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La mobilitazione della comunità LGBTQ+ ucraina: “Dobbiamo salvare il nostro paese”

19 Marzo 2022 7 min lettura

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La mobilitazione della comunità LGBTQ+ ucraina: “Dobbiamo salvare il nostro paese”

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«Qualche minuto fa è suonato l’allarme che annuncia un possibile raid aereo. È quel genere di suono che non vorresti mai sentire. I primi giorni le persone si precipitavano nei rifugi anti bombe quando partivano le sirene. Ora sono stanche di correre qua e là, sono esauste di questa situazione per cui ogni giorno e ogni minuto sei a rischio». Lenny Emson è executive director di Kyiv Pride, una delle più grandi organizzazioni per i diritti LGBTQ+ in Ucraina. Quando è iniziato l’attacco russo si trovava fuori dal paese. Appena ha potuto ha fatto ritorno, per unirsi ad altri attivisti e attiviste di organizzazioni LGBTQ+ che in questi giorni hanno riconvertito le loro attività e stanno fornendo supporto alla popolazione. «Dobbiamo aiutarci tra noi. Per continuare a batterci per i diritti dobbiamo prima restare in vita», spiega Emson a Valigia Blu.

La mobilitazione della comunità LGBTQ+ ucraina

Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, un gran numero di organizzazioni LGBTQ+ nel paese e in quelli vicini si è messo in moto.

Kyiv Pride si adopera per permettere l’evacuazione dei più vulnerabili e per aiutare chi si trova isolato. «In tanti e tante hanno perso il lavoro, non hanno accesso a cibo, acqua. Gli attivisti e le attiviste provano ad aiutare le persone a sopravvivere in questi giorni», dice Emson. «Stiamo aprendo rifugi in cinque città, spazi sicuri dove passare la notte. Alcune organizzazioni distribuiscono pasti. Ci sono attivisti che corrono da un lato all’altro della città per trovare cibo e poi portarlo a chi ha bisogno». Altre organizzazioni, come Insight, hanno attivato sportelli psicologici e di consulenza online, in grado di fornire informazioni anche sulle misure di sicurezza.

Anastasiia Yeva Domani, attivista trans, ha trasformato la sua casa di Kyiv in un ufficio-rifugio. La ONG che dirige, Cohort, ha volontari a Odessa, Dnipro, Lviv e Chernihiv e si occupa specificatamente di supportare le persone trans, fornendo aiuti, consulenze e spazi protetti. Anche se, precisa, «in questo momento tutti gli ucraini e le ucraine sono nella stessa posizione: il pericolo e le bombe non fanno discriminazioni».

Una delle questioni che riguardano le persone trans è la difficoltà di reperire la terapia ormonale prescritta. «Già solitamente c’è poca disponibilità in Ucraina. Ma da quando è iniziata la guerra a Kyiv molte farmacie hanno chiuso. Mi è capitato di vedere persone in coda anche per un giorno intero nei pochi esercizi aperti che però hanno terminato le scorte praticamente di tutto. Ieri siamo riusciti a far arrivare un grosso quantitativo di ormoni dalla Polonia e l’abbiamo distribuito alle persone che ne avevano bisogno. Ma non è semplice: i servizi sono chiusi, a volte una delle poche opzioni per muoversi è il taxi», spiega Domani a Valigia Blu.

È una situazione confermata anche dall’organizzazione non governativa Transgender Europe (TGEU), che ha ricevuto testimonianze di persone in centri d’accoglienza dell’Ucraina occidentale che non riuscivano a reperire la terapia ormonale o quella antiretrovirale per l’HIV: “Le farmacie nelle grandi città sono chiuse, il che limita fortemente l’accesso a farmaci salvavita. Sia le terapie ormonali che quelle per l’HIV devono essere prese continuativamente, e un’interruzione può avere conseguenze serie sulla salute”.

Oltre a quelle che riguardano farmaci e cibo, tra le richieste che arrivano a Cohort in questi giorni ci sono consulenze di tipo legale: «Ad esempio, ci sono persone che vogliono andare via ma sono preoccupate di essere mandate a combattere una volta arrivate al confine», afferma Domani.

Avere un documento non rettificato può essere un problema, come riportato da diverse testimonianze. Secondo TGEU, “riduce le possibilità di queste persone di scappare da aeree di conflitto, le rende vulnerabili e mette a rischio la loro vita”. In questo momento in Ucraina gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono lasciare il paese. Dunque, “donne trans e persone non binarie registrate come ‘maschi’ alla nascita e anche uomini trans possono essere considerati come potenziali reclute, e non gli è consentito lasciare l’Ucraina (…) Documenti che non corrispondono aumentano il rischio di arresti arbitrari, violenze fisiche e psicologiche”, continua TGEU, che fa cenno al fatto che ottenere la rettifica dei documenti non sia semplicissimo in Ucraina, anche in tempo di pace.

Le persone trans «possono ottenere un ordine di esenzione dal servizio militare del ministero della Difesa se hanno ricevuto una ‘diagnosi di transessualità', che può essere mostrata alle guardie di confine», spiega Domani, che si è battuta in questi anni per semplificare la procedura di riconoscimento legale. Una procedura che fino a qualche anno fa Human Rights Watch definiva "un degradante percorso a ostacoli di osservazione psichiatrica lungo anni" e che richiedeva il ricorso all’intervento chirurgico di riassegnazione del genere per ottenere i documenti. La legislazione è cambiata nel 2017, è più semplice ma continua a richiedere esami psichiatrici ambulatoriali.

Non tutte le persone hanno intrapreso il percorso legale, molte sono in attesa che venga completato. «Sfortunatamente questa situazione non era prevedibile, nessuno poteva prevederlo. Le associazioni ora si stanno occupando di questo problema per trovare una soluzione», commenta Emson. «Dobbiamo lavorare insieme. Incoraggio tutte le persone trans a non stare sole e rivolgersi alle organizzazioni».

Zhenya, attivista queer di 25 anni, ha spiegato in un’intervista che la comunità si sta mobilitando in diversi modi: «Alcune persone stanno combattendo in battaglia, altre stanno aiutando con i rifornimenti o donando sangue [una possibilità che in Ucraina gli uomini omosessuali hanno solo dal 2016]».

La Russia e la “difesa dei valori tradizionali”

Come ha ricordato in un lungo articolo Emil Edenborg, professore associato di Studi di Genere all’Università di Stoccolma, le persone LGBTQ sono state al centro del “tiro alla fune sul futuro dell'Ucraina dal momento in cui Vladimir Putin ha lanciato la sua crociata”. Nel discorso pronunciato dal presidente russo il 24 febbraio, durante il quale ha annunciato l’inizio dell’attacco in Ucraina, c’è una parte specificatamente dedicata a come l’Occidente stia minando i “valori tradizionali”. “Come suggerisce il discorso di Putin – scrive Edenborg – l’invasione russa dell’Ucraina, e le sue politiche di sicurezza più in generale, non possono essere comprese separatamente da quelle su genere e sessualità. La realtà è che il Cremlino ha costruito una perniciosa ideologia dell'omofobia come geopolitica, e nella retorica ufficiale russa la guerra in Ucraina è inquadrata come la continuazione di questa politica con altri mezzi”.

Negli anni la Russia di Putin ha portato avanti un’agenda di politiche fortemente repressive nei confronti delle persone LGBTQ+ e delle organizzazioni che ne promuovono i diritti. Nel 2013 il parlamento ha approvato praticamente all’unanimità la cosiddetta “legge sulla propaganda omosessuale”. Cinque anni dopo l’entrata in vigore, nel 2017, le segnalazioni di crimini ispirati dall'odio contro le persone LGBTQ+ erano raddoppiate – sebbene si stimi che molte aggressioni non siano mai state denunciate. In Cecenia in soli tre anni – dal 2017 al 2020 – sono state arrestate, imprigionate e torturate più di 150 persone, la maggior parte delle quali uomini omosessuali o bisessuali, perseguitati perché non rispondenti all’immagine di mascolinità tradizionale. Amnesty International ha denunciato come la Russia non abbia fornito giustizia alle vittime di quest’ondata di crimini omofobi.

La comunità in Ucraina si sente un target. «In Russia, le persone LGBTQ sono perseguitate», ha detto a CBS News Iulia, una studentessa di Kharkiv. «Se la Russia occuperà l’Ucraina o gran parte di essa, non ci lasceranno vivere serenamente e combattere per i nostri diritti così come abbiamo fatto finora».

È una preoccupazione condivisa da Andriy Maymulakhin, coordinatore del centro Nash Mir per i diritti umani LGBT. L’organizzazione ha sede a Kyiv, lui vive in un paese a 50 chilometri dalla capitale: «Talvolta sento spari ed esplosioni. Ieri ho aiutato il guardaboschi ad abbattere pini nella foresta più vicina per bloccare tutte le strade in modo da impedire il passaggio del nemico. Alcuni amici si sono trasferiti a casa mia, finché avremo elettricità, acqua e cibo. Ma qualcuno in Ucraina non ce l’ha già più. Due colleghi si sono spostati nella parte occidentale dopo l’attacco», racconta.

Secondo Maymulakhin «l’Ucraina, specialmente dopo la rivoluzione del 2014, si stava sviluppando come uno Stato europeo democratico, e la comunità LGBTQ+, specialmente le generazioni più giovani, si sono già abituate alla relativa e crescente libertà nella società ucraina».

Negli ultimi anni, in effetti, ci sono stati dei progressi nel paese. In parlamento è in discussione in prima lettura una legge contro l’omotransfobia. Altri passi avanti sono stati il divieto per i datori di lavoro di discriminare sulla base dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale e l’alleggerimento delle regole per il cambio dei documenti delle persone trans. Tuttavia, matrimonio egualitario e adozione per persone dello stesso sesso rimangono vietati e nel paese il livello di violenza omofoba e transfobica resta alto. «La situazione prima della guerra in Ucraina era difficile, ma stavamo lavorando», commenta Emson, ricordando che a settembre 2021 il Kyiv Pride è stato partecipato da oltre 7 mila persone. «Quest’anno sarebbe il decimo anniversario».

Come aiutare le associazioni LGBTQ+ impegnate in Ucraina:

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Kyiv Pride ha compilato una lista di organizzazioni (tra cui anche Cohort), le attività che stanno svolgendo e gli estremi per donare. Anche l'organizzazione non governative ILGA Europe ha raccolto informazioni, si trovano in questo link. Il Nash Mir Centre riceve piccole donazioni qui.

Il movimento internazionale All Out ha lanciato una raccolta fondi insieme a Kyiv Pride e Insight per supportare le associazioni che in Ucraina, Polonia, Moldavia, Slovacchia e Romania, stanno aiutando i rifugiati appartenenti alla comunità LGBTQ+.

 

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