Idrogeno: una soluzione contro il cambiamento climatico o un altro regalo per l’industria dei combustibili fossili?
12 min letturaNegli ultimi mesi, l'Unione europea e diversi paesi nel mondo hanno dichiarato di puntare sull'idrogeno come nuova via per la decarbonizzazione energetica. Durante il Consiglio Europeo di dicembre, il premier Giuseppe Conte aveva dato per certo un nuovo progetto per la riconversione dell'Ilva di Taranto. Ma la strada da percorrere sembra ancora lunga considerato che l'accordo tra Invitalia e ArcelorMittal non prevede una transizione immediata.
Tra Puglia, Basilicata e Calabria si parla di futura Valle dell’idrogeno. Un’altra fabbrica in Lombardia vedrà “la prima applicazione dell’idrogeno su scala industriale in Italia”.
A favore dell'idrogeno si è apertamente espresso il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, che ha parlato della Strategia per l'idrogeno dell'UE come la leva per una ripresa economica ‘verde’. Se da un lato Bruxelles vuole affidare all'idrogeno un ruolo di punta nel piano per lo sviluppo sostenibile noto come Green Deal europeo, dall’altro il piano sembra lasciare la porta aperta all'uso dei combustibili fossili e non ha indicato una data per l'eliminazione graduale dei gas fossili, suscitando così inevitabili polemiche.
Sarà soprattutto la politica a fare dell’idrogeno una soluzione contro il cambiamento climatico o l’ennesima insostenibile fonte di energia.
One to keep in mind for future hydrogen and climate debates. pic.twitter.com/HeDGDg87Rf
— Felix Heilmann (@HeilmannFelix) January 27, 2021
Perché l'idrogeno
«L’idrogeno è l’elemento più leggero nel nostro pianeta e anche il più abbondante in natura», spiega a Valigia Blu Petronilla Fragiacomo, professore associato di Sistemi per l'Energia e l'Ambiente all’Università della Calabria, e responsabile scientifico del laboratorio e del team di ricerca Fuel Cell and Hydrogen (composto da Giuseppe De Lorenzo, Orlando Corigliano, Francesco Piraino e Matteo Genovese) che si occupa di sistemi energetici innovativi per la propulsione e per la generazione distribuita di energia.
L’idrogeno può essere usato come un vero e proprio ‘vettore energetico’, ossia una fonte energetica secondaria. Per questo «rappresenta una delle opzioni più promettenti per decarbonizzare i vari settori energetici».
Fra gli aspetti positivi, ci sono le sue flessibilità e versatilità in quanto rappresenta una soluzione ai grandi problemi del sistema energetico italiano: lo stoccaggio e il trasporto. «Può essere utilizzato come stoccaggio energetico a lungo termine, favorendo stabilità e resilienza all’intermittenza e alla fluttuabilità delle fonti rinnovabili non programmabili» (ndr, cioè quelle soggette a fenomeni naturali, come il solare e l’eolico), aggiunge Fragiacomo.
Può anche essere trasportato o miscelato nelle reti di gasdotti, «oltre a poter essere utilizzato per la produzione diretta di energia elettrica e calore». Quando usato per alimentare la tecnologia con cella a combustibile [sistema usato per trasformare l'energia chimica dell’idrogeno o di miscele ricche di idrogeno in energia elettrica], presenta ulteriori benefici: «Un più basso impatto ambientale, inquinamento acustico nullo e un’efficienza più elevata» rispetto ai sistemi energetici convenzionali alimentati con altri combustibili.
E poi ci sono i vantaggi dal punto di vista economico: «L’introduzione di nuove tecnologie all’interno di diverse filiere tecnologiche consente di aumentare i livelli di occupazione, offrendo l’apertura di nuove posizioni lavorative e la nascita di figure professionali innovative».
Non mancano tuttavia alcuni aspetti negativi. Tra i potenziali problemi c’è la scarsa consapevolezza sui benefici e sugli utilizzi, specialmente nella fase di transizione. Disastri storici come l’incendio del dirigibile Hindenburg nel 1937 hanno in parte influenzato l’opinione pubblica, ma spiega Fragiacomo: «In termini di sicurezza e gestione, l'idrogeno non è molto più pericoloso di altri combustibili infiammabili, come la benzina».
Se vengono adottate misure di sicurezza appropriate, i rischi derivanti dall'utilizzo dell’idrogeno possono essere ridotti al minimo. Disseminazione e divulgazione saranno essenziali, così come i protocolli di applicazione e di sicurezza a livello nazionale.
La catena di approvvigionamento
L’idrogeno può essere prodotto tramite diversi processi.
Degli 8 milioni di tonnellate prodotti nell'Ue ogni anno, attualmente il 95% viene ottenuto scindendo le molecole di idrocarburi. Vale a dire, emettendo tra 60 e 70 milioni di tonnellate di CO₂ e, durante la catena di approvvigionamento, anche metano. Perciò viene chiamato in gergo ‘idrogeno grigio’.
L’idrogeno classificato come pulito o ‘verde’, a bassissimo o praticamente nullo tenore di carbonio, viene invece prodotto da elettrolisi dell’acqua. È semplice e qualche lettore avrà tentato l’esperimento a scuola: tramite l’apporto di elettricità, la molecola dell’acqua viene scissa in idrogeno e ossigeno. Quando l’energia elettrica utilizzata in questo processo proviene da fonte rinnovabile (perlopiù energia eolica e solare), è praticamente carbon free, ovvero ha un tenore di carbonio pressoché nullo.
C’è un altro caso in cui la CO₂ emessa nella produzione dell’idrogeno viene catturata e stoccata, tramite tecniche di Carbon Capture and Storage (CCS). Come prodotto finale si ottiene un idrogeno con meno tenore di carbonio di quello grigio, chiamato ‘idrogeno blu’.
La classificazione comprende anche: l’idrogeno ‘nero’ prodotto usando il carbone; quello ‘marrone’ con la lignite; quello ‘turchese’ dove il calore viene utilizzato per scindere il gas fossile mediante pirolisi (la decomposizione di una sostanza complessa mediante trattamento termico); quello detto ‘viola’ o anche ‘rosa’ o ‘giallo’ dove si usano l'elettricità e il calore dei reattori nucleari; quello per ora senza colore prodotto usando biomassa.
«La produzione può avvenire in loco, a seconda della domanda e del mercato locale, oppure in infrastrutture centralizzate, dalle quali viene successivamente stoccato e distribuito verso le utenze finali», dicono Fragiacomo e Genovese.
«L’idrogeno sotto forma gassosa può essere direttamente stoccato e distribuito, per esempio tramite serbatoi ad alta pressione o adattando gasdotti esistenti. Per lunghi tragitti dove non è possibile utilizzare i gasdotti, può essere stoccato e trasportato sotto forma liquida, in serbatoi criogenici».
Per quanto riguarda il consumo, l’idrogeno ha sempre avuto una certa importanza nell’industria chimica, ad esempio per la produzione di ammoniaca, e nel settore petrolifero. Allo stato attuale, per usarlo come fonte di energia, «la tecnologia cella a combustibile rappresenta l’opzione più promettente e sta tendendo verso una maturità sia tecnologica che commerciale», spiega Fragiacomo.
Un’economia basata sull’idrogeno necessita di infrastrutture adeguate alla crescita attesa e tali da sostenere la domanda.
«È chiaro che, se si pensa a una transizione repentina, potrebbe sembrare uno scenario utopico. In realtà, l’idrogeno e le sue relative infrastrutture si innestano in un contesto già avviato e radicato». C’è già stata una grossa riconversione verso le fonti rinnovabili e verso la combinazione di alcune di esse: è qui che si innesta anche l’idrogeno.
L’Italia ha in effetti una serie di infrastrutture che sono adattabili, come la rete del gas, e la sua posizione strategica nel cuore del Mediterraneo può giocare un ruolo chiave nel Green Deal europeo.
Il ruolo di Bruxelles
“In un sistema energetico integrato, l'idrogeno può sostenere la decarbonizzazione dell'industria, dei trasporti, della produzione di energia e degli edifici in tutta Europa”. Così è stata presentata lo scorso luglio la Strategia per l’idrogeno, adottata dall’Ue per “trasformare questo potenziale in realtà, attraverso investimenti, regolamentazione, creazione del mercato, ricerca e innovazione”.
Si tratta di una transizione graduale, che richiede un approccio graduale: dal 2020 al 2024 le prime infrastrutture e la produzione fino a un milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile, dal 2025 al 2030 l'idrogeno dovrà diventare una parte intrinseca del nostro sistema energetico e la produzione dovrà aumentare fino a 10 milioni di tonnellate, dal 2030 al 2050 la maturità e l’impiego su larga scala.
Inoltre la Banca europea per gli investimenti, insieme a società civile e decisori politici, formerà la Clean Hydrogen Alliance.
Secondo il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, questa strategia sosterrà una ripresa economica ‘verde’ e ci metterà “sulla strada della decarbonizzazione” entro il 2050. A luglio ha dichiarato che “sviluppando e implementando una catena dell'idrogeno pulito, l'Europa diventerà un leader mondiale e manterrà la sua leadership nella tecnologia pulita”.
Perciò servirà uno sforzo notevole. “Dobbiamo investire nell'idrogeno pulito come mai prima d'ora,” ha sottolineato anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che si è appellata allo “spirito di imprenditorialità” dei CEO presenti al recente Hydrogen Council. “Posso assicurarvi che l'Europa prende sul serio l'idrogeno pulito. Fa parte del nostro futuro.”
In Europa, l’acciaieria svedese Hybrit ha iniziato i primi test lo scorso settembre. Austria, Germania, Norvegia, Paesi Bassi e Portogallo stanno pianificando uno sviluppo simile.
La Cina, che da 20 anni usa l’idrogeno, è ancora il produttore e consumatore maggiore al mondo. Invece gli Stati Uniti, un tempo leader della tecnologia, stanno retrocedendo.
Un investimento a prova di futuro?
Non tutti sono ottimisti, né altrettanto sicuri che si tratti di un investimento a prova di futuro.
Perché lo sia, secondo la Ong Climate Action Network (CAN) Europe, la Commissione europea “deve concentrarsi abbastanza presto sull'idrogeno prodotto con elettricità rinnovabile, l'unico in grado di fornire i benefici climatici necessari in settori difficili da decarbonizzare”.
Al momento infatti la strategia Ue spiegata dalla commissaria all’Energia Kadri Simson si basa sulla pulizia del settore del gas “il prima possibile” senza date precise.
Ed è pur vero, come scrive per ENI il professore Andris Piebalgs dell’European University Institute, che la produzione di idrogeno da combustibili fossili ha un costo medio di 1,5 euro al chilogrammo mentre la produzione di idrogeno rinnovabile mediante l'elettrolisi costa da 2,5 a 5,5 euro al chilogrammo.
“Le aspettative sono che il costo degli elettrolizzatori si dimezzerà entro il 2030, i costi dell'elettricità rinnovabile diminuiranno ulteriormente e il prezzo del carbonio aumenterà sostanzialmente,” aggiunge Piebalgs. Già l’anno scorso si è visto un andamento simile dei prezzi di petrolio e rinnovabili.
| BREAKING | Landmark moment as #renewables overtake fossil fuels as Europe's main source of electricity in 2020.
Read Ember’s fifth annual EU power sector report with @AgoraEWhttps://t.co/6HkFZumsKU pic.twitter.com/GQNcGsZcZq
— Ember (@EmberClimate) January 25, 2021
Il punto è che si rischia un enorme sforzo nella direzione sbagliata. “Ci aspettavamo di vedere uno sforzo immediato per implementare la produzione di idrogeno basata su fonti rinnovabili e investire di conseguenza, mentre la strategia per l'idrogeno mantiene la porta aperta per l'uso di combustibili fossili sporchi e non indica una data di eliminazione graduale dei gas fossili, il che non ci porterà più vicino o più velocemente all'obiettivo dell'accordo di Parigi”, dice Esther Bollendorff, coordinatrice di CAN per la politica europea del gas.
Allo stesso modo, pur accogliendo con favore il focus sull'idrogeno rinnovabile, l'European Environmental Bureau (EEB) sottolinea che “rischia di trasformarsi in un altro regalo per l'industria dei combustibili fossili, piuttosto che in un'opportunità per avanzare nell'agenda del clima”.
“Investire nell'idrogeno di origine fossile, la cui produzione è già disponibile su scala industriale, rischia di rendere l'idrogeno veramente pulito e privo di fossili non competitivo per il mercato dell'Ue e di creare asset bloccati,” secondo Barbara Mariani, senior policy officer di EEB per il clima e l'energia. “È una scommessa costosa che l'Europa non può permettersi e potrebbe facilmente evitare”.
Restano però interi sottosettori - chimica, acciaio, aviazione - “in cui l'elettrificazione diretta con fonti energetiche rinnovabili è tecnicamente difficile o altamente inefficiente”, CAN aggiunge. “Anche dopo aver ridotto massicciamente la loro domanda di energia, questi sottosettori avranno ancora bisogno di vettori energetici con alta densità di energia”. E qui casca l’asino.
Il ruolo delle compagnie elettriche
Da qui al 2050, ci aspetta innanzitutto una fase di passaggio in cui i combustibili fossili sono e saranno ancora presenti.
Alcune compagnie energetiche hanno già mosso i primi passi verso le rinnovabili. Basti pensare alla mobilità e alla preparazione verso il full electric.
Altre si sono ribellate ai piani dell'Ue. In una lettera firmata anche da ENI e inviata il 24 giugno alla Commissione europea, 33 aziende hanno chiesto di considerare tutte le forme di produzione di idrogeno.
L’idrogeno cosiddetto ‘verde’, scrivono, “da solo non sarà sufficiente per sviluppare il mercato nel prossimo decennio”. “Ci vorrà del tempo perché cresca, motivo per cui dobbiamo schierare tutte le tecnologie disponibili a partire da oggi”.
“Le energie rinnovabili emergeranno come fonte principale per la produzione di idrogeno nel lungo periodo. Fino a quando non ci arriveremo, l'Ue deve cogliere le opportunità esistenti e ciò significa utilizzare tutte le fonti di idrogeno ‘pulito’,” sostiene James Watson, che presiede il comitato direttivo di GasNaturally.
Però nel dare retta agli interessi di tutti, l’Europa rischia di remare contro i suoi stessi obiettivi di neutralità climatica entro il 2050. È già accaduto con il gas cosiddetto ‘naturale’ a causa di “un mix di massiccia influenza delle lobby, competizione geopolitica e dipendenze economiche in tutta Europa”, come dimostra l’inchiesta ‘Europe in the gas trap’ del gruppo di giornalisti di Investigate Europe.
Il vantaggio geopolitico è un altro argomento citato dai sostenitori dell’idrogeno. L'International Energy Agency (IEA) ha però sottolineato la necessità di rotte marittime internazionali per l'idrogeno, affermando che tale commercio "deve iniziare presto se si vuole avere un impatto sul sistema energetico globale". E il professore Ad van Wijk della Delft University of Technology ha detto a Carbon Brief che in Europa, almeno, un’altra componente chiave sarà l'espansione e l'adeguamento dei gasdotti per il trasporto dell'idrogeno dall'Africa. Altri studiosi avvertono: la "globalizzazione lenta e incompleta" dei mercati del gas suggerisce che il commercio dell'idrogeno potrebbe non decollare così velocemente come alcuni pensano.
Un altro report recente di IEA prevede che l'uso dell'idrogeno possa soddisfare meno del 7% della domanda finale di energia nel 2050, compresi trasporti (44%), industria (28%), elettricità (19%) e abitazioni (9%). Entro il 2070, in uno scenario in cui il riscaldamento globale resti ben al di sotto dei 2° C, l’agenzia prevede che l'idrogeno possa soddisfare il 13% della domanda finale di energia. L'idrogeno soddisferebbe gran parte del fabbisogno energetico dei trasporti marittimi e dell'aviazione, ma ben poco di quello per le abitazioni.
“Sarebbe ragionevole un approccio graduale, in cui testare l'uso dell'idrogeno e poi progressivamente implementare le infrastrutture” ha detto il dottor Jan Rosenow del Regulatory Assistance Project sempre a Carbon Brief. “Anziché avere un grande piano tutto a proposito dell'idrogeno… A me questo sembra malaccorto. Ed è una strategia profondamente pericolosa che potrebbe fallire completamente - per poi in 10 anni non ottenere niente.”
E in Italia?
Come scrive Andrea Turco su Economia Circolare, soltanto Enel si sta muovendo in direzione dell’idrogeno ‘verde’, ma la corsa all’idrogeno interessa sicuramente tutte le grandi aziende.
Secondo uno studio della società di consulenza The European House – Ambrosetti insieme al gruppo italiano del gas Snam, l'Italia potrebbe diventare un hub di energia pulita per l'Europa. “Ciò ci consentirebbe di raggiungere più facilmente gli obiettivi di neutralità climatica al 2050 e di sviluppare una nuova filiera industriale in grado di creare crescita e posti di lavoro, con un valore della produzione cumulato che nei prossimi 30 anni può avvicinarsi ai 1.500 miliardi di euro,” ha detto a settembre l’amministratore delegato di Snam, Marco Alverà. “L'economia dell'idrogeno è a portata di mano ed è un'opportunità che dobbiamo cogliere".
Grazie all’accordo tra Tenaris, Edison e Snam, un impianto siderurgico di questo tipo sorgerà a Dalmine (in provincia di Bergamo). Il progetto, che prevede l’installazione di un elettrolizzatore da circa 20 MW per produrre idrogeno e ossigeno, fa parte dell’iniziativa ‘Dalmine Zero Emissions’ per integrare l’idrogeno nella produzione e nella lavorazione di acciaio, e costituirebbe “la prima applicazione di idrogeno verde su scala industriale nel settore siderurgico in Italia”.
La Valle dell’idrogeno al confine tra Puglia, Calabria e Basilicata ha per presupposto una legge voluta dall'allora consigliere regionale Enzo Colonna che “punta sia alla promozione e diffusione dell’utilizzo di idrogeno prodotto con energia derivante da fonti rinnovabili, sia alla rigenerazione, ammodernamento, sostituzione tecnologica e potenziamento degli impianti eolici e fotovoltaici esistenti”.
Questi esempi si inseriscono in una tendenza più ampia. Lo stesso Timmermans ha invitato gli italiani ad abbracciare la nuova strategia durante una puntata della trasmissione di La7 Propaganda live.
Il progetto di alimentare a idrogeno l’impianto siderurgico di Taranto ArcelorMittal almeno per ora è sfumato. Il nuovo piano industriale prevede la costruzione di un forno ad arco elettrico di 2,5 milioni di tonnellate di acciaio, con l’obiettivo di raggiungere 8 milioni di tonnellate annue entro il 2025 e altri investimenti in tecnologie per la produzione di acciaio a basso utilizzo di carbonio.
Nonostante l’accordo firmato da Invitalia e ArcelorMittal per la riconversione dell’Ilva, la stessa amministratrice delegata di Arcelormittal Italia Lucia Morselli ha affermato “che l’idrogeno sarà la destinazione finale ma non nei prossimi quattro-cinque anni”. La Commissione Europea ha approvato l'acquisizione di InvestCo(che segue alcune business unit italiane dell'acciaio di proprietà del Gruppo Ilva attive nella produzione, lavorazione e distribuzione) da parte di Invitalia e ArcelorMittal, precedentemente controllata dalla sola ArceloMittal.
Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha risposto all'intesa tra governo e Mittal dicendo: “Noi ancora adesso non conosciamo le carte di dettaglio di questo piano e andiamo avanti con l'accordo di programma. Questo piano per noi è carta straccia, noi dobbiamo occuparci della salute del tarantini.”
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, la considera una “scelta incongrua, datata, utile esclusivamente ad avvicinare la fabbrica a un'ipotesi di presunta redditività”.
Per il presidente dell’associazione Peacelink, Alessandro Marescotti, è “un'operazione che getta i soldi dello Stato in una prospettiva che non è di risanamento e di rilancio ma di puro tamponamento di perdite” e inoltre i nuovi impianti, aggiungendosi ai vecchi, aumenterebbero l’inquinamento anziché diminuirlo.
Fragiacomo, insieme a Genovese, sottolinea l’importanza del Piano Strategico Nazionale. “La creazione della filiera di prodotto e di processo, a supporto dell’idrogeno e delle varie infrastrutture necessarie, è uno step delicato, che richiede risorse, ma fondamentale per supportare in modo sostenibile questa transizione, ed evitare che rimanga un momentum di passaggio.”
Riconvertire l'Ilva di Taranto è dunque possibile, ma servono tempo, soldi e un piano cauto quanto preciso. “L’Ilva è stata la più grande acciaieria in Europa e il suo ritorno all’apice sarà probabilmente accompagnato da una pianificazione accurata e strategica”, conclude Fragiacomo. “Le modalità, le risorse e le tempistiche crediamo siano fortemente condizionate dalle scelte manageriali, strategiche e decisionali dei principali attori coinvolti.”
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