Coronavirus, cosa sapeva davvero Xi: cresce la pressione sul presidente cinese
4 min letturaVenerdì in Cina si è aperto l’annuale Congresso Nazionale del Popolo, posticipato di quasi tre mesi a causa della pandemia. Rispetto alle previsioni, l’appuntamento ha dovuto stravolgere le sue priorità, considerate la serie di pressioni economiche e politiche che il governo del presidente Xi Jinping si trova ad affrontare.
Da un lato, la produzione è scesa di quasi il 7% nel primo trimestre, un dato che si scontra con il progetto iniziale di raddoppiare l’economia entro la fine dell’anno. Per la prima volta da decenni, infatti, Pechino non ha fissato un obiettivo di crescita economica. Ora ha altre priorità: stabilizzare l'occupazione e il tenore di vita, come ha annunciato in apertura del meeting il primo ministro Li Keqiang.
Dal punto di vista politico, Xi Jinping deve gestire le critiche a livello internazionale sulla gestione delle prime fasi della pandemia, in particolare su cosa sapeva, cosa ha fatto e cosa ha omesso durante i 13 giorni precedenti al riconoscimento da parte della Cina della trasmissione uomo a uomo del nuovo coronavirus. L’unica nota positiva per il presidente è rappresentata dalla convinzione diffusa che perlomeno sia riuscito a tenere la situazione sotto controllo, e questa è la narrazione che Pechino porterà avanti durante il Congresso.
Tra la fine di gennaio e febbraio, le autorità cinesi hanno affrontato il crescere della rabbia nella popolazione dopo la diffusione di notizie su operatori sanitari che avevano provato a dare l’allarme sul virus ma era stati messi a tacere da Pechino. Il governo cinese ha rapidamente silenziato il dissenso, mentre la rabbia ha iniziato a placarsi quando l’epidemia ha iniziato a essere sotto controllo. Da quel momento, funzionari e media statali hanno cercato di usare il contenimento riuscito del virus per alimentare l’orgoglio nazionale. «In un primo momento la gente era molto arrabbiata con il governo per come aveva gestito l’epidemia», ha spiegato al Financial Times Deng Yuwen, ex editor di Study Times, rivista della Scuola centrale del Partito. «Poi il virus si è diffuso nel mondo e il numero di morti era maggiore altrove. Le persone hanno cambiato idea, in parte per le misure corrette prese da Xi, ma soprattutto per i fallimenti degli altri paesi».
In ogni caso, Xi deve far fronte alle richieste dall’estero – e da poche voci nel paese – di un’indagine credibile sulla catena degli eventi che ha portato alla più grande catastrofe economica mondiale dalla Grande Depressione. In un messaggio all’Assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità della settimana scorsa, Xi ha annunciato di sostenere un’indagine "oggettiva e imparziale" da parte dell’OMS, ma solo a crisi terminata, e comunque non dovrebbe essere una valutazione focalizzata solo sulla Cina.
"La questione su cosa Xi sapesse e da quanto tempo – specialmente con riferimento alla trasmissione uomo a uomo del virus – è un aspetto critico per il partito di governo", scrive FT, avendo il potere di minare la narrazione ufficiale di Pechino secondo cui Xi ha messo in piedi una campagna di contenimento efficiente dello scoppio del virus in Cina "che ha consentito al resto del mondo di guadagnare tempo prezioso, che poi altri paesi, come ad esempio gli USA, hanno sprecato".
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Non ci sono al momento prove effettive del ruolo di Xi, ma ci sono comunque alcuni "buchi" da spiegare. Ad esempio, secondo documenti del partito ottenuti il mese scorso dall’Associated Press, funzionari sanitari nazionali hanno avvertito il 14 gennaio in una riunione interna che la Cina affrontava un "evento di salute pubblica grave e complesso", aggiungendo che "il rischio di trasmissione e diffusione è alto". L’annuncio di Pechino, però, è arrivato solo il 20 del mese.
Due settimane fa, la Commissione nazionale per la salute della Cina ha confermato il meeting del 14 gennaio, ma ha giustificato il ritardo di 6 giorni sostenendo di essere alle prese con "un'enorme incertezza" sul virus e che "era necessaria un'ulteriore ricerca approfondita per conoscere la sua capacità di trasmissione da uomo a uomo". Il fatto che l’amministrazione cinese avesse queste informazioni ma avesse deciso di non rivelarle al mondo il 14 gennaio ha sollevato l’interrogativo se il presidente stesso fosse venuto a conoscenza dei rischi del contagio sugli esseri umani ancora prima di quella data. A metà febbraio il giornale Qiu Shi, pubblicato dalla commissione centrale del partito, ha rivelato che Xi aveva dato istruzioni per contenere il virus già il 7 gennaio. Era un modo per dimostrare di essersi occupato in ogni momento dell’epidemia, ma la notizia fa sorgere la domanda se Xi o altri alti funzionari sapessero già allora – se non prima – dell’alta contagiosità del virus. L’articolo è stato pubblicato dopo tre settimane in cui il presidente era apparso pochissimo sui media di governo. Due giorni prima, aveva licenziato i due alti funzionari del partito a Wuhan e nella provincia dell’Hubei.
Un altro aspetto potenzialmente imbarazzante che potrebbe essere messo in luce dall’indagine, scrive sempre il FT, riguarda il conteggio ufficiale da parte della Cina dei casi. Secondo la televisione di Stato, oltre 124mila persone si sono mosse da Wuhan verso Pechino o Shanghai tra il 30 dicembre e il 22 gennaio, ma i dati ufficiali ripresi dalla Johns Hopkins University hanno riportato solo 1259 contagi e 16 morti. Questo numero così piccolo fuori dall’Hubei sarebbe legato al basso tasso di tamponi fuori, secondo un medico di cinese che ha parlato con FT ma ha chiesto di restare anonimo.
Anche all’interno della Cina, comunque, alcune voci chiedono un’indagine ufficiale, sostenendo che una presa di responsabilità da parte del partito di errori nella gestione sarebbe necessaria per contrastare le polemiche a livello internazionale.
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In questo quadro si inseriscono le tesissime relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti, il principale paese ad accusare Pechino. Domenica, durante il Congresso Nazionale del Popolo, il consigliere di stato e ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto che i rapporti tra le due potenze rischiavano di deteriorarsi ulteriormente, fino al punto di una «nuova Guerra Fredda». Wang ha criticato duramente i tentativi degli Stati Uniti di «creare voci» sull’origine di COVID-19 per «danneggiare la Cina». In ogni caso, ha aggiunto, il paese è aperto a lavorare con l’OMS per indagare l’origine del virus, ma «equità significa che il processo sia privo di interferenze politiche, che rispetti la sovranità di tutti i paesi e si opponga a qualsiasi presunzione di colpa».
Immagine in anteprima: ANSA via Skytg24