La crisi della democrazia, il rischio di un secondo golpe e il popolo sudcoreano che non si ferma
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"Non è possibile". Due ragazze si stringono su un telefonino, smettendo per un attimo di saltellare per difendersi dal freddo della sera di Seoul. Sul piccolo schermo, vanno in onda le immagini in diretta dei parlamentari del Partito del Potere Popolare (PPP) che se ne vanno. Dopo aver votato contro l'istituzione di una commissione d'inchiesta speciale sulla first lady Kim Keon-hee, lasciano l'aula proprio mentre l'Assemblea nazionale è chiamata a esprimersi sul destino di Yoon Suk-yeol, il presidente che ha osato imporre la prima legge marziale dell'era democratica della Corea del Sud. Le sedie del partito di governo sono abbandonate, tranne quella di Ahn Cheol-soo, tre volte candidato alle presidenziali per il PPP, l'unico a restare. Il palazzo simbolo della democrazia sudcoreana resta mezzo vuoto.
All’esterno, la folla è immensa. Almeno 150 mila persone, secondo la polizia. Quasi un milione, secondo gli organizzatori. Di certo, il lunghissimo viale che dall'Assemblea nazionale arriva fino alla stazione della metropolitana di Saetgang, passando attraverso il parco Yeouido, è la manifestazione più forte e a tratti commovente del senso democratico della società civile.
La contrapposizione tra queste due immagini è fortissima e sarà la componente più profonda di quanto potrà accadere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi in un paese che promette di restare in stato di mobilitazione permanente fino a quando non verrà rassicurato su una vera messa in sicurezza delle sue istituzioni democratiche. "Non ci fermeremo, torneremo ogni giorno fino a quando Yoon non si dimetterà o non sarà rimosso", ripetono un po' tutti.
Certo, le incognite sono tante. La maggioranza dei sudcoreani sperava in una presa di responsabilità immediata da parte della politica, al di là dei ragionamenti su possibili opportunismi e benefici tattici. D'altronde, qui non si parla del seppur grave scandalo di corruzione che portò all'impeachment della ex presidente Park Geun-hye nel 2016, ma di un uomo che ha cercato di sovvertire la democrazia. Colpendo lì dove fa più male, per un paese che sente ancora sulla sua pelle le ferite delle leggi marziali, dei golpe militari e delle rivolte soffocate nel sangue.
Tra l'immensa e pacifica folla, mai entrata in contrapposizione con la polizia, è difficile non percepire un senso di tradimento. Ma il PPP ha scelto di tenere Yoon al suo posto, almeno per ora.
La domanda è: perché? Poco più di 24 ore prima del voto sull'impeachment, il suo leader Han Dong-hoon aveva definito il presidente "pericoloso". Aggiungendo: "Se Yoon continuerà a ricoprire la carica, c'è il rischio significativo che si ripetano azioni estreme", aveva aggiunta. Traduzione: una seconda legge marziale, possibile estremo azzardo di un leader ormai solo e paranoico, incapace di cogliere qualsiasi suggerimento su possibili vie di fuga.
Nonostante questo, alla fine il PPP ha ribadito la sua linea contraria all'impeachment, definendo la sua scelta "a tutela della sicurezza pubblica" e volta a evitare il caos. Il metodo scelto per impedire la rimozione di Yoon mostra che all'interno del partito si temevano posizioni discordanti. I 108 deputati di maggioranza si sono presentati in aula per respingere la commissione d'inchiesta speciale sulla moglie del presidente, su cui c'era bisogno di raggiungere una maggioranza di due terzi ma senza la necessità di un quorum. Dopodiché sono usciti, per impedire che nel voto anonimo spuntassero almeno otto franchi tiratori, quelli necessari a raggiungere il fatidico numero 200 sui 300 deputati totali. Non è bastato tenere aperta la procedura di voto per qualche altra ora, nella speranza di qualche ripensamento. Alla fine sono tornati solo altri due esponenti della maggioranza, cinque in meno di quelli necessari. Lunedì 9 dicembre, i volti dei 105 parlamentari usciti dall’aula sono apparsi sulla prima pagina di Hankyoreh, media di riferimento dei progressisti. Quasi a dare una faccia a quelli che molti sostenitori dell'opposizione (e forse non solo loro) considerano dei traditori.
E ora che succede? Le intenzioni del PPP hanno iniziato a prendere corpo nella giornata di domenica. In una controversa conferenza stampa, il premier Han Duck-soo e il leader del partito di governo Han Dong-hoon hanno infatti annunciato di aver messo il Presidente sotto tutela. "Non prenderà più parte agli affari di stato, politica estera inclusa", ha detto il premier, che ha prospettato un'uscita di scena ordinata per il presidente, senza però specificare le tempistiche delle sue dimissioni. Yoon è di fatto commissariato.
L'opposizione sostiene che si tratti di un secondo tentativo di golpe, stavolta politico invece che militare. Lee Jae-myung, leader del Partito Democratico, ha dichiarato che il commissariamento di Yoon è sconcertante. "Il popolo ha eletto lui, non Han, come presidente. Questo è un altro colpo di Stato che distrugge l'ordine costituzionale", ha dichiarato. Non esistono norme costituzionali che prevedono il passaggio dei poteri presidenziali a un leader di partito. L'articolo 71 della Carta prevede che "se l'ufficio della presidenza è vacante o il presidente non è in grado di esercitare le sue funzioni per qualsiasi motivo, il primo ministro agisce per lui o per lei". Ma Yoon non sarebbe incapace di agire, tanto da aver accettato domenica le dimissioni del ministro dell'Interno Lee Sang-min, su cui era stata aperta un'ulteriore procedura di destituzione. E il ministro della Difesa ad interim Kim Seong-ho ha chiarito che Yoon resta a capo delle forze armate, nonostante Han avesse detto ai giornalisti che anche la gestione dell'esercito sarebbe stata condivisa perché rientra "negli affari diplomatici". Non esistono peraltro norme costituzionali che prevedono il passaggio dei poteri presidenziali a un leader di partito. "Nessuno ha dato a Han Dong-hoon questo tipo di potere. Questa è solo un'altra insurrezione", ha dichiarato Kim Min-seok, deputato del PD che per primo aveva previsto la possibilità di una legge marziale lo scorso agosto.
Forse il PPP sperava di tranquillizzare l'opinione pubblica mettendo sotto tutela Yoon, ma in realtà potrebbe finire per generare ancora più risentimento nei suoi confronti. Un po' tutti, d'altronde, ritengono che la Corea del Sud non sia davvero al sicuro fino a quando il presidente resterà al suo posto.
Dietro i calcoli del PPP pare incidere una valutazione di carattere elettorale. Non solo perché si dà per scontata una sconfitta di grandi proporzioni in caso di elezioni immediate. Incide anche un altro elemento, meno evidente ma forse decisivo. Lee, il capo dell'opposizione, è stato di recente condannato in primo grado per dichiarazioni false durante la campagna elettorale delle presidenziali del 2022. Una condanna che, se confermata, potrebbe estrometterlo dalle prossime elezioni. Un voto immediato provocato dall'impeachment gli permetterebbe di candidarsi prima della sentenza definitiva. Secondo la legge coreana, l'interdizione ha effetto solo dopo che tutti gli appelli sono stati esauriti. Con l'impeachment e le elezioni anticipate, il cosiddetto "Bernie Sanders" sudcoreano potrebbe dunque neutralizzare la sua vicenda giudiziaria e presentarsi regolarmente al voto come grande favorito. L'assenza di alternative pronte al suo nome tra le file dell'opposizione danno un motivo in più al PPP per provare ad allungare i tempi della crisi. È possibile che il partito di governo provi anche la strada del "gabinetto condiviso", proponendo delle riforme costituzionali basate sulla riduzione del mandato presidenziale da cinque a quattro anni, consentendo però un secondo mandato. Difficile immaginare che questo funzioni. La pressione dell'opposizione e di una società civile infuriata per la legge marziale è destinata ad aumentare.
Nel frattempo, la giustizia inizia a fare il suo corso. L'ex ministro della Difesa Kim Yong-hyun, dimessosi subito dopo la legge marziale offrendosi come capro espiatorio, è stato arrestato. Appare ormai acclarato che, oltre alla legge marziale, Kim avesse ordinato anche l'arresto dei leader dell'opposizione. Nei giorni scorsi gli era stato già confiscato il passaporto, dopo che era circolata la voce di un suo piano di fuga in Giappone. Significativa la testimonianza spontanea di Kim Hyun-tae, comandante delle forze speciali, che lunedì ha spiegato ai giornalisti che l'azione contro il parlamento era stata un ordine dall'alto. "Siamo stati tutti vittime usate dall'ex ministro della Difesa. I militari non sono colpevoli. La loro unica colpa è quella di aver eseguito gli ordini del loro comandante" ha detto, trattenendo le lacrime, assumendosi la colpa di aver "condotto le sue truppe in pericolo". Tenendo questa conferenza stampa non autorizzata (afferma di “non aver fatto rapporto a nessuno” prima di apparire), Kim sembra rompere le righe per raccontare la sua versione della storia dopo che gli è stato presumibilmente impedito di testimoniare ufficialmente. Potrebbe essere un passaggio chiave.
Emerge tra l'altro l'ipotesi che fosse allo studio un piano per alimentare una crisi militare con la Corea del Nord per avere la scusa di sospendere la democrazia. In particolare, durante l'autunno sarebbe stato inviato un drone militare oltreconfine. Si è invece dimesso il ministro dell'Interno, Lee Sang-min, su cui era stata aperta un'ulteriore procedura di destituzione. Ma il cerchio rischia di chiudersi anche intorno a Yoon. Sul piano giudiziario, gli inquirenti hanno annunciato un'indagine a suo carico con le accuse di insurrezione e abuso di potere. La polizia non ha smentito l'ipotesi di un possibile divieto di viaggio all'estero.
L'opposizione ha già annunciato una seconda procedura di impeachment, che dovrebbe essere votata sabato 13 dicembre. La speranza è che questo porti il partito di governo a cambiare idea, anche sotto la pressione dell'opinione pubblica. Negli ultimi giorni, i parlamentari del PPP sono stati bombardati da telefonate e messaggi di testo da parte di cittadini che sostengono l'impeachment. Un deputato ha pubblicato uno screenshot del suo Messenger di Facebook, con oltre 104 mila messaggi non letti raccolti nel giro di poche ore.
In alternativa, c'è chi ha già prospettato una richiesta di dissoluzione per tradimento del partito di Yoon da avanzare alla corte costituzionale. La possibilità di un pericoloso muro contro muro prolungato è però alta. Il commissariamento di Yoon serve al PPP anche e soprattutto a compattare le sue fila. C'è chi è convinto che prendere tempo possa consentire di trovare una strategia di contrattacco ai danni del PD e di Lee, su cui già si propongono le teorie di un potenzialmente pericoloso ribaltone in politica estera. Rispetto al precedente presidente progressista Moon Jae-in, Lee è infatti noto per avere posizioni più drastiche sul fronte diplomatico. Non solo, come da tradizione democratica, è a favore di una riapertura del dialogo con la Corea del Nord, ma è anche un grande critico del disgelo con il Giappone e dell'allineamento agli Stati Uniti. In realtà, proprio il "coma vegetativo" in cui è stata indotta l'amministrazione Yoon rischia di esporre la Corea del Sud a conseguenze internazionali.
Ha riassunto bene il tutto in un'intervista il deputato di maggioranza Yun Sang-hyeon: "Ora veniamo criticati, ma la gente dimentica in fretta. Lo abbiamo visto dopo l'impeachment di Park Geun-hye. Diamo un anno di tempo e voteranno di nuovo per noi".
La società civile non sembra però intenzionata a dimenticare, questa volta. "Non ci fermeremo, anzi aumenteremo le azioni di protesta", dice a Valigia Blu Mikyung Ryu, direttrice internazionale della KCTU (Korean Confederation of Trade Unions), il più grande gruppo sindacale della Corea del Sud. "Non importa quante volte sarà respinto l'impeachment, noi continueremo fino a quando Yoon non sarà più il presidente". È quello che ripetevano un po' tutti coloro che stavano riempiendo le strade di Seoul nella gelida notte di sabato scorso. Già annunciate nuove proteste e nuove veglie con un esercito di candele, già simbolo della resistenza civile contro Park. Nel giro di pochi minuti, la delusione e la rabbia per la mancata destituzione di Yoon si erano già trasformate in speranza e consapevolezza. Lo dicono le due stesse ragazze strette su quel telefonino, che riprendono a saltellare per difendersi dal freddo, agitando i bastoncini luminosi tipici dei concerti K-Pop: "Non è finita, anzi questo è solo l'inizio".
Immagini in anteprima e nell'articolo di Lorenzo Lamperti