Lotta alla crisi climatica: disobbedienza civile ultima via?
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Lo dichiaro, mi irritava il gesto di una persona che lancia del pomodoro su una teca o imbratta dei monumenti, per quanto in modo non irreparabile. Poi ho deciso di approfondire le ragioni e provare a capire. Ho parlato a lungo con mia figlia ventenne, attivista per il clima, Carlotta Sarina in arte Lotta che, presentandomi i suoi amici attivisti di Extinction Rebellion, Fridays for Future, Ultima Generazione, mi ha fatto riflettere. Ho parlato con loro, sono andata ai loro incontri, ho provato a togliermi di dosso il peso della presunzione della verità, dell’approccio giudicante e sono rimasta letteralmente senza parole per la profondità delle loro idee, per la loro capacità di fare rete, per l’apertura al confronto e per la loro incredibile capacità di comunicare e di informarsi.
Il mio approccio iniziale è stato quello di una persona che si occupa professionalmente di comunicazione e quindi immaginavo di poterli aiutare a comunicare, mettendo a disposizione la mia esperienza. Un approccio un po’ paternalistico che ho man mano smorzato fino a spegnere del tutto perché non solo sono scesa dalla cattedra, ma ho anche capito che erano loro a insegnare a me moltissimo. Ho iniziato a rendermi conto che, nella maggior parte dei casi, la narrazione che i media facevano di queste azioni era assolutamente fuorviante. Ho iniziato a chiedermi se si trattasse di colpa o di dolo.
Non voglio entrare nel merito di questa distinzione perché dovrei avere fonti che in questo momento non ho. Quello che mi piacerebbe fare, è dare loro voce. Ho proprio bisogno che il mondo dei benpensanti come me, abituati a salire in cattedra con la matita rosso-blu in mano, si fermi un attimo e scenda dal piedistallo, si metta semplicemente in ascolto, presti una profonda attenzione alla loro voce. Così, mentre con il team di Mirandola Comunicazione abbiamo iniziato a mandare loro articoli di Valigia Blu, Il Tascabile e di altri giornali, da loro ricevevo link di approfondimento a strategie di comunicazione di Extinction Rebellion UK che stava organizzando il Big One a Londra, articoli, post e moltissimi video. Sono andata alle loro riunioni e sono entrata nelle loro chat di aggiornamento dei gruppi stampa. Tra i vari materiali ricevuti, forse per vicinanza generazionale, ho sentito l’esigenza di trascrivere parola per parola un video di BarbaSofia dal titolo “Imbrattatori di quadri: vandali, idioti o profeti?” perché non mi pareva di poter esprimere meglio di come aveva fatto lui quello che provavo. Con mio grande piacere Arianna Ciccone mi ha chiesto di poterlo pubblicare su Valigia Blu.
Da quello scambio è nata l’idea di organizzare al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia un momento di confronto su come il giornalismo stia trattando la crisi climatica. Se ne è parlato in diversi incontri, qui vi racconto quello che si è svolto il 21 aprile dal titolo “Lotta alla crisi climatica: disobbedienza civile, ultima via?”
È emersa una profonda unità di intenti con approcci volutamente molto differenti tra loro. Per la prima volta nella storia stiamo affrontando un problema che mette a rischio l’esistenza dell’intera umanità. Tattiche diverse per paese e per movimento, ma un unico fine. Per la prima volta nella storia la causa riguarda l’intera umanità e per la prima volta ha una data di scadenza. Secondo gli scienziati, infatti, il punto di non ritorno è calcolato dal cosiddetto “orologio climatico” che mostra la velocità con la quale il pianeta si sta avvicinando all'aumento di 1,5°C del riscaldamento globale, alle attuali tendenze delle emissioni. Se le emissioni continuano ad aumentare, la data in cui raggiungeremo 1,5 °C si avvicinerà; se le emissioni diminuiscono, la data di 1,5 °C si allontanerà. Alla data del 25 aprile 2023, il Climate Clock segna che mancano 6 anni e 87 giorni.
Prima di ora non si è mai combattuta una lotta per salvare l’intera umanità con una data di scadenza e con un monitoraggio costante che indica il tempo che manca al punto di non ritorno. Per questo motivo, forse, la strategia che è emersa da questo confronto è quella di tentarne diverse, in contemporanea, tutte quelle che si possono immaginare. Qualsiasi strategia dovesse avere la meglio, sarà il bene di tutti. Se ne fallisse una, non importa perché ci sono le altre a continuare il percorso. Se tutte dovessero fallire, sarà la fine della vita sul pianeta. Una sorta di dilemma del prigioniero planetario. Perché l’unica certezza è che non esiste un Pianeta B. Il nostro è l’unico e il solo. Provare ogni strada in contemporanea per diversificare il rischio e sperare che una di queste possa vincere è l’unica strategia possibile. Questo in massima sintesi quanto è emerso da questo bellissimo panel.
Si è trattato di un evento ibrido in collegamento Perugia - Londra moderato da due giornalisti Valentina Petrini e Gabriele Zagni. L’obiettivo era, appunto, dare voce agli attivisti rappresentati da Ester Barel, portavoce di Fridays For Future Italia, Simone Ficicchia, l’attivista di Ultima Generazione per cui la procura aveva chiesto la “sorveglianza speciale”, rigettata poi dal giudice che l’ha definito “non pericoloso” e Gianluca Esposito, attivista di Extinction Rebellion Italia che svolge attività di formazione sulle strategie non violente e sulla resistenza civile.
In collegamento doveva esserci anche Vanessa Nakate, la prima attivista climatica ugandese e fondatrice del Rise Up Movement che purtroppo non stava bene e ha quindi inviato un messaggio scritto che è stato letto da Gabriele Zagni. In collegamento da Londra c’era anche Lotta, mia figlia, ma questa è un’altra bellissima storia che racconterò in un’altra occasione.
Valentina Petrini ha aperto i lavori sottolineando che da Calenda a Cacciari “questi attivisti non sono molto tollerati e, nel migliore dei casi, vengono definiti eco-vandali”.
Per facilitare la comprensione della loro profondità e della loro diversa unità, vi riporto i pensieri trascrivendo le loro parole non in forma di dialogo, ma come se si trattasse di brevi speech singoli.
Vanessa Nakate
Vanessa Nakate è una delle più note attiviste per il clima al mondo, è la prima attivista ugandese a battersi contro la crisi climatica nel suo paese, si è unita alla protesta dei Fridays for Future a ventisei anni e proprio il 20 aprile 2023 (il giorno prima di questo incontro) ha ricevuto una delle più alte onorificenze in tema di attivismo da parte della rivista Time il 2023 Earth Award. Qui la trascrizione (tradotta in italiano) del messaggio inviato al Festival:
“Mi dispiace molto di non potermi unire a voi questa sera. Purtroppo non mi sento bene, ma sono con voi nello spirito. Le comunità vulnerabili del Sud globale sono in prima linea nella crisi climatica, ma raramente sono sulle prime pagine. Abbiamo bisogno di persone che lavorano nei media che raccontino le storie di coloro che non hanno alcuna responsabilità riguardo a questa crisi climatica, ma che stanno già soffrendo per il suo impatto devastante. Vi prego di condividere le loro storie. Vi prego di condividerle in lungo e in largo, in ogni luogo. Rendete impossibile ai nostri leader di ignorare l'ingiustizia. Rendete impossibile ai nostri leader di voltare le spalle a coloro che cercano disperatamente sicurezza. Rendete impossibile ai nostri leader di negare o rimandare. Quando saremo riusciti a condividere un numero sufficiente di queste storie, la gente riempirà le strade e costringerà i nostri leader ad agire. Ci credo nel profondo del mio cuore. Quindi vi supplico, andate ad ascoltare coloro che stanno soffrendo e raccontate le loro storie. Vi auguro il meglio per la conversazione che state per svolgere al Festival internazionale del giornalismo di Perugia. È la conversazione più importante che possiate intrattenere. Grazie a tutti.
Vanessa”
Gianluca Esposito (Extinction Rebellion Italia)
“Proprio oggi a Londra si è aperta una lunga sessione di mobilitazione che si concluderà lunedì 24 aprile, oggi abbiamo superato le cinquantamila persone, ho avuto la conferma dei numeri. Sono previste molte più persone per questo weekend. [Alla data del 25 aprile i dati dicono che a Londra sono scese in piazza oltre 60 mila persone secondo XR mobilitate da oltre 200 organizzazioni].
Ci sono stati oggi sedici picchetti di fronte a tutti i ministeri, quindi sedici zone hanno visto gruppi di migliaia di persone partecipare e diffondere il loro messaggio davanti al ministero della sanità, al ministero dell'ecologia, dell'agricoltura. C’è stato un picchetto in ogni zona.
XR in ogni stato sta portando avanti differenti strategie perché il movimento è in fasi diverse. In Inghilterra hanno deciso di spostare la disruption, indirizzandola direttamente contro il governo e le industrie inquinanti, multinazionali e banche che investono nel fossile. È stato un cambio strategico per il fatto che hanno raccolto moltissimi feedback nel corso degli anni. Nei primi anni XR UK ha puntato a far scendere in strada le persone che erano pronte a farlo (up-standers), che semplicemente aspettavano una chiamata, quindi le azioni che facevano avevano come target il governo, ma il target comunicativo erano le persone già predisposte a scendere in campo. Poi nel tempo hanno cercato di cambiare strategia per parlare a tutte quelle fasce di persone, che sono più neutrali sulla questione o magari addirittura passive. Hanno modificato l’approccio e spostato la disruption solo sulle sedi del potere. E difatti oggi ci siamo trovati, nonostante la pioggia questa mattina, in cinquantamila persone. Oltre duecento altre associazioni hanno partecipato, questo è un inizio di quello che è chiamato il 'movimento dei movimenti'.
Per quanto riguarda i media, secondo l’Osservatorio di Pavia [analizzando l’ultimo quadrimestre, n.d.r.] del 2022, prendendo a campione le 5 testate e le 3 emittenti televisive italiane più importanti, è emerso che solo 96 servizi su 14.000 (sic!) parlano di crisi climatica e solo 2 articoli su 600 parlano delle aziende fossili come responsabili della crisi climatica. Nessuno sta parlando della crisi climatica che è la crisi più grande del nostro secolo e nessuno sta dichiarando chi sono i colpevoli. Gli attivisti sono costretti a fare disobbedienza civile per portare al centro del pubblico dibattito l'emergenza in cui siamo. Se non crei un problema, non ti ascolta nessuno. Nel documento strategico di XR UK si legge che per arrivare allo sciopero globale per il clima che si sta svolgendo a Londra hanno dovuto fare tutto quello che hanno fatto prima, hanno dovuto bloccare l’intera capitale. Non è che hanno cambiato strategia, questo è soltanto un diverso step evolutivo. In Italia non siamo ancora a questo punto. Ognuno di noi sta portando avanti strategie diverse che non vanno in contrasto. Quello che porta Ultima Generazione come tipo di dirompenza non va in contrasto con il lavoro che fa XR. Io scelgo il metodo di XR, ma questo non vuole dire che gli altri hanno torto e io ragione. I governi applicano da sempre il divide et impera. I media non fanno altro che stare al loro gioco, mettendo un movimento contro l’altro, dividendo le persone perché più siamo divisi più è facile controllare le persone. La forza qui in Inghilterra è data dal fatto che ad attivarsi ci sono persone di ogni età. Vorrei che anche in Italia fosse così per evitare che talvolta in TV si veda quell’atteggiamento paternalistico di alcuni giornalisti e politici che ci prendono per ragazzi come se il problema fosse solo nostro. Il problema non è nostro, riguarda tutti. L’eterogeneità rafforza i movimenti. Di fronte a proteste non violente si attiva mediamente il quadruplo delle persone. Ogni volta che si è raggiunto il 3,5% della popolazione statisticamente si è visto che si sono raggiunti gli obiettivi. Questo è il nostro target.
Vi porto l’esempio di un giornalista George Monbiot del Guardian che nel 2019 ha scelto di sedersi in strada e farsi arrestare.
Non bisogna mai non fare qualcosa per paura di essere odiati. Il nostro obiettivo non è piacere, ma fare la cosa giusta. Se siamo in emergenza, dobbiamo agire come “se la verità fosse reale”. Un paradosso in questa citazione di XR perché la verità è reale, la realtà è vera, ma se questa è la realtà bisogna agire. Oggi non è percepita, quindi le persone agiscono come se non ci fosse l’emergenza. Lo stile di XR è di essere spietatamente strategici, ossia stravolgere i luoghi comuni. Ad esempio qui in Inghilterra, talvolta, a fare azioni come imbrattare le vetrine sono donne tra i 40 e gli 80 anni perché è importante stupire, ma è anche importante che il pubblico si riconosca nelle persone che compiono quegli atti. È importante essere giusti. L’importante è che le persone vedano che quelle persone sono come loro e vi si riconoscano”.
Gianluca Esposito è un attivista che dal 2018 fa parte di Extinction Rebellion. Studia facilitazione, organizza esperienze di relazione autentica nella "natura" con gruppi di persone, svolge attività di formazione sulle strategie nonviolente e sulla resistenza civile. Dopo l’incontro mi ha mandato un vocale da Londra per concludere il suo pensiero che era rimasto in sospeso.
“È molto rischioso che siano, talvolta, gli stessi media a criminalizzare gli attivisti, stando al gioco di chi vuole dividere e polarizzare invece di disegnarci come persone preoccupate per la sopravvivenza della specie umana. Questo è molto pericoloso, va considerato ed è qualcosa su cui dobbiamo veramente porre l’attenzione. In Inghilterra hanno provato due volte nel corso degli anni a mettere XR all'interno dei gruppi terroristici. Il Governo ha provato a fare questa mossa, solo che il lavoro di mobilitazione di tutta la società civile fatto prima, persone comuni, nonni, mamme, persone di ogni età, ha permesso di indurre il Guardian a denunciare pubblicamente il tentativo del Governo di criminalizzare gli attivisti. In conseguenza di ciò, XR non è stato più considerato un “movimento terrorista”. In Italia non abbiamo fatto questo lavoro di preparazione, stiamo vivendo esattamente il contrario: XR é partito, poi c’è stato il Covid che ha pesantemente rallentato tutto lo slancio, alcune persone sono uscite dal nostro movimento per fondare Ultima Generazione, alzando tantissimo il rischio legale senza però aver fatto un lavoro di mobilitazione di massa prima. Senza questa preparazione è un pericolo perché ora i media stanno usando la narrativa negativa e il governo sta inasprendo le leggi. Senza aver fatto una mobilitazione di massa, questo rischia di portare gli attivisti alla criminalizzazione e reinserirli nella lista di terroristi e quindi a disintegrare tutta la possibilità di mobilitare altre persone. Lo trovo rischioso. Vorrei fare un appello a tutti i giornalisti per invitarli a creare delle narrative comuni che non ci dipingano come super eroi o criminali, ma come persone normali (potenzialmente di tutte le età) preoccupate perché siamo in emergenza e la politica non sta facendo nulla di quello che sarebbe urgente fare. Umanizzare le persone che scelgono di agire e invitare le persone a prendere posizione, perché altrimenti è la fine. Un conto è la repressione in un contesto dove l’ingiustizia è ampiamente percepita dalla popolazione, ma purtroppo l’emergenza climatica, almeno in Italia, non è ancora percepita come ingiusta. Ai tempi di Martin Luther King, le persone scendevano in strada proprio per il profondo senso di ingiustizia che provavano a seguito dell'arresto dei loro leader. Bisogna essere strategici. Non basta essere disposti ad andare in carcere perché siamo tutti animati da una sincera passione e dalla disponibilità al sacrificio ma è importante chiedersi se queste nostre azioni sono strategiche e portano a raggiungere l’obiettivo atteso. Questa è l’unica cosa importante. Che lo raggiungiamo noi o gli altri gruppi, poco importa.”
Simone Ficicchia (Ultima Generazione)
“Noi non siamo qui per dare i bollini di legittimità alle tattiche che usano gli altri movimenti, perché quello lo lasciamo fare al giornalismo in Italia. Quindi va benissimo quello che fa XR, va benissimo quello che fa Fridays, l'importante è andare avanti uniti in questa lotta perché il nemico sono i governi che non stanno agendo, sono i governi che stanno buttando miliardi di tasse dei cittadini nell'industria fossile. Diciamo che il ragionamento che c'è stato dietro a questo si basa su tanti elementi, uno di questi è che l'Italia è indietro tre o quattro anni rispetto a tutto questo. Quindi il discorso di XR viene dopo aver fatto anni di blocchi stradali. Hanno iniziato prima, hanno sperimentato molto di più di noi e quindi sono in una fase diversa che non può essere paragonata alla nostra. Si è arrivati a bloccare Londra, ad avere comunque centinaia di migliaia di persone in strada che prendevano dei rischi legali elevati. Un sacrificio molto alto per delle richieste concrete così come sta facendo in questo momento Ultima Generazione in Italia. E lo facciamo semplicemente per il fatto che dobbiamo cercare tutti i metodi possibili per salvare il salvabile: la situazione è critica, lo sappiamo da anni, da trenta, quarant'anni parliamo di cambiamento climatico, adesso finalmente parliamo di crisi climatica, perché cambiamento climatico è un termine sbagliatissimo, che ci dà un'idea di neutralità della cosa, non è un cambiamento graduale, niente affatto, è una crisi, è un collasso. Questo dare consapevolezza alle persone, sensibilizzare e portare magari anche tante persone in piazza non ha funzionato sulle politiche dei governi, che continuano a non spostarsi di un millimetro. Da quando facciamo le conferenze dagli anni Novanta, le emissioni globali hanno continuato a salire e quindi si devono cercare sempre nuovi modi, non sarà mai qualcosa di definitivo. Ultima Generazione non è la soluzione da sola, sta portando qualcosa che in Italia non c'era, che sembrava mancasse, non sarà perfetto, ma dobbiamo provare ogni possibile via. Sbagliamo, ma non possiamo permetterci di fermarci, proprio perché dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per salvare il nostro futuro, quello dei nostri figli, ma anche quello dei nostri genitori per quanto mi riguarda, perché sono cose che stiamo già vedendo. Siamo davanti a disastri che stiamo registrando già oggi, già in Italia, già in questi giorni, quindi non si può parlare solo del futuro, ma anche del presente.
La nostra disobbedienza civile viene dalla stessa forza di persone che sentono la necessità di fare qualcosa di fronte a una profonda ingiustizia. La crisi climatica, prima di tutto, è una grande ingiustizia. Nasce dall’impossibilità di stare fermi. Peggiorare tutti gli ambiti in cui già vediamo ingiustizie sul lavoro, nell’economia. Non ci sarebbe bisogno della disobbidienza civile, noi eviteremmo volentieri di fare quello che facciamo, di svegliarci una mattina e bloccare le strade o imbrattare i monumenti, se i politici avessero fatto il proprio lavoro negli scorsi decenni o se i media avessero fatto il loro lavoro negli ultimi decenni”.
Classe 2002, Simone Ficicchia è un attivista di Ultima Generazione che ha partecipato a numerose campagne (tra cui "Non paghiamo il fossile") e dimostrazioni di disobbedienza civile nonviolenta. A seguito di azioni come l'essersi incollato al vetro della Primavera di Botticelli agli Uffizi o aver lanciato della vernice lavabile alla Scala di Milano, Ficicchia ha ricevuto una richiesta di Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza, poi rigettata dal Tribunale di Milano.
“Ci rendiamo conto che non è colpa loro, ma del sistema in cui sono costretti a lavorare. E sì, io sono pronto ad andare in carcere. Ognuno e ognuna di noi dovrebbe essere pronto ad andare in carcere se gli si prospetta un futuro in cui stanno scomparendo i laghi e i fiumi. Non si tratta di eventi naturali, ma esistono responsabilità politiche dei Governi che agiscono in modo criminale o dei media che hanno il dovere di informare e non lo fanno. La cornice è questa, i criminali non sono le persone che decidono di agire, ma sono le persone che non stanno agendo per le cose giuste.
Quindi la disobbedienza civile come metodo si collega a quei momenti del passato, in cui la popolazione ha reagito in maniera non violenta, facendo delle azioni molto semplici, ripetibili. Non stiamo parlando di qualcosa di organizzato da gruppi terroristici o che prevede una difficoltà particolare: stiamo parlando di qualcosa di molto semplice, mettere a disposizione i propri corpi, bloccando la quotidianità, fermando questo pensiero che ci porta a dare la priorità a quei venti minuti di ritardo al lavoro piuttosto che al fatto che questo lavoro fra dieci anni potrebbe non esserci più.
Quello che stiamo riscontrando è che dei cambiamenti si avvertono. C’è maggiore conversazione sul tema, un aumento delle donazioni per pagare le spese legali e l’organizzazione delle azioni.
C'è un motivo per cui non puliamo la fontana invece che imbrattarla. Sono le persone comuni che devono partire dall'indignazione, è questo sentimento che muove l'azione non il dato scientifico sul cambiamento climatico perché non ci importerà mai nulla finché non ne vediamo l'effetto. È l'indignazione di vedere qualcosa che ci spaventa, perché all’indignazione segue la curiosità di capirne le ragioni: è una reazione puramente emotiva quella che ti fa scendere in campo. Questo è una parte fondamentale ed è il motivo per cui con queste azioni, per quanto antipatiche, riusciamo a parlare a tutti e a tutte. Non piacciamo ma questo non è l'obiettivo della disobbedienza civile. Martin Luther King è morto, essendo l'uomo più odiato d'America. Le suffragette sono state odiate e adesso diamo per scontato il fatto che il voto alle donne sia una cosa normale".
La politica che criminalizza la disobbedienza civile nonviolenta degli attivisti climatici
Ester Barel (Fridays for Future)
Ester Barel, 20 anni, studia Giurisprudenza a Milano. Fa parte di Fridays For Future fin dai primi cortei nel 2019. Nel 2023 è diventata una delle portavoce nazionali di FFF Italia.
“Ci confrontiamo molto tra noi e lo facciamo sempre usando il plurale perché non esiste la soluzione alla crisi climatica e non esistendo una risposta possono esistere solamente moltissimi modi per arrivare a plurime risposte, a plurime soluzioni. Fridays for Future ha fatto la scelta di collegarsi alla parola collettività, di pensare sempre che chiunque possa dare un contributo a questa lotta e quindi sceglie delle forme che permettano a chiunque di dare un proprio apporto. Ci siamo dati il ruolo di connettere le lotte legate a quella della crisi climatica. Pensiamo a quanto in Italia si senta parlare della crisi climatica e della transizione energetica come un rischio, un grave pericolo per chi lavora. Questo ricatto per cui o hai un futuro oppure scegli di lavorare alle condizioni di oggi, non lo possiamo accettare e tramite la pratica di riempire le piazze i venerdì, di fatto lavoriamo tutto l'anno tramite il coinvolgimento di altre parti della società civile. Siamo scesi in piazza con il collettivo di fabbrica della GKN, una fabbrica che era leader nel settore dell'automotive e che doveva essere completamente delocalizzata, è stata occupata e ha sviluppato un piano di riconversione. Quindi noi non vogliamo e non possiamo più permetterci di pensare al mondo del lavoro in un modo che non è sostenibile e scegliamo di fornire noi un'alternativa, dato che dall'alto non arriva. Noi abbiamo approcciato questa lotta, siamo scesi in piazza con queste persone e questo è possibile perché utilizziamo determinati metodi. Questo non significa che non ci siano altri obiettivi o altre modalità, altrettanto valide, altrettanto necessarie.
Sicuramente all’interno del nostro movimento c’è stato un cambiamento frutto di riflessioni interne. Si è passati da domandare ai Governi: “How dare you?” ossia “Come vi permettete?” chiedendo a loro di fare qualcosa ad affermare che “la soluzione siamo noi”. La soluzione siamo noi, la soluzione la conosciamo, la vogliamo e la stiamo creando. Cerchiamo di offrire noi un’alternativa, visto che dall’alto non arriva. Anche a livello italiano, abbiamo scelto di concentrarci molto di più nel costruire noi un’altra possibilità, un modo per trovare una soluzione che parta dalle persone. Molti gruppi in tutto il mondo vanno verso la direzione di considerare le persone al centro delle soluzioni. Greta non coordina. Greta non si pone da leader per Fridays. Lo è stata mediaticamente per l’impatto che ha generato la sua storia, ma Fridays funziona attraverso dei gruppi locali grazie al fortissimo rapporto con i territori. Solo chi abita una certa zona conoscerà il modo migliore per affrontare i problemi e sviluppare soluzioni per la propria area. Primo tra tutti quello dell’agricoltura che è già toccata oggi dalla crisi idrica.
In Fridays for Future sono quattro anni che riempiamo le piazze. Lo so anch'io che non basta, ma dire che non basta non significa che sia una cosa sbagliata. Sappiamo che è aumentata l'attenzione al tema. Il fatto che ci sia così tanto greenwashing significa che è aumentata la consapevolezza sul tema. Non basta. Lo sappiamo. Il fatto che i Governi abbiano iniziato a parlarne è un risultato, ma non è abbastanza. Siamo consapevoli di questo percorso. Ci siamo chiesti come attivarci e abbiamo scelto di partire dai territori, dalla quotidianità di ognuno, dai lavori di tutti. Ci sono due grandi scioperi all’anno, ma si fa attivismo tutto l’anno. Riguarda tutti. Secondo l’ISTAT queste ondate di calore hanno ucciso in Italia il 20% delle persone in più rispetto alla scorsa estate. Non ne hanno parlato molto. Non è una questione di futuro perché parlare di futuro è un privilegio. In Uganda dove vive Vanessa la crisi è adesso, noi stiamo già iniziando a vedere degli effetti. L'ecologia non è nata oggi. Le nostre azioni servono ad attivare i territori e lo facciamo in modo diverso da Ultima Generazione e XR perché sappiamo che serve attivare tutti e se qualcuno non condivide il loro metodo possono scegliere il nostro, chi non capisce il nostro può entrare dal loro, servono tutti i metodi possibili. Serve attivarsi e far attivare la popolazione. Noi abbiamo sperimentato l’attenzione mediatica. Sappiamo che è un grande rischio dover sempre aspettare che te la diano perché si tende a dover sempre rincarare la dose per fare notizia, ma non è detto che quello che fai sia utile per far comprendere la situazione alle persone a cui ti rivolgi. Il nostro target sono le persone che vogliamo siano parte attiva della soluzione. Se agiamo solo per fare notizia, solo per andare in TV in prima serata, magari non siamo utili a passare il nostro messaggio alle persone che ascoltano da casa. Dipende dagli obiettivi. Gli obiettivi sono talmente tanti che non esiste una sola risposta. Servono tutte, perché è urgente, serve che di tutte queste, almeno una funzioni.
Se doveste andare via con una cosa e dimenticarvi tutto il resto di quello che vi ho detto, andate via ricordando di dire a chi vi chiede quale sia la cosa più sostenibile che si possa fare: “Non pensarti come un individuo, non pensarti da solo, da sola: le persone, gli esseri umani non sono nate, non sono nati, non sono arrivati, non sono arrivate qui pensandosi da soli e da sole. L’impotenza nasce dal fatto che cresciamo, pensando che da soli e da sole siamo autosufficienti: questa cosa non è vera, non è vero che esiste un pianeta ed esistiamo noi, esiste un ecosistema; non è vero che c’è una crisi ambientale, c’è una crisi climatica che è una crisi sociale, che parte da una crisi delle relazioni, che sono relazioni con gli altri esseri viventi, umani inclusi, e che include le risorse naturali.”
La divulgazione non basta più
L’unità che si respira da queste diversità di approccio è incredibile. Esiste una sintonia fortissima tra loro, pur nelle strategie completamente diverse che scelgono di sperimentare e di portare avanti. Tutti e tre gli attivisti sembrano concordi nell’affermare che chiunque vinca, vince per tutti, se uno perde non importa ma se dovessero perdere tutti, è la fine di ognuno di noi, dall’operaio al magnate, dal politico al giornalista. Un'unità nella diversità che è certamente una grande lezione e che lascia intravedere una speranza nel futuro.
Noi giornalisti e comunicatori abbiamo una grande responsabilità nel raccontare questa crisi. Non aspettiamo, non rimandiamo, scendiamo in campo. Non c’è più tempo. Accogliamo l’appello degli attivisti e rendiamo impossibile ai nostri leader di ignorare l'ingiustizia. Rendiamo impossibile ai nostri leader di voltare le spalle a coloro che cercano disperatamente sicurezza. Rendiamo impossibile ai nostri leader di negare o rimandare. Andiamo ad ascoltare coloro che stanno soffrendo e raccontiamo le loro storie.
“La divulgazione non basta più - scrive Telmo Pievani nella prefazione di 'Siamo tutti Greta' di Sara Moraca ed Elisa Palazzi - “Bisogna coinvolgere, partecipare alla stessa avventura di conoscenza e di denuncia. Un linguaggio solo, quello dei numeri e dei modelli, non è sufficiente. Bisogna mescolare la scienza con le arti, con la musica, con il teatro, con il cinema, con la letteratura. Gli scrittori devono aiutarci a trovare le parole, le metafore, la temperatura poetica per unire emozioni negative e positive e far capire che non è solo una questione di innegabili fatti, ma di valori”.
Immagine in anteprima: foto di Bartolomeo Rossi - Festival Internazionale del Giornalismo 2023