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In Serbia la difficile convivenza fra russi e ucraini dopo la scoperta del massacro di Bucha

7 Novembre 2022 10 min lettura

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In Serbia la difficile convivenza fra russi e ucraini dopo la scoperta del massacro di Bucha

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Intrappolati tra la paura di essere spediti in guerra e la repressione per opporsi ad essa, migliaia di cittadini russi hanno abbandonato il paese negli ultimi otto mesi. Il flusso è drasticamente aumentato nei giorni successivi alla mobilitazione parziale annunciata da Vladimir Putin il 21 settembre. A causa della chiusura dello spazio aereo dell’Unione Europea agli aerei russi e della decisione della stessa UE di limitare la concessione dei visti ai cittadini russi come punizione per l’invasione dell’Ucraina, le destinazioni per dissidenti e disertori del regime sono ridotte. Coloro che vivono a San Pietroburgo e dintorni hanno provato a raggiungere, principalmente in macchina, la Finlandia. Lo stesso vale per le persone residenti vicino ai confini meridionali che hanno tentato di entrare nella fascia di paesi che va dal Caucaso (Georgia, Armenia e Azerbaigian) alla Mongolia. Tra coloro che invece hanno scelto e potuto permettersi di acquistare un biglietto aereo, la meta più gettonata è stata la Turchia, anche solo come luogo di transito. Come segnalava Flightradar24 il 22 settembre, il 25% dei voli internazionali dalla Russia nel 2022 era diretto in Turchia.

La storia di Katya Khazina

Per molti, però, rimanere troppo vicino alla Russia non era un’opzione rassicurante. Così migliaia di russi hanno scelto la Serbia, più precisamente la sua capitale Belgrado. “Ho sempre ottenuto il visto Schengen per i miei viaggi ed ero completamente sicura che una volta arrivata in Serbia sarei potuta andare in un’ambasciata [di un paese dell’UE] a richiederlo, ma non è stato possibile”, racconta Katya Khazina, 34enne attivista con un passato a Memorial, un’organizzazione che si occupava di repressione in URSS e nell’attuale Russia e che il 28 febbraio è stata liquidata dalla Corte Suprema russa. Per Khazina i primi giorni successivi all’aggressione dell’Ucraina sono trascorsi tra pianti e proteste. Dopo circa una settimana dall’inizio dell’invasione è fuggita da Mosca insieme al compagno e ad alcuni dei loro migliori amici. Hanno acquistato un biglietto aereo per l’Armenia e successivamente si sono spostati in Georgia, dove Khazina e il compagno si sono sposati quasi furtivamente. Preoccupati che tutti i paesi europei potessero chiudere i confini ai cittadini russi hanno preso un volo per Belgrado, dove risiedono da marzo. Qui possono soggiornare senza visto per un massimo di trenta giorni, motivo per cui ogni mese oltrepassano il confine con la Bosnia Erzegovina, raggiungono la città di Bijeljina e rientrano a Belgrado.

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Il governo serbo stima che circa 45mila russi siano entrati in Serbia a partire da febbraio, tant’è che si possono captare conversazioni in russo in ogni angolo della capitale. Di questi, circa 4000 avrebbero fatto domanda per ottenere il permesso di soggiorno. Inoltre, sarebbero più di 1000 le aziende aperte da cittadini russi, principalmente nel settore informatico. A causa delle limitate possibilità di spostamento, è sostanzialmente in corso lo sviluppo di una nuova comunità, che prima dell’inizio del conflitto in Ucraina contava 3247 individui stando al censimento del 2011

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“La decisione dell’UE di non concedere visti ai cittadini russi è una misura inumana che colpisce anche chi si oppone alla guerra e vorrebbe cercare rifugio altrove", accusa Khazina, che sottolinea come ci sia un grande stigma nei confronti del movimento di protesta russo, che è molto sottovalutato. “L’UE ha affermato di aver lasciato aperta la possibilità di richiedere un visto umanitario ai russi che ne hanno davvero bisogno, ma la realtà è che il procedimento non è per nulla chiaro,” dichiara Khazina. “I giornalisti e i cittadini occidentali con cui parlo non sanno delle torture che chi protesta in Russia subisce una volta in carcere. Le persone vengono arrestate per aver messo like a un post su Facebook o per aver indossato pantaloni gialli che ricordano vagamente la bandiera dell’Ucraina”, dice, ricordando come, dopo l’annuncio della mobilitazione, l’unico sostegno sia arrivato da iniziative orizzontali interne al paese, per la maggior parte lanciate da movimenti femministi. “Non vedo segnali di aiuto significativi provenienti dall’esterno. Capisco che sostenere finanziariamente i dissidenti russi non è nell’interesse dei governi europei, ma questo porta solo a normalizzare una discriminazione generalizzata verso l’intera popolazione. Si accusa i russi di non protestare, ma noi stiamo protestando e dovrebbero supportarci”.

Naturalmente tra chi è fuggito c’è anche chi era solito appoggiare il regime di Putin o che semplicemente non si opponeva ad esso, ma Khazina difende la necessità di esaminare le storie individuali di chi è ricorso all’esilio. “L’attivismo non è per tutti. Forse alcuni di loro si sono appena resi conto che qualcosa non va e noi dovremmo credere che le persone e le loro opinioni possono cambiare”. Khazina, ora parte del collettivo femminista de “Le Donne in Nero” e impegnata a lanciare iniziative a sostegno degli attivisti russi, reputa la sua generazione bloccata tra la fine dell’era sovietica e l’ascesa al potere di Putin e sente di non aver lottato abbastanza per impedire la deriva autoritaria della Russia. “Molti russi hanno paura di protestare anche qui in Serbia. Le cose stanno cambiando lentamente, ma il governo è stato così repressivo per così tanti anni che le persone si sono portate dietro paure e paranoie, anche perché molti di loro hanno ancora dei parenti che sono rimasti in Russia”, dice Khazina, che ripone le sue speranze sulle nuove generazioni. “I giovani di oggi sono molto più coraggiosi e fanno sentire la propria voce”.

L'attivismo di Ilya, 19 anni

Ilya, 19enne di Togliatti, è uno di loro. Studente di storia e relazioni internazionali a Kazan, ha partecipato alla sua prima protesta in favore di Aleksey Navalny all’età di 14 anni. Dopo quattro anni di campagne a sostegno dell'opposizione, l'anno scorso ha svolto il ruolo di osservatore alle elezioni parlamentari, ricevendo anche minacce per aver denunciato le numerose falsificazioni del suo seggio. 

Si è unito anche alle proteste sorte dopo l'aggressione all'Ucraina, che giudica disorganizzate per l'assenza di leader. “La gente realmente a favore della guerra in Russia è una minoranza, ma una delle ragioni dell'inefficacia delle proteste è la capacità di Putin e del suo partito di frammentare i movimenti di protesta in piccoli gruppi”, afferma Ilya, che in seguito a una di queste proteste è stato fermato, portato dentro a una camionetta della polizia affollata di dissidenti e condotto in commissariato, dove è stato costretto a passare una notte prima di essere portato in tribunale. Qui ha ricevuto una sanzione amministrativa dopo otto ore di attesa ed è stato rispedito a casa.

Nonostante la paura, alimentata dalla notte spesa in cella, Ilya ha continuato la sua attività distribuendo volantini che condannavano la guerra. Di lì a poco, durante un’altra protesta, è stato fermato nuovamente da alcuni agenti di polizia. “Mi hanno insultato e afferrato per i capelli e mi hanno intimato di smettere di protestare, altrimenti mi avrebbero spaccato la faccia”, ricorda Ilya, che pochi giorni dopo è tornato nella sua città natale per nascondersi in un appartamento di cui nessuno era a conoscenza. Da Togliatti si è poi diretto a San Pietroburgo. Da lì ha preso un volo per Istanbul e successivamente ha raggiunto Belgrado, dove sente di avere maggior libertà di espressione e protezione da parte della polizia durante le manifestazioni di protesta. 

In patria, invece, la repressione è dura e sistematica. “Sono dovuto partire in fretta da Kazan, perché la polizia era venuta a casa mia, mi aveva sequestrato computer e telefono e aveva minacciato di prendersela con la mia famiglia”, dichiara. “Non riesco a esprimere a parole come mi sentivo quel giorno quando ho capito che sarebbe stato l'ultimo da uomo libero in Russia”. 

L'attuale obiettivo di Ilya è poter ottenere il visto umanitario per la Germania, apparentemente l'unico paese che offre informazioni chiare sul procedimento da seguire. La Serbia, invece, è stata la prima opzione perché, oltre a non richiedere un visto all'ingresso, presenta similitudini linguistiche e culturali con la Russia.

Il rapporto tra Serbia e Russia

Russia e Serbia, infatti, sono entrambi paesi prevalentemente slavi e ortodossi che condividono una forte affinità culturale. Intrattengono una relazione di profonda amicizia da secoli, diventata vera e propria alleanza nel corso dei vari conflitti che hanno caratterizzato il XIX secolo. In particolare quello in Kosovo, conclusosi con i bombardamenti della NATO ai danni della Serbia. Un’azione che la Russia allora guidata da Yeltsin condannò fermamente, contribuendo a rinsaldare il rapporto tra i due popoli. 

Oggigiorno il rapporto prosegue nonostante il presidente serbo Aleksandar Vučić da anni stia svolgendo complessi esercizi di equilibrismo per avvicinarsi all’UE senza allontanarsi da Mosca. La difficoltà  della Serbia di proseguire con la politica del tenere un piede in due scarpe è notevolmente aumentata con l’aggressione della Russia all’Ucraina. E non è un caso che la Serbia sia l’unico paese europeo che, se si eccettua la Bielorussia di Aleksandr Lukashenko, non si è unito alle sanzioni imposte dall’Occidente al Cremlino. Vučić deve stare attento a non indispettire l’enorme fetta di concittadini che vedono la Russia di Putin come un alleato inattaccabile. Dunque non sorprende che, secondo recenti sondaggi, oltre il 70% dei serbi incolpi la NATO per lo scoppio della guerra. “Quello che sta accadendo in Ucraina è una battaglia tra il bene e il male. E naturalmente la Russia rappresenta il bene”, dice Gordana, avvocata in pensione che fa parte di un movimento populista accampato davanti al Parlamento da circa nove mesi. 

Paradossalmente, migliaia di russi in esilio sono finiti nel paese europeo che più appoggia la Russia di Putin. Agli omaggi dedicati al criminale di guerra Ratko Mladić, visibili ovunque, si sono aggiunti una serie di murales che ritraggono Putin, la bandiera russa e l’ormai famosa “Z”. Quindi qual è il rapporto con la popolazione locale?

“Sono molto grata al popolo serbo che mi sta ospitando”, sostiene Khazina, “ma ci sono stati casi in cui, durante piccole proteste in Piazza della Repubblica, dei serbi che ci hanno urlato che non siamo i benvenuti e che Putin è il re dell’universo. L’amore che molti serbi professano per la Russia si basa sull’ignoranza rispetto alla vita in Russia”. Khazina ama parlare di politica con tutte le persone che incontra e a volte l’hanno accusata di essere vittima della propaganda occidentale. “Sono stata anche vittima di bullismo online,” racconta. “Hanno preso una foto di una mia intervista e mi hanno riempita di insulti in alcuni gruppi Telegram filorussi. Se mantieni un profilo basso non ti succede niente, ma se fai attivismo puoi essere colpita duramente”. Altre volte, ai serbi si aggiungono cittadini russi che vivevano in Serbia già prima dell’inizio del conflitto. “Una volta durante una protesta una donna russa ci ha filmato e ha minacciato di inviare il video ai servizi segreti russi. Queste persone popolano gruppi Telegram in cui si prendono di mira gli attivisti”. 

È stato anche riportato un incidente in cui una coppia, lui russo e lei ucraina, sono stati aggrediti da cittadini serbi. Ma naturalmente generalizzare è sempre sbagliato. Molti serbi che non supportano la Russia preferiscono rimanere in silenzio per non subire conseguenze negative. Ilya finora non ha vissuto episodi spiacevoli e durante il suo periodo di lavoro in fabbrica ha ricevuto supporto dai colleghi serbi anche dopo aver espresso le proprie opinioni. “Capiscono che la guerra è terribile per tutti”.

Le tensioni tra russi e cittadini ucraini presenti in Serbia

Anche la relazione tra russi e cittadini ucraini presenti in Serbia è abbastanza controversa e piuttosto tesa. Peter Nikitin, un russo che dal 2016 lavora come consulente legale freelance a Belgrado, dove si è sposato con una donna serba, si è assunto la responsabilità di organizzare le prime proteste contro la guerra, forte della cittadinanza olandese conseguita dopo molti anni ad Amsterdam. In aggiunta, ha creato un gruppo Facebook privato denominato “Russi, Ucraini, Bielorussi e Serbi insieme contro la guerra” con l'obiettivo principale di contrastare la propaganda russa nel paese. “Inizialmente, russi e ucraini protestavamo insieme, ma dopo il massacro di Bucha sono subentrate fratture che sembrano insanabili e ora le due comunità protestano separatamente”, rivela Nikitin. “È opinione diffusa tra gli attivisti ucraini ritenere l’intero popolo russo responsabile di ciò che sta accadendo per non essersi ribellato abbastanza”.  

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Ciò che sembra divergere è la motivazione che spinge le due comunità a protestare e l’interpretazione che entrambe hanno dei concetti di responsabilità e colpa collettiva. “Gli attivisti ucraini sono molto arrabbiati con i russi che dicono ‘no alla guerra’ o che continuano a ripetere che Putin non li rappresenta, perché queste posizioni sono ovvie e non più rilevanti per loro,” riporta Khazina.  L’attivista russa aggiunge che l’esodo di massa, verificatosi in seguito all’annuncio della mobilitazione parziale, è un altro aspetto che ha contribuito a far infuriare gli ucraini. L’accusa è di aver abbandonato il paese solo quando la guerra ha bussato alle loro porte e non per i crimini di guerra che il loro esercito aveva già commesso mesi addietro. Secondo Khazina, ci sarebbero state anche indicazioni in merito da parte dell’ambasciata ucraina in Serbia che, in ogni caso, non vuole interferire né con il denaro russo, perché ritenuto sporco di sangue, né con i russi, perché reputa le loro istanze fuori luogo.

Questi eventi hanno causato frizioni anche all’interno della comunità russa, tra coloro che concentrano tutte le loro energie a sostegno dell’Ucraina e coloro che sentono che, anche se sono contrari alla guerra, non vorrebbero sostenere apertamente l’Ucraina. Ovviamente, ci sono anche russi che non si sono mai interessati alla politica e che desiderano continuare a starne lontano, ma i numeri stanno aumentando. A una delle proteste più recenti hanno partecipato circa 500 persone. “È molto difficile formulare ciò che tutti, russi e ucraini, stiamo provando in questi giorni”, conclude Khazina. “Benché sia diretta anche contro di me, comprendo la rabbia degli attivisti ucraini”.

Immagine in anteprima: Manifestazione contro la guerra in Ucraina organizzata dal gruppo “Russi, Ucraini, Bielorussi e Serbi insieme contro la guerra”, via rferl.org

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