Coronavirus, è ancora troppo presto per parlare con certezza di declino della diffusione e diminuzione dei decessi
16 min letturaNei giorni scorsi sono stati diffusi nuovi dati sulla contagiosità e la pericolosità del Coronavirus che hanno fatto pensare a un rallentamento della propagazione dell’epidemia in Cina e a una sua bassa letalità. Ma medici e scienziati continuano a invitare alla cautela e a mettere in guardia dal pensare che il peggio sia passato.
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Mercoledì 19 febbraio, il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, collegato sull’app di messaggistica cinese WeChat per evitare rischi di contagio tra la stampa, ha comunicato che per la prima volta il numero dei pazienti curati e guariti, dimessi dagli ospedali (1.824) è stato superiore a quello dei nuovi contagi (1.749). Il giorno prima aveva detto che nella provincia dello Hubei (dove si trova Wuhan, il centro dove per la prima volta è stato diagnosticato il virus lo scorso 31 dicembre) per il quattordicesimo giorno consecutivo si era registrato un declino del numero degli infetti di “SARS-CoV-2” e dei morti per il “COVID-19”.
Al virus è stato dato, infatti, il nome di SARS-CoV-2, ovvero "Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2", come annunciato dall'International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV), che si occupa della designazione e della denominazione dei virus [ndr, specie, genere, famiglia, ecc.). Secondo il gruppo di esperti incaricato di studiare il nuovo ceppo di coronavirus, il virus è fratello di quello che ha provocato la Sars (SARS-CoVs) e per questo motivo è stato chiamato SARS-CoV-2. Tuttavia, si tratta di virus diversi.
La malattia provocata dal nuovo Coronavirus è stata chiamata, invece, “COVID-19” (dove "CO" sta per corona, "VI" per virus, "D" per disease e "19" indica l'anno in cui si è manifestata).
🚨 BREAKING 🚨
"We now have a name for the #2019nCoV disease:
COVID-19.
I’ll spell it: C-O-V-I-D hyphen one nine – COVID-19"
-@DrTedros #COVID19 pic.twitter.com/Kh0wx2qfzk
— World Health Organization (WHO) (@WHO) February 11, 2020
Il 17 febbraio, il Chinese Journal of Epidemiology ha pubblicato il primo studio (a cura del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, CCDC) che analizza una mole di dati consistente sulle persone che hanno contratto il Coronavirus. La ricerca ha esaminato 72.314 casi confermati, sospetti, diagnosticati clinicamente e asintomatici di “COVID-19” in Cina all’11 febbraio 2020 per poi concentrarsi, in particolare, sugli oltre 44mila casi confermati.
Va sottolineato che il 13 febbraio le autorità sanitarie della provincia di Hubei hanno ampliato la definizione di “casi confermati”, includendo anche le persone cui è stato diagnosticato il coronavirus attraverso l’imaging polmonare oltre a quelli risultati positivi nei test in laboratorio. Di conseguenza, in 24 ore, il numero di nuovi casi giornalieri è aumentato di circa 9 volte per poi tornare a calare nei giorni successivi. Non si è trattato, dunque, di un nuovo picco improvviso. Successivamente, il 20 febbraio, le autorità sanitarie hanno operato un'ulteriore distinzione, tra "casi sospetti" (ovvero quelli che presentano sintomatologie del Coronavirus) e "casi confermati" (vale a dire quelli diagnosticati da test che mostrano evidenze patogene).
Secondo quanto emerso dall’analisi dei dati provenienti dal CCDC, la maggior parte delle persone infette da “COVID-19” in Cina presenta sintomi lievi, a essere colpiti sono per lo più anziani e ad avere maggiore probabilità di morire sono malati affetti da altre patologie. Gli autori dello studio evidenziano anche che, per quanto i casi di contagio siano in costante diminuzione nelle ultime settimane, la Cina deve prepararsi a un possibile nuovo picco nel momento in cui molte persone torneranno a casa dopo una lunga vacanza.
In particolare la ricerca mostra che l’80,9% delle infezioni è classificato come lieve, il 13,8% come grave e solo il 4,7% come critico. Il più alto tasso di mortalità riguarda persone di età pari o superiore agli 80 anni (14,8% dei casi), mentre non ci sono stati decessi tra i bambini fino a 9 anni, nonostante almeno due neonati sono stati contagiati dalle loro madri. Fino a 39 anni, il tasso di mortalità rimane basso (0,2%) per poi aumentare gradualmente con l’aumentare dell’età: tra i 40 e i 49 anni, il tasso di mortalità è pari allo 0,4 per cento, tra i 50 e i 59 è dell'1,3%, per salire al 3,6% tra i 60 e i 69 anni, e all’8% dai 70 anni in poi. I pazienti con malattie cardiovascolari hanno maggiori probabilità di morire per le complicazioni dal nuovo coronavirus, seguiti da malati affetti da diabete, malattie respiratorie croniche e ipertensione. In base ai dati, ci sono più probabilità che muoiano gli uomini (2,8%) rispetto alle donne (1,7%). Il tasso di mortalità complessivo per il virus è del 2,3%, decisamente minore rispetto alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS) del 2002-2003, che aveva colpito un minor numero di persone, ma che aveva un tasso di mortalità pari quasi al 10%.
Inoltre, la ricerca sottolinea i grossi rischi ai quali sono esposti gli operatori sanitari. Il virus è stato diagnosticato a 3.019 persone impiegate nelle strutture sanitarie cinesi, di queste 1.716 sono casi confermati e in 5 sono decedute fino all’11 febbraio. Il 64% dei casi più gravi lavorava a Wuhan. Martedì scorso è morto Liu Zhiming, 51 anni, direttore dell'ospedale Wuchang di Wuhan, una delle principali strutture ospedaliere dell'epicentro del virus, mentre all’inizio di febbraio era deceduto l'oftalmologo Wuhan Li Wenliang, che era stato punito dalle autorità cinesi per aver lanciato, tra i primi, a dicembre, l'allarme per il virus.
L'epidemia, conclude il rapporto, ha raggiunto il suo "primo picco" tra il 24 e il 26 gennaio e i dati suggeriscono una “tendenza al ribasso” nella curva epidemica generale all'11 febbraio 2020. Il che significa che la diffusione della malattia, in particolare al di fuori della provincia di Hubei, stava rallentando. Tuttavia, gli autori dello studio invitano a non abbassare la guardia perché potrebbe essere probabile un nuovo picco con il ritorno di molte persone a casa dopo aver attraversato la Cina per le festività del capodanno a fine gennaio, proprio nei periodi di maggiore diffusione del virus nel paese: i coronavirus possono continuare ad “adattarsi nel tempo e diventare più virulenti” e per questo motivo i medici devono continuare a “rimanere vigili”.
Nonostante si tratti dello studio più dettagliato sull’epidemia di coronavirus in Cina dall’inizio della sua diffusione fino a pochi giorni fa, il quadro che fornisce la ricerca è tutt’altro che completo. Anzi, come suggeriscono gli autori della ricerca, non è detto che il peggio sia passato e che si possa cominciare a essere tranquilli.
Per quanto la mole dei dati sia imponente, lo studio, infatti, ha potuto esaminare i soli casi diagnosticati a disposizione. Altri scienziati hanno stimato che il numero di persone che hanno contratto il “COVID-19” possa essere 10 volte superiore (tra chi non si è rivolto alle strutture ospedaliere o chi non ha presentato sintomi tali da far pensare al Coronavirus). Questo significa, commenta James Gallagher, giornalista di scienza e salute per BBC, che il tasso di mortalità complessivo può essere addirittura inferiore a quello riportato in questo studio ma è ancora presto per arrivare a conclusioni perché i dati che giungono sono ancora molto fluidi e non ci sono ancora elementi tali da permettere di definire il quadro completo della diffusione e letalità dell’epidemia.
Finora, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel momento in cui scriviamo (21 febbraio 2020), ci sono 76.719 casi di contagio confermati (di cui 75.567 in Cina) in 27 paesi e 2.247 morti.
Il numero di nuovi casi e di decessi è effettivamente in diminuzione grazie anche alle misure fortemente restrittive imposte dal governo cinese che hanno di fatto isolato il paese del resto del mondo, vietando la partenza di aerei e treni, sospendendo anche i servizi metropolitani di tram, autobus, metro e traghetti, chiudendo cinema e parchi a tema, annullando le celebrazioni del capodanno lunare e rafforzando il sistema di sorveglianza.
Funzionari del governo, così come esperti di sanità pubblica in tutto il mondo, hanno detto che i numeri suggeriscono che le misure aggressive della Cina per contenere l'epidemia stanno funzionando, quanto meno nel rallentarne la diffusione e far guadagnare tempo per lo sviluppo di trattamenti farmacologici. «In questo momento, l'approccio strategico e tattico in Cina è quello corretto», ha dichiarato il Dr. Michael Ryan, direttore esecutivo del programma emergenze sanitarie dell’OMS. «Si può discutere se queste misure siano eccessive o troppo restrittive per le persone, ma qui c'è una situazione molto critica in termini di salute pubblica, non solo per la Cina ma per le persone di tutto il mondo».
Tuttavia, esperti, medici e scienziati invitano a non sottovalutare la situazione. «I dati devono essere interpretati con cautela. È ancora troppo presto per parlare con certezza di tendenza al declino della diffusione del coronavirus», ha detto il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus durante una conferenza stampa a Ginevra. «Ogni scenario è ancora sul tavolo».
Va monitorata anche la diffusione del Coronavirus al di fuori della Cina, alla luce soprattutto dei casi delle navi da crociera delle ultime settimane, commenta Vivian Wang, corrispondente dalla Cina per il New York Times. «Le navi da crociera sono l'anello debole nel contenimento della diffusione del contagio. Potremmo non tenere più sotto controllo l’epidemia se non riusciamo a gestire questi casi», ha affermato la professoressa Raina MacIntyre, esperta di biosicurezza all'Università del New South Wales in Australia.
«Se pensassimo di bloccare ogni nave da crociera nel mondo, nel timore di trovarci a contatto con qualche potenziale agente patogeno, dove arriveremmo? Finiremmo per fermare tutti gli autobus del pianeta», ha commentato ancora Ryan (OMS).
Il numero di persone contagiate in Giappone è aumentato vertiginosamente negli ultimi giorni, molte delle quali a bordo di una nave da crociera in quarantena, la Diamond Princess, che si è trasformata in un focolaio del virus. La nave è stata messa in quarantena nel porto giapponese di Yokohama il 3 febbraio, dopo che un uomo di Hong Kong è risultato positivo. Da allora, oltre 600 delle 3.700 persone a bordo sono state contagiate. Due passeggeri che erano stati messi in quarantena sulla nave sono morti dopo aver contratto il virus, ha detto un funzionario del ministero della Salute giapponese. I due, entrambi giapponesi, erano un uomo di 87 anni e una donna di 84 anni, entrambi con problemi di salute di base, riporta l'emittente giapponese NHK.
Le autorità hanno comunicato che stanno rilasciando solo persone che risultate negative al virus e che non mostrano sintomi, ma gli esperti in malattie infettive hanno segnalato carenze nei protocolli di quarantena sulla nave e hanno messo in dubbio la decisione di lasciarli liberi. Corea del Sud, Canada, Australia, Regno Unito, Israele e Hong Kong sono tra i paesi che hanno in programma anche di far evacuare dalla nave i loro residenti ancora a bordo.
La Cambogia ha permesso a oltre mille passeggeri di un'altra nave da crociera, la Westerdam, di sbarcare senza testare se fossero contagiati o meno, dopo il rifiuto di più porti in Asia per il timore che potesse trasportare contagiati. Centinaia di loro sono tornati nei rispettivi paesi prima che si sapesse che una persona presente a bordo si era ammalata ed era stata positiva al test in laboratorio, generando panico e il timore per un’ulteriore diffusione globale incontrollata.
Tutti i 747 membri dell'equipaggio rimasti a bordo della nave da crociera a Sihanoukville, in Cambogia, sono stati sottoposti ai test per il Coronavirus e nessuno di loro è stato trovato infetto, ha annunciato la compagnia di crociera Holland America Line. Con queste ultime analisi, tutti i 1.528 passeggeri e membri dell'equipaggio rimasti in Cambogia sono risultati negativi al virus e sono stati autorizzati a lasciare il paese.
In Italia è morta la prima persona risultata positiva al Coronavirus. È uno dei due cittadini veneti di Vo' Euganeo ricoverati nell'ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova. L'uomo aveva 78 anni, era un muratore in pensione ed era ricoverato già da una decina di giorni per precedenti patologie.
Sono diciotto finora gli italiani contagiati. Quindici in Lombardia, nel lodigiano, uno in Veneto, e poi un uomo di 55 anni, a bordo della Diamond Princess, che ha preferito tornare a Miami insieme alla moglie americana, e un altro, presente sempre sulla nave da crociera ora al largo di Yokohama, in Giappone, che dovrà aspettare di essere trasferito in bio-contenimento. Nel frattempo, è stato dichiarato "sostanzialmente guarito" il ricercatore di 29 anni, rientrato da Wuhan lo scorso 3 febbraio e ricoverato allo Spallanzani a Roma.
Quanto ai casi in Lombardia, i primi sei riguardano un uomo di 38 anni, dipendente della Unilever di Lodi, ricoverato in terapia intensiva all'ospedale di Codogno. L'uomo, nelle settimane scorse, sarebbe andato a cena con un amico tornato dalla Cina (un dipendente della Mae di Fiorenzuola d'Arda, nel piacentino), risultato negativo al test, sebbene avesse una sindrome influenzale quando ha incontrato il 38enne a cena, e poi avrebbe partecipato nei giorni scorsi a due gare podistiche, a una partita di calcio dilettantistico e a una partita di calcetto con amici. Sono risultati positivi anche la moglie dell'uomo di 38 anni, il figlio del titolare di un bar di Codogno che avrebbe fatto sport con il dipendente dell'Unilever, tre clienti del bar, cinque operatori sanitari, infermieri e medici dell'ospedale di Codogno e altri tre pazienti.
È stata disposta una quarantena per tutti quelli che sono entrati in contatto con i contagiati. Al momento sono 250 le persone messe in isolamento. Il ministero della Salute ha stabilito l'obbligo di quarantena "fiduciaria" domiciliare per chi è tornato da un viaggio in Cina negli ultimi 14 giorni e "sorveglianza attiva" per chi è stato nelle aree a rischio, cioè nel paese asiatico così come indicato dall'OMS, con obbligo di segnalazione alle autorità sanitarie locali al proprio rientro in Italia.
Sempre allo Spallanzani si trovano Niccolò, il 17enne friulano tornato da Wuhan con la febbre e poi risultato negativo ai test, e la coppia di cinesi, originaria di Wuhan, ricoverata da fine gennaio. È in isolamento volontario a Sanremo, invece, l’italiano sbarcato in Cambogia dalla nave da crociera Westerdam, secondo l’azienda sanitaria ligure che lo tiene sotto controllo, risultato “negativo ai test”. Gli altri due italiani che si trovavano sulla Westerdam non hanno sintomi e sono andati in Germania e Slovacchia, mentre sono ancora a bordo altri due italo-brasiliani. Una quarta persona, di 38 anni, è ricoverata in prognosi riservata, con insufficienza respiratoria, all'ospedale di Codogno (Lodi). È risultata positiva al Coronavirus e, secondo quanto si apprende, sarebbe andato a cena con un amico che tornava dalla Cina. Le sue condizioni sono ritenute molto gravi.
Oltre che in Italia ci sono stati altri decessi al di fuori della Cina. Il 15 febbraio è stata annunciato la morte di un cinese in Francia, il 16 è morta una persona a Taiwan e il 19 anche l’Iran ha riportato il caso di due anziani deceduti dopo che gli era stato diagnosticato il “COVID-19”. Secondo quanto dichiarato da Alireza Vahabzadeh, consigliere del ministro della Sanità iraniano all’agenzia di stampa statale IRNA, si tratterebbe di un veterano della guerra Iran-Iraq e di una vittima degli attacchi chimici di Saddam Hussein. Un morto anche in Corea del Sud. Un paziente di 63 anni con sintomi di polmonite è morto all’ospedale Daenam di Cheongdo, una città del sud-est della Corea del Sud, secondo i Korea Centers for Disease Control and Prevention. Il paziente era ricoverato nel reparto psichiatrico dell'ospedale da 20 anni ed era tra i pazienti risultati positivi al test. Nel frattempo, sono stati registrati più di 200 casi di contagio, uno dei centri più colpiti è Daegu, a quasi 300 chilometri dalla capitale Seoul.
“SARS-CoV-2” rischia di diventare davvero una pandemia?
Per sapere se questo Coronavirus si trasformerà davvero in una pandemia abbiamo bisogno di una risposta a due domande fondamentali, scrive Julia Belluz, giornalista esperta di scienza e salute su Vox: quanto facilmente “COVID-19” si diffonde da persona a persona e quanto è letale il virus? Al momento abbiamo solo ipotesi al riguardo che probabilmente diventeranno più solide col passare del tempo. Per questo, è ancora presto per giungere a conclusioni affrettate.
Come scrivevamo nel nostro primo pezzo sul “SARS-CoV-2”, in epidemiologia per poter valutare la velocità di diffusione di un virus si ricorre a un indicatore, R0 (“R naught”) che indica quanto è contagiosa una malattia infettiva e quanto un'infezione si riproduce diffondendosi fra le persone. Se si stima che ogni persona ne contagi un’altra, R0 equivale a 1. Se l’indicatore risulta superiore rispetto al valore 1, significa che ogni persona ne sta contagiando più di una, e cioè che il virus si sta diffondendo velocemente. Più alto è l’indicatore, dunque, maggiore è la probabilità che molte persone si ammalino.
Per fare alcuni esempi, il morbillo, il virus più contagioso che i ricercatori conoscono, può restare nell'aria di una stanza e far ammalare le persone fino a due ore dopo che una persona infetta che ha tossito o starnutito è andata via. Se le persone esposte al virus non vengono vaccinate, il valore R0 del morbillo può arrivare fino a 18.
L'ebola è più mortale ma molto meno contagiosa: il suo R0 è in genere 2, in parte perché molte persone infette muoiono prima di poter passare il virus a qualcun altro.
Nel caso del “COVID-19”, sono state fatte decine di stime del R0 da gruppi di ricerca di tutto il mondo. Secondo un portavoce dell’OMS, Tarik Jašarević, al 17 febbraio, le stime sull’R0 sono uniformemente superiori a 1 e la maggior parte si stabilizza tra 2 e 2,5 (il che significa che ogni persona infetta ne sta contagiando altre 2 o 2,5).
Se si restringono le stime ad alcune delle principali analisi di modellistica epidemiologica del mondo (come quelle condotte da Maia Majumder all’ospedale pediatrico di Boston, Christian Althaus alll'Università di Berna, Jon Read a Lancaster) si va da un valore di 2 a uno di 3,11, che renderebbe il nuovo Coronavirus più contagioso dell'influenza stagionale e potenzialmente anche più della SARS.
We've updated our transmissibility assessment for #nCoV2019! R_0 estimates (based off of publicly reported confirmed cases through 1/26/20 & subject to change) remain ~stable, now ranging from 2.0 to 3.1.
Pre-print will be updated soon: https://t.co/8AX2qNS4hN
See thread below. https://t.co/VUUCWxyF6l pic.twitter.com/WizruEphhi
— Dr. Maia Majumder (@maiamajumder) January 27, 2020
Questa disparità di valori si verifica perché le malattie si comportano in modo differente in ambienti diversi, a seconda di fattori come la densità della popolazione e la predisposizione a una malattia di una popolazione. Ad esempio, nel caso del norovirus (uno tra gli agenti più diffusi di gastroenteriti acute di origine non batterica, costituendo così un serio problema nel campo della sicurezza alimentare), le stime di R0 variano a seconda che l'epidemia sia contenuta in un posto (come un ospedale) o si diffonda più ampiamente.
E poi, alcuni individui possono essere più contagiosi (e con un R0 più alto) di altri, a causa della loro carica virale o del ricambio d’aria nella stanza o nello stabile in cui si trovano. Inoltre, le malattie possono anche diffondersi più facilmente in luoghi con un sistema sanitario pubblico debole.
Per quanto riguarda “COVID-19”, commenta Daniel Lucey, professore aggiunto di malattie infettive al Georgetown University Medical Center, «siamo ancora ai primi giorni. Solo nelle prossime settimane, man mano che i ricercatori raccoglieranno più dati su come si sta muovendo il virus, saremo in grado di perfezionare il valore dell'R0. E, magari, avremo valori diversi a seconda dei contesti sociali e geografici, in Africa o negli Stati Uniti o nel Canada».
L'R0 non è «qualcosa che è stato risolto», spiega a Vox Marion Koopmans, studiosa di malattie infettive emergenti e direttrice del dipartimento di virologia all'Erasmus Medical Center di Rotterdam nei Paesi Bassi. Tuttavia, aggiunge l'epidemiologo David Fisman in un’email sempre a Vox, «data la comparsa recente di questa malattia, i dati disponibili molto limitati e i metodi molto diversi impiegati per la stima, la coerenza di queste stime è notevole».
Inoltre, spiega Maia Majumder, docente di informatica computazionale dell’ospedale pediatrico di Boston, un alto valore di contagio non implica automaticamente una pandemia di massa. «Abbiamo buoni esempi di malattie dall’alto valore riproduttivo come la SARS. Non c’era un vaccino, nessun approccio di cura specifico, e siamo comunque riusciti a tenere la situazione sotto controllo», ha aggiunto Majumder. Questo perché l’R0 non è in grado di rendere conto di tutti gli interventi attuati dai funzionari della sanità pubblica, come l’utilizzo di antivirali o l’attuazione di misure di controllo delle infezioni negli ospedali.
Infine, come ha affermato il portavoce dell’OMS, Jašarević, «la rapidità con cui un virus si diffonde non è legata alla sua letalità. Se anche “COVID-19” riesca a diffondersi più facilmente della SARS, non è così mortale. Detto questo, ha ancora il potenziale per far ammalare molte persone e ucciderne alcune, e quindi contenere o gestire il suo impatto sono priorità globali».
In altre parole, un virus può essere molto letale, ma poco contagioso, oppure essere molto contagioso, ma poco letale.
L’altro modo per capire la pericolosità di un virus è il suo tasso di mortalità, ovvero la percentuale di decessi che una malattia provoca in un gruppo di persone che si è ammalato.
In base ai dati diffusi dal Centro di controllo e prevenzione delle malattie cinese il tasso di mortalità sembra essere basso, intorno al 2%, ma anche in questo caso, al momento, è difficile arrivare a stime solide perché all’inizio di un’epidemia è complicato determinare con certezza le persone che si sono ammalate e quante, tra queste, sono poi morte. Non sappiamo quanti hanno contratto il virus senza mostrare sintomi o non preoccupandosi di andare dal medico perché di solito non si ammalano. Inoltre, i dati che girano non sono ancora definitivi perché, considerato che il virus ha un periodo di incubazione di due settimane, ci sono molte persone con l'infezione in corso o ancora negli ospedali che possono sopravvivere o meno alla polmonite che ne deriva.
Ad esempio, spiega su Twitter Adam Kucharski, epidemiologo alla London School of Hygiene & Tropical Medicine, “la mortalità del 2% ampiamente citata per la Cina è calcolata in modo errato, perché si basa su dati sottostimati e non tiene conto dei ritardi. Ma, confusamente, questi errori potrebbero effettivamente annullarsi, portando a una stima che è giusta per motivi sbagliati”. Con l’abbassarsi dei dati sul contagio, il tasso di mortalità potrebbe incrementarsi, prosegue l’epidemiologo nel suo thread su Twitter, ma il fatto che i dati sulla contagiosità del virus sono sottostimati probabilmente la stima sul suo tasso di letalità potrebbe essere corretta.
The upshot: the widely quoted 2% fatality for China is calculated incorrectly, because it's based on data that is under-reported and doesn't account for delays. But, confusingly, these errors may actually cancel out, leading to an estimate that is right for the wrong reasons.. 7/
— Adam Kucharski (@AdamJKucharski) February 18, 2020
Secondo Christian Althaus, immuno-epidemiologo dell’Università di Berna, in base ai dati attuali è possibile stimare il tasso di letalità di “COVID-19” intorno all’1,8%. Tuttavia, l’incertezza intorno a questa stima resta alta a causa del numero limitato dei decessi e il valore percentuale potrebbe rappresentare il suo limite superiore visto che mancano ancora i dati su tutti i casi segnalati e su quelli asintomatici. Ci sarà più precisione man mano che saranno presi in considerazione un maggior numero di casi e di decessi, anche fuori dalla Cina, conclude Althaus.
In questo contesto, gli aggiornamenti giornalieri, se rilanciati dai media nei loro cicli informativi senza offrire prospettive più ampie, rischiano di creare falsi allarmismi o destare facili entusiasmi (facendo pensare che tutto sia in via di risoluzione) e possono distrarre da un quadro complessivo complicato e ancora sconosciuto, sottolinea sul New York Times il matematico John Allen Paulos, professore all’Università di Temple [ndr, qui nella traduzione de Il Post]: “Le parole da tenere in considerazione sono ‘per quanto ne sappiamo finora’: né più né meno di questo, significa che il nostro approccio alla situazione potrebbe cambiare con l’arrivo di nuovi dati”.
Immagine in anteprima via Pixabay.com