Condoni: 30 anni di malaffare e distruzione ambientale. E si continua a cementificare
6 min letturaDopo 50 anni dal blocco dei lavori, ieri l'"ecomostro" di Alimuri è stato abbattuto. Per Legambiente Campania il messaggio che arriva dalla demolizione del rudere del maxi albergo costruito sulla scogliera sorrentina è chiaro: «mai più condoni, mai più abusivismo».
L'11 novembre scorso lo stesso Gian Luca Galletti, ministro dell'Ambiente, durante gli Stati generali contro il dissesto idrogeologico, ha promesso: «Mai più condoni edilizi, sono dei tentati omicidi alla tutela del territorio». Nella scorse settimane la responsabilità politica per questo tipo di provvedimenti legislativi che negli ultimi 30 anni hanno sanato l'abusivismo edilizio e alimentato le cause dei gravi danni del dissesto idrogeologico in Italia, è stata al centro di un acceso scambio tra Matteo Renzi e Claudio Burlando, governatore della Liguria, regione che a causa delle recenti alluvioni ha subito danni per 1 miliardo di euro. Secondo il presidente del Consiglio «le politiche territoriali degli ultimi 20 anni devono essere rottamate». Burlando gli ha risposto dicendo che «i condoni li fanno a Roma».
La storia, 30 anni di sanatorie e condoni edilizi
Una storia che inizia con l'articolo 4 della legge n.10 del 1977 che, come racconta Amedeo Martorelli per Tv7, «allarga molto le maglie delle concezioni edilizie». Ma è dal 1985 ad oggi che sono stati approvati i tre maggiori provvedimenti legislativi in materia di condoni.
Si parte con la sanatoria del governo Craxi-Nicolazzi (legge n. 47/1985), che forniva un quadro normativo sull'edilizia "provvisorio". La sua maggiore conseguenza è stata l'ammissione al condono edilizio di tutti gli abusi realizzati fino a ottobre 1983. «Secondo dati Cresme (centro ricerche sull’edilizia ndr) – scriveva il Corriere della Sera nel 2003 – l'effetto annuncio del primo condono avrebbe provocato l'insorgere nel solo biennio 1983/1984 di 230.000 manufatti abusivi, mentre quelli realizzati fra il 1982 e tutto il 1997 sarebbero 970.000».
Nel 1994 il primo governo Berlusconi con la legge n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) estende il condono agli abusi realizzati fino al 31/12/1993, ponendo però alcuni limiti, come ad esempio che «le opere – spiega ancora il Corriere – non abbiano comportato un ampliamento superiore al 30% della volumetria originaria». Sempre il Cresme ha calcolato che da dicembre del 1993, tra nuove costruzioni e ampliamento delle esistenti, sono stati realizzati altri 220.000 abusi.
Per i successivi due anni, fino al 1996, sono stati emanati 14 decreti che contenevano, oltre ad alcune norme di rilievo ambientale, articoli di legge per semplificare i procedimenti urbanistico/edilizi e per la denuncia d'inizio attività e condono delle opere abusive. Tutti provvedimenti decaduti perché non convertiti in legge. Nel 1996 poi la Corte Costituzionale è intervenuta con la sentenza n. 360/1996, stabilendo che la prassi di reiterare all'infinito le decretazioni d'urgenza, facendone poi salvi gli effetti, fosse incostituzionale.
Negli anni successivi tentativi simili sono comunque continuati da parte delle forze politiche. Poi nel 2003, sotto il secondo governo Berlusconi, è arrivata la terza legge (n. 269/2003 "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici") che ha riaperto con l'articolo 32 la possibilità della sanatoria per le opere realizzate abusivamente fino a marzo 2003. Alcune Regioni avevano impugnato la norma davanti alla Corte Costituzionale perché ritenevano che andasse contro la loro competenza legislativa in materia di governo del territorio. I giudici con la sentenza n. 194/2004 hanno dato in parte ragione alle Regioni, che hanno così potuto emanare proprie leggi per regolare i limiti, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità alla sanatoria.
Passati 10 anni, «l'abusivismo – scrive Alessandro Galimberti sul Sole 24 ore – è tutt'altro che finito, anche se non è più ai livelli degli anni '80 quando le abitazioni abusive realizzate toccavano punte del 28,7% sul totale del costruito (nel 1984, prima del primo condono, 435mila abitazioni realizzate di cui 125mila abusive)». «Negli anni '90 – continua il giornalista – scendono i dati assoluti ma non le percentuali (83mila case abusive su 281mila, il 29,6%, nel 1994, anno del secondo condono edilizio). Nel 2010, quando si ricorda un tentativo di irruzione della sanatoria nel Milleproroghe, si calcolano 27mila abitazioni abusive su 229mila, cioè l'11,8%, l'anno successivo 26mila su 213mila».
Arrivando ai giorni nostri, l'ultimo provvedimento in materia è il Ddl Falanga (presentato dal forzista Ciro Falanga) approvato al Senato a gennaio scorso, con il voto compatto del Partito Democratico (dopo una dichiarata mancanza di unità del gruppo parlamentare). Il testo riguarda la «razionalizzazione delle competenze in materia di demolizione dei manufatti abusivi». Nella norma vengono stabilite delle priorità nelle demolizioni. All'ultimo posto della classifica ci sono le abitazioni «la cui titolarità è riconducibile a soggetti appartenenti a nuclei familiari che non dispongano di altra soluzione abitativa». Qui sta il punto conteso perché, come spiegato su Edilizia e Territorio, in pratica «tutte le famiglie che abitano fabbricati abusivi ma non hanno altri posti dove vivere potrebbero beneficiare di una sanatoria di fatto della loro situazione». Il testo deve essere approvato alla Camera, ma Ermete Realacci (Pd), presidente della commissione Ambiente di Montecitorio, ha detto che si tratta di un «provvedimento che rende più difficile la lotta contro l'abusivismo» e che per questo «non passerà mai».
Numeri e danni delle politiche contro l'ambiente
Tra i settori più colpiti dalla crisi economica c'è quello edile. Nonostante questo, nel 2013, secondo i dati forniti dal Cresme, sarebbero stati costruiti 26mila immobili illegali, tra ampliamenti e nuovi costruzioni. Un dato che rappresenta oltre il 13% del totale delle nuove costruzioni. Legambiente, inoltre, nel dossier "Abusivismo edilizio: l'Italia frana, il Parlamento condona", denuncia che tra il 2003, ultimo anno in cui era possibile presentare la domanda di condono edilizio, e il 2011, lo stesso «Cresme ha censito la cifra record di 258mila case abusive, per un giro di affari illegale, basato sui numeri e sui valori immobiliari medi, valutato in circa 18,3 miliardi di euro».
Al netto di ciò, l'associazione ambientalista spiega che il rapporto tra ordinanze ed esecuzioni (nei Comuni capoluoghi di Provincia), dal 2000 al 2011, è bassissimo: di 46.776 ordinanze ne sono state eseguite 4.956, poco più del 10%. Realacci aveva presentato nel marzo dell'anno scorso una proposta di legge con l'intento di favorire e disciplinare le attività di demolizione degli immobili abusivi. Il testo però non è stato ancora calenderizzato alla Camera.
Altra importante questione è l'enorme arretrato di pratiche ancora da valutare sui tre condoni edilizi dei 30 anni passati. Una fenomeno che si può riscontrare da Nord a Sud del territorio nazionale. Scriveva Maurizio Caprino sul Sole 24 ore:
Spesso si è creata una situazione paradossale: molti fascicoli sono totalmente istruiti, ma restano fermi in attesa di adempimenti dei cittadini. Un po' perché il conto finale degli oneri di sanatoria è alto, un po' perché il Comune aveva accumulato un ritardo iniziale di anni e, quando lo ha colmato, i proprietari degli edifici non erano più interessati o si erano dimenticati della procedura in corso e non avevano più documenti.
Legambiente calcola (su dati del 2011) che nei capoluoghi di provincia su oltre 2 milioni di richieste, 844.097 di esse (il 41,37%) sono in attesa di valutazione. Nel frattempo, come denuncia l'associazione, queste case restano «nella disponibilità dei loro proprietari» che, in attesa che le loro domande di sanatoria vengano esaminate, possono affittarle o venderle, «indifferentemente se siano agibili o meno».
Ma il consumo del suolo non si ferma
Il consumo del suolo in Italia sembra inarrestabile. Secondo il rapporto 2014 dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), il suolo perso a livello nazionale è passato dagli 8.700 chilometri quadrati (2,9%) degli anni '50 ai quasi 22.000 chilometri quadrati (7,3%) del 2012. «Un fenomeno – specifica l'ente – che non sembra risentire dell’attuale congiuntura economica e continua a mantenersi intorno ai 70 ettari al giorno»:
Si tratta di un consumo di suolo pari a circa 8 metri quadrati al secondo che continua a coprire, ininterrottamente, notte e giorno, il nostro territorio con asfalto e cemento, edifici e capannoni, servizi e strade, a causa dell’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità, di infrastrutture, di insediamenti.
Un processo che non può essere spiegato con il solo aumento demografico. «Se nel periodo tra gli anni ’50 e il 1989 – spiega ancora l'Ispra – il rapporto tra nuovo consumo di suolo e nuovi abitanti era pari a meno di 1.000 metri quadrati per ogni nuovo abitante, negli anni ’90, a fronte di una crescita demografica quasi nulla, la perdita di aree naturali e agricole è continuata con tassi di crescita simili a quelli del periodo precedente».
La maggiore incisività del processo si può riscontare al Nord, secondo la stima del suolo consumato a livello regionale negli anni '50 e nel 2012.
Sono varie le tipologie di consumo del territorio in Italia, con la percentuale maggiore che spetta agli edifici e capannoni.
Lo stesso governo Renzi con lo Sblocca Italia, divenuto legge il 6 novembre scorso, punta a sbloccare edilizia, infrastrutture, ferrovie, appalti, ecc. Da parte di cittadini, associazioni ed enti locali, il testo di legge, tra le varie cose, è stato accusato di continuare lungo la strada di una cementificazione inesorabile del suolo italiano.
Inoltre, nella legge di stabilità in discussione in Parlamento è stato approvato un emendamento presentato da Mario Marchi del Partito democratico che prevede la proroga, anche per il 2015, della possibilità per i Comuni di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente. Per Mario Catania, ex ministro alle Politiche agricole, è un scelta sbagliata perché «oltre ad incentivare nuova cementificazione, esponendo il Paese ad un maggior rischio idrogeologico, si permette ai Comuni di fare cassa sottraendo risorse preziose alla comunità per la realizzazione di opere di costruzione».