanitaria molto onerosi o nessuna assicurazione, evitino di andare dal medico proprio per i costi". Secondo un sondaggio del 2018, gli americani hanno paura di pagare per l'assistenza sanitaria se si ammalano gravemente (il 40%) più che di prendere una malattia grave in sé (33%).

Fino a questo momento le misure prese in atto a livello centrale dagli Stati Uniti riguardano le restrizioni sui voli. Sabato, l’amministrazione Trump ha comunicato limitazioni sui viaggi da Iran, Italia e Corea del Sud.

Pence ha detto che il travel ban esistente nei confronti dell’Iran sarà esteso ai cittadini stranieri che hanno visitato il paese negli ultimi 14 giorni, e ha esortato gli americani a non viaggiare nelle regioni italiane più colpite dal virus e in Corea del Sud. Sono state inoltre imposte delle restrizioni per chi fa ingresso negli Stati Uniti dalla Cina.

Il giorno successivo Trump ha annunciato nuove procedure di screening per chi viaggia verso gli Stati Uniti: oltre a essere controllati all’imbarco, i viaggiatori da paesi “considerati ad alto rischio” saranno sottoposti a controlli anche al loro arrivo in America.

Per “paesi ad alto rischio”, l’amministrazione ha poi chiarito di riferirsi a Italia e Corea del Sud, e “altri Stati europei se ce ne fosse bisogno”. I controlli esistono invece già per coloro che entrano negli Stati Uniti e sono stati in Cina negli ultimi 14 giorni.

In Iran le autorità hanno dichiarato 3513 casi di Coronavirus e un totale di 107 morti positivi al virus. Oltre 20 tra membri del parlamento o funzionari del governo sono stati contagiati.

Per la prima volta dalla rivoluzione del 1979 sono state cancellate le preghiere del venerdì, così come tutte le partite di calcio. Come riporta il Guardian in un approfondimento sulla situazione del paese, scuole, università, teatri e cinema sono chiusi, mentre i centri commerciali sono praticamente vuoti. Il consumo di acqua, dovuto al frequente lavaggio delle mani, ha raggiunto il picco solitamente registrato a luglio. A tutti i politici è stato detto di evitare il pubblico, e persino il portavoce del governo, Ali Rabiei, tiene le conferenze stampa in diretta streaming.

Il virus è arrivato ufficialmente nella città di Qom il 19 febbraio, probabilmente portato da un commerciante iraniano che ha regolari scambi con la Cina. “Una combinazione letale di fattori, compreso l'effetto debilitante di anni di sanzioni statunitensi, un servizio sanitario fatiscente e bassi livelli di fiducia nel governo, ha cospirato per rendere l'Iran il paese che ha il più alto tasso di mortalità per la malattia”, scrive il Guardian, che sottolinea come sebbene molti iraniani si siano adattati alla situazione, la vera questione è se il governo si sia mosso adeguatamente per contrastare l’epidemia.

Il dipartimento per la Salute iraniano sostiene che le cifre comunicate sono veritiere e il direttore generale dell’OMS, Adhanom, ha dichiarato di non avere prove che l’Iran stia coprendo l’entità della diffusione del virus. Ma sono in molti ad avere dubbi in proposito, soprattutto per quanto riguarda il tasso di letalità, molto più alto rispetto agli altri paesi, per cui è probabile che i casi reali di contagio siano molti di più.

L’ayatollah Ali Hosseini Khamenei, guida suprema dell’Iran, ha accusato altri paesi di nascondere la verità, minimizzando la situazione nel paese: l’esistenza del virus sarebbe stata utilizzata come “propaganda” per scoraggiare gli elettori iraniani a recarsi ai seggi due settimane fa.

A fine febbraio il ministro per la Salute aveva ammesso qualche difficoltà nel contenimento della malattia, ma ha assicurato che da quel momento la diffusione sarebbe stata sotto controllo, affermando di aver già preso le misure necessarie: ci sono “squadre sanitarie” agli ingressi delle città per prevenire che viaggiatori infetti diffondano la malattia, sono stati istituiti oltre 1000 laboratori per i test, è stata intensificata la produzione di maschere e detergenti e circa 300.000 volontari vengono addestrati per andare porta a porta a verificare l’esistenza di casi non rilevati.

I sospetti riguardano anche la lentezza delle autorità iraniane nella risposta all’epidemia, specialmente nel mettere in quarantena le città più colpite. La scorsa settimana BBC Persia, citando fonti ospedaliere, è stata la prima emittente a suggerire che il regime stesse coprendo qualcosa sulla diffusione della malattia, sostenendo che oltre 2000 persone sarebbero già morte con il virus.

Abdolreza Fazel, medico iraniano a capo dell’autorità sanitaria nella provincia di Golestan, ha dichiarato di aver diagnosticato il virus su 594 pazienti, e che la capitale della provincia era travolta dall’epidemia. Il vicerettore dell’Università di Medicina e servizi sanitari di Qom, Ali Abrazeh, ha affermato lunedì che 700 persone sono state ricoverate in ospedale in città, di cui 100 solo domenica.

La stessa cosa starebbe succedendo nelle strutture sanitarie di altre città, mentre circolano video di medici che lamentano la mancanza di kit di protezione.

In Corea del Sud sono stati registrati 6.284 casi positivi al nuovo Coronavirus, 532 solo il 3 marzo, dopo il picco di 909 nuovi contagi del 29 febbraio. Il numero delle persone decedute risultate positive a "COVID-19" è salito a 42. Questa situazione sta mettendo a dura prova il sistema ospedaliero sud-coreano. Il governo è impegnato a trovare letti per migliaia di persone contagiate e sta adibendo strutture religiose, militare e statali come cliniche temporanee. 

Secondo quanto dichiarato dall’OMS, i casi di contagio si sono concentrati in 5 grandi concentrazioni e non riguardano tutto il paese. Quasi il 90% di chi ha contratto il virus è residente a Daegu, a sud-est del paese. In gran parte, i pazienti presentano sintomi lievi. 

Dietro l’improvvisa e rapida diffusione del virus, intorno al 20 febbraio, si ritiene ci sia un un membro (noto come "paziente 31") di una chiesa marginale chiamata Shincheonji, riporta Al Jazeera

«Se avessero preso misure attive, avremmo potuto impedire la morte di molte persone», ha dichiarato il sindaco di Seul Park Won-soon. I test hanno rivelato tassi di infezione molto alti tra i membri della chiesa del giudizio universale, il 60% dei casi in Corea del Sud. Il gruppo è stato preso di mira dopo alcune voci secondo le quali alti funzionari, incaricati di contenere il nuovo Coronavirus a Daegu, erano seguaci di Shincheonji ed erano risultati positivi al test. Alcuni giorni fa, Lee Man-hee, 88enne fondatore e leader di Shincheonji, si è inchinato davanti alla televisione nazionale in un gesto di scuse. La chiesa è convinta, tuttavia, di essere diventata il capro espiatorio della propagazione del virus e di pagare per la gestione della crisi da parte dell’amministrazione coreana.

Più di 130mila persone sono state testate per cercare e isolare i positivi al virus. In tutto il paese, il governo ha riconvertito 48 drive-in in aree dove le persone possono essere esaminate senza uscire dalle proprie auto, nel tentativo di limitare le possibilità di esposizione al virus.

L’amministrazione del presidente Moon Jae-in ha approvato un pacchetto di misure che comprende la distribuzione di oltre 7 milioni di maschere ai residenti di Daegu e agevolazioni fiscali per le aziende che stanno subendo contraccolpi a causa di “COVID-19”. Inoltre, il presidente ha annunciato di aver annullato i suoi viaggi negli Emirati Arabi Uniti, in Egitto e in Turchia, programmati per metà marzo. Almeno 92 paesi hanno imposto restrizioni agli arrivi dalla Corea del Sud, secondo quanto riportato da Reuters.

Cosa dice l’OMS: “COVID-19 può essere contenuto con un approccio globale e la solidarietà di tutti”

Nella conferenza stampa del 3 marzo, il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha voluto precisare alcune caratteristiche che rendono “COVID-19” una malattia con caratteristiche uniche, diversa da SARS e MERS e dall’influenza, seppur manifestandosi con sintomi che possono far pensare proprio all’influenza e diffondendosi allo stesso modo, attraverso piccole goccioline di liquido dal naso e dalla bocca di qualcuno che è malato.

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In base ai dati finora a disposizione, “COVID-19” si diffonde in modo meno efficiente dell’influenza, non sembra essere trasmessa da persone infette ma non ancora malate (principali agenti di contagio nel caso dell’influenza), ma causa malattie più gravi, per le quali non ci sono ancora vaccini e terapie, è più letale (circa il 3,4% delle persone infette nel mondo è deceduto, per l’influenza stagionale muore lo 0,1% delle persone infette), ma può essere contenuta attraverso un approccio globale.

Per tutti questi aspetti, ha spiegato Tedros Adhanom Ghebreyesus, “COVID-19” non può essere trattata come l’influenza, «ma ci sono abbastanza somiglianze da poter dire che i paesi non stanno iniziando da zero. Per decenni, molti paesi hanno investito nella costruzione dei loro sistemi per rilevare e rispondere all'influenza. E siccome “COVID-19” è anche un patogeno respiratorio, tali sistemi possono e cominciano a essere adattati alla nuova malattia».

In Cina, ha proseguito il direttore generale dell’OMS, solo l’1% dei casi segnalati è risultato asintomatico. La maggior parte dei casi ha manifestato sintomi a 2 giorni dal contagio. L’unico modo per capire che qualcuno abbia contratto “COVID-19” senza essersene accorto e sia stato contagioso è fare test su buona fetta della popolazione per cercare di sapere se le persone hanno sviluppato gli anticorpi alla malattia. Diversi paesi stanno svolgendo studi di questo tipo che daranno ulteriori indicazioni sull’entità dell’infezione nelle popolazioni nel tempo.

Tuttavia, l’OMS si è detta preoccupata che questi grandi sforzi di analisi dei casi, di contenimento dell’epidemia e di guarigione dei malati, rischiano di essere compromessi dalla grave e crescente carenza della fornitura globale di dispositivi di protezione individuale, «causata da una domanda crescente, da un accumulo e un uso improprio da parte delle persone» che sta lasciando medici, infermieri e altri operatori sanitari senza guanti, maschere mediche, respiratori, occhiali protettivi, visiere, abiti e grembiuli. «Non possiamo fermare “COVID-19” senza proteggere i nostri operatori sanitari», ha concluso Tedros Adhanom Ghebreyesus.

La scorsa settimana l’OMS ha presentato il rapporto finale elaborato da un team di esperti internazionali inviati in Cina per valutare la situazione. Lo studio ha analizzato le catene di trasmissione del nuovo Coronavirus, la sua origine, la composizione demografica degli ammalati, i contatti attraverso i quali avviene il contagio, concentrandosi poi in particolare sui contesti familiari, dove è più facile infettare le persone che abbiamo accanto.

Le conclusioni cui sono arrivati gli esperti (che hanno visitato Pechino, Wuhan, Shenzhen, Guangzhou e Chengdu) sono molto simili a quelle della ricerca pubblicata dal Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) a metà febbraio sul Chinese Journal of Epidemiology, il più grande studio fino ad allora disponibile su “COVID-19” in Cina. Secondo il rapporto degli esperti dell’OMS – che ha preso in esame la situazione delle 44.672 persone infette in Cina fino al 17 febbraio 2020 – l’80% di chi si ammala mostra sintomi lievi, il 20% ha bisogno di cure ospedaliere per diverse settimane, il 3,4% muore (nello studio del CDC cinese era il 2,3%).

La letalità della malattia è fortemente legata a patologie preesistenti e alla risposta del sistema sanitario. Nel 13,2% dei casi sono morte persone con malattie cardiovascolari, nel 9,2% con diabete non controllato, nell’8,4% persone affette da ipertensione, nell’8% da malattie respiratorie croniche e nel 7,6% malate di cancro. L’1,4% non aveva alcuna malattia rilevante precedente.

L’età media dei pazienti è di 51 anni, la maggior parte dei casi (77,8%) ha tra i 30 e i 69 anni. Il più delle volte (78-85%) il contagio è avvenuto in famiglia attraverso le goccioline del respiro delle persone infette (tramite la tosse, gli starnuti, il contatto diretto con le mani contaminate non ancora lavate). La diffusione per via aerea, come spiegava anche il direttore generale dell’OMS nella conferenza stampa del 3 marzo, non è stato ancora rilevato come mezzo di trasmissione dell’infezione.

I sintomi più comuni sono la febbre (88%) e la tosse secca (68%), seguiti dalla sensazione di spossatezza (38%), l’espettorazione di muco quando si tossisce (33%), il respiro corto (18%), mal di gola, mal di testa, dolori muscolari (14%) e brividi (11%). Meno frequenti sono la nausea e il vomito (5%), il naso chiuso (5%) e la diarrea (4%). 

Il nuovo virus è geneticamente identico per il 96% a un Coronavirus noto nei pipistrelli e per l'86-92% a uno presente nei pangolini (noti come formichieri squamosi). Pertanto, spiegano gli esperti, la trasmissione di un virus mutato dagli animali all'uomo è la causa più probabile della comparsa del nuovo Coronavirus.

Infine, gli esperti dell’OMS hanno lodato le misure drastiche adottate dal governo cinese e hanno invitato gli altri paesi a seguirne l’esempio.

Dalla fine di gennaio, il numero di nuove diagnosi di Coronavirus in Cina è in costante calo. Alla luce dei loro sopralluoghi, gli esperti hanno potuto constatare una diminuzione delle diagnosi (329 il 17 febbraio 2020, 3.000 circa al giorno a gennaio), delle visite ospedaliere nelle regioni colpite, del numero di letti occupati nelle strutture sanitarie, del numero di contagiati da monitorare per gli studi clinici da parte degli scienziati. 

via OMS

Il rapporto loda l’azione di monitoraggio delle persone infette svolta dalla Cina, che sta intervistando chi è rimasto contagiato per tracciare la rete dei propri contatti e sottoporli a test. Ci sono 1.800 squadre a Wuhan, ognuna con almeno 5 persone. Ma lo sforzo è stato grande anche a Shenzhen (su 2.240 persone contattate – il 100% della rete dei contagiati intervistati – il 2,8% aveva contratto il virus), a Sichuan (su 25.347 persone, lo 0,9% è risultato infetto), a Guangdong (su 9.939 contatti, il 4,8% aveva “COVID-19”). In base a questi dati si è potuto stabilire che ogni persona infetta poteva contagiare tra l’1% e il 5% dei suoi contatti. 

“L'approccio coraggioso della Cina per contenere la rapida diffusione di questo nuovo patogeno respiratorio ha cambiato il corso di un'epidemia in rapida ascesa e mortale”, scrivono gli esperti dell’OMS. “Di fronte a un virus precedentemente sconosciuto, la Cina ha lanciato forse lo sforzo più ambizioso, agile e aggressivo di contenimento della malattia nella storia: l'uso rigoroso di misure non farmaceutiche per contenere la trasmissione del virus ‘COVID-19’ in molteplici contesti fornisce lezioni vitali per quella che deve essere la risposta globale. Questa risposta di salute pubblica piuttosto unica e senza precedenti in Cina ha invertito l’andamento dell’epidemia a Hubei e altrove”.

Gli esperti proseguono affermando che “gran parte della comunità globale non è ancora pronta, nella mentalità e materialmente, ad attuare le misure che sono state impiegate per contenere ‘COVID-19’ in Cina. Queste sono le uniche misure che attualmente hanno dimostrato di riuscire a interrompere o ridurre drasticamente le catene di trasmissione della malattia tra gli esseri umani”. 

L’esempio della Cina, conclude il rapporto, dimostra che si può ridurre e, addirittura, fermare la diffusione sorprendentemente veloce di “COVID-19”, attraverso misure non farmaceutiche che integrino l’azione di sanità pubblica: “È fondamentale la sorveglianza proattiva per rilevare immediatamente i casi, fare diagnosi rapidamente e procedere all’isolamento immediato dei casi, svolgere un monitoraggio rigoroso e mettere in quarantena i contatti stretti, comunicare e far accettare alla popolazione il livello eccezionalmente elevato delle misure adottate”.

Queste affermazioni sono state condivise anche dal direttore dell’Istituto di Genetica Molecolare del CNR, Giovanni Maga, che commentando i dati sull’Italia (che vedono un 5% di casi critici in più rispetto alla Cina, secondo quanto riportato dallo studio dell’OMS), ha sottolineato “la necessità di continuare nelle misure di contenimento per abbattere il più possibile il numero dei casi” e proteggere le persone a rischio. “La criticità maggiore di questo virus non è la letalità, che rimane sostanzialmente concentrata sulle persone più fragili, ma l'incidenza delle forme che richiedono assistenza ospedaliera”. 

COVID-19 andrà via con i primi caldi?

Una delle ipotesi diffuse da quando è iniziata l’epidemia del nuovo Coronavirus è che con i primi caldi nell’emisfero settentrionale “SARS-CoV-2” (e la malattia “COVID-19”) andrà via del tutto. Secondo uno studio ancora in attesa di verifica, il nuovo Coronavirus sopravviverebbe in un intervallo di temperature tra i 13 e i 24 gradi. “L'aria calda e le basse temperature per più di una settimana aiutano a eliminare il virus”, si legge nel report. 

Ma, spiega Marc Lipsitch, professore di Epidemiologia all’Università di Harvard, è altamente improbabile che le temperature più alte da sole siano in grado di affievolire (fino a far scomparire) “SARS-CoV-2”. Al massimo, ci si potrebbe aspettare un calo della contagiosità grazie alle condizioni climatiche più calde e umide e, forse, alla chiusura delle scuole in quel periodo dell’anno. 

Anche per i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti (CDC) “non è ancora possibile sapere se le temperature più alte influenzeranno la diffusione di COVID-19”.

La convinzione che i primi caldi possano fermare la diffusione del nuovo Coronavirus poggia su due miti che vanno sfatati, spiega l’epidemiologo. 

Il primo sostiene che “anche SARS è andata via con l’aumento delle temperature”. Ma quest’affermazione non è vera. SARS non è stata debellata dai primi caldi, ma è stata sconfitta grazie alle misure drastiche di isolamento e contenimento messe in atto in Cina continentale, Hong Kong, Vietnam, Thailandia, Canada e altri paesi. Sono stati presi provvedimenti di “distanziamento sociale”, isolati i casi di contagio e messi in quarantena i loro contatti. Queste azioni sono state efficaci perché nel caso di SARS le persone più contagiose erano quelle malate in modo chiaro e serio. Questo ha consentito di isolare la catena di trasmissione della malattia. A ulteriore conferma che a fermare SARS non sono stati i primi caldi, ma gli interventi di isolamento del Coronavirus, c’è stata la seconda ondata di epidemia in Canada, ripresa dopo che le misure di precauzione erano state interrotte.

Il secondo afferma che “SARS-CoV-2 sarà stagionale come i raffreddori comuni e avrà una scarsa trasmissione d’estate”. In questo caso si tratta di un’ipotesi ancora priva di evidenze: non sappiamo se si possano fare analogie tra il nuovo Coronavirus e i Coronavirus umani comuni e, soprattutto, i virus stagionali più comuni si comportano diversamente da quelli che si sono diffusi negli ultimi decenni.

Nella diffusione, stabilizzazione, riduzione e, infine, scomparsa dei virus, spiega Lipsitch, concorrono almeno quattro fattori. 

Il primo è ambientale. Mentre è certo che l’aria fredda secca nei paesi temperati crea condizioni favorevoli per la trasmissione dell’influenza, per i coronavirus non è possibile stabilire l’importanza di questo fattore. Un recente articolo (in versione pre-stampa e, dunque, in attesa di valutazione) mostra che il virus ha avuto una trasmissione significativa a Singapore, sull’Equatore, nel mese di febbraio. Tuttavia, pur avendo alte temperature, ci sono differenze tra Singapore a febbraio e una zona temperata in estate – diversa durata del giorno, radiazioni ultraviolette, altri fattori che possono essere importanti per il Coronavirus – e, quindi, è ancora presto per sapere cosa potrà accadere d’estate.

Poi ci sono i comportamenti degli esseri umani. D’inverno il contagio è più facile perché le persone trascorrono più tempo al chiuso con minore ventilazione rispetto all’estate. In questo periodo dell’anno le scuole sono un luogo di trasmissione di malattie molto infettive, come per esempio nel caso della varicella, il morbillo e l’influenza. Nel 2009 negli Stati Uniti l’influenza pandemica si è ridotta in estate per tornare rapidamente a propagarsi a settembre.

Tuttavia, questo discorso non può essere fatto per “SARS-CoV-2”. Pochi bambini sono stati contagiati. Questo può significare due cose: che non si ammalano facilmente e non sono contagiosi. Oppure hanno sintomi lievi e sono ugualmente infettivi. O qualcosa a metà tra queste due situazioni. Sapere questo sarà fondamentale per capire se sarà utile chiudere le scuole e per quanto tempo per controllare la diffusione di COVID-19.

Un altro fattore rilevante di cui tenere conto è il sistema immunitario delle persone che si infettano. È possibile che il sistema immunitario di un individuo medio sia sistematicamente peggiore d’inverno che d’estate. Tra le ipotesi fatte, quella con maggiori evidenze a suo sostegno sostiene che l’integrazione di vitamina D modula in positivo il nostro sistema immunitario e riduce l’incidenza delle infezioni respiratorie acute, secondo una meta-analisi di studi randomizzati. I livelli di vitamina D dipendono in parte dall’esposizione alle luci ultra-violette, d’estate più alte. Tuttavia, spiega Lipsitch, la rilevanza di questo fattore sembra incerta rispetto a una possibile riduzione del virus.

Infine, c’è l’esaurimento dei suscettibili alla malattia. Le epidemie aumentano in modo esponenziale, si stabilizzano e poi calano in base al numero di contatti sensibili al virus anche senza alcuna variabilità stagionale. Quindi man mano che cala il numero delle persone suscettibili alla malattia, l’epidemia diventa meno contagiosa. Questo fattore interagisce con altri stagionali per produrre epidemie ricorrenti ogni anno nello stesso periodo.

I vecchi virus, nei confronti dei quali gran parte della popolazione ha sviluppato un’immunità, riescono a diffondersi solo in condizioni favorevoli, come ad esempio di inverno, infettando persone che non sono immuni.

Nel caso dei nuovi virus, invece, possono verificarsi infezioni stagionali “fuori stagione”. Come accadde, ad esempio, con l’influenza pandemica del 2009 negli USA che iniziò ad aprile-maggio (molto al di là della stagione influenzale), si è fermata d’estate (perché in quel caso i bambini erano un vettore importante) per poi tornare a propagarsi a settembre-ottobre, molto prima dell’inverno e della stagione delle influenze.

Per tutti questi aspetti, conclude Lipsitch, per quanto – pur non conoscendo ancora i meccanismi responsabili – ci si possa aspettare che il nuovo Coronavirus si comporti come altri betacoronavirus e sia meno contagioso in estate, non dobbiamo attenderci che il calo atteso sia sufficiente a fermare la sua diffusione da solo. In sintesi, non basteranno le temperature più alte a fermare da sole “SARS-CoV-2” perché l’immunità è ancora bassa e quindi potrebbe diffondersi anche fuori stagione.

Ci si può ammalare di nuovo dopo aver preso “COVID-19”?

La scorsa settimana, in Giappone è stato segnalato il caso di una donna di Osaka risultata positiva per la seconda volta al nuovo Coronavirus, stando a quanto comunicato dalle autorità sanitarie locali. La donna aveva accusato lievi sintomi da “COVID-19” a gennaio ed era stata dimessa il primo febbraio, una volta che sembrava essere guarita. Il 26 febbraio, però, la donna è risultata nuovamente positiva dopo essersi presentata in ospedale per un forte mal di gola e dolori al petto.

Nonostante questo caso (e altre segnalazioni di reinfezioni in Cina) gli epidemiologi sono cauti sulla possibilità che si possa restare contagiati due volte dal nuovo Coronavirus. Come spiega sempre Marc Lipsitch al New York Times, i casi segnalati sono interessanti ma le conoscenze su “SARS-CoV-2” sono ancora troppo poche per poter capire se si tratti di nuove infezioni o di recidive. 

Alcuni studi pubblicati nelle scorse settimane hanno sollevato l’ipotesi che si tratta di casi in cui il tampone dà esito negativo anche se la persona sottoposta al test è ancora infetta. Questo può accadere per il modo in cui è stato prelevato il campione da analizzare attraverso il tampone o per la qualità del campione stesso, come sottolinea su Twitter Florian Krammer, immunologo e virologo del dipartimento di Microbiologia dell’Icahn School of Medicine at Mount Sinai, negli Stati Uniti. Inoltre, aggiunge Krammer, il fatto che qualcuno continui a risultare positivo anche dopo essere guarito, non significa che sia automaticamente contagioso: «Ad esempio, l'RNA del morbillo può essere rilevato per mesi nei pazienti, molto tempo dopo che i sintomi siano scomparsi. Questo vale anche per altri virus. E penso che questo sia lo scenario più probabile pure in questo caso».

Una ricerca, pubblicata la scorsa settimana su JAMA, ha individuato un’altra possibile causa: e cioè che i pazienti siano ancora portatori del virus anche settimane dopo che i sintomi sono scomparsi. Lo studio ha preso in esame il caso di 4 operatori sanitari cinesi (di cui uno ospedalizzato) che, dopo essere guariti e aver rispettato tutti i protocolli di quarantena, sono risultati nuovamente positivi a controlli successivi. Secondo i ricercatori, il test è riuscito a rilevare la presenza del virus anche se i pazienti erano guariti perché le analisi sono in grado di registrare anche cariche virali basse.

Si tratta ancora di ricerche preliminari e su pochi casi, ma importanti, spiegano gli autori dello studio, perché – se applicate su numeri più ampi – consentirebbero di comprendere meglio la prognosi della malattia.

Nel caso della paziente giapponese, una delle ipotesi è che sia stata dimessa quando non era ancora completamente guarita e quindi il virus ha ripreso ad agire determinando una ricaduta.

È come quando si toglie la muffa da un barattolo di marmellata, ne resta un poco che non riusciamo a vedere e questa ricomincia a formarsi, spiega Lipsitch: «Il test per il coronavirus è positivo se il virus è presente in quantità sufficienti nel momento in cui fai il tampone. Un test negativo non dice in modo definitivo che non ci sia più il virus in quella persona».

Riuscire a capire se le persone infette dal nuovo Coronavirus producono gli anticorpi che li proteggeranno in futuro è una questione fondamentale per sviluppare il nuovo vaccino e anche per stabilire una volta per tutte se “SARS-CoV-2” diventerà endemico come l’influenza stagionale, aggiunge Lipsitch.

Alcuni scienziati lo ritengono probabile mentre uno studio rivolto all’analisi di un singolo paziente suggerisce che l'immunità può durare almeno 7 giorni. Una scoperta né sorprendente né confortante, ha affermato sempre al New York Times il dott. Stanley Perlman, esperto di Coronavirus dell'Università dell'Iowa: «Ci interessa capire se lo troveremo tra 7 mesi o tra 1 anno».

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Il nuovo coronavirus – spiega Perlman – ricorda da vicino quelli che causano la SARS e, in misura minore, il MERS. In entrambi i casi, le segnalazioni di reinfezione sono state nulle (SARS) o una sola (MERS). Gli studi svolti dallo studioso statunitense su MERS hanno dimostrato che la forza della risposta immunitaria dipende dalla gravità dell'infezione, ma che anche in quelli con patologie gravi – che dovrebbero produrre le risposte immunitarie più forti – l'immunità sembra svanire nell’arco di un anno.

[L'articolo sarà in continuo aggiornamento]

Immagine in anteprima via Pixabay.com

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