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Come noi cittadini possiamo contrastare la disinformazione

6 Dicembre 2020 11 min lettura

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Come noi cittadini possiamo contrastare la disinformazione

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Joan Donovan, Research Director presso lo Shorenstein Center on Media, Politics and Public Policy, ha pubblicato recentemente un articolo su cosa possono fare i cittadini e le organizzazioni della società civile (attivisti, associazioni o semplicemente gruppi di cittadini) per contrastare la disinformazione. Come premessa, Donovan scrive che negli ultimi anni i ricercatori hanno offerto in numerose occasioni consigli ai giornalisti su come coprire e smontare la disinformazione, ma hanno trascurato la società civile. Come si dovrebbe reagire alla manipolazione dei media e alle campagne di disinformazione? Secondo la ricercatrice, “la mancanza di attenzione alle risposte della società civile è una grave lacuna nella ricerca e questo sta diventando sempre più evidente”.

L'approccio della società civile alla disinformazione non è lo stesso di giornalisti o ricercatori. Per illustrare questa differenza, Donovan spiega qual è il metodo di lavoro del team di ricerca “Technology and Social Change” di cui fa parte. Normalmente, i ricercatori si servono dell’etnografia digitale per 1) rilevare, 2) documentare e 3) smascherare le campagne di disinformazione. Nella fase di rilevamento il team di esperti analizza in profondità i presunti contenuti disinformativi su siti web e piattaforme digitali e gli account che li condividono. Il primo obiettivo è capire se si tratta di siti legittimi e persone reali o se sono invece profili creati ad hoc con lo scopo di condividere propaganda e disinformazione su un determinato argomento. Dopo aver riscontrato un modello comportamentale dannoso, i ricercatori ricreano una sequenza temporale degli eventi per un’analisi più approfondita, documentando e salvando ogni messaggio con uno screenshot (per prevenire la possibilità che questi contenuti vengano cancellati). È necessario, spiega Donovan, aver raccolto prima tutte le prove di cui si ha bisogno per avere un quadro completo della situazione. Una volta che tutto il materiale è stato raccolto e documentato vengono analizzate le tempistiche, i modelli comportamentali e il contesto più ampio della disinformazione. Solo allora si è in grado di valutare l’impatto di una campagna di disinformazione su questioni e comunità specifiche. Tutto questo è essenziale per poter formulare una risposta che sia capace di attaccare strategicamente la disinformazione.

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Questo processo, però, è molto lungo. E sebbene si tratti del procedimento più sensato se parliamo di ricercatori o di giornalisti, nel caso della società civile è necessario accettare che non tutte le associazioni hanno il lusso di potersi dedicare a questo accurato processo di rilevamento, documentazione e debunking, ammette Donovan. Ecco perché, nel momento in cui si formulano consigli e linee guida, è importante considerare che le esigenze della società civile sono diverse da quelle dei giornalisti.

Spesso, le organizzazioni della società civile, gli attivisti o qualsiasi altro gruppo di cittadini sono costretti a confrontarsi con la disinformazione armati solamente di una conoscenza parziale del fenomeno, però la loro esperienza è diretta e conoscono il contesto locale sul quale la disinformazione sta avendo un impatto negativo. Questi sono vantaggi che non bisogna trascurare e che possono aiutare a individuare una tendenza disinformativa sul nascere, prima dell’arrivo dei giornalisti o dei ricercatori.

Sulla base di queste premesse e dopo aver analizzato casi di studio nei quali associazioni e gruppi di cittadini hanno utilizzato diverse strategie per reagire alla disinformazione, Joan Donovan e il suo team hanno formulato sei strategie per contrastare la disinformazione e l’incitamento all’odio.

1. Comunità connesse e moderazione online

È necessario considerare i social network come “comunità connesse” e non come un’audience passiva. Dire alle persone cosa devono pensare porta al disimpegno, spiega Donovan. Non è un approccio efficace alla disinformazione, perché riduce la possibilità delle persone coinvolte di apprendere e di contrastare questi attacchi informativi in maniera organica.

L’amministratore di un gruppo Facebook, per esempio, può difendere la propria comunità dalla disinformazione stabilendo una policy, creando cioè delle norme di partecipazione e coinvolgimento tra i membri del gruppo. “Il mantenimento delle regole interne di discussione è un fattore importante quando si affronta la disinformazione. Nei luoghi in cui non ci sono regole di moderazione della comunità, la disinformazione prospera”, scrive la ricercatrice.

Gestire una comunità online vuol dire prendersi cura delle persone: ecco perché è importante rivolgersi con correttezza a coloro che potrebbero aver diffuso un’informazione falsa in maniera inconsapevole, spinti da preoccupazione e paura. Ed è è altrettanto importante creare un ambiente in cui tutti possono convivere nel rispetto reciproco. La moderazione dei contenuti è diventata un aspetto cruciale del mantenimento di una comunità online. Se esiste una policy condivisa dalla comunità, dissipare le tensioni risulta più facile.

Questo consiglio però non è sufficiente se abbiamo a che fare con attacchi sistematici da parte di altre comunità online che hanno come scopo quello di progettare e diffondere disinformazione. In quel caso sono necessarie altre strategie, riconosce Donovan.

2. Il panino della verità

Spesso la disinformazione viene trasmessa “memeticamente”, cioè sotto forma di meme, slogan brevi, di facile memorizzazione. L’affermazione falsa "I vaccini causano l'autismo" è particolarmente difficile da confutare perché è necessario spezzare l’impulso psicologico di ricordare un’affermazione così allarmante e poi bisogna sostituire la nozione falsa con la verità dei fatti.

Per confutare questo tipo di affermazioni, una formulazione efficace può essere il “panino della verità”, che consiste nel posizionare la menzogna in mezzo a due affermazioni vere. Per esempio: "I vaccini non causano l'autismo. Nonostante persista il mito che i vaccini siano la causa di questa condizione, i medici di tutto il mondo hanno dimostrato che i vaccini non causano l'autismo e sono un vantaggio per l'intera società".

Per rendere il panino della verità più efficace si possono evidenziare gli interessi del gruppo che propone questo tipo di menzogne. Per esempio: "I vaccini non causano l'autismo. Questo mito è perpetuato dagli attivisti anti-vaccini e non è in linea con i fatti scientifici sulla salute pubblica. I medici di tutto il mondo hanno dimostrato che i vaccini non causano l'autismo e sono un vantaggio per l'intera società".

3. “Prebunking”, o debunking preventivo

In alcuni casi, la disinformazione è prevedibile, specialmente quando parliamo di politica. Affinché una bugia raggiunga ampia visibilità tra l’opinione pubblica, i cittadini di solito devono averla ascoltata molte volte. Nella maggior parte dei casi si tratta di bufale nate nella nicchia e diffuse successivamente a livello "mainstream" da politici o da persone che godono di un'audience molto grande (personaggi dello spettacolo, per esempio). Il “prebunking” è una strategia preventiva che consiste nell’individuare quali informazioni false possono finire per essere amplificate da politici, esperti e provocatori di vario genere. E sulla base di questa previsione, preparare un approfondimento chiaro e informato sull'argomento.

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Su ogni tema importante che riguarda la società civile, spiega Donovan, esistono bufale o modelli comportamentali adottati dai diffusori di informazioni false che si ripetono ciclicamente e che continuano a inquinare il nostro ecosistema informativo. Dato che le campagne di disinformazione di successo tendono a essere costruite attorno a un nocciolo di verità, la disinformazione si attacca ai dettagli di un particolare problema e costruisce parassiticamente la propria menzogna attorno a quella “verità”. Ecco perché gli argomenti complessi sono un terreno fertile per la disinformazione.

Il "prebunking" prova ad anticipare la disinformazione e a stabilire credibilità e fiducia prima che una narrazione falsa possa prendere piede. Per anticipare efficacemente la disinformazione, i membri della società civile dovrebbero seguire un processo di 5 fasi:

  • Controllare i siti e i database di fact-checking per avere un'idea delle tendenze attuali della disinformazione: quali argomenti, quali bufale, attraverso quali canali, in quali zone, etc.
  • Individuare le tendenze di disinformazione popolari nei discorsi dei politici.
  • Trovare e riunire materiale sugli argomenti che entreranno nel dibattito pubblico e creare dei contenuti che aiuteranno a smascherare eventuali tentativi di inquinamento informativo.
  • Preparare i propri social network all'elevato potenziale di disinformazione su temi particolari condividendo lavori di "prebunking" in maniera preventiva. E tenendo sempre presente che la ripetizione di informazioni errate può avere effetti negativi indesiderati. È bene utilizzare anche in questo caso il modello del “panino della verità”.
  • Il "prebunking" può essere riutilizzato come debunking. Durante un evento come un dibattito elettorale, la notte delle elezioni o altri avvenimenti importanti durante i quali possono essere fatte affermazioni false a un grande pubblico, pubblicare rapidamente le informazioni corrette e veritiere può fare la differenza. La velocità è importante poiché le narrazioni disinformative possono diffondersi velocemente se sono disponibili poche informazioni concrete.

Il consiglio dei ricercatori, però, è essere cauti perché i "prebunks" che non si realizzano potrebbero a loro volta contribuire (involontariamente) a diffondere informazioni errate.

4. Reazioni, risposte e debunking sui social media

Spesso, quando la disinformazione inizia a diffondersi sui social network si deve al fatto che coloro che stanno smascherando una notizia falsa si ritrovano a lottare online contro quelli che le propugnano. Paradossalmente, impegnarsi contro la disinformazione spesso fa guadagnare visibilità alle bufale negli algoritmi di ricerca e nei trend online. In questo modo si amplifica involontariamente il messaggio dei disinformatori e aumenta il pubblico esposto all’impatto negativo di certe campagne.

Tuttavia, spiega Donovan, esistono situazioni nelle quali la bufala si è già diffusa ed è necessaria una risposta correttiva. La “risposta”, però, è una cosa diversa dalla “reazione”. La reazione può essere il gesto di retwittare il debunk di un giornalista. È un atto immediato e può servire a mostrare consapevolezza, a dire pubblicamente che aderiamo a quella presa di posizione. La risposta, invece, richiede riflessione e pianificazione strategica. Quando le organizzazioni della società civile sono chiamate in causa dalla disinformazione devono sfruttare il proprio vantaggio informativo (conoscono i fatti, la propria comunità, il contesto locale e il danno che la disinformazione sta arrecando alle persone) e offrire una risposta che sia in grado di documentare la verità dei fatti.

Ad esempio, #AntifaFires è diventato improvvisamente tendenza su Twitter durante gli incendi che hanno provocato lo sfollamento di molte persone in Oregon e nel nord della California. La disinformazione è probabilmente nata da un malinteso su una comunicazione della polizia che informava su roghi controllati fatti dal "BLM", ossia il “Bureau of Land Management”. BLM è stato però confuso con Black Lives Matter e alcuni siti e account di estrema destra hanno costruito attorno a questa frase la bufala secondo cui i manifestanti di Antifa e Black Lives Matter erano gli autori degli incendi. La disinformazione è proliferata su tutte le piattaforme digitali, al punto da obbligare la polizia locale, gli sceriffi e persino l'FBI a rilasciare dichiarazioni ufficiali nelle quali si smentiva che gli Antifa o BLM avessero appiccato il fuoco. Nel frattempo, attivisti, organizzatori e gruppi della società civile si sono mobilitati per smentire le affermazioni false di questa campagna di disinformazione.

“Un avvertimento importante, però: scrivere sui social semplicemente che non pensi che una determinata notizia sia vera, non farà che aumentare la cacofonia del rumore che amplifica la disinformazione”, avverte Donovan. Quando condividiamo debunking online dobbiamo stare attenti a non contribuire al caos informativo, per cui è raccomandabile includere un link a una fonte attendibile e affidarsi anche in questo caso al “panino della verità”.

5. Conoscere il contesto "locale" per difendersi dalla disinformazione

Le associazioni sono spesso parte integrante delle comunità e quindi, come abbiamo visto, si trovano nella posizione migliore per offrire informazioni di contesto precise e veritiere. In questo senso, qualsiasi tipo di disinformazione può essere considerata “locale” in senso lato, anche quando parliamo di comunità virtuali. Conoscere i danni che la disinformazione può arrecare alla propria comunità, sia online che offline, è fondamentale. Si tratta di informazioni importanti anche per i giornalisti e i ricercatori, che possono rivolgersi a organizzazioni della società civile per inquadrare meglio il fenomeno.

Tenere traccia e monitorare la disinformazione è un lavoro duro, ma una documentazione diligente e costante aiuta a produrre modelli comportamentali e quindi a comprendere il funzionamento di future campagne orientate a seminare il caos informativo. “I manipolatori dei media e gli agenti di disinformazione non sono così numerosi come si pensa, però stanno avendo un impatto enorme sui media perché impiegano una serie diversificata di tattiche e fanno tutto il necessario per mantenere viva la loro campagna”.

Per esempio, se osserviamo i modelli di disinformazione delle bufale d’estrema destra secondo cui gli Antifa starebbero provocando il caos nelle città americane, è facile comprendere il funzionamento della campagna di disinformazione che colpevolizzava gli Antifa degli incendi negli Stati Uniti. Dopo mesi di disinformazione e discorsi d’odio rivolti verso gli attivisti di Black Live Matters, gli incendi stavano rubando la scena alle narrazioni dell'estrema destra, che nei mesi precedenti avevano goduto di un'ampia diffusione da parte dei media. L'idea di associare falsamente gli incendi ad Antifa e Black Lives Matter è stata un'opportunità politica per spostare nuovamente l'attenzione e riprendere il controllo della narrazione mediatica.

6. "Humor over Rumor"

La psicologia della disinformazione è complessa (ne abbiamo parlato qui, qui e qui), ma generalmente tende a fare leva su reazioni emotive forti e sui bias di conferma. La disinformazione prospera in ambienti carichi di indignazione, paura e rabbia. È particolarmente efficace quando il gruppo che condivide la disinformazione ha punti di vista politici e culturali simili, in gran parte perché offriranno una minor resistenza alle bufale. Inoltre, le persone sono inclini a condividere le informazioni se ritengono che siano in qualche modo trascurate dai media. Quando queste condizioni si manifestano nelle comunità online, in particolare nei gruppi di Facebook, la disinformazione può essere difficile da combattere.

Leggi anche >> La psicologia della disinformazione: Perché siamo vulnerabiliPerché è difficile correggere le false convinzioniPrevenire è meglio che curare

"Humor over Rumor" è una strategia utilizzata dal ministero del digitale di Taiwan per rispondere alla disinformazione in modo rapido ed efficace. Ad esempio, all'inizio della pandemia, sui social media iniziò a circolare la voce (in inglese "rumor") che la carta igienica fosse fatta dello stesso materiale delle mascherine chirurgiche. Anticipando una corsa alla carta igienica, il ministero del digitale ha creato alcuni meme divertenti per dissipare le voci e dimostrare che la disinformazione originale proveniva dai produttori di carta igienica.

Joan Donovan ha potuto parlare con Audrey Tang, il ministro del digitale di Taiwan, del ruolo che hanno avuto i meme nel contrastare le reazioni emotive che la disinformazione cercava di innescare. Soprattutto nel contesto attuale della pandemia, che ha prodotto un mix tossico di indignazione e isolamento e ha spinto alcuni a cercare nelle teorie del complotto una spiegazione soddisfacente alla crisi sanitaria mondiale che ha cambiato le nostre vite.

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L'uso dei meme per controllare la disinformazione del coronavirus a Taiwan ha avuto successo per due motivi: umorismo e velocità. Usando un cane di nome Zongchai come portavoce, il ministero del digitale si è affidato a comici e altri artisti per rispondere rapidamente alle voci emergenti. La rapidità della risposta è fondamentale per mettere a tacere le bufale prima che si diffondano eccessivamente. Se fatto bene, l’umorismo si aggancia alla disinformazione e la segue ovunque. Rendere divertenti i fact-checking incoraggia la distribuzione organica di informazioni veritiere. Questo è fondamentale, poiché la distribuzione dei meme non può essere dall'alto verso il basso; bisogna riuscire a coinvolgere i cittadini perché una strategia di questo tipo abbia successo.

Donovan conclude dicendo che questo è il momento degli esperimenti e dell'azione. “La società civile deve provare nuove strategie per combattere la manipolazione dei media e la disinformazione. Il nostro attuale ecosistema informativo non è stato progettato per servire gli interessi del pubblico più ampio, né è stato progettato per proteggere le comunità prese di mira da una campagna di disinformazione”. Sta a tutti noi difendere e preservare la nostra comunità dagli attacchi della disinformazione.

Foto di Joseph Mucira via Pixabay

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