Abbiamo bisogno di più politica e meno meme gentisti
9 min letturaDurante l'ultima settimana si è molto discusso di comunicazione politica e in particolare della strategia adottata dal Partito democratico (sia in veste ufficiale sia in veste ufficiosa) per contrastare il successo che il MoVimento 5 Stelle ha in questi anni acquisito sui social media, almeno in termini prettamente quantitativi: i numeri realizzati da un qualsiasi video o contenuto pop dei leader M5S raggiungono livelli di apprezzamento che nessun'altra forza politica può vantare in questo momento.
La strategia "emulativa" adottata dal PD muove da un principio abbastanza elementare: se gli avversari fanno determinate cose, e funzionano, basterà copiarle per ottenere risultati paragonabili. Questa strategia ha senso?
Per rispondere a questa domanda vorrei fare un bel passo indietro e sfruttare la pubblicazione dei dati Demos per Repubblica che raccontano l'attuale composizione socio-demografica del MoVimento 5 Stelle e vorrei invitare a una riflessione: il cuore del ragionamento è di natura prettamente comunicativa? Come spesso accade in questi casi, la comunicazione è solo la punta dell'iceberg e la comunicazione digitale lo è ancora di più. Il tema è politico, se non addirittura culturale.
1. I giovani votano sinistra nel Regno Unito, Stati Uniti e in Francia, M5S in Italia
Niente di nuovo sotto il sole: il MoVimento 5 Stelle è primo partito tra gli under 34. Così era già stato nel 2013, quando il M5S, alla prima grande prova politica, superò il PD in particolare tra chi si recava alle urne per la prima volta. Cinque anni dopo è possibile registrare che gli attuali newcomer mantengono lo stesso tipo di orientamento, almeno in termini percentuali, di cinque anni fa e che in parallelo lo zoccolo duro del partito è cresciuto convincendo anche segmenti di popolazione di età più alta, raggiungendo buoni risultati tra elettori fino ai 55 anni e calando tra gli italiani più anziani.
Un elemento aggiuntivo di analisi riguarda invece il comportamento di voto dello stesso segmento sociodemografico in altri grandi paesi negli ultimi mesi.
In particolare:
- Hillary Clinton ha ottenuto 18 punti percentuali in più di Donald Trump tra gli under 29 (55% a 37%) alle elezioni presidenziali USA del 2016. A ulteriore supplemento, il 76enne Bernie Sanders ha ottenuto il 70% dei voti degli under 30 alle Primarie democratiche contro Clinton.
- Jean-Luc Melenchon è stato il candidato che ha ottenuto i maggiori consensi tra gli under 24 (con Marine Le Pen seconda) al primo turno delle elezioni presidenziali in Francia del 2017.
Tonight's election once again shows that the young *are* open to populism. Le Pen + Melenchon got >50% among the young, <20% among the old. pic.twitter.com/5TN20q8Vyv
— Yascha Mounk (@Yascha_Mounk) 23 aprile 2017
- YouGov ha stimato che i Labour sono maggioritari tra gli abitanti del Regno Unito fino all'età di 34 anni, dopodiché il consenso passa progressivamente ai Conservatori con un aumento di otto punti ogni dieci anni di avanzamento dell'età.
L'Italia rappresenta dunque un'anomalia, almeno parziale: le generazioni più giovani votano un partito che si autodefinisce "né di destra né di sinistra" (sulla qualità di questa definizione tornerò più avanti), le generazioni più anziane votano un partito che si definisce "di centrosinistra" mentre votano forze politiche di destra in Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
2. Siamo "la gggente" e siamo laureati
Dai dati della ricerca Demos sembra emergere un'interessante correlazione tra comportamento di voto e titolo di studio che smentisce un classico pregiudizio sul comportamento elettorale in Italia: se è vero che il M5S ottiene percentuali superiori alla media tra i cittadini diplomati laureati (e infinitamente inferiori tra persone con titolo di studio basso) vuol dire che "la gggente", modo con cui di solito si etichetta un segmento di popolazione italiana per denunciarne un certo livello di ignoranza o di superficialità, vota altrove.
3. Il partito degli operai e dei padroni (insieme)
Il concetto di "lotta di classe" appare oggi inattuale, almeno osservando i dati di consenso del M5S: i primi due elettorati del MoVimento per categoria professionale sono le due parti dell'universo lavorativo che storicamente hanno conosciuto interessi (e dunque rappresentanza politica) differenti se non apertamente in contrasto. L'altro zoccolo duro dell'elettorato 5Stelle è rappresentato da un'altra coppia che storicamente guarda a sinistra: i docenti (e i dipendenti pubblici in generale) e gli studenti.
Un dato per certi versi sorprendente è che la categoria dei "disoccupati" rappresenta solo la quinta voce del corpo elettorale del M5S, per quanto il dato di consenso della categoria di chi cerca lavoro sia comunque superiore alla media nazionale (32%, mentre la media è al 27,5% secondo Demos). L'idea secondo la quale il M5S raccoglie solo il voto di gente incazzata o più generalmente "esclusa" non è del tutto esaustiva.
4. I più esposti alla televisione sono i meno fedeli al Movimento
Due categorie sociodemografiche che sono teoricamente più esposte al mezzo televisivo a causa del grande tempo passato in casa o in attività statiche, ossia le casalinghe e i pensionati, sono i segmenti che portano il minor numero di voti al M5S. Pur non potendoci essere una correlazione di causalità diretta tra queste due variabili (esposizione alla TV e comportamento di voto), appare evidente che il consenso al MoVimento 5 Stelle non può essere spiegato solo con una buona capacità performativa sui media, ma è qualcosa che "precede" la comunicazione.
5. Né di destra né di sinistra? Falso. Sia di sinistra sia di destra? Molto più probabile
La tabella che vedete in basso mostra il posizionamento dei principali partiti italiani sulla base dell'autocollocazione politica dei loro elettori. Il dato va analizzato con particolare attenzione perché un'osservazione puramente bidimensionale può trarre in inganno.
Il posizionamento che è possibile osservare restituirebbe un'idea di un MoVimento 5 Stelle culturalmente di centro. Ilvo Diamanti parla espressamente di "estremismo di centro" nella sua analisi dei dati, rievocando peraltro uno slogan di una fortunata campagna di comunicazione dell'UDC di sette anni prima.
Ma è davvero così? Il posizionamento mostrato in questa tabella è figlio di un'altissima (e anomala) deviazione standard. Facciamo un esempio paradossale: se si chiedesse a duecento cittadini di autovalutare il proprio posizionamento politico su una scala da 0 a 10, dove per "0" si intende l'estrema sinistra e "10" l'estrema destra, e se per assurdo cento cittadini dichiarassero il valore 0 e altri cento dichiarassero il valore 10, la media di posizionamento politico di quel gruppo sarebbe 5, ossia il centro perfetto. Lo stesso risultato si otterrebbe se un altro gruppo di duecento persone si distribuisse con cento persone che dichiarano il valore 4 e altri cento che dichiarano il valore 6: il dato medio sarebbe sempre 5. A parità di media, bisogna dunque considerare la deviazione standard, cioè quanta distanza c'è tra i valori contenuti all'interno del gruppo: è molto probabile che l'elettorato del M5S abbia dati di autovalutazione molto eterogenei al loro interno, frutto di collocazioni distribuite tra sinistra, centrosinistra, centro, centrodestra, destra, a differenza (per esempio) di una forza politica realmente di centro come potrebbe essere Area Popolare.
I dati di autocollocazione politica dovrebbero dunque essere presentati al pubblico non solo offrendo il dato medio, ma anche il livello di eterogeneità delle stime, per poter verificare se forze che si dichiarano "né di destra né di sinistra" sono culturalmente di centro o se, piuttosto, aggregano elettorati tra loro assai eterogenei come nel caso del MoVimento 5 Stelle. Un'alta deviazione standard metterebbe in luce che forze politiche post-ideologiche non sono "né di destra né di sinistra", come retoricamente conviene affermare ai leader di quelle forze per non spaventare elettorati molto distanti tra loro dal punto di vista culturale, ma che al contrario sono sia di destra sia di sinistra, cioè l'esatto contrario dal punto di vista teorico, concettuale e soprattutto politico.
6. L'elettorato del M5S è leggermente più di destra che di sinistra
Considerando che l'elettorato del MoVimento 5 Stelle è sia di destra sia di sinistra, è interessante provare a capire quanto pesano le due componenti politiche all'interno dell'aggregazione elettorale che attualmente guarda con favore al M5S. Per provare a dedurre la natura di distribuzione si può fare riferimento a due dati della ricerca Demos.
- Le alleanze: il 41% degli elettori M5S auspica un'alleanza post-elettorale col PD, il 47% auspica un'alleanza con le forze di destra (Fratelli D'Italia e Lega Nord). Sarebbe utile conoscere se esistono elettori che valutano entrambe le alleanze come ugualmente possibile (quell'elettorato potrebbe essere considerato realmente come "post-ideologico"), ma il dato numerico restituisce ancora una volta un'immagine di un MoVimento che contiene orientamenti politici tra loro assolutamente eterogenei.
- I temi: a ulteriore conferma del leggero spostamento a destra del baricentro complessivo del M5S (o, più precisamente, della presenza di un numero maggiore di cittadini culturalmente di destra rispetto a quelli di sinistra all'interno dell'attuale elettorato del MoVimento) è possibile rilevare che il livello di gradimento per alcune politiche classicamente di destra, come il blocco del flusso degli immigrati nel nostro paese e l'aumento delle possibilità di reazione legate alla legittima difesa è superiore alla media, mentre la fiducia nelle istituzioni europee è leggermente inferiore alla media.
Il dato politico: il M5S è il partito delle due trasversalità
I dati Demos restituiscono un quadro parzialmente rinnovato della natura del corpo elettorale del MoVimento 5 Stelle, e in particolare dei suoi punti di forza. La caratteristica classica, cioè la capacità di mettere insieme elettori che fino a dieci anni fa non avrebbero mai potuto immaginare di poter votare per lo stesso partito, è confermata dai dati. Allo stesso tempo l'alta deviazione standard nell'autocollocazione politica degli elettori del M5S mette in evidenza un potenziale elemento di fragilità nel lungo periodo: dovendo essere per forza "né di destra né di sinistra" (o meglio, sia di destra sia di sinistra), i leader politici del MoVimento 5 Stelle proveranno a non prendere posizioni troppo definite su temi ideologicamente divisivi, cercando di utilizzare affermazioni generali per non scontentare nessuno.
Gli avversari hanno dunque una backdoor abbastanza evidente, ma che richiede coraggio: il ritorno all'ideologia. I partiti di sinistra devono dire cose di sinistra, i partiti di destra devono dire cose di destra, chiedendo al M5S di dire la propria su queste prese di posizione. Il ritorno al proporzionale potrebbe teoricamente favorire una modalità di far politica basata sulla propria identità, mirata a convincere i propri elettori a votare piuttosto che provare ad allargare la base elettorale in vista di un ipotetico ballottaggio o per farsi trovare pronti in modalità maggioritarie o di coalizione.
Il secondo punto di forza, il secondo elemento di trasversalità è invece più difficile da mettere in crisi, mentre mette in crisi l'idea un po' stereotipata di un corpo elettorale del M5S generalmente mosso dalla rabbia o dal senso di esclusione. Gli elettori del MoVimento5Stelle lavorano, hanno studiato, accedono a fasce di reddito tra loro assai eterogenee (il partito degli operai e degli imprenditori, come detto prima). La rabbia non spiega tutto; il vero elemento di trasversalità va cercato piuttosto intorno al concetto di (in)giustizia sociale. I cittadini italiani che vedono con favore il M5S ritengono di essere vittime di ingiustizie personali o sociali: dall'imprenditore vessato da una tassazione eccessiva all'insegnante che ritiene che la riforma della scuola sia stata penalizzante, dai giovani che non trovano lavoro ai laureati che lo trovano ma a condizioni umilianti o vessatorie. La promozione della giustizia sociale è la seconda leva politica cruciale per mettere in difficoltà il M5S.
Senza il ritorno alla politica e senza il sostegno a politiche che mettano al centro la giustizia sociale non ci sarà strategia di comunicazione efficace che tenga: il MoVimento5Stelle resterà attrattivo e competitivo, soprattutto come forza di opposizione (dai dati Demos emerge che solo il 29% degli italiani ritiene M5S capace di interpretare favorevolmente la sfida del governo dell'Italia).
Comunicazione: come vincere la sfida sui social media
Comunicare online come il MoVimento 5 Stelle servirà a ottenere gli stessi risultati, soprattutto quantitativi?
A mio avviso no, per un motivo legato alla psicologia e alla percezione: l'utilizzo del vocabolario dell'avversario politico rinforza i meccanismi neurali promossi proprio dalle campagne di comunicazione dell'avversario. Lo sostiene da tempo George Lakoff, psicologo cognitivo americano:
Ci sono parole che evocano obbligatoriamente concetti, processi mentali, sequenze di pensieri che sfuggono dal nostro controllo. Ci sono parole potenti per natura che vivono una vita propria dal momento che entrano a far parte dei nostri pensieri, e sulle quali la nostra coscienza ha ben poco controllo. E in politica vince chi costringe gli avversari a giocare sul proprio terreno. Vince chi mette i propri rivali nelle condizioni di mostrarsi all’elettore come una comparsa insignificante nel frame creato da chi tiene il pallino in mano. Usare bene i frame significa dettare l’agenda politica, significa costringere l’avversario a giocare sempre con regole scritte da te e significa riuscire a far discutere i tuoi rivali degli argomenti che tu in teoria padroneggi meglio di chiunque altro.
Al di là dell'efficacia quantitativa (comunque discutibile: il contestato post della pagina Facebook del PD che utilizzava, in modo omissivo e parziale, le parole del New York Times su Roma e su Virginia Raggi, ha ottenuto meno di 1000 like e circa 1200 condivisioni a fronte di una pressione mediatica molto forte sulle controversie collegate alla pubblicazione del post, a partire dai commenti allo stesso post), esiste un tema non aggirabile legato alla psicologia cognitiva: usare espressioni come "condividiamo!", "diffondete", un certo modo di attaccare l'avversario, toni urlati, attacchi ad personam contribuisce in tutto e per tutto a ricordare (e involontariamente a promuovere) il modello originale.
Esiste però un'esigenza che tutte le forze politiche condividono: come fare a ottenere numeri interessanti sui social media senza cedere al vocabolario dell'avversario? Rispondo con un esempio molto fresco, proveniente dalla pagina Facebook di Emmanuel Macron, che con un video ha apertamente criticato la scelta di Donald Trump di uscire dall'accordo globale sul clima di Parigi utilizzando la lingua inglese, indovinando il tempismo, trovando un messaggio spendibile a livello internazionale e sfruttando in modo esplicito lo slogan di Trump in campagna elettorale, "Make America Great Again", trasformandolo in "Make Your Planet Great Again". Risultato: 273mila like, 172mila condivisioni, 11 milioni di visualizzazioni.
#MakeOurPlanetGreatAgain
Pubblicato da Emmanuel Macron su Giovedì 1 giugno 2017
A costo di essere ripetitivo, il punto di forza è sempre lo stesso: un messaggio fortemente politico, un contenuto che contiene una visione, un'idea di futuro, una call to action (in questo caso l'invito a considerare la Francia un nuovo punto di riferimento globale nel monitoraggio del cambiamento climatico), un messaggio orientato alla giustizia sociale (migliori condizioni di vita per tutti).
Senza la politica, la comunicazione non serve a molto. E copiare serve ancora meno.
Immagine anteprima: meme via "Matteo Renzi News"