Crisi climatica: lo scontro in Europa su nucleare e gas e i costi ambientali dell’estrazione del litio
15 min letturaIl round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.
La bozza della tassonomia verde della Commissione Europea: sì al nucleare fino al 2045 e al gas naturale per un periodo limitato. La Germania minaccia di non votare il testo
Diverse testate giornalistiche hanno potuto visionare la bozza di tassonomia verde (la lista in cui rientrano gli strumenti energetici e finanziari classificati come sostenibili) che la Commissione Europea presenterà nei prossimi giorni per essere valutata da esperti degli Stati membri e successivamente votata dal Consiglio Europeo (l’organo che riunisce i capi di Stato e governi dei paesi dell’Unione Europea), prima, e dal Parlamento Europeo, poi.
Secondo la bozza, l’energia nucleare dovrebbe essere considerata una fonte sostenibile a patto che i paesi che ospitano le centrali garantiscano che non causino “un danno significativo” all'ambiente, compreso lo smaltimento sicuro delle scorie nucleari. A queste condizioni la costruzione di nuove centrali nucleari sarà considerata “green” almeno fino al 2045. Il gas naturale dovrebbe essere considerato sostenibile per un periodo di tempo e a condizione che la Co2 emessa non superi i 270 grammi per kilowatt generato e i nuovi investimenti riguardino progetti per rimpiazzare carbone e petrolio.
Fino al 12 gennaio potranno esprimersi sulla bozza esperti degli Stati membri. A quel punto la Commissione Europea adotterà formalmente l'atto che sarà sottoposto all'esame del Parlamento e del Consiglio (a quel punto sotto la presidenza francese) che avranno a loro volta 4 mesi di tempo (estensibili a sei) per poterlo approvare. Entrambi gli organi potranno opporsi, il Parlamento con maggioranza semplice (con il voto di almeno 353 deputati), il Consiglio con maggioranza qualificata (cioè con il 72% degli Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione UE). In caso di approvazione, l'atto entrerà in vigore a partire dal 2023.
Due giorni fa il governo tedesco ha duramente criticato la bozza. Il ministro dell'Economia e della protezione del clima, Robert Habeck, e quello dell'Ambiente, Steffi Lemke, entrambi del partito dei Verdi, hanno affermato che la Germania potrebbe non sostenere il programma proposto. Successivamente ha preso posizione anche il Ministero della Transizione Ecologica spagnolo che in una nota ha sottolineato: “Il gas naturale e il nucleare non possono essere considerati tecnologie verdi o sostenibili nelle normative tassonomiche, a prescindere dalla possibilità che si possano continuare a fare investimenti nell’una o nell’altra. (...) Riteniamo che non siano energie verdi o sostenibili. Non ha senso e manda segnali sbagliati per la transizione energetica di tutta l’Ue”.
Da un parte, paesi come Francia e Polonia hanno spinto con forza per l'inclusione dell'energia nucleare nella tassonomia poiché sostengono che si tratta di una tecnologia cruciale a basse emissioni di carbonio necessaria per fornire stabilità energetica nella transizione energetica degli Stati UE verso le rinnovabili. Dall’altra, insieme alla Germania, altri paesi come l'Austria, la Spagna o il Lussemburgo, si sono opposti fermamente di fronte ai timori di incidenti nucleari e smaltimento delle scorie. Tuttavia, la Germania non ricorrerà ad azioni legali, come proposto dalla ministra dell'Ambiente austriaca, Leonore Gewessler. Steffen Hebestreit, portavoce del cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha ribadito che il governo tedesco ritiene che "la tecnologia nucleare sia pericolosa, che il problema dello smaltimento dei rifiuti sia ancora irrisolto" e respinge "la valutazione [della Commissione] sull'energia nucleare". Ma ha anche ammesso che i paesi che si oppongono all'inclusione del nucleare nella tassonomia sono in minoranza. Secondo Reuters, la Germania potrebbe astenersi al momento del voto. Nelle ultime ore alcuni Verdi e attivisti ambientali avevano sostenuto che il cancelliere Scholz avesse stretto un accordo con il presidente francese Emmanuel Macron, dando il via libera all'etichetta verde per il nucleare in cambio dell'inserimento del gas nella tassonomia UE, da cui la Germania è dipendente. Ipotesi smentita da Hebestreit. Per quanto riguarda il gas, lo scontro è tra chi – come la Germania – lo ritiene un combustibile di transizione utile per la decarbonizzazione delle economie e chi mette in risalto che il suo utilizzo potrebbe pregiudicare gli obiettivi di neutralità climatica dell’UE.
La Germania ha avviato il programma di spegnimento delle sue sei centrali, la Francia sta pianificando di ridurre la quota del nucleare nel suo mix energetico dal 75% al 50% entro il 2035. Tuttavia, il presidente Emmanuel Macron ha annunciato a novembre 1 miliardo di nuovi investimenti entro la fine del decennio e l’intenzione di “riavviare la costruzione di reattori nucleari” continuando nel frattempo “a sviluppare le energie rinnovabili”. Nelle ultime settimane la Francia ha bloccato 15 reattori (su 56) per guasti alle apparecchiature critiche di alcune centrali.
I costi ambientali dell’estrazione del litio: il Cile riscrive la Costituzione tra degrado ambientale, crisi climatica e ridistribuzione di diritti e profitti
Quella per le il litio e il cobalto è la nuova corsa all'oro. Cile, Repubblica Democratica del Congo, Bolivia sono tra i paesi oggetto delle mire di paesi e società minerarie per estrarre le materie prime fondamentali per le auto elettriche, ritenute una delle soluzioni più gettonate per abbattere le emissioni. La giornalista del New York Times, Somini Sengupta ha fatto un reportage nel deserto di Atacama, in Cile, una delle più grandi fonti di litio al mondo, dove si trova il Salar de Atacama, un lago ricoperto di sale.
Intorno all’estrazione del litio (di cui il Cile è il secondo produttore mondiale) gravitano gli interessi delle compagnie minerarie, desiderose di incrementare la produzione con l’aumento della domanda e dei prezzi, e dei politici locali che considerano l’attività mineraria cruciale per la prosperità del paese. Ma non tutti i cileni condividono questa posizione. Sono in molti a sostenere che il modello di sviluppo economico del Cile, basato sull’estrazione di risorse naturali, ha avuto un impatto ambientale troppo alto senza estendere i guadagni a tutti i cittadini, a partire dalle comunità indigene. Alcuni di loro sono stati eletti nella Convenzione che sta redigendo la nuova Costituzione che sostituirà quella scritta dalla dittatura di Pinochet nel 1980 e che ha contribuito finora a impedire qualunque possibilità di riforma in senso egualitario del sistema economico neoliberista.
La dittatura di Pinochet ha aperto, infatti, il Cile agli investimenti minerari e ha permesso di acquistare e vendere i diritti sull'acqua, diventando uno dei paesi più ricchi dell’America Latina senza una distribuzione equa della ricchezza.
Un quinto del litio mondiale, la maggior parte nel deserto di Atacama, all'ombra del vulcano Lascar, è prodotto dalla Sociedad Química y Minera de Chile (SQM), vecchia società statale di fertilizzanti che Pinochet affidò nel 1983 a suo genero Julio Ponce Lerou.
Giorno e notte, SQM pompa da cinque pozzi insieme all’acqua dolce una salamoia composta principalmente da cloruro di sodio, magnesio e litio ad alta concentrazione. La salamoia viene trasportata verso una serie di stagni, dove evapora sotto l’azione del sole lasciando dietro di sé depositi di magnesio e potassio. Il litio rimane in un fondo viscoso di colore giallo-verde che SQM converte in carbonato di litio bianco che verrà poi esportato ai produttori di batterie.
Come spiega al New York Times Carlos Díaz, vicepresidente dell’area litio della società, SQM sta cercando di cavalcare il mercato al rialzo del litio. L’obiettivo è aumentare la capacità di produzione da 140.000 tonnellate di carbonato di litio a 180.000 tonnellate entro il 2022. Díaz ha anche aggiunto che la società vorrebbe “produrre litio il più verde possibile”, riducendo della metà l’estrazione di acqua salata entro il 2030 e raggiungendo la neutralità carbonica entro il 2040. Recentemente, BHP, maggiore proprietaria della miniera di rame di Escondida, nel nord del Cile, è stata condannata a pagare 93 milioni di dollari per aver estratto acqua e aver causato, secondo un tribunale cileno, “danni irreparabili” alla salina di Punta Negra.
Proprio qui entra in gioco la Convenzione che, attraverso la nuova Costituzione, dovrà decidere che tipo di paese vorrà essere il Cile del XXI secolo.
“Quando qualcuno compra un'auto elettrica, si sente molto bene perché pensa che sta salvando il pianeta. Allo stesso tempo un intero ecosistema è danneggiato. È un grande paradosso”, dice al New York Times Cristina Dorador Ortiz, microbiologa che fa parte della Convenzione costituzionale. “Il mondo dovrebbe smettere di bruciare petrolio e gas, ovviamente, ma non ignorando costi ecologici ancora sconosciuti. Qual è il danno che siamo disposti ad arrecare alla natura per vivere bene?”.
C’è in gioco la redistribuzione dei profitti e la difesa della natura.
È già in discussione una legge per aumentare le royalties e la Convenzione sta valutando come dare più poteri decisionali alle comunità locali. A questo si aggiunge la questione dei diritti sull’acqua e sulla salamoia: diventeranno un bene pubblico?
L'estrazione della salamoia è attualmente disciplinata dal codice minerario. La Convenzione potrebbe considerare la salamoia come acqua salata e assumerne la competenza. Posizione contrastata dalle società minerarie che affermano che la salamoia non può essere considerata tecnicamente alla stessa stregua dell’acqua perché non adatta né al consumo umano né a quello animale. “C'è una netta separazione tra ciò che proviene dalle montagne, cioè l'acqua continentale, e ciò che hai nella salamoia nel Salar de Atacama”, sostiene Díaz. Joaquin Villarino, presidente del Consiglio minerario, teme che la Convenzione punti a voler fare una stretta sulle attività estrattive rendendo il Cile meno attrattivo per gli investitori esteri.
Secondo una ricerca indipendente da parte dell’Università dell’Arizona, le attività di estrazione del litio costituiscono uno dei principali fattori di stress per il degrado ambientale locale. La diminuzione dell’umidità del suolo e delle distese di sale, insieme all’aumento delle temperature diurne, contribuiscono all’essiccazione dell’area.
Quel che si trova a dover affrontare la Convenzione non riguarda solo il Cile. Di fronte alle soluzioni da dover adottare per fronteggiare la crisi climatica e la perdita di biodiversità senza alterare gli ecosistemi locali, tutti gli Stati si trovano a dover riesaminare la relazione dell’umanità con la natura. “Dobbiamo affrontare alcuni problemi molto complessi del XXI secolo", ha affermato Maisa Rojas, climatologa dell'Università del Cile. “E le nostre istituzioni sono, per molti aspetti, impreparate”.
Serbia, le proteste in tutto il paese frenano il progetto di sfruttamento delle riserve di litio al confine con la Bosnia-Erzegovina
Il presidente della Serbia Aleksandar Vucic ha fatto marcia indietro su due proposte di legge che avrebbero rispettivamente favorito lo sfruttamento delle riserve di litio al confine con la Bosnia-Erzegovina da parte della multinazionale ango-australiana Rio Tinto, e limitato la partecipazione attiva dei cittadini rendendo più difficile la raccolta delle firme per un eventuale referendum.
La decisione è arrivata dopo le proteste in tutto il paese contro i due provvedimenti. Epicentro è stata Loznica, al nord della Serbia, nei pressi di una delle più grandi riserve di litio in Europa (e del mondo). Sull’area ha messo gli occhi la società Rio Pinto che, dopo un’esplorazione effettuata lo scorso anno, ha annunciato un investimento da 2,4 miliardi di dollari per quella che potrebbe essere la più grande miniera di litio in Europa.
Rio Pinto punterebbe a estrarre 2,3 milioni di tonnellate di carbonato di litio all’anno e 160.000 tonnellate di acido borico, utilizzato anche per la costruzione dei pannelli solari. La miniera, scrive il Guardian, sarebbe in grado di fornire litio in misura tale da permettere la produzione di un milione di veicoli elettrici ogni anno. Per la Serbia, questo potrebbe significare miliardi di dollari di entrate e centinaia di posti di lavoro. Per l’Europa maggiore autonomia dai grandi esportatori di litio, come Australia, America Latina e Cina. Ma a che prezzo?
Ad alimentare i dubbi, scrive Alessandra Briganti su Il Manifesto, sono gli impatti ambientali della miniera e la reputazione di Rio Pinto, “implicata in diversi casi di corruzione, violazione di diritti umani e disastro ambientale”. Secondo la professoressa di Chimica Ambientale dell’Università di Belgrado, Dragana Đorđević, sentita dal Guardian, lo sfruttamento della miniera di litio potrebbe portare a una produzione complessiva di 57 milioni di tonnellate di rifiuti, a un utilizzo elevato di acqua al punto da mettere a rischio i bacini dei fiumi Drina e Sava e a rischi per oltre 145 specie protette presenti nell’area.
E così di fronte alle proteste durate settimane in tutta la Serbia, Vucic è tornato sui propri passi, ritirando la proposta di legge che riduceva a 5 giorni i tempi di ricorso contro l’esproprio di terreni in aree interessate da grandi investimenti, come appunto quelle interessate dagli investimenti di Rio Pinto, e aprendo alle modifiche richieste dai movimenti in quella sul referendum.
“La realizzazione della miniera dipenderà da due condizioni: la volontà dei cittadini [della Serbia occidentale] e gli studi sulla valutazione dell'impatto ambientale”, ha commentato la prima ministra, Ana Brnabić. “Comprendiamo l'interesse dei cittadini in tutto ciò che accade in relazione al progetto e continueremo a fornire informazioni su tutti gli aspetti”, ha affermato Rio Tinto in una nota, precisando di “aver lavorato in conformità con le leggi e i più alti standard professionali durante i suoi dieci anni di presenza in Serbia”.
Sappiamo come proteggere le persone e gli edifici dai tornado. Allora perché non lo facciamo?
Oltre 90 morti e centinaia di persone rimaste senza casa. I tornado che hanno colpito il sud e il Midwest degli Stati Uniti sono stati devastanti. Ma dietro conseguenze così terribili non c’è solo la forza distruttrice dei tornado. Ci sono anche le decisioni umane, scrive Christopher Flavelle sul New York Times. In particolare, la resistenza da parte delle associazioni di costruttori a implementare le soluzioni suggerite dagli ingegneri per rendere le case più sicure di fronte a fenomeni meteorologici sempre più intensi.
“È tutta una questione di soldi”, spiega Jason Thompson, ingegnere della National Concrete Masonry Association, tra i sostenitori di codici edilizi più severi. “Ci sono diversi gruppi che vogliono mantenere il costo di costruzione il più basso possibile”.
Una storia questa che va avanti ormai da un decennio. Già nel 2012, dopo un tornado che a Joplin, nel Missouri, aveva ucciso 162 persone, esperti di sicurezza abitativa avevano proposto di prevedere nelle abitazioni delle grandi scatole di cemento dove le persone avrebbero potuto rifugiarsi mentre tutto intorno finiva ridotto a brandelli dal passaggio di tornado e uragano. La proposta fu bloccata prima ancora di poter essere votata perché bloccata dai rappresentanti dell'industria edile.
La stessa storia si è ripetuta anche negli anni successivi, prosegue il New York Times. Mentre gli ingegneri continuano a suggerire tecnologie e standard di progettazione all'avanguardia per proteggere le persone e gli edifici dai tornado, i tentativi di incorporare tali progetti nei codici di costruzione vengono ripetutamente bloccati o ridimensionati dall'industria edile.
Ogni tre anni l'International Code Council emette una serie di codici che regolamentano l'edilizia residenziale e commerciale, gli impianti idraulico ed elettrico, e persino la sicurezza contro gli incendi. I singoli Stati possono adottare quei codici, modificandoli secondo le proprie necessità necessità. Per essere integrate nel nuovo codice, le modifiche proposte devono essere approvate da diversi comitati, tra cui i rappresentanti del settore edilizio, in modo tale che passino solo quei cambiamenti che ricevono un consenso ampio. Tuttavia, questa procedura consente all’industria dell’edilizia abitativa di bloccare quei cambiamenti che ritiene troppo costosi.
E così è accaduto anche di recente per le nuove soluzioni abitative in grado di resistere ai tornado proposte dall’American Society of Civil Engineers: tetti saldamente fissati alle pareti e pareti fissate alle fondamenta in modo da trasferire la pressione dal tornado verso il basso alla parte più resistente dell'edificio, e finestre e altre aperture abbastanza resistenti da essere resistenti ai detriti, come i rami degli alberi, che vengono scagliati in aria ad alta velocità durante un tornado. Ma, scrive il New York Times, l’associazione dei costruttori avrebbe immediatamente fatto pressioni sull’associazione degli ingegneri, pre-annunciando il boicottaggio delle proposte nonostante, dove sono state sperimentate, le nuove abitazioni non hanno visto un aumento significativo dei costi.
Per questo motivo, l'American Society of Civil Engineering ha deciso di non presentare le proposte per farle inserire nel nuovo codice edilizio e di applicare le nuove soluzioni solo a un ristretto gruppo di edifici, come ospedali, caserme dei vigili del fuoco e stazioni di polizia.
Per la prima volta la Malesia ha chiesto fondi alle Nazioni Unite per l’adattamento ai cambiamenti climatici
La Malesia ha chiesto 3 milioni di dollari (2,7 milioni di euro) al Fondo verde per il clima delle Nazioni Unite per sviluppare un piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici. È la prima volta che il paese del sud-est asiatico chiede fondi per l’adattamento climatico, cioè per azioni necessarie per rispondere agli impatti attuali e futuri della crisi climatica. Finora erano stati stanziati 9,8 miliardi di ringgit (2,06 miliardi di euro) per progetti di mitigazione delle inondazioni come la costruzione di barriere idriche, bacini idrografici e l'approfondimento dei fiumi.
La decisione arriva dopo le piogge torrenziali che dal 18 dicembre hanno provocato le peggiori inondazioni che la Malaysia abbia visto da decenni, con 48 morti in otto Stati e quasi 70.000 persone costrette a fuggire dalle proprie abitazioni.
Adding these incredible images from the flooding around Dataran Merdeka and Masjid Jamek to the photos in this old tweet with pictures from the KL floods of 1926 and 1971. https://t.co/NbdwaubhuN pic.twitter.com/zVOljkjcKB
— Soon-Tzu Speechley 孫子 (@speechleyish) December 21, 2021
Secondo gli esperti il piano di adattamento dovrebbe esaminare (e intervenire su) l'interazione di inondazioni o siccità sulla sicurezza alimentare e sui raccolti e la necessità di servizi sanitari efficienti dal punto di vista energetico con sistemi di comunicazione validi. “L'adattamento richiederà molti più fondi rispetto alla mitigazione perché dobbiamo rivedere la nostra pianificazione urbana. Si tratta di progetti infrastrutturali costosi”, ha affermato Ili Nadiah Dzulfakar, co-fondatrice del gruppo di attivisti per il clima Klima Action Malaysia.
Cinque grandi progetti per proteggere la natura
Salvare le praterie, riciclare le acque reflue, proteggere le torbiere, combattere l’inquinamento da plastica, eradicare specie animali invasive. Il Guardian ha parlato dei progetti di gruppi di ricercatori e volontari che si stanno battendo in tutto il mondo per combattere cinque fattori chiave della perdita di biodiversità.
Lo scorso anno la Southeastern Grasslands Initiative (SGI) della Austin Peay State University ha lanciato una banca dei semi per preservare specie rare e in declino nelle praterie degli Stati Uniti. Dall'agosto 2020, il team ha raccolto più di 35.000 semi in 66 collezioni di 29 specie. Tra gli obiettivi, la realizzazione di una mappa interattiva che consentirà agli utenti di vedere quali specie si trovano nella banca dei semi e da dove provengono: “Più si crea e si diffonde conoscenza su questi temi, maggiori saranno le opportunità di rimettere questi semi nei terreni”, ha commentato Cooper Breeden, responsabile del progetto.
Israele e Singapore sono il punto di riferimento per il riciclo delle acque reflue. Ogni anno vengono estratte in tutto il mondo 60 miliardi di tonnellate di risorse rinnovabili e non rinnovabili, il che rende lo sfruttamento diretto delle risorse, insieme a quello degli organismi, il secondo fattore di perdita di biodiversità. Per quanto riguarda l'acqua, il consumo mondiale è aumentato di circa l'1% all'anno dagli anni '80 e si prevede che la domanda globale di acqua continuerà ad aumentare a un ritmo simile fino al 2050, secondo il World Water Development Report 2019 delle Nazioni Unite. A livello globale, l'80% delle acque reflue attualmente rifluisce nell'ecosistema senza essere trattato o riutilizzato. Israele ha investito molto nel trattamento delle acque reflue, riuscendo a riciclare quasi il 90% attraverso impianti di trattamento delle acque reflue, che reindirizzano l'acqua trattata all'irrigazione. Il sottoprodotto dei fanghi viene utilizzato come fertilizzante e per generare biogas. A Singapore, cinque impianti NEWater soddisfano fino al 40% del fabbisogno idrico del paese attraverso il riciclo, stando a quanto detto dall’agenzia nazionale per l'acqua.
Le paludi e le torbiere sono una delle chiavi per combattere la crisi climatica. Coprono solo il 3% della superficie terrestre globale ma sono capaci di immagazzinare quasi 550 miliardi di tonnellate di carbonio, il doppio rispetto a tutte le foreste del mondo. Nel Regno Unito un progetto, guidato dalla North Pennines AONB Partnership, dalla Yorkshire Peat Partnership e dalla Moors for the Future Partnership, mira a ripristinare quasi 7.000 km quadrati di torba di montagna, che immagazzinano 400 milioni di tonnellate di carbonio, Great North Bog. Il ripristino delle torbiere degradate potrebbe creare benefici in termini di biodiversità per la fauna selvatica, comprese piante, uccelli e insetti.
Un team del Nicholas Institute for Environmental Policy Solutions della Duke University negli Stati Uniti sta cercando di creare un “inventario delle tecnologie di raccolta e prevenzione dell'inquinamento da plastica”. Tra le 52 tecnologie incluse finora ci sono la Great Bubble Barrier, dove “tubi posti diagonalmente sul fondo del corso d'acqua formano una barriera a bolle pompando aria, creando una corrente che porta i detriti in superficie e li guida verso un sistema di captazione”; la Holy Turtle, un'unità galleggiante di oltre 30 metri che viene rimorchiata da due navi marine e cattura i rifiuti galleggianti; “Stow it, don't throw it”, che ricicla i contenitori delle palline da tennis per recuperare le lenze da pesca per i pescatori. “Speriamo che il nostro studio e l'inventario servano come strumento per impedire alla plastica di entrare nei corsi d'acqua e per raccogliere l'inquinamento esistente, integrando gli sforzi in corso per ridurre la generazione di inquinamento da plastica più a monte nel suo ciclo di vita”, ha dichiarato Zoie Diana, dottoranda nel Dipartimento di Scienze marine e conservazione della Duke University.
Cinque anni fa la Nuova Zelanda ha lanciato il Predator Free 2050, un piano che punta a evitare che animali predatori minaccino l’esistenza di uccelli, mammiferi e rettili a rischio estinzione. L'obiettivo del Predator Free 2050 è “restituire le voci di insetti, pipistrelli, rettili e uccelli alle foreste, ai terreni agricoli, ai paesi, alle città e alle coste”. Attualmente, il 74% degli uccelli terrestri nativi del paese, l'84% delle sue specie di rettili nativi e il 46% delle specie di piante vascolari (cioè dotate di un sistema di vasi per condurre l'acqua) rischiano l’estinzione, secondo il Dipartimento per la Conservazione. Nei cinque anni trascorsi dal lancio di Predator Free 2050, il numero di uccelli come kea, kākā, kākāriki, il beccaccino Antipodes e il Tūī è aumentato.
Immagine in anteprima: Francesco Mocellin, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons