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Copyright, sorveglianza digitale, privacy: gli USA alla conquista dell’Europa in nome del profitto

7 Luglio 2014 13 min lettura

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Copyright, sorveglianza digitale, privacy: gli USA alla conquista dell’Europa in nome del profitto

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Nel semestre di presidenza dell'Unione Europea a guida italiana, iniziato il primo luglio, l'Europa si dovrà occupare dei negoziati in corso tra l'Unione e gli Usa, riguardanti il trattato TTIP (Trans-atlantic trade and investiment partnership). In contemporanea sono in corso i negoziati tra gli Usa e i paesi del Pacifico (Australia, Brunei, Cile, Canada, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, USA e Vietnam) per il trattato TPP (Trans Pacific Partnership).

I due trattati commerciali sono decisamente più ampi rispetto all'accordo anticontraffazione ACTA, bocciato nel 2012 dal Parlamento Europeo, coprendo numerosi settori economici, e accomunando paesi che rappresentano un segmento significativo del PIL mondiale, circa il 40% nel caso del TPP, il 50% per TTIP.
I governi impegnati nelle negoziazioni ne magnificano gli effetti, presentandoli come indispensabili per favorire l'innovazione e la crescita economica. La realizzazione di un mercato comune dovrebbe favorire la concorrenza, aiutare lo sviluppo delle aziende, specialmente le piccole e medie che soffrono particolarmente gli attuali ostacoli al commercio, e lo sviluppo dell'interazione digitale dovrebbe fornire maggiore strumenti di partecipazione per i cittadini. La narrativa si incentra sulla creazione di tantissimi nuovi posti di lavoro, e le voci critiche vengono tacciate di essere contro la crescita e l'innovazione, anche se poi  basterebbe verificare le conseguenze di precedenti trattati di libero scambio (col NAFTA si sono persi posti di lavoro a causa del trasferimento delle aziende all'estero dove la produzione costava meno) per aver quanto meno dei dubbi in proposito.

I trattati regolamentano non solo il commercio, ma anche la salute, la sicurezza e l'ambiente, non direttamente ma in quanto ricollegati all'aspetto commerciale, ed è questo l'aspetto più deleterio perché tutto viene ricondotto al commercio. La privacy, ad esempio, non è oggetto dei trattati, ma la sua regolamentazione vi rientra in quanto “barriera commerciale”, e quindi da regolamentare.

Ovviamente un'analisi completa dei due trattati è improponibile, per cui ci concentreremo soprattutto sugli aspetti relativi alla rete internet. I trattati, infatti, includono norme sulla proprietà intellettuale che aumentano significativamente la tutela per i i titolari di diritti, riproducendo l'idea di base del TRIPs, cioè che la proprietà intellettuale è una questione esclusivamente commerciale e in tal senso va regolata. Ciò vuol dire che non vengono prese in considerazione (o comunque lo sono in maniera limitata) le implicazioni e le ricadute sui diritti fondamentali dei cittadini, come la libertà di espressione.

SEGRETEZZA

aggiornamento 17/10/2014 Il documento desecretato si può scaricare qui 

In entrambi i casi le fasi di negoziazione sono state caratterizzate da una estrema segretezza, più o meno come accadde con ACTA, così negando ai cittadini di conoscere  e discuterne il contenuto.
I negoziati del TPP sono iniziati nel 2010 e solo grazie a Wikileaks si è potuto conoscere il contenuto delle bozze. L'USTR americano Michael Froman ha difeso la “trasparenza” delle negoziazioni citando i 1000 briefing tenuti a Capitol Hill, i 600 consulenti arruolati, e la partecipazione di ben 12 paesi, così scambiando l'attività di lobbying con la “trasparenza”.

I negoziati del TTIP (ex TAFTA) sono iniziati nel luglio 2013. A differenza degli Usa, l'UE ha rilasciato alcuni documenti, ma la trasparenza è decisamente ridotta, tra l'altro in violazione della normativa europea che prevede la pubblicità per i lavori di tutte le istituzioni europee.
La Commissione europea ha sostenuto che i negoziati segreti non pregiudicano in alcun modo il dibattito pubblico che si potrà sviluppare una volta che l'accordo internazionale è stato firmato, nel contesto della procedura di ratifica. La segretezza sarebbe legittima per proteggere la sfera di fiducia reciproca su cui si basano le relazioni internazionali, per questo motivo la partecipazione del pubblico alle negoziazioni è necessariamente ristretta. In tal senso, purtroppo, si è espressa anche la Corte di Giustizia dell'Unione Europea rigettando il ricorso di un membro del Parlamento che impugnava proprio detta estrema segretezza, quella volta in relazione al trattato ACTA.

Bisogna però ricordare che le multinazionali hanno comunque accesso ai testi del trattato (i documenti sono forniti solo a coloro “who participate in its internal consultation process and who have a need to review or be advised of the information”), e l'attività di lobbying dietro le quinte riesce ad influenzare le decisioni, specialmente se non vi è alcun controllo democratico da parte  dell'opinione pubblica. I trattati internazionali, infatti, comportano modifiche alle leggi, laddove la funzione legislativa dovrebbe sempre essere improntata alla massima trasparenza, e questo specialmente nel momento in cui il trattato riguarda questioni di politica criminale che incidono sulle libertà fondamentali dei cittadini.
Infatti, l'articolo 1 del trattato sull'Unione europea prevede espressamente il diritto di tutti a prendere parte in modo attivo e consapevole ai processi decisionali: “Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.
Come si concilia la negoziazione dei trattati nell'interesse dei cittadini con l'esclusione proprio di questi dai negoziati, ai quali, invece, sono ammesse le multinazionali? (ai negoziati TTIP del 19 dicembre 2013 erano presenti: TimeWarner, Microsoft, Ford, Eli Lilly, AbbVie, LVMH, Nike, Dow, Pfizer, GE, BSA e Disney).

L'impressione è che i negoziatori, forse rimembrando cioè che accadde con ACTA, abbiano timore di rivelare il contenuto dei trattati, perdendo così il controllo sulla narrazione che invece dovrebbe essere improntata esclusivamente sulle prospettive di crescita e di occupazione. Ciò parrebbe confermato dal fatto che entrambi i trattati prevedono che solo il testo finale sarà rivelato dopo la firma, mentre tutti gli altri documenti rimarranno segreti per almeno 5 anni.
Il sottosegretario italiano Calenda ha invece promesso che durante il semestre italiano di presidenza Ue saranno modificati i segreti di Stato intorno all'accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti. Attendiamo fiduciosi.

TPP
Il TPP fondamentalmente ha lo scopo di esportare la legislazione americana in materia di proprietà intellettuale anche alle altre nazioni, rafforzando la tutela dell'industria. A seguito della bocciatura di ACTA in Europea e della legge SOPA negli Usa, non si cerca di imporre regole più stringenti, quanto piuttosto di definire un quadro legislativo generico all'interno del quale vengono promosse forme di collaborazione tra aziende. L'esempio significativo riguarda proprio il copyright, con la rimozione dei contenuti online. ACTA prevedeva la possibilità di introdurre incentivi alle aziende per promuovere tale forma di collaborazione, il TPP invece obbliga gli Stati aderenti ad introdurre detti incentivi.

Il testo del TPP, inoltre, introduce forme di responsabilità indiretta, secondaria o da favoreggiamento, per gli Isp in caso di mancata rimozione di contenuti online. Gli Isp sono obbligati a impedire la reimmissione online di contenuti già rimossi (notice and staydown). In tal modo si introduce una responsabilità diretta dei provider per omissione.
I provider, quindi, si vedrebbero ridotto il loro spazio di manovra, andando esenti da responsabilità solo nel momento in cui adottano, a loro spese, una specifica policy per la rimozione di contenuti online. In pratica ad ogni segnalazione dell'industria, il provider dovrà rimuovere e poi controllare che il contenuto non sia reimmesso, per non doverne rispondere. Ricordiamolo, non stiamo parlando di contenuti illeciti, ma solo di presunti illeciti, sulla base della valutazione del tutto unilaterale del titolare dei diritti.

I negoziatori insistono sul punto che i trattati si occupano solo di violazioni su scala commerciale, dimenticando però di spiegare che tale definizione include anche le violazioni senza scopo di lucro (il lettore MP3 con centinaia di brani musicali), quindi vi saranno sanzioni criminali anche per motivi di semplice condivisione online (il video condiviso su Facebook).
È interessante notare che per il calcolo dei danni civili in caso di violazione l'autorità giudiziaria ha la facoltà di prendere in considerazione qualsiasi misura del valore dell'opera, compreso la possibile perdita di profitti. La norma è la esatta replica dell'art. 2.2 di ACTA!

Addirittura il TPP prevede di includere anche le copie cache nell'ambito della materia regolata dalle leggi sul copyright, ciò vuol dire che le copie temporanee realizzate sul computer dell'utente mentre naviga in rete, guarda un video in streaming oppure ascolta musica, sono illegali se non espressamente autorizzate dall'editore. Occorrerà quindi un'ulteriore licenza anche solo per navigare in rete e l'industria avrà il controllo totale sui contenuti online.
Canada, Nuova Zelanda e Vietnam sono contrari a questa disposizione, l'Europa esenta le cache da regolamentazione, anzi di recente è intervenuta la CGUE stabilendo che le copie cache non sono soggette ad autorizzazione.

TTIP
Il TTIP è in fase meno avanzata rispetto al TPP. Le negoziazioni sono iniziate 3 anni dopo. La Commissione europea ha sostenuto che in materia di proprietà intellettuale le questioni poste sul tavolo sono limitate, ma non vengono forniti dettagli.
Comunque l'Europa sottolinea che “la proprietà intellettuale è una delle forze trainanti dell'innovazione e della creazione, nonché una delle colonne portanti di un'economia basata sulla conoscenza, e che l'accordo dovrebbe non solo includere una forte protezione di settori ben definiti e specifici dei diritti di proprietà intellettuale (DPI), comprese le indicazioni geografiche, ma anche essere coerente con gli accordi internazionali già esistenti; ritiene che altre aree di divergenza in materia di DPI debbano essere risolte in linea con le norme internazionali di protezione”.
Purtroppo non si richiama il fatto che i diritti esclusivi ostacolano anche l'accesso alla conoscenza e alla cultura, la salute, la sicurezza alimentare, l'innovazione e la diffusione delle tecnologie verdi, e che le limitazioni ed eccezioni ai diritti esclusivi sono essenziali per l'innovazione. Come dicevamo, l'approccio è di considerare la proprietà intellettuale una questione puramente commerciale, quindi un “investimento” delle aziende.

Anche TTIP prevede l'introduzione di forme di responsabilità degli intermediari, una specifica regolamentazione per le indicazioni geografiche e una tutela rafforzata per i brevetti. Secondo la prospettiva degli Usa tutto dovrebbe essere brevettabile, invenzioni, prodotto, processi, a condizione che siano suscettibili di applicazione industriale. In tal modo si aprirebbe alla possibilità di brevettare piante, animali e metodi chirurgici.

SORVEGLIANZA DIGITALE
Quando è venuto alla luce lo scandalo delle intercettazioni dell'NSA, l'Europa ha espresso a più riprese le sue preoccupazioni sulle attività di intelligence americane e le evidenti ricadute sulla privacy degli europei. Per questo motivo sono stati aperti due ulteriori gruppi di lavoro tra UE e Usa per analizzare la questione delle attività di intelligence e la protezione dei dati. Questo, purtroppo, è stato un grave errore da parte dell'Unione Europea, perché separando i due argomenti l'UE non ha più alcuna leva per controbattere sulle attività di spionaggio. Gli Usa potranno semplicemente bloccare ogni questione inerente l'intelligence sulla base della considerazione che si tratta di argomenti da discutere altrove.

Infatti, il negoziatore per la UE Jan-Willem Verheijden ha precisato che la privacy non è nel mandato negoziale dell'Unione europea.

PRIVACY
L'UE ha precisato che i suoi standard di protezione dei dati personali non saranno oggetto dell'accordo TTIP. Saranno comunque oggetto dei negoziati numerosi aspetti dell'economia digitale al fine di assicurare che le regole tra UE e Usa non agiscano come barriere al commercio.
Il punto, purtroppo, è che la privacy è percepita dalle aziende americane come un ostacolo al commercio, considerato che numerose di queste aziende fanno affari sfruttando i dati personali. A questo proposito TTIP potrebbe compromettere seriamente l'attuale standard di tutela europeo se si dovesse introdurre l'approccio americano.
Nei negoziati, quindi, si discuterà di privacy, ma solo sotto l'aspetto esclusivamente commerciale, non certo quello della tutela dei cittadini che sarà affrontato a parte. Forse.

CONTROVERSIE INVESTITORE-STATO
L'aspetto probabilmente più controverso dei due trattati riguarda le ISDS (investor-State dispute settlement) cioè le controversie investitore Stato, che trovano le loro origini nel diritto internazionale consuetudinario, quando uno Stato rivendica la protezione diplomatica contro un pregiudizio causato dallo Stato ospitante. Gli Stati possono stabilire appositi strumenti per la protezione delle aziende straniere che investono (questo tipo di protezione, precisiamolo, non è a disposizione degli investitori locali, ma solo di quelli esteri, così determinando una evidente discriminazione). La protezione degli investimenti diretti è attualmente garantita da oltre 2000 trattati internazionali, come il NAFTA, il capitolo 11 del quale, appunto, consente agli investitori di proporre azioni direttamente contro il governo di un altro Stato aderente al trattato.

Tali clausole non sono previste nei rapporti tra UE e Usa (attualmente gli Usa hanno accordi che prevedono clausole ISDS con Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia), essendo i rapporti commerciali disciplinati dal WTO che non consente ad una azienda di attaccare direttamente uno Stato. Ma il TTIP prevede l'inserimento di una clausola del genere, che autorizza una multinazionale a citare in giudizio uno Stato sovrano dinanzi ad un arbitro internazionale (es. la Banca Mondiale) se ritiene che una legge possa alterare le sue aspettative di guadagno.
Ricordiamo che il presidente della Banca Mondiale è nominato dagli Usa ed è il presidente del Centro Internazionale per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti (ICSID), il quale nomina il segretario e i 3 arbitri per questo tipo di controversie. È evidente lo sbilanciamento a favore degli Usa.

Clausole di questo tipo una volta venivano inserite nei trattati per impedire che uno Stato espropriasse illegittimamente i beni di un'azienda. L'Europa oggi spiega che occorrono perché i tribunali di un paese potrebbero essere prevenuti oppure perché quello Stato potrebbe non rispettare gli accordi!!!!
Col tempo tali clausole hanno finito per costituire una potente arma contro la sovranità dei paesi occidentali perché non sono previste solo per le perdite pregresse (come per l'espropriazione) ma anche per risarcire la perdita di utili futuri, derivanti ad esempio da una nuova normativa in materia ambientale o sanitaria. Il miglioramento delle norme di sicurezza o di salute determina sovente la riduzione dei profitti delle aziende che devono provvedere ad ulteriori spese per adeguare gli impianti.
Così le ISDS sono diventate un mezzo per annullare le leggi di un paese, sostituendo il sistema di tutela con uno ottimizzato per le imprese. È noto il caso di Ely Lilly che porta in giudizio il Canada, ma gli esempi teorici sono molteplici, come la mancata introduzione in Europa di normative più stringenti sulla pirateria online, oppure l'adozione di software open source, o l'accesso a costi bassi per le medicine essenziali, tutte cose che porterebbero a ridurre i profitti attesi dalle aziende americane, e quindi consentirebbe loro di ottenere risarcimenti miliardari (Occidental Petroleum vs Ecuador, risarcimento di 1,77 miliardi di dollari).

Tali clausole sono assolutamente non necessarie per il semplice motivo che i paesi negoziatori (Usa e UE) dispongono di sistemi giuridici ben sviluppati che prevedono la risoluzione delle controversie tramite giudici terzi.
Tra l'altro queste clausole appaiono in contrasto con la normativa UE che prevede come giudice di ultima istanza la Corte di Giustizia Europea.

Nel 2013 l'Unione Europea ha avviato anche una consultazione sulle clausole ISDS in relazione proprio al TTIP. Ovviamente la consultazione è su come introdurre queste clausole, non se introdurle!

TISA
Di recente Wikileaks ha pubblicato la bozza del testo del trattato TISA, un accordo commerciale segreto che andrebbe ad affiancare TPP e TTIP per realizzare un mercato unico mondiale. I paesi negoziatori del TISA sono: Australia, Canada, Cile, Cina Taipei, Colombia, Costa Rica, Unione europea, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan , Panama, Paraguay, Perù, Repubblica di Corea, Svizzera, Turchia e ovviamente Stati Uniti.
Il trattato è negoziato in gran segreto, e mira a consolidare il modello di deregolamentazione fissando nuovi standard nel settore dei servizi, non solo i servizi finanziari ma ogni tipo di servizio, compreso quelli di telecomunicazione nonché i servizi essenziali (acqua). Anche qui l'idea di base è eliminare tutto ciò che costituisce “barriera commerciale” imponendo degli arbitri internazionali per risolvere le controversie, così tutelando le aziende investitrici.

STANDARD INTERNAZIONALI
Le disposizioni di entrambi i trattati, per la loro genericità, creeranno numerosi problemi in fase di applicazione con il rischio di ledere i diritti dei cittadini. I governi elogiano sempre i cosiddetti free trade, cioè i trattati di libero commercio, ma a quanto pare questi trattati contengono numerose misure di stampo prettamente protezionistico.

Il TPP non è negoziato direttamente con l'Europa vista la cocente sconfitta degli Usa, sponsor di ACTA bocciato dal Parlamento Europeo, si è così preferito procedere con accordi con i paesi del Pacifico. In una fase successiva si è aperto un nuovo negoziato diretto con l'UE, il TTIP, nel quale progressivamente si sono trasposte norme del TPP.
Ma l'obiettivo di entrambi i trattati è di realizzare un quadro comune tra i partecipanti, in particolare tra gli Usa e l'Europa, fissando degli stringenti standard per la tutela della proprietà intellettuale. Si tratta di un obiettivo che evidentemente va a tutto favore degli Usa, visto che la sua economia è ormai principalmente basata sulla proprietà intellettuale. Una volta fissato uno standard comune si procederà man mano ad estenderlo agli altri paesi.

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L'approccio esclusivamente commerciale alla proprietà intellettuale implica l'applicazione di una regola comune, one size fits all in materia di copyright e marchi. Ma ciò può non andare bene a tutti, perché alcuni paesi potrebbero avere necessità di regole diverse a seconda delle condizioni culturali ed economiche. In realtà la proprietà intellettuale può essere di per sé una barriera commerciale, basti pensare alle crescenti dispute in materia di brevetti tra le aziende produttrici di smartphone che impediscono il commercio di numerosi modelli tra Corea e gli Usa. Oppure, ricordiamo la famosa immagine di Albert Einstein che è nel pubblico dominio in Canada ma non può essere usata negli Usa.

Quindi, l'imposizione di regole comuni, anzi l'estensione delle regole degli Usa ad altri paesi diventa una punizione per gli Stati insubordinati e rei di politiche economiche che non assicurano sufficienti garanzie di guadagno alle aziende americane investitrici.
Sorge un dubbio, perché la Germania viene trattata come uno dei partner più affidabili quando invece è il paese che ha approvato la Link Tax, che di fatto crea una potente barriera commerciale all'ingresso?

L'intenzione evidente è di riuscire ad imporre in futuro lo stesso quadro normativo ai BRIC, Brasile, Russia e Cina, così imbrigliando le maggiori opportunità di crescita dei paesi emergenti. Considerato, però, che Cina e India hanno già dichiarato di non voler aderire a tali trattati, in quanto incompatibili con il TRIPs ed altri trattati del WTO poiché creano delle evidenti barriere commerciali, il rischio è che avremo una normativa molto più restrittiva in Europa e negli Usa e una normativa più permissiva negli altri paesi, con le ovvie conseguenze che molte nuove aziende potrebbero spostarsi per sottrarsi alle regole protezionistiche.
Quello che davvero non si riesce a comprendere è per quale motivo l'Europa accetta una tale palese subordinazione agli Usa.

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