La pace fiscale di Salvini: una mossa politica contro i contribuenti (ma anche contro Meloni)
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Negli Stati Uniti si dice “ci sono due cose sicure: le tasse e la morte”. In Italia il detto è diventato “c’è una sola cosa sicura: la morte”. Questo aneddoto è forse il modo migliore per illustrare il rapporto difficile che il nostro paese ha quasi sempre avuto con le tasse. Non dovrebbe far scalpore quindi l’ennesima proposta di pace fiscale avanzata dal Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture e leader della Lega, Matteo Salvini. Mentre il disegno di legge delega fiscale è sotto esame al Senato, da Cagliari Salvini ha rilanciato una nuova pace fiscale dichiarando:
Ci sono ad oggi 15 milioni di italiani che hanno fatto la dichiarazione dei redditi, ma hanno un conto aperto con l’agenzia delle entrate - ha sottolineato -. Non posso pensare che un terzo degli italiani, tolti i minorenni, sono persone che hanno avuto un problema con il fisco, non ce l’hanno fatta a pagare tutto quello che dovevano. Dovrebbero essere aiutati non condannati.
La proposta di Salvini arriva poco dopo la scadenza, il 30 giugno, per aderire alla rottamazione delle cartelle voluta dal Governo Meloni che ha visto più richieste rispetto a quanto previsto. Secondo il leader della Lega è ora di una nuova pace fiscale, a seguito di quanto fatto dal Governo, che interessi non soltanto le sanzioni su quanto non è stato pagato, ma anche una parte dei crediti: quello che si chiama "saldo e stralcio". Si tratta quindi di una proposta differente rispetto alla rottamazione, dove il contribuente è tenuto a pagare l'intera somma, ma decurtata dagli interessi. La soglia sarebbe fissata a 30 mila euro, una cifra che riguarda il 97% dei contribuenti, nonostante buona parte dell’evasione provenga dal restante 3%.
Ovviamente non sono mancate le critiche: non solo dall’opposizione, ma anche dalla maggioranza. Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, aveva nei giorni precedenti presentato una controproposta rispetto alla delega fiscale in cui si ribadiva la necessità di riscuotere tutti i crediti sicuri. Maria Cecilia Guerra, responsabile lavoro del PD, ha invece sottolineato che, quando legittimata, l’evasione non si ferma mai. Per Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, si tratta di frutti devastanti. Ferma condanna anche dal resto dell’opposizione. Non sembrano esserci invece critiche da parte di Italia Viva, che almeno si sbarazza dell’incoerenza.
Ma, come dicevamo, gli animi sono agitati anche nella maggioranza. A partire dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (Lega) che evita di commentare, mentre il viceministro Leo (Fratelli d’Italia), afferma che la proposta di Salvini potrebbe compromettere le mosse del governo. A dichiararsi favorevole c’è l’altro vice premier Antonio Tajani, che ha ribadito l’impegno di Forza Italia in tal senso.
Non si è fatta aspettare la replica del presidente dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini: anche senza nominare apertamente il Ministro Salvini, oltre a ricordare l’ottimo lavoro svolto dall’Agenzia nell’anno appena trascorso, ha sottolineato come la tassazione serva per garantire la scuola e la sanità pubblica. Poiché queste risorse sono indispensabili per vivere in un paese civile, è compito dell’Agenzia quello di raccoglierlo da chi si sottrae al pagamento.
La lunga storia dei condoni fiscali in Italia: sono davvero serviti?
D’altronde nel nostro paese i condoni, anche utilizzando formule più astute come “pace fiscale”, non sono certo una rarità. Dall’Unità d’Italia a oggi, ne contiamo ben 83.
C’è un caso paradigmatico, tra questi, che è utile per comprendere la ratio attraverso cui sono stati giustificati: il condono voluto dal governo presieduto da Mariano Rumor, esponente della Democrazia Cristiana. A quel tempo, grazie in particolare al lavoro del parlamentare repubblicano Bruno Visentini, si assistette a una riforma fiscale di ingenti dimensioni che introdusse nel nostro paese l’IRPEF che, almeno nelle prime intenzioni, doveva essere un’imposta su tutti i redditi. D’altronde il nostro paese stava andando incontro a vari cambiamenti, incorporando in uno stato sociale corporativo elementi universalistici: basti pensare che da lì a poco sarebbe nato il Sistema Sanitario Nazionale con il governo Andreotti. Visti questi cambiamenti che avrebbero altresì mutato il rapporto tra Stato e cittadino, si decise di varare un condono. Nelle mente dei politici del tempo l’idea era tracciare una linea indelebile tra il passato e il futuro, grazie alla nuova disciplina fiscale.
Peccato che qualche anno dopo il governo Spadolini fece un altro condono.
Questo è un caso tipico del nostro paese: il condono viene approvato nella speranza dichiarata che sia l’ultimo, ma questo puntualmente non succede. Se in altri paesi, come Francia e Germania, vi sono comunque stati nel corso degli anni dei condoni fiscali, la grossa differenza con il nostro paese è nella frequenza. In un caso si tratta di provvedimenti di carattere emergenziale, nel nostro invece no, come i dati precedentemente citati confermano.
Ma, pur considerando la natura sistemica dei condoni nel nostro paese, ci si può chiedere se questi funzionino. In realtà, nonostante a livello teorico sembrino appetibili, le evidenze empiriche accumulate nel corso degli anni suggeriscono il contrario. In un lavoro del Fondo Monetario Internazionale (FMI) che tenta di riassumere i risultati ottenuti, gli autori notano come i condoni fiscali che hanno avuto effetti positivi sono l’eccezione più che la norma. Inoltre quelli che hanno avuto un effetto più significativo sono quelli che sono andati di pari passo con un maggior controllo delle autorità preposte.
Anche guardando al caso italiano più specifico, la situazione appare abbastanza limpida. Come fatto notare qualche tempo fa da Chiara Brusini su Il Fatto Quotidiano, i vari interventi che si sono susseguiti nel corso degli anni non hanno garantito le entrate previste. Il condono voluto dal governo Renzi, ad esempio, ha permesso di raccogliere 8,3 miliardi dei 17 previsti (poco meno della metà). Successivamente era intervenuto il governo Gentiloni, all'interno della stessa legislatura. Il provvedimento interessava perlopiù le cartelle escluse dal condono di Renzi. Anche qui il gettito è stato di 2.8 miliardi contro gli 8,5 previsti. Ancora peggio sono andati quelli del Governo Conte I, dove in maggioranza figurava appunto anche il leader della Lega Matteo Salvini.
Questo quadro, desolante certo, dovrebbe però suggerire che vi è anche una ragione politica dietro la volontà di intervenire continuamente su questo fronte: i condoni, di fatto, generano gettito fiscale. Questo, ovviamente, permette al governo in carica di poter dispiegare le risorse accumulate per portare avanti politiche che gli faranno, in linea teorica, guadagnare consenso. Il rischio, come già spiegato a dicembre, è però sulle aspettative dei cittadini.
Che cosa vuol dire? Quando il condono diventa sistematico influisce sulla propensione degli agenti economici- ovvero i cittadini- alla cosiddetta tax compliance, un termine tecnico che indica l’adesione del cittadino a pagare spontaneamente i propri tributi. Se infatti il cittadino disonesto sa che sistematicamente i governi interverranno con rottamazioni o saldi e stralci non sarà incentivato a pagare le tasse e mantenersi in regola con il fisco, potendo poi migliorare la sua situazione grazie al provvedimento del governo.
Si tratta di un fenomeno che anche gli studi in materia hanno sottolineato: a livello storico il nostro paese presenta una bassa fiducia nello Stato e questo si riflette in una maggior evasione fiscale.
Questo ha una conseguenza: l'evasione fiscale va a diminuire il gettito, ovvero quanti soldi incassa lo Stato. Il risultato è la mancanza di risorse per finanziare scuola pubblica, infrastrutture, sanità.
La politica dietro alla proposta di Salvini
Il Governo, questo gliene va dato atto, è recentemente intervenuto sulla riscossione dei tributi.
Come spiega il professore di Diritto Tributario, Tommaso Tanno, su La Voce l’impianto è quello gettato dal Governo Draghi che va verso una semplificazione della procedura snellendo la burocrazia. In particolare per quel che riguarda le procedure di riscossione. Finora infatti le procedure sono state bloccate da un certo zelo nell'applicazione delle norme, quindi l'amministrazione finanziaria deve decidere, in maniera spesso opaca, quali crediti riscuotere o no. La legge delega decide quindi di intervenire normando-anche se ancora non si come-queste scelte puramente discrezionali indirizzando l'azione verso i crediti più cospicui.
Vi sono però anche degli elementi di novità come la cancellazione dei crediti inesigibili, quei debiti cioè che è altamente improbabile riscuotere. Come spiega Tanno, non è ancora possibile dare un giudizio complessivo, visto che mancano i decreti attuativi, ma è comunque encomiabile che il Governo abbia voluto fare un passo avanti in materia.
Queste due posizioni contrastanti – da una parte la necessità di intervenire sui controlli come sottolineata anche dal sottosegretario Leo e dall’altra le proposte di "Pace Fiscale" fatte da Salvini in un contesto non istituzionale – mostrano qualcosa di più: la lotta interna al Governo tra la fazione salviniana e quella meloniana. Sia la Lega sia Forza Italia infatti rischiano di essere fagocitati dal tentativo da parte di Fratelli d’Italia di ergersi a nuovo centro della destra conservatrice italiana. Giocare con proposte come la pace fiscale, dato quanto abbiamo visto prima, può essere una strategia politica da parte di Salvini e Forza Italia di raccogliere consensi da chi, di fatto, si ritrova coinvolto dalla pace fiscale; dall’altra, facendo perno sul peso che ricoprono in Parlamento, potrebbe portare a più risorse-nel breve periodo e con impatti negativi sul lungo, come detto prima- utilizzabili per politiche che aumentino il loro consenso.
Ma la proposta di Salvini e i provvedimenti già approvati dal governo Meloni in materia – si pensi ad esempio all’innalzamento dell’uso del contante – rischiano di peggiorare la situazione del paese ancora di più. Tra i fronti delicati infatti ci sono gli impegni con l’Europa: il Next Generation European Union infatti prevede una serrata lotta all’evasione fiscale. Come mostrano i dati relativi al Tax Gap, il nostro paese è molto lontano dagli standard dei nostri partner europei. In Italia questo indicatore è stimato al 21.3%, contro i 7,4% e 8.8% di Francia e Germania rispettivamente. Tra la pace fiscale proposta di nuovo da Salvini, quindi l’intenzione di continuare con la strategia dei condoni, e gli interventi del governo che potrebbero vanificare i passi in avanti svolti in questi anni, la situazione non è promettente.
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