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Razzismo, antisemitismo e odio. Chi ha paura della Commissione Segre

4 Novembre 2019 8 min lettura

Razzismo, antisemitismo e odio. Chi ha paura della Commissione Segre

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7 min lettura

Il 30 ottobre il Senato ha approvato una mozione per istituire una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza. Prima firmataria della mozione è Liliana Segre, senatrice a vita e superstite del lager di Auschwitz. L’approvazione ha fatto discutere per un episodio a margine del dibattito: il rifiuto, dai banchi di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia (che si erano astenuti) ad alzarsi in piedi e applaudire la senatrice.

Tralasciando il ciclo della notizia relativa al gesto e alle reazioni, è opportuno concentrarsi sulla Commissione in sé, sui motivi di una spaccatura tra maggioranza e opposizione su quella che, Costituzione alla mano, dovrebbe essere una battaglia condivisa, di quelle che attengono alle regole strutturali di qualunque dibattito in una società democratica.

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Un certo allarmismo ha invece contraddistinto le reazioni dei leader della Lega e di Fratelli d’Italia, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il primo, tra la puntata di #Cartabianca e un video su Facebook. La seconda si è affidata ai propri profili social, chiarendo anche l’episodio secondo cui avrebbe parlato direttamente al telefono con la senatrice Segre. Entrambi hanno usato in pratica gli stessi argomenti e gli stessi atteggiamenti.

Abbiamo come premessa generale una condanna dei fenomeni oggetto della Commissione, priva di contesto - per Salvini l’antisemitismo è una roba da “malati di mente”, così come è d’accordo a condannare la violenza “che non tornerà”, ovvero quella nazifascista e comunista. L’odio quindi, se esiste, riguarda il passato, piccole frange estremiste, o categorie psichiatriche. Oppure è un gioco a somma zero: “Salvini crepa è diverso da Berlinguer crepa?” chiede il leader della Lega alla conduttrice di #Cartabianca. Liliana Segre non si discute, visto l’orrore cui è sopravvissuta: ma la preoccupazione è che possa essere strumentalizzata per un'operazione politica censoria.

Vi è poi il vittimismo, per cui l’odio, se esiste, è rivolto anche al leader politico che parla e nessuno fa niente. Meloni dice: “l’odio che viene diffuso contro di me non interessa nessuno”, Salvini a #Cartabianca confusamente attacca il discorso sull’antisemitismo con le accuse di razzismo che gli rivolgono “gli intellettuali di sinistra”. Il leader politico, dunque, nonostante le particolari protezioni di cui dispone e le possibilità di difendersi superiori a un normale cittadino o a una minoranza, è un povero cristo soggetto al fenomeno tanto quanto chiunque altro.

I riferimenti all’attualità sono strumentalmente marginali, o circostanziati in modo da non toccare il proprio elettorato di riferimento. Meloni fa presente che nella mozione approvata non si parla dello Stato di Israele (non si capisce perché sarebbe necessaria una specifica dell’applicabilità di antisemitismo), delle contestazioni che la Brigata ebraica subisce durante i festeggiamenti del 25 aprile, e che l’antisemitismo proviene dagli ambienti islamici.

C’è infine l’accusa politica diretta: la sinistra vuole usare la Commissione per imbavagliare i partiti di opposizione, inserisce tra le parole proibite “nazionalismo” ed “etnocentrismo”, vieta slogan come “Prima gli italiani” (che Salvini ha in pratica scippato ai partiti neofascisti) e “Dio, Patria e Famiglia” (che Meloni recupera direttamente dal ventennio); “secondo la sinistra etnocentrismo è prima gli italiani” dice Meloni. Salvini parla di rischio censura “sovietica” e “orwelliana”. Oppure ci si appoggia all’impossibilità di definire cosa sia odio. E quindi, come concetto interpretabile e non oggettivo, la Commissione potrebbe essere potenzialmente persecutoria.

Questo tipo di discorso e questa impostazione è speculare a quella di giornalisti e intellettuali d’area - come Nicola Porro (parolacce a parte)  o Francesco Giubilei (per il quale l’attentato di Halle è opera di “un folle”). E sono la versione più viralizzabile di quanto riscontrabile tra il dibattito in Senato sulla mozione Segre e i testi presentati da Lega e Fratelli d’Italia. Durante il dibattito sostiene ad esempio, Fazzolari di Fratelli d’Italia, riprendendo la teoria cospirazionista della “sostituzione etnica”:

Ora, non so da quando il nazionalismo è una parola d'odio; io mi definisco un patriota, che non è molto distante da nazionalista, ma da domani mi potrete censurare perché sono un nazionalista. Poi l'etnocentrismo: anche in questo caso l'immigrazione compatibile, della quale parliamo sempre, diventa un reato; abbiamo scoperto che è reato parlare di sostituzione etnica, eppure i dati del Ministero dell'interno dicono che negli ultimi anni sono entrati in Italia 600.000 clandestini, prevalentemente africani, pakistani e bengalesi, e sono andati via 500.000 italiani prevalentemente giovani. È una sostituzione etnica, ma non lo possiamo dire, perché è vietato.

Gli fa eco il senatore leghista Romeo:

Sostenere che la famiglia è formata dall'uomo e dalla donna è considerato da qualcuno come odio nei confronti di altri tipi di famiglie? Sì o no? Perché qualcuno lo fa notare. Sostenere che gli islamici portano con sé anche il germe dell'antisemitismo, visto che quando fanno le manifestazioni bruciano le bandiere di Israele in piazza, è considerato odio oppure no? Noi vogliamo avere queste risposte! [...] Non vorremmo, infatti, che, partendo da una buona proposta della senatrice Segre, della quale abbiamo grande e assoluto rispetto, e che ammiriamo nella sua volontà di battagliare e di portare avanti determinati temi, sempre e comunque (quindi, da questo punto siamo d'accordo), non si arrivi a un testo che poi, essendo sgradito al politicamente corretto e, quindi, al pensiero dominante, venga usato per colpire le opinioni di altre persone o di altri soggetti.

La mozione della Lega, che vede come primo firmatario Salvini, è da questo punto di vista interessante perché fa vedere come sono formalizzati nell’attività parlamentare lessico e frame gridati dal palco - quelli dove si evocano senza problemi manganelli e invasioni, per intendersi. Nel testo i crimini d’odio, di cui si premette la difficoltà nello stabilire una definizione, sono valutati come fenomeno recente di poco conto, connesso all’immigrazione e alla crisi economica:

Il trend registrato in Italia, inoltre, risulta sovrapponibile con la grande ondata di sbarchi e il fenomeno di immigrazione incontrollata, che ha coinvolto il nostro Paese dal 2013.

In Italia il fenomeno migratorio, causato dallo sviluppo di violente e rapide evoluzioni delle dinamiche internazionali estranee alla volontà del nostro Paese, e non da reali fattori di attrazione del nostro tessuto economico-sociale, associato ad una fallace gestione del sistema di accoglienza e di mancato controllo delle frontiere esterne, è maturato all'interno di un'evidente situazione di difficoltà economica, particolarmente complessa e pesante in diverse zone della nostra società.

Se la situazione non fosse grave, la correlazione pavloviana tra immigrazione ed hate speech farebbe ridere, perché nessuno ha visto ondate di ebrei sbarcare a Lampedusa dall’Africa, né si spiega perché la crisi economica dovrebbe incrementare l’antisemitismo - a meno che non lavori sottotraccia lo stereotipo che li vuole ricchi usurai. È perciò tra le righe di queste premesse che si trova la carie da cui esce il fiato cattivo. Quella approvata al Senato non è del resto la prima commissione di questo tipo. Nella scorsa legislatura, infatti, era stata istituita la commissione poi denominata “Jo Cox”, dal nome della deputata laburista uccisa nel 2016 da un neonazista. Commissione presieduta da Laura Boldrini in cui mancava, almeno nominalmente, un focus specifico sull’antisemitismo, fenomeno purtroppo in ascesa in Europa come già ricordavamo su Valigia Blu nel giugno scorso. Ma nella relazione finale, dove non si ipotizzavano né gulag né purghe staliniste, a riguardo si dice che:

Attualmente  costituiscono problematiche  di grande rilievo in Europa  la diffusione dell’odio antisemita  da parte di gruppi neonazisti, estremisti  di destra e di alcuni gruppi di sinistra estrema,  nonché la radicalizzazione diffusa tra i giovani delle comunità musulmane in Europa occidentale.

E si parla persino di quei casi in cui sono oggetto di discriminazioni i gruppi religiosi di matrice cristiana (tra cui rientrano i Testimoni di Geova), menzionando le rilevazioni dell’Ecri, che invita a non usare il termine “cristianofobia”, “che  non sembra rispondere adeguatamente né ai casi esaminati né, più in generale, alla realtà europea”.

Tornando alla Commissione Segre, i suoi scopi sono principalmente di ricerca, analisi e proposta:

Essa controlla e indirizza la concreta attuazione delle convenzioni e degli accordi sovranazionali e internazionali e della legislazione nazionale relativi ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e di istigazione all'odio e alla violenza, nelle loro diverse manifestazioni di tipo razziale, etnico-nazionale, religioso, politico e sessuale. La Commissione svolge anche una funzione propositiva, di stimolo e di impulso, nell'elaborazione e nell'attuazione delle proposte legislative, ma promuove anche ogni altra iniziativa utile a livello nazionale, sovranazionale e internazionale.

Non c’è un elenco di parole proibite da individuare e punire, e circa “nazionalismo” ed “etnocentrismo” (chissà perché la loro menzione crea così tanta paura…) si dice semplicemente che:

È un fatto che non esiste ancora una definizione normativa di hate speech; tuttavia in base alla raccomandazione n. (97) 20 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 30 ottobre 1997, il termine copre tutte le forme di incitamento o giustificazione dell'odio razziale, xenofobia, antisemitismo, antislamismo, antigitanismo, discriminazione verso minoranze e immigrati sorrette da etnocentrismo o nazionalismo aggressivo. Per meglio definire il fenomeno si ricorre alle categorie dell'incitamento, dell'istigazione o dell'apologia.

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Cosa c’entra dunque il rischio censura? Esistono già dei dispositivi giuridici che possono essere utilizzati quando qualcuno travalica la dignità di individui o gruppi sociali, o ne mette a repentaglio l'incolumità attraverso la parola - come la Legge Mancino, che non è certo paragonabile allo “psicoreato” di 1984. L’impressione è che a far saltare i nervi all’estrema destra siano stati due fattori. Il primo è proprio che a proporre la commissione sia stata una personalità come Liliana Segre, che per il suo vissuto è un simbolo politico difficilmente attaccabile a viso aperto, com'è invece per Laura Boldrini; tranne quando escono fuori quelli più realisti del Re, come nel caso di Riccardo Rodelli, segretario leghista della sezione di Lecce. Il secondo è che l’antisemitismo è un tabù molto più forte nell’opinione pubblica, rispetto al generico razzismo o all’islamofobia, e quindi il richiamo esplicito a questo fenomeno mette in crisi chi, per questioni di consenso, ha bisogno di polarizzare anche attraverso l’odio. Si spiega così da una parte l’ammissione del fenomeno, dall’altra il puntualizzare come riguardi avversari politici. Ma la stessa teoria cospirazionista della sostituzione etnica, chiama in causa una figura come George Soros nel ruolo di grande manovratore, che non viene mai esplicitamente attaccato dall’area “sovranista” come ebreo, ma come membro della “finanza apolide”, o “usuraio” nel caso limite che ha coinvolto Fratelli d’Italia nello scorso marzo. In ciò rappresenta un simbolo che sublima la propaganda antisemita più esplicita, impersonificandola e sdoganandola attraverso attribuzioni secondarie.

Quanto all’assenza di una definizione esaustiva di hate speech e alle diverse normative tra i paesi dell’Unione, come ricordava Fabio Chiusi, se ci fosse una volontà politica sincera e condivisa a riguardo, ci si potrebbe rifare alla normativa internazionale sui diritti umani. Ma è abbastanza facile vedere il bluff di chi si richiama a questa vaghezza, dietro il quale si muove un’idea di dibattito pubblico deregolato e deresponsabilizzato, in cui è la capacità di mobilitazione a decidere cosa si può dire e cosa no, e dove la libertà di espressione è legata al concetto di impunità. In questo scenario di confronto, più belligerante che dialettico, evocare censure, liste di proscrizioni e distopie alla 1984 non  è un argomento, ma un'arma alquanto subdola che tradisce scarso rispetto per le regole d'ingaggio.

Immagine in anteprima via Linkiesta

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