Migranti, la soluzione non è fermare le partenze ma riformare un sistema di accoglienza che alimenta la clandestinità
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La tragedia avvenuta al largo di Cutro, in Calabria, in cui hanno perso la vita 74 persone durante una traversata durata 4 giorni dalla Turchia, ha riproposto in tutta la sua drammaticità la questione della gestione dei salvataggi in mare e dei flussi migratori. Il giorno seguente il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha rilasciato delle dichiarazioni che confermano l’incapacità dell’attuale Governo di comprendere l’intero fenomeno migratorio: “La disperazione non può mai giustificare viaggi pericolosi”. L’infelice uscita di Piantedosi non è solo dannosa per la sua disumanità, ma perché mostra l’approccio securitario dell’attuale esecutivo, tralasciando del tutto l’aspetto dell’accoglienza. Un aspetto dei fenomeni migratori troppo spesso trascurato – e che resta di interesse per lo più di chi si occupa o lavora nel settore dell'accoglienza – è infatti quello che succede dopo lo sbarco o l’arrivo in Italia.
Mentre il numero di stranieri irregolari continua a crescere ogni anno, anche a causa di un sistema normativo che rende complesso il processo di regolarizzazione, il dibattito politico è fermo al chiedersi su come limitare le migrazioni. Se le traversate via mare o via terra raccontano storie tremende di soprusi, privazioni della libertà personale, torture e costanti violazioni dei diritti fondamentali, l’arrivo in Italia non rappresenta sempre un approdo sicuro. È qui che inizia un nuovo percorso travagliato, in cui molti migranti scompaiono, diventando quasi invisibili a un sistema, incapace di garantire i diritti fondamentali.
Lo stesso Piantedosi, in un’intervista a Repubblica lo scorso 31 dicembre, esprimeva la sua preoccupazione rispetto all’aumento esponenziale degli sbarchi del 2022 che avevano raggiunto le 104.061 persone arrivate in Italia. Non solo, si diceva anche allarmato dal disinteresse collettivo riguardo i processi di integrazione degli stranieri. “Il sistema di accoglienza sul territorio è già al collasso”, spiegava, e “stanno andando deserte le gare per assicurare nuovi posti. La possibilità di un'accoglienza adeguata è una questione di dignità delle persone. Trovo singolare che la sensibilità collettiva si fermi al momento dello sbarco mentre non c'è attenzione sulla sostenibilità di flussi incontrollati che generano emarginazione”. A distanza di pochi mesi, l’esecutivo non è stato in grado di proporre cambiamenti concreti in grado di gestire quella che il Ministro vede come un’emergenza; al contrario, il Governo ha messo in atto una linea dura contro il fenomeno migratorio, con il via libera al nuovo codice di condotta per le ONG, esemplificativo, ancora una volta, dell’incapacità di comprendere la vera emergenza, cioè un sistema che non riesce ad accogliere e tanto meno a integrare i cittadini stranieri.
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Che cosa succede una volta arrivati in Italia
Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia opera su due livelli: gli hotspot e i centri di prima accoglienza, e la seconda accoglienza, che comprende il SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) – che con il decreto Lamorgese ha sostituito il SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) introdotto dal suo predecessore Matteo Salvini – e i CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria, ibrido tra prima e seconda accoglienza, che purtroppo sono diventati la soluzione più utilizzata. La prassi attualmente in vigore non è riuscita nell’intento di semplificazione, anzi, è sempre più complessa e mal funzionante.
Esiste una distinzione tra i migranti che vengono soccorsi in mare e quelli che raggiungono autonomamente il territorio italiano. I primi vengono condotti negli hotspot, attualmente presenti a Lampedusa, Pozzallo, Messina e Taranto, in cui gli operatori legali, unitamente al team di supporto psicologico e sanitario, li aiutano guidandoli nelle procedure di richiesta della protezione internazionale. Qui si differenziano i richiedenti asilo dagli altri migranti, che saranno inviati ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), veri e propri istituti di detenzione, o lasciati sul territorio in condizione di soggiorno irregolare.
Questi ultimi, insieme agli stranieri che arrivano autonomamente in Italia, devono districarsi nella complessità del sistema, spesso senza saper comunicare in lingua italiana, per ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o familiari. Questa categoria di cittadini stranieri è probabilmente quella più svantaggiata, perché il passaggio tra lo status di irregolare già presente nel territorio e la regolarità è difficilissimo. Il decreto Lamorgese, che aveva introdotto la cosiddetta protezione speciale - per tutti quei soggetti non idonei alla richiesta di asilo, ma che non possono essere espulsi per diversi motivi, ad esempio il rischio di persecuzioni nel paese d’origine - è di fatto preclusa a causa dell’inefficienza della pubblica amministrazione, che impedisce l’adempimento di procedure per la regolarizzazione sul territorio. I cittadini stranieri con un decreto di espulsione, invece, hanno un termine perentorio di 30 giorni per depositare un ricorso al giudice competente, avvalendosi dell’assistenza legale. Ancora diverso è il caso di uno straniero che arriva in Italia regolarmente, tramite un invito o per motivi di studio, che intenda soggiornare nel territorio per più di 90 giorni. In questo caso la legge prescrive un termine di 8 giorni per richiedere un permesso di soggiorno. Teoricamente, il Testo Unico sull’Immigrazione si occupa di tutte le diverse casistiche e descrive iter che all’apparenza sembrano semplici. Tuttavia, mai come in materia di immigrazione la teoria si scontra con una realtà del tutto distorta, inefficiente e discriminatoria.
I cittadini stranieri, anche a causa del loro background, si inseriscono nel tessuto sociale senza alcuna conoscenza dei diritti fondamentali. In moltissimi casi hanno alle spalle episodi di abusi, di violenze, di tratta; sono soggetti vulnerabili che hanno che cercano di sopravvivere in una condizione di clandestinità e spesso le stesse difficoltà sono riservate anche agli stranieri regolarmente presenti nel territorio italiano, sempre a causa di un sistema impreparato.
Il caso della Questura di Roma e non solo
Il quotidiano Roma Today si è interessato alla questione pubblicando un breve reportage in cui si vedono centinaia di cittadini stranieri recarsi alla Questura di Roma per richiedere un permesso o un rinnovo: la fila inizia a formarsi a notte fonda, per sperare di entrare all’ufficio immigrazione la mattina seguente. Sono gli stessi sportelli legali gratuiti a consigliare agli stranieri di recarsi a notte fonda fuori dalle Questure. Durante l’orario di apertura - dalle 8.30 alle 12 - riescono ad accedervi solamente una decina di persone al giorno. Nessuna amministrazione si è mai occupata di facilitare le procedure di accesso alla regolarizzazione, prevedendo ad esempio la possibilità di procedure telematiche o l’aumento del personale. L’ingresso alla Questura è militarizzato, non esiste la possibilità di consultare un interprete e spesso è negato l’accesso anche agli avvocati dei richiedenti asilo.
Anche a Milano la situazione è la stessa, come riporta un’inchiesta di Altreconomia. “La scena davanti all’ufficio immigrazione di via Cagni 15 a Milano è la stessa ogni settimana. E il rischio è che ci si possa abituare. Centinaia di (aspiranti) richiedenti asilo si presentano tra venerdì e domenica. Compongono una fila per nazionalità e rimangono su un marciapiede transennato dalla polizia fino al lunedì mattina. La loro speranza si concentra tutta dietro a una porticina scura di un metro per due: è da lì che si accede alla caserma Annarumma.” A Milano, a causa del numero limitato di persone che possono accedere - 120 a settimana - si verificano spesso scontri violenti con la Polizia.
I disordini all'esterno delle Questure non possono essere derubricati come un problema di ordine pubblico, ma di rispetto dei diritti fondamentali. I cittadini stranieri trascorrono intere notti davanti agli Uffici, sopportando temperature bassissime, solo per il diritto di fare una richiesta che forse dopo mesi sarà ascoltata, e spesso rigettata. Date queste premesse, non è sconvolgente che la clandestinità sia una strada, spesso la più percorribile. Le possibilità che si prospettano per un soggetto irregolare sono un lavoro sottopagato senza contratto, pensiamo per esempio al caporalato e alla sua solida struttura, e un alloggio di fortuna con altri connazionali, all’interno di insediamenti abusivi. Questo è un graduale processo verso l’invisibilità e l’impossibilità di esercitare dei diritti fondamentali, causato dal fallimento dello Stato di diritto che condanna la superficie del fenomeno con la battaglia al “degrado”, agli insediamenti abusivi, alla micro criminalità degli stranieri.
Il percorso discriminatorio delle istituzioni
Esistono diverse strade che conducono un soggetto straniero all’irregolarità: un diniego della Commissione Territoriale, un decreto di espulsione, l’assenza di un’idonea assistenza legale. E per chi decide di regolarizzare la propria posizione, magari dopo anni di clandestinità in Italia, inizia un percorso in salita: deve interfacciarsi con il sistema istituzionale e privato, in cui, a fronte di un lavoro eccellente di associazioni no profit, esiste un vero e proprio circuito in cui le discriminazioni ai danni degli stranieri si moltiplicano.
Le associazioni no profit presenti su tutto il territorio italiano si avvalgono di professionisti competenti e volontari in grado di occuparsi non solo della parte amministrativa, ma anche dell’integrazione tramite la preparazione del colloquio davanti alle Commissioni Territoriali, l’iscrizione a scuole di italiano gratuite, il sostegno di operatori e operatrici per le donne che hanno subito violenza e il supporto ai minori non accompagnati. Tuttavia, non può esserci una presa in carico di tutti i soggetti in stato di bisogno e il sistema istituzionale non può, come accade, appoggiarsi al lavoro spesso volontario del terzo settore. Non essendoci poi una diffusione capillare di queste associazioni, gli immigrati si trovano da soli a dover comprendere atti giuridici non tradotti nella loro lingua e a dover individuare un’assistenza legale idonea, che gli garantisca il diritto di difesa.
Alcune possibili soluzioni con Antartide e A Buon Diritto
Salvatore Fachile, presidente dell’associazione Antartide e membro di Asgi, si occupa di fornire tutela legale in materia di immigrazione e ha raccontato a Valigia Blu le contraddizioni e le discriminazioni del sistema di accoglienza e integrazione.
La prima problematica è sicuramente l’accesso agli uffici delle questure nel territorio nazionale: “Il comportamento della pubblica amministrazione causa gravi discriminazioni, impedendo di fatto il diritto di richiedere un permesso”. Le sistematiche carenze degli uffici vengono nascoste “dietro una presunta cronica carenza di personale”, che altro non è che una condotta illegittima.
Il secondo punto nevralgico riguarda i cittadini stranieri non idonei a richiedere il diritto di asilo. Secondo Fachile, questo riguarda moltissimi stranieri attualmente presenti nel territorio ed è una problematica molto meno vistosa in questo periodo storico, ma altrettanto grave. Quando non si possiedono i requisiti per la protezione internazionale, infatti, sono pochissimi gli strumenti a disposizione per la regolarizzazione a causa di un “sistema chiuso che non prevede la possibilità di modificare il proprio status, neanche trovando un lavoro”. Quindi, si cercano altre strade, come matrimoni con persone con cittadinanza italiana o richiedendo la protezione speciale prevista dal decreto Lamorgese che però è una sorta di corsa a ostacoli anche per la prassi della pubblica amministrazione. La previsione di una nuova forma di tutela “rappresentava la possibilità di risolvere la questione della clandestinità in Italia, ma tutto ciò è impedito da un comportamento fattuale illegittimo”.
Oltre alle discriminazioni fattuali e sistematiche del sistema istituzionale, totalmente impreparato a gestire le domande di asilo e di regolarizzazione, esiste una responsabilità anche di molti privati a partire dalle condotte fraudolente di molti legali e datori di lavoro, “inammissibile in qualsiasi altro settore, tranne quando si ha a che fare con soggetti migranti”. Secondo Fachile tutto ciò ha permesso la creazione di circuiti malavitosi in cui diversi settori produttivi, legali e non, hanno costruito una rete di interessi legata allo sfruttamento del lavoro nero degli stranieri in Italia. Esiste un “meccanismo di implicita discriminazione e razzismo, nato da una convergenza di interessi economici”. Quanto alle possibili soluzioni, Fachile auspica da una parte la necessaria riforma normativa che preveda la possibilità di modificare lo status irregolare di uno straniero e dall’altra la richiesta perentoria alla pubblica amministrazione “di comportarsi come un paese moderno, che tratta allo stesso modo le richieste fatte dai propri cittadini e dagli stranieri”.
Marina De Stradis e Rita Vitale si occupano di tutela legale di donne e migranti per l’associazione A Buon Diritto Onlus, fondata a Roma nel 2001. L’associazione ha recentemente pubblicato un report che raccoglie tutte le problematiche intorno al tema delle migrazioni per il triennio 2019-2021. Il rapporto “Corto circuito” evidenzia le criticità del sistema di accoglienza in Italia, a partire dalle enormi difficoltà che devono affrontare gli stranieri già presenti nel territorio italiano.
“Le possibilità di regolarizzazione sono, di fatto, la richiesta di asilo e il matrimonio con un cittadino italiano: questo crea una grave discriminazione ai danni degli altri migranti, soprattutto quelli economici”, spiegano a Valigia Blu. Anche gli interventi legislativi degli ultimi anni, come le sanatorie o il decreto flussi, “non hanno risolto il problema perché sono strumenti che possono essere utilizzati solo da chi è già titolare di un permesso di soggiorno, lasciando privi di tutela tutti gli altri, cioè la maggioranza. Il sistema così inteso è disfunzionale e deve essere riletto alla luce dei dati reali”.
Un secondo aspetto che necessità di una riforma è la normativa sulla residenza anagrafica, intesa come porta di accesso ai servizi pubblici e all’esercizio dei diritti fondamentali. “A livello normativo, lo straniero è tenuto a comunicare un luogo di dimora in cui essere rintracciato per le comunicazioni della pubblica amministrazione, ma di fatto, allo stesso viene chiesto di dimostrare un luogo di residenza per richiedere un permesso o rinnovarlo”. Anche nei grandi centri urbani, che hanno attivato il meccanismo della residenza fittizia, le procedure amministrative per il rinnovo non sempre vanno a buon fine. La ragione che giustifica questo cortocircuito normativo altro non è che un’esigenza di “pubblica sicurezza del tutto illegittima, di dover tenere sotto controllo lo straniero e i suoi spostamenti”.
L’approccio controllante e securitario al fenomeno migratorio si ripercuote anche nella prima accoglienza: “I centri sono periferici, privi di servizi e impediscono agli ospiti di crearsi una rete lavorativa, sociale e culturale”. Il modello hotspot, anche a causa di una grave mancanza di spazio, non è in grado di accogliere persone vulnerabili, vittime di tratta e sfruttamento. “Più le persone fuoriescono dal circuito dei servizi - e dei diritti - più il processo di integrazione si complica. Quando termina il periodo di accoglienza in strutture di accoglienza, lo straniero è solo, non è autonomo dal punto di vista abitativo e lavorativo, perché non c’è l’interesse a creare una vera integrazione”, raccontano ancora De Stradis e Vitale.
Le contraddizioni e le lacune del sistema fin qui illustrate hanno, secondo gli esperti intervistati, una matrice politica: con l’attuale Governo i problemi si sono intensificati e l’informazione si è focalizzata sui dati relativi agli sbarchi, fingendo di non vedere la vera emergenza. Le oscillazioni dei vertici hanno sempre avuto delle ripercussioni dirette sul sistema dell’accoglienza, ma in questo periodo storico è necessario interrogarsi non tanto sull’orientamento politico da seguire in tema di immigrazione, quanto più sull’obbligatorietà di uno stato moderno di garantire a tutti i diritti fondamentali.
Immagine in anteprima via openmigration.org