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La Corea del Sud sotto la minaccia dei missili nord-coreani

9 Dicembre 2022 10 min lettura

La Corea del Sud sotto la minaccia dei missili nord-coreani

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Un nastro rosso. Due agenti in giallo fosforescente. Un altro nastro rosso, stavolta più corto. Dietro, il vicolo: 45 metri in leggera salita verso l'Atelier, uno delle decine di bar di quella piccola ragnatela di stradine. Ma dietro i nastri rossi e gli agenti ci sono anche altri 4 metri, quelli tra la parete bianca a sinistra e quella rossa dell'Hamilton Hotel a destra. Su quei 45 metri per 4 sono morte 158 persone, soprattutto giovanissimi, schiacciati dalla calca o pressati contro le pareti. Per Seul è difficile rimarginare la ferita aperta sabato 29 ottobre. Quella notte a Itaewon, il distretto più internazionale della città, era in programma una grande festa di Halloween. Doveva essere l’occasione del completo ritorno alla normalità, dopo quasi 3 anni di pandemia e restrizioni. Si è trasformata in una tragedia, quando una folla eccessiva e spremuta in uno spazio di piccole dimensioni ha iniziato a spingere in direzioni opposte. Un'enorme distesa di fiori, peluche e bigliettini ha invaso il marciapiede che dalla stazione della metropolitana conduce al vicolo della strage. E a quei nastri rossi, il primo confine oltre il quale la Corea del Sud si trova a fare i conti con le sue peggiori paure. 

Foto di Lorenzo Lamperti

Il secondo confine è invece una cinquantina di chilometri più a nord. Al posto dei nastri c'è il filo spinato, invece degli agenti in giallo fosforescente ci sono i militari. Alle loro spalle la zona demilitarizzata: quattro chilometri che conducono in Corea del Nord. Solo in teoria, perché, come ora a Itaewon, anche lì è impossibile varcare il confine. Dopo la cancellazione degli incontri per il capodanno lunare, non lo attraversano più da 4 anni nemmeno le famiglie separate dalla guerra del 1950-53, costrette a vivere da decenni sulle parti opposte della penisola e ora private anche dell'unica possibilità di sapere se i propri amati siano ancora vivi. Di recente, la frontiera è oltrepassata solo dai missili. Qualche settimana fa, per la prima volta dalla divisione della penisola, un razzo di Pyongyang ha sorvolato il confine marittimo intercoreano ed è atterrato nelle acque a sud, spingendo le autorità sudcoreane a diramare un allarme aereo per la prima volta da febbraio 2016. Il tutto nell'ambito di un'escalation che, rispetto al 2017, sembra più difficile da fermare a causa di dinamiche interne e globali. Con il dubbio esistenziale di Seul sul suo posizionamento (o meglio sulle tempistiche di una scelta obbligata che non vorrebbe mai fare) nel "grande gioco" della contesa tra Stati Uniti e Cina, a cui Covid-19 e guerra in Ucraina hanno impresso una nuova velocità.

Foto di Lorenzo Lamperti

La Corea del Sud è in questo momento un paese dilaniato. Il dolore del massacro e le incertezze (geo)politiche pongono incognite sul futuro. Nel presente sono riapparse le candele, simbolo delle manifestazioni di massa che giocarono un ruolo verso l'impeachment della ex presidente Park Geun-hye. Nel mirino adesso c'è Yoon Suk-yeol, il presidente conservatore entrato in carica la scorsa primavera. "Che cosa vogliamo? Semplice, che se ne vada", dice a Valigia Blu una ragazza sotto la pioggia di Samgak, nel sabato di metà novembre da cui è ripartito il candlelight movement. In mano ha una candela e un cartello nero con caratteri bianchi che recitano: "La gente sta morendo. Questo è un paese? In memoria delle vittime di Itaewon". I capi d'imputazione sono diversi, a partire dalle scarse misure di sicurezza. Gli agenti nella zona erano meno di 200, in linea con gli anni pre pandemici. Ma nel 2021 erano addirittura in 4600 a controllare il rispetto delle restrizioni anti Covid. E quel 29 ottobre molte unità erano dispiegate per delle manifestazioni di protesta, non lontano da Itaewon, dove Yoon ha spostato l’ufficio presidenziale.  

In molti lamentano l'assenza di reazione ad almeno 11 telefonate di allarme dei cittadini nelle ore precedenti, così come alla richiesta di rinforzi avanzata dalla stazione di polizia del distretto. Ma anche la mancata chiusura al traffico della strada che si affaccia su Itaewon, che avrebbe contribuito a congestionare la folla per le difficoltà ad attraversare la strada. Il ministero dell'Interno non si ritiene responsabile e ha spostato l'attenzione sulla polizia, chiedendo "indagini approfondite e spiegazioni trasparenti e chiare al pubblico". Qualcuno non ha retto al senso di colpa, o alle pressioni. Uno degli agenti indagati si è tolto la vita lo scorso 11 novembre dopo essere stato sospeso. Sempre lo stesso giorno si è tolto la vita anche un funzionario dell'amministrazione metropolitana di Seul, che secondo i media sarebbe l'approvatore finale dei documenti dei controlli di emergenza sulle misure di sicurezza dei festival locali. 

Il presidente Yoon ha offerto le sue scuse il 7 novembre, dopo essersela inizialmente presa per la mancanza di regole per la gestione della folla in eventi "spontanei". Ma una parte della rabbia per la strage si è incanalata verso lo stesso Yoon. "Lo spostamento del suo ufficio dalla casa blu all'ex ministro della Difesa è una delle ragioni per cui quella notte non c'erano abbastanza agenti", spiega a Valigia Blu Carl J. Saxer, esperto di politica coreana della Hanyang University di Seul. "Il nuovo palazzo presidenziale è vicino a Itaewon e molti poliziotti erano andati a seguire una piccola manifestazione nei suoi pressi", aggiunge Saxer. Nel 2014, il naufragio del traghetto di Sewol fu uno degli ingredienti per la creazione del movimento di opposizione civile contro Park. "Così come allora, mi pare che si stia cercando di trovare il colpevole, qualcuno da biasimare. Ma senza agire sul problema sistemico", dice Saxer. Ridurre le tariffe dell'assicurazione sanitaria per le famiglie delle vittime potrebbe non placare le polemiche politiche, anche perché nel frattempo nelle proteste anti Yoon sono confluiti altri temi: dalla presunta debolezza dei piani in materia di economia alla contestata scarsa tutela dei diritti civili. "Tratta male le donne", sintetizza in un inglese stentato una giovane coppia con candele in mano alla protesta di Samgak, riferendosi al piano di abolizione del ministero dell'uguaglianza di genere. 

Ma c'è anche chi non approva le posizioni assunte da Yoon sulla Corea del Nord e in materia di politica estera. I conservatori hanno tradizionalmente una postura intransigente su Pyongyang. In campagna elettorale, Yoon aveva paventato possibili "raid preventivi" qualora fosse stata a minaccia la sicurezza nazionale. Salvo poi attenuare la linea una volta salito al potere. In questi mesi ha fatto passi importanti per rafforzare la storica alleanza con gli Stati Uniti e riallacciare i rapporti col Giappone. Dopo la raffica di test nucleari del 2017, l'ex presidente democratico Moon Jae-in aveva fatto di tutto per riaprire i canali di comunicazione. Dopo il primo vertice tra Kim Jong-un e Donald Trump a Singapore si erano aperte molte speranze. 

"Kim era convinto di ottenere delle concessioni, ma il fallimento del vertice di Hanoi lo ha convinto ad abbandonare il wishful thinking sulle relazioni con gli Usa", spiega a Valigia Blu Hwang Jihwan, professore di relazioni internazionali della University of Seoul. Nel 2020, Kim aveva mandato un messaggio chiaro facendo saltare in aria l’ufficio di collegamento di Kaesong, il cui edificio divelto si staglia all'interno di un complesso industriale ora fantasma, visibile a occhio nudo dal monte Dora sulla soglia della zona demilitarizzata. "Kim sa che lo sviluppo di armi nucleari è la più grande garanzia possibile sull'esistenza del regime. Ha ben presente che cosa è successo ai leader e paesi che hanno rinunciato al nucleare: Iraq, Libia, Ucraina stessa. Saddam Hussein o Gheddafi sarebbero stati deposti se fossero stati in grado di colpire Israele o l'Europa? Kim è convinto di no", dice Hwang. 

Non a caso, di recente Pyongyang ha aggiornato la sua dottrina nucleare, iscrivendo lo sviluppo delle armi atomiche nella costituzione e ampliando lo spettro in cui è previsto il loro utilizzo preventivo. "Vista la distrazione di Joe Biden, già preso dal fronte ucraino e dalle tensioni su Taiwan, Kim è convinto di poter ottenere maggiori risultati mettendo nel mirino direttamente Corea del Sud e Giappone con missili a corto raggio", sostiene Hwang. Infatti, nei corridoi del KINU (Korea Institute for National Unification), potente think tank finanziato dal governo che svolge un ruolo di advisor nelle relazioni bilaterali con gli Usa in materia di Corea del Nord, la preoccupazione è legata soprattutto a questo. 

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"Pyongyang ha raggiunto risultati importanti nello sviluppo di missili a corto raggio con testate nucleari tattiche. I nostri sistemi difensivi e quelli americani non possono bloccarli tutti", dice a Valigia Blu Hong Min, direttore della North Korea Research Division. "Kim risponde con maggiore audacia alle esercitazioni congiunte perché ha maggiore fiducia nelle sue capacità militari". Ora si teme anche una raffica di nuovi test nucleari a 5 anni di distanza dall'ultimo. Il rischio è che rispetto al 2017 la situazione regionale e globale non favorisca una de escalation, anzi la complichi. Più Washington e Pechino sono in rotta di collisione e più Kim si avvicina a Xi Jinping. "In passato Corea del Nord e Cina cooperavano a livello prettamente commerciale, ora stanno espandendo il dialogo politico e militare", dice Hong, che negli scorsi mesi aveva suggerito al dipartimento di Stato americano di far replicare Biden o Antony Blinken ai messaggi del plenum del Partito dei lavoratori. Ma la Casa Bianca ha fatto rispondere un funzionario di più basso livello. "Sgarbo" a cui Kim ha reagito intensificando le attività militari. Nel 2022 sono stati già lanciati oltre 60 missili, molti più di quelli lanciati nei due anni precedenti messi insieme. Dopo cinque anni un missile a lungo raggio ha sorvolato il Giappone. Seul ha per ora risposto rafforzando il coordinamento con Washington e Tokyo, aumentando le manovre militari congiunte ed effettuando a sua volta lanci missilistici. 

Ma in generale, la Corea del Sud si interroga su come agire all'interno di questo scenario. Da una parte c'è la dipendenza difensiva nei confronti degli USA, dall'altra quella commerciale nei confronti della Cina. "In caso di guerra il comando delle forze armate sarebbe ancora in mano americana, dunque Seul non può fare granché", ricorda Saxer. "Moon aveva provato a cambiare questa cosa ma non c'è riuscito, non siamo ancora pronti per fare quel passo. Anche perché tecnicamente la guerra non è mai finita", dice Park Jae-jeok della Hankuk University. Effettivamente la linea che corre sul 38° parallelo in coreano si dice Hyujeonseon: letteralmente "linea del cessate il fuoco", a sottolineare il carattere ancora provvisorio della pace. "Siamo vicini al momento in cui dovremo scegliere chiaramente da che parte stare. I conservatori stanno già mandando dei segnali che stiamo dalla parte degli Usa", sostiene Park. "È possibile che vengano dispiegati nuovi sistemi antimissile Thaad, anche se nel 2017 aveva causato grandi tensioni con Pechino. Ci si sta muovendo anche sul fronte della cooperazione con NATO e Quad, necessario anche per non lasciare il pallino esclusivamente in mano al Giappone e rischiare così di diventare una periferia degli interessi americani in Asia nord-orientale", aggiunge. 

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Incombono decisioni sul fronte militare e tecnologico: "Fare esercitazioni congiunte nell'oceano Indiano o Pacifico è una cosa, farle nei mari limitrofi alla Cina o addirittura su suolo giapponese è un'altra. Le implicazioni saranno enormi. Sui semiconduttori bisogna capire il grado di coinvolgimento nel programma Chip 4 lanciato da Biden", dice Park. Colossi come Samsung e SK Hynix non sarebbero certo entusiasti di recidere il cordone tecnologico con Pechino, che peraltro ha appena lanciato un fondo di cooperazione in materia con le aziende di Seul. "La Corea del Sud ha avuto grandi benefici dall'ascesa economica cinese e non vorrebbe mai il disaccoppiamento economico. Ma se sarà costretta a scegliere, non potrà che scegliere di seguire Washington. Soprattutto dopo che la guerra in Ucraina sembra aver avvicinato Pechino a Mosca e Pyongyang", secondo Hwang, che aggiunge: "Kim ha fallito nell'apertura all'occidente ma in cambio ha ottenuto un più netto appoggio di Xi Jinping, il quale lo aveva ignorato per anni prima di invitarlo a Pechino e visitarlo a Pyongyang in seguito all'avvio del dialogo con Trump. Questo nonostante Xi non sia felice di assistere all'escalation sulla penisola coreana, che rischia di distrarre il Partito comunista da Taiwan o potenzialmente addirittura compromettere i suoi piani come accaduto durante l'era di Mao Zedong, quando l'azione su Taipei fu bloccata per combattere la guerra di Corea", ricorda Hwang. "Più si alza la tensione con Pyongyang e più aumentano le voci interne di chi vorrebbe che Seul si dotasse a sua volta di armi nucleari. Per evitarlo, gli USA dovrebbero schierare direttamente armi tattiche nucleari sul territorio sudcoreano. Difficile che la Cina possa accettare uno sviluppo del genere", gli fa eco Park.

Seul ha mostrato una parziale ritrosia a "giapponesizzare" il suo approccio nei confronti di Pechino, che negli ultimi anni ha individuato nella Corea del Sud l'anello debole della strategia americana in Asia, elevandola a simbolo del presunto fallimento della "mentalità da guerra fredda". Ad agosto, Yoon non ha ricevuto Nancy Pelosi per non creare imbarazzi con la Cina, visto che la speaker della Camera si è presentata proprio il giorno dopo il contestatissimo viaggio a Taipei. Ma poche settimane dopo il presidente sudcoreano ha invece incontrato Li Zhanshu, il perfetto pari grado di Pelosi essendo il numero tre (uscente) della gerarchia della Repubblica popolare. Ma gli esercizi di equilibrismo potrebbero presto finire. La Corea del Sud, che nonostante la diffusione globale del suo soft power grazie a K-pop e K-drama si percepisce de facto un'isola dal punto di vista geografico, potrebbe essere presto costretta a guardare in faccia le ferite celate dietro i suoi confini. Quelli col filo spinato. E quelli coi nastri rossi.

Immagine in anteprima: Lorenzo Lamperti

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