La battaglia per una nuova cittadinanza ai figli di immigrati nati o cresciuti in Italia
21 min letturaLa cittadinanza è una questione centrale nella vita di un paese perché riguarda la condizione giuridica, comprendente diritti e doveri, dei cittadini e costruisce un legame tra la persona e uno Stato. Anche per questo, la cittadinanza ha un’importante funzione integrativa, garantendo l'inclusione di figli di immigrati nel corpo di una comunità nazionale. Quattro anni fa, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un’intervista, affermò che bisogna avere rispetto dei giovani figli della prima generazione di immigrati arrivati in Italia: «Si ha il dovere di evitare che essi si sentano esclusi anche dalla comunità in cui sono collocati e di cui si sentono parte per lingua, cultura, abitudini, costumi di vita. Quella di non parlare più di “seconda generazione di immigrati”, ma di “italiani di altra origine”, è una scelta coraggiosa, aderente alla realtà, ed è anche il modo di evitare che si creino delle sacche di emarginazione che sono ingiuste – e questo è il principale motivo –, ma sono anche foriere di pericoli».
Da tempo associazioni formate dagli stessi figli di immigrati nati o cresciuti in Italia si battono perché una riforma della cittadinanza in Italia diventi realtà. In una lettera pubblica indirizzata al neo presidente del Consiglio, Mario Draghi, l’organizzazione ‘Italiani senza cittadinanza’ ha scritto che da anni “vediamo cambiare i Governi mentre le nostre vite di Italiani senza cittadinanza restano impantanate per legge” e per questo ha chiesto al nuovo esecutivo la modifica della legge sulla cittadinanza italiana in nome dei tanti “figli d'Italia non riconosciuti, nati o comunque cresciuti nelle città d'Italia, e che anche rappresentano il presente e futuro del Paese e dell'Europa”.
Nelle varie legislature il dibattito su una riforma della cittadinanza italiana (regolata da una legge di quasi 30 anni fa) adeguata al presente del paese si è riproposto più volte, senza però mai trovare uno sbocco concreto in Parlamento. Nel giugno 2017, durante il governo Gentiloni, arrivò in aula al Senato, dopo essere stato approvato due anni prima alla Camera dei deputati, un disegno di legge che puntava a introdurre due nuove modalità di acquisizione della cittadinanza per i figli minori di genitori stranieri: lo ius soli temperato e lo ius culturae. Secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa, elaborato su dati dell’Istat e del Miur, sarebbero stati oltre 800 mila i potenziali beneficiari di questa riforma che avrebbe avuto “un forte impatto sulla popolazione italiana, riconoscendo la cittadinanza a circa l’80% dei minori stranieri residenti”. Quella proposta di legge però si fermò a Palazzo Madama perché non venne raggiunta una maggioranza politica per farla diventare legge.
Successivamente nel dibattito politico di questa questione si è poi parlato saltuariamente, quando singoli esponenti di governo o di maggioranza hanno posto il tema. Lo scorso ottobre, ad esempio, l’attuale ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese (durante il governo Conte II) aveva dichiarato che la riforma della cittadinanza «era un tema strategico per il Paese»: «Penso che i tempi siano ormai maturi per dare una risposta articolata ai tanti ragazzi e giovani, nati da genitori stranieri residenti stabilmente in Italia, che frequentano le nostre scuole e fanno parte integrante delle nostre comunità. Deve maturare in Parlamento e necessita di un’ampia maggioranza per poter produrre una legge condivisa e duratura».
Oggi la politica è tornata a discutere di riforma della cittadinanza. Lo scorso 14 marzo, Enrico Letta, nel discorso all’assemblea nazionale che ha preceduto la sua elezione a segretario del Partito democratico, elencando le proposte politiche che il partito avrebbe dovuto sostenere per un nuovo rilancio, ha dichiarato: «Penso che sarebbe una cosa molto importante se in questo tempo del governo Draghi, il governo di tutti insieme in cui si faranno meno polemiche, fosse il periodo in cui finalmente nascesse la normativa di civiltà nel nostro paese sullo ius soli».
La proposta del neo segretario del Pd, all’interno della maggioranza che sostiene il governo Draghi, ha però subito ricevuto bocciature e resistenze da Lega e Forza Italia e un secco no dall’opposizione con Fratelli d’Italia. Il leader della Lega, Matteo Salvini ha affermato: «Solo un marziano, solo uno che arriva da Parigi o da Marte, in un Paese con le scuole chiuse, gli asili chiusi, le università chiuse, le fabbriche in difficoltà e gli italiani che hanno problemi di salute fisica e mentale, si occupa di regalare cittadinanza agli immigrati». Stessa presa di posizione espressa dalla presidente di Fdi Giorgia Meloni: «Imprese allo stremo, saracinesche abbassate e cittadini in ginocchio. Ma la sinistra, sempre più lontana dalle esigenze degli italiani, pensa allo ius soli». Come risposta Enrico Letta ha ribadito la sua volontà: «In Italia, complice la propaganda della destra, si continua a ragionare anche su questi temi solo con propaganda, si racconta questa questione in modo sbagliato. Quelle persone sono nate qui, sono italiane a tutti gli effetti. È giusto che abbiano la cittadinanza italiana. Chiamiamolo ius soli o ius culturae, sono flessibile sugli strumenti ma voglio che si arrivi a risultato in tema di cittadinanza per chi nasce nel nostro paese. Ci ragioneremo senza isterismo in Parlamento».
In attesa di capire se davvero la proposta del nuovo segretario del Partito democratico trovi forma e sostanza in Parlamento, cerchiamo di analizzare la questione, con un confronto anche tra Italia e altri paesi.
Come funziona la cittadinanza in Italia
Il quadro della situazione in Italia
Le problematiche della legge secondo esperti e associazioni
Le proposte di riforma della cittadinanza in Parlamento
Un confronto con gli altri paesi Ue
Come funziona la cittadinanza in Italia
In Italia la cittadinanza è regolata principalmente dalla legge n.91 del 1992. Lo Stato Italiano riconosce lo status di cittadino a chi è nato in Italia se almeno uno dei due genitori è italiano (o si è adottati da cittadini italiani) e ai figli degli emigranti italiani residenti all’estero (diritto di sangue, iure sanguinis). Questo riconoscimento non è invece valido per i figli degli immigrati nati in Italia. Uno straniero, i cui genitori (o nonni) sono cittadini italiani per nascita, può richiedere la cittadinanza italiana a patto che “risieda in Italia da almeno 3 anni”, mentre un figlio nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può fare richiesta dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.
In Italia esistono delle eccezioni che prevedono l’attuazione dello ius soli, cioè l'acquisizione della cittadinanza di un paese per il fatto giuridico di essere nati sul suo territorio: quando un bambino nasce in Italia da genitori apolidi, cioè privi di qualsiasi cittadinanza, o ignoti; quando le norme del paese di provenienza impediscono ai figli nati all’estero l’acquisizione della cittadinanza dei genitori.
La cittadinanza, inoltre, può essere acquisita per concessione dopo la richiesta da parte degli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti, spiega il ministero dell’Interno: “In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica”. Infine, si può acquisire la cittadinanza italiana anche per matrimonio con cittadini italiani se vengono soddisfatte una serie di condizioni.
Il quadro della situazione in Italia
In un’audizione in Parlamento nel 2019, il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ha affermato che durante l’ultimo decennio e fino al 2016 in Italia era stato registrato un aumento crescente di acquisizioni di cittadinanza italiana. Dal 2017, invece, questa tendenza ha registrato una flessione, interrotta nel 2019 (l’ultima rilevazione disponibile).
Secondo il presidente dell’Istat questa contrazione è riconducibile a una serie di motivi, che comprendono anche la storia dei flussi migratori verso l’Italia: “Si è infatti conclusa la spinta degli ingenti ingressi registrati tra il 2003 e il 2004 a seguito dei procedimenti di regolarizzazione; nel tempo sono inoltre cambiate le cittadinanze che arrivano in Italia, non tutte interessate nella stessa misura all’acquisizione della cittadinanza italiana; in particolare alcuni paesi, come la Cina, ma anche l’India ed altri paesi asiatici, non riconoscono la doppia cittadinanza, di qui la difficoltà di una scelta per i cittadini che una volta acquisita la cittadinanza di un altro Stato perderebbero quella di origine. In generale sono soprattutto i cittadini non comunitari a mostrare interesse per l’acquisizione della cittadinanza italiana”.
Blangiardo specifica poi che nel 2017, a subire il calo più consistente rispetto all’anno precedente, erano state le acquisizioni di cittadinanza ottenute “per residenza e quelle per trasmissione dai genitori ed elezione al compimento del diciottesimo anno di età”, mentre erano cresciute quelle per matrimonio. Ad aumentare sono state anche le persone divenute cittadini italiani per iure sanguinis, cioè per discendenza con un cittadino italiano: “Si tratta di un collettivo in crescita: nel 2016 erano circa 7 mila individui, pari al 3,8% di tutte le acquisizioni di cittadini non comunitari; nel 2017 sono salite a 8.211, il 6,1% del totale”.
On line ebook "Identità e percorsi di integrazione delle seconde generazioni in Italia"
Indagine ha coinvolto oltre 68 mila alunni stranieri e italiani della scuola secondaria I II grado, insegnanti e dirigenti scolastici.
▶️https://t.co/HTVs3cY53e#SecondeGenerazioni #16aprile pic.twitter.com/yYIDpJYw9R— Istat (@istat_it) April 16, 2020
Sulle “seconde generazioni”, cioè i figli di cittadini stranieri nati in Italia e quelli arrivati prima di aver compiuto i 18 anni, sempre l'Istat ha pubblicato nel 2020 un ebook. Nel testo si legge che in poco più di 25 anni gli stranieri residenti in Italia sono passati dagli 800mila dell’inizio degli anni Novanta ai circa 5 milioni (poco meno del 9% della popolazione), di cui la metà provenienti da altri paesi europei: “I processi di regolarizzazione (le sanatorie sono state ben otto tra il 1986 e il 2012) e stabilizzazione delle presenze hanno determinato nel tempo il passaggio da una immigrazione di giovani adulti soli, definibili in molti casi come apripista, a una presenza ampia di famiglie, costituitesi a seguito dei ricongiungimenti, dei matrimoni e delle nascite sul territorio italiano”.
Questa situazione ha fatto sì che gli stranieri residenti in Italia con meno di 18 anni siano passati ad essere circa 26 mila nel 1991, 285 mila nel 2001, oltre 940 mila nel 2011 e a superare il milione all’inizio del 2018. Cifra che comunque non tiene conto “da una parte, di tutti i minorenni diventati italiani e di quelli nati con il passaporto italiano in quanto figli di coppie miste (con uno dei genitori italiano) e, dall’altra, dei maggiorenni figli di immigrati, nati in Italia o arrivati in età prescolare o scolare e attualmente ancora stranieri o cittadini italiani”. L’Istat sottolinea quindi che i giovani figli di immigrati siano ormai da diversi anni “un gruppo numeroso che a breve costituirà una componente davvero importante della popolazione adulta della società italiana”. Il ministero della Salute, lo scorso luglio, ha comunicato che nell’anno scolastico 2018/2019 gli studenti sono stati complessivamente 8.580.000, di cui 857.729 di cittadinanza non italiana (cioè il 10% del totale).
I minori che hanno acquisito la cittadinanza italiana per trasmissione dai genitori e coloro che nati in Italia hanno scelto, al compimento del diciottesimo anno, di diventare cittadini italiani sono aumentati in maniera costante e sostenuta fino al 2016, mentre nel 2017 si è registrata una diminuzione rilevante (quasi il 30%) rispetto all’anno precedente: “I ragazzi divenuti italiani nel 2017 sono stati oltre 54 mila, rappresentando quasi il 5 per mille dell’intera popolazione residente in Italia tra 0 e 19 anni e il 4,9% della popolazione straniera della stessa età residente nel nostro Paese”. Ma “gli spazi di decisione autonoma che la vigente normativa lascia ai ragazzi stranieri di seconda generazione sono molto limitati” perché, sottolinea l’Istat, “l’unica finestra per una decisione autonoma è quella data ai nati nel nostro Paese al compimento del diciottesimo anno di età se dalla nascita sono stati in maniera continuativa residenti in Italia. Inevitabilmente, quindi, il comportamento dei ragazzi tra 0 e 18 anni ricalca quello della collettività di appartenenza. Sono sostanzialmente i genitori a decidere per loro”.
Una situazione che ha provocato non poche difficoltà a minori stranieri nati in Italia. Per cercare di rimediare a questa problematica dovuta alle norme in vigore e snellire le procedure in atto, durante la scorsa legislatura, sono stati approvati interventi singoli di modifica della legge. Ad esempio, è stato previsto che ai fini dell'acquisizione della cittadinanza di uno straniero nato in Italia non sono più imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione. Inoltre, è stato introdotto l'obbligo per gli ufficiali di stato civile di comunicare allo straniero nato in Italia, al compimento dei 18 anni, la possibilità di esercitare il diritto di chiedere la cittadinanza entro il compimento del diciannovesimo anno di età. Se questo non avviene, il diritto può essere esercitato anche oltre questa data.
Le problematiche della legge secondo esperti e associazioni
Secondo diversi esperti e associazioni di settore la legge che regola l’attribuzione e l’acquisizione della cittadinanza in Italia presenta però diversi limiti di fondo e criticità, risultando inoltre “datata” e non più al passo con il contesto reale del paese che vede una presenza numerica e geografica di immigrati differenti rispetto ai primi anni ‘90, quando le norme furono approvate.
Per Paolo Bonetti, professore associato confermato di diritto costituzionale nell’Università degli studi di Milano-Bicocca, direttore del master in Diritto degli stranieri e politiche migratorie e componente del consiglio direttivo di ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull'immigrazione) , occorre interrogarsi se non sia paradossale il fatto che italiani nati all’estero da genitori italiani che non abbiano mai messo piede in Italia, né conoscano l’italiano, “abbiano più diritti politici di chi è nato in Italia, parla italiano e vive abitualmente e regolarmente in Italia”. Inoltre, continua l’esperto, è necessario anche porre “grande attenzione all’effettiva pratica amministrativa che è spesso diversa dalle norme vigenti. Circa l'acquisizione della cittadinanza per concessione a seguito di lunga residenza occorre anzitutto tenere conto che il procedimento non ha affatto un esito sicuro, vi sono molti dinieghi a causa dell’eccesso di discrezionalità amministrativa e occorre ridurre al minimo i tempi procedimentali”.
Inoltre, specifica sempre Bonetti, la legge vigente imponendo a chi nasce in Italia un’attesa di 18 anni e un ulteriore periodo di incertezza circa l’esito dell’istanza, provoca due vistose lacune nell’integrazione sociale: “La prima riguarda i minori che, pur essendo nati e residenti in Italia, restano stranieri in Italia fino a 18-19 anni e tale condizione riguarda oggi 1 milione di minori e il dato è destinato ad aumentare in modo esponenziale. La seconda riguarda i neo-maggiorenni, che in molti casi non accedono alla cittadinanza italiana perché non vi hanno risieduto fin dalla nascita per 18 anni, ma magari vi hanno fatto tutto il ciclo dell’istruzione fin dai 6 anni o non propongono domanda entro il termine o perché la domanda è rigettata per assenza dei rigorosi requisiti previsti dalla normativa. Tutti costoro giunti alla maggiore età possono continuare a soggiornare in Italia soltanto se, al pari degli altri stranieri, richiedono (e ottengono) un permesso di soggiorno e in caso contrario sono espulsi verso paesi di origine nei quali non hanno mai vissuto”.
I diretti interessati denunciano poi la mancanza della dimensione psicologica e di quella giuridica, comprese nel concetto di cittadinanza, di cui questa legge non tiene conto e che li porta a vivere una specie di alienazione sociale. Ad esempio l’associazione “NIBI: Neri italiani - Black italians”, composta da ragazzi e ragazze di discendenza africana, italiana, sudamericana, spiega che “è come se quei milioni di italiani che vedono negata la cittadinanza non contassero nulla: mentre il riconoscimento di quel diritto incarnerebbe appieno quel precetto della nostra Costituzione che prevede che sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, ed impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
La Rete G2 – Seconde generazioni, organizzazione nazionale apartitica fondata da figli di immigrati e rifugiati nati o arrivati in Italia da piccoli, evidenzia poi che “noi figli dell’immigrazione, italiani di fatto, che andiamo a scuola, lavoriamo, pienamente inseriti nella società, siamo vittime di discriminazioni, nei concorsi pubblici, nel mondo del lavoro, nella previdenza, nello sport, perché siamo italiani con il permesso di soggiorno. Stranieri nel paese in cui siamo nati e/o siamo vissuti. Con tutte le conseguenze del caso”. “Un esempio? Se non abbiamo la carta di soggiorno non possiamo accedere a molte delle prestazioni sociali previste dall’Inps. Non abbiamo il passaporto italiano, siamo considerati cittadini di altri paesi in cui non siamo mai stati”, continua l'organizzazione.
CoNNGI (Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane) presenta un altro esempio di ostacolo che la legge attuale crea: “Se dei ragazzi nati o cresciuti qua si diplomano presso un istituto nautico, non possono avere il libretto di navigazione senza la cittadinanza italiana, solitamente rilasciato al conseguimento del diploma di maturità. Questo vuol dire interrompere e soffocare scelte non solo degli individui, ma di quell’Italia su cui lo Stato investe decine di migliaia di euro e alla fine del loro percorso nega la possibilità di praticare e seguire quanto desiderano svolgere per il bene della collettività, di se stessi. Di altre situazioni ed esempi ce ne sono molti, e che rappresentano un freno alle scelte delle persone, alla crescita del nostro paese”.
“Italiani senza cittadinanza”, movimento di figli e figlie di immigrati cresciuti in Italia ma senza passaporto italiano, testimonia situazioni difficili per chi è arrivato su territorio italiano a pochi mesi o anni di vita in quanto “non è riconosciuto il percorso lungo e centrale compiuto in Italia dall'infanzia, momento fondamentale. Inoltre dai 18 anni e nel richiedere la cittadinanza diventano, diventiamo immigrati economici, come se fossimo arrivati a 2 mesi di vita, a 3, 5, 7 anni di vita a lavorare in Italia e non, come è invece accaduto, portati qui dal progetto migratorio di adulti, i nostri genitori, su cui non abbiamo avuto alcuna voce in capitolo”. L’associazione afferma inoltre che “anche alla luce di questi elementi diventa allucinante che per accedere alla cittadinanza italiana e agli stessi diritti dei nostri compagni ed ex compagni di scuola, dal diritto e dovere di voto al diritto di movimento (ndr all'estero), ci venga richiesto un determinato reddito da lavoro, in un mercato tra l'altro in crisi soprattutto per i giovani, quando andrebbe riconosciuto per legge quello che già siamo fin da bambini, ossia parte di questo territorio, figli dei suoi ostacoli e possibilità. E invece passiamo da una lunga fase di non riconoscimento, quando siamo bambini e adolescenti nell'incertezza totale dovuta alla grande precarietà dei permessi di soggiorno e rinnovi dei genitori alla nostra croce individuale quando diventiamo adulti se non riusciamo ad accedere alla cittadinanza italiana, come se essere figli di immigrati diventasse un reato ereditario, una colpa da espiare”.
La richiesta di tutte queste associazioni alla politica è così un’adeguata e attenta riforma della cittadinanza in Italia. Nel 2019 il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (organo di esperti indipendenti avente il compito di monitorare l’attuazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti nel proprio territorio e di proporre misure di miglioramento agli Stati membri) ha raccomandato all’Italia sia il potenziamento di attività preventive contro la discriminazione sia “il rafforzamento dell’impegno per garantire che il principio del superiore interesse del minorenne sia adeguatamente integrato, coerentemente interpretato e applicato [..] in tutti i procedimenti e le decisioni legislative, amministrative e giudiziarie così come in tutte le politiche, i programmi e i progetti che siano rilevanti ed abbiano un impatto sui minorenni”. Raccomandazione richiamata da Unicef Italia nel ricordare che “in un Paese in cui iniziano ad affacciarsi le terze generazioni di immigrati, una riforma della legge sulla cittadinanza che ne semplifichi le procedure e ne faciliti l’acquisizione per i minorenni di origine straniera nati o cresciuti in Italia costituisce una necessità oltre ad una straordinaria opportunità di coesione sociale”.
Le proposte di riforma della cittadinanza in Parlamento
Nelle ultime legislature sono state esaminate in Parlamento, senza però giungere all’approvazione di un testo definitivo, diverse proposte di riforma della legge sulla cittadinanza.
Come abbiamo visto in precedenza, durante il governo Gentiloni, nel 2017, in Senato è arrivato un disegno di legge (unificato di 25 proposte di legge) che aveva lo scopo di tutelare l'acquisizione della cittadinanza da parte dei minori stranieri in Italia, introducendo, rispetto a quanto previsto dalla legge vigente, altre due modalità per diventare cittadini italiani: lo ius soli temperato e lo ius culturae.
Lo ius soli temperato proposto prevedeva che sarebbero diventati cittadini italiani i figli, nati nel territorio della Repubblica italiana, di genitori stranieri se almeno uno di loro aveva un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. In questo caso, la cittadinanza veniva acquisita mediante la dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale del minore.
In base poi allo ius culturae potevano ottenere la cittadinanza anche i minori stranieri nati in Italia, o entrati entro il 12esimo anno di età, che avessero “frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali”. La frequenza del corso di istruzione primaria doveva essere coronata dalla promozione. La richiesta di cittadinanza doveva essere presentata da un genitore legalmente residente in Italia. Infine, la proposta di legge stabiliva che i ragazzi arrivati in Italia tra i 12 e i 18 anni avrebbero potuto avere la cittadinanza italiana dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni e aver frequentato “un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo”. All’epoca il Comitato promotore della campagna “L’Italia sono anch’io” aveva ritenuto il testo “un importante passo in avanti rispetto alla legislazione vigente” ma carente sotto alcuni punti di vista e per questo aveva proposto alcune modifiche. Il testo, però, non venne approvato.
Attualmente in Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati sono presenti tre proposte di legge che puntano, con modalità differenti (sia tramite forme di ius soli, sia di ius culturae) a modificare le norme che regolano la cittadinanza in Italia e velocizzare in particolare il percorso burocratico previsto per i minori nati o cresciuti sul territorio italiano.
Il primo disegno di legge è stato presentato nel marzo del 2018 – a prima firma Laura Boldrini – e punta a facilitare e incrementare l'acquisizione della cittadinanza italiana, in particolare tramite l’introduzione del criterio dello ius soli e la previsione di ampie possibilità di acquisizione della cittadinanza per i minori presenti sul territorio, spiega il Servizio Studi della Camera. Con l’articolo 1 viene prevista l'acquisizione della cittadinanza per chi è nato nel territorio italiano da genitori stranieri, di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia da almeno un anno. La cittadinanza per nascita viene inoltre conferita anche a chi nasce nel territorio della Repubblica italiana da genitori stranieri, di cui almeno uno nato in Italia. L’articolo 2 stabilisce poi che lo straniero, nato o entrato in Italia entro il decimo anno di età, può ottenere, su richiesta, la cittadinanza italiana nel caso abbia soggiornato regolarmente in Italia fino al compimento della maggiore età. Allo stesso tempo, il disegno di legge introduce una forma di ius culturae che prevede per il minore figlio di genitori stranieri, “l'acquisizione della cittadinanza italiana previa frequenza di un corso di istruzione primaria o secondaria di primo grado o secondaria di secondo grado presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione o un percorso di istruzione e formazione professionale idoneo al conseguimento di una qualifica professionale”.
Il secondo testo è stato presentato, sempre nel 2018, da Renata Polverini (ex deputata di Forza Italia, ora iscritta al gruppo Misto della Camera). Il testo prevede di introdurre un nuovo articolo 3-bis nella legge n. 91/1992 per disciplinare la cittadinanza degli stranieri nati in Italia. Questa norma stabilisce che il minore straniero nato nel territorio italiano possa diventare cittadino nel caso in cui “vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al compimento del corso della scuola primaria”. Il testo di legge mantiene poi quanto previsto dalle norme attuali che consentono allo straniero nato in Italia, che ha risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, di divenire cittadino italiano. Questo per evitare, si legge nella relazione introduttiva della legge, “che l’introduzione del requisito di compimento del corso scolastico di istruzione primaria possa determinare un trattamento deteriore rispetto alla disciplina ora vigente, precludendo l’acquisizione della cittadinanza nel caso in cui – per qualsiasi ragione – lo straniero non abbia completato il prescritto corso di studi”. Infine, il disegno di legge stabilisce una terza possibilità per ottenere la cittadinanza per uno straniero nato in Italia nel caso in cui non possieda i requisiti della residenza ininterrotta e del compimento del corso scolastico primario: in questo caso potrà divenire un cittadino italiano se risiede legalmente da almeno tre anni in Italia e ha superato un esame che ne accerti la conoscenza della cultura e della lingua italiana e dei princìpi e delle norme fondamentali dell’ordinamento italiano.
La terza proposta di legge, presentata sempre tre anni fa, è del deputato del Partito democratico, Matteo Orfini, e riprende quella approvata dalla Camera nel 2015 e poi bloccatasi in Senato due anni dopo, che punta, come abbiamo visto, all’introduzione di uno ius soli temperato e di uno ius culturae.
Un confronto con gli altri paesi Ue
In base agli ultimi dati disponibili forniti da Eurostat (ufficio statistico dell'Unione europea), nel 2019 l’Italia si trova in quinta posizione nel rapporto tra cittadinanze acquisite e popolazione, dietro Lussemburgo, Svezia, Belgio e Cipro.
Se si guarda invece il numero assoluto di cittadinanze acquisite da cittadini stranieri, l’Italia, sempre nel 2019, è al secondo posto dietro alla Germania (con oltre 131mila cittadinanze acquisite), ma davanti a Francia (quasi 110mila) e Spagna (oltre 98mila). Una situazione simile si è verificata anche nel 2018, mentre dal 2015 al 2017 l’Italia è risultata essere in testa a questa “classifica”. In totale, a partire dal 2015 al 2019, in Italia sono state acquisite in numero assoluto più cittadinanze rispetto a paesi come Germania, Francia e Spagna. Nello stesso periodo di tempo, l’Italia è stato anche il primo paese nel conferimento della cittadinanza a cittadini stranieri extra comunitari, come documentato sempre da Eurostat. Si tratta, però, di un “primato” recente perché se si allarga lo sguardo, partendo dal 2006, si vede che gli altri paesi citati sopra superano l’Italia.
Come spiega un’analisi di Pagella Politica, i picchi degli ultimi anni hanno una ragione storica: “L’Italia rispetto agli altri Stati europei (soprattutto Francia e Germania) è un Paese dove l’immigrazione è cresciuta più tardi, intensificandosi a partire dalla fine degli anni Ottanta. Negli anni Novanta Albania e Marocco sono state le due nazioni con il flusso migratorio più consistente verso l’Italia e non a caso oggi chi ottiene la cittadinanza in Italia è originario prevalentemente di questi due paesi”. “In altri termini, negli ultimi anni, con la legge attualmente in vigore, – continua il sito di fact checking – sono quindi maturate le condizioni affinché i cittadini albanesi e marocchini hanno potuto ottenere la nostra cittadinanza”.
Ma come è regolata la cittadinanza negli altri paesi? Uno studio del 2018 pubblicato dal Global Citizenship Observatory – gruppo di ricercatori che si occupa di cittadinanza, all’interno di un programma comunitario dell’Istituto universitario europeo – mostra che lo ius soli incondizionato è diffuso nell’83% degli Stati nel Nord, Sud e Centroamerica. In Europa, invece, questo sistema non è presente in nessun paese, mentre esistono forme di ius soli temperato (o condizionato) in circa il 30% dei paesi europei. Oltre all’Italia, invece, i paesi in cui non è prevista alcuna regola generale che prevede una forma di ius soli sono Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia.
Secondo comunque più analisi delle normative che regolano la cittadinanza nell’Unione europea, eseguite da diversi analisti e ricercatori indipendenti, lo Stato italiano risulta avere le norme più restrittive rispetto a quelle degli altri grandi Stati membri.
Vediamo ad esempio come funziona la legge in alcuni di essi per i minori nati da genitori stranieri. Come si legge in un report del Centro Studi del Senato, per quanto riguarda i bambini nati in Francia, ha la cittadinanza francese il figlio, legittimo o naturale, di una coppia in cui almeno uno dei due genitori è a sua volta nato in Francia, qualunque sia la sua cittadinanza (il cosiddetto doppio ius soli). Il nascere nel territorio francese nazionale non conferisce la cittadinanza se non per i minori figli di apolidi o di genitori sconosciuti o che non trasmettono la loro nazionalità. Ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce inoltre automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se, a quella data, ha la propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o discontinuo, di almeno 5 anni, dall’età di 11 anni in poi. L’acquisizione automatica può essere anticipata a 16 anni dall’interessato, tramite una dichiarazione sottoscritta dinanzi all’autorità competente, o può essere reclamata per lui dai suoi genitori a partire dai 13 anni e con il suo consenso, “nel qual caso il requisito della residenza abituale per 5 anni decorre dall’età di 8 anni”.
In Germania le norme in materia di cittadinanza sono contenute principalmente nella Legge sulla cittadinanza (Staatsangehörigkeitsgesetz– StAG) del 22 luglio 1913, che negli ultimi anni ha subito alcune riforme: “Per quanto riguarda, più specificamente, le modalità di acquisizione della cittadinanza tedesca, la Legge sulla cittadinanza prevede che si possa diventare cittadini tedeschi per nascita, per adozione, per naturalizzazione (...). Un bambino nato in Germania acquisita la cittadinanza tedesca alla nascita se almeno uno dei suoi genitori è cittadino tedesco. Dal 2000, inoltre, la cittadinanza tedesca viene acquisita in automatico non solo dai figli di cittadini tedeschi, ma anche dai figli di cittadini stranieri che nascono in Germania (ius soli o Geburtsortsprinzip), purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel Paese da almeno otto anni e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato (unbefristetes Aufenthaltsrecht)". Per coloro che non sono tedeschi per diritto di nascita, invece, ma che vogliono diventarlo perché vivono in Germania, la strada principale per acquisire la cittadinanza è la naturalizzazione che prevede più requisiti tra i quali: otto anni di residenza stabile e legale sul territorio federale tedesco (con possibilità di interruzione per soggiorno estero di massimo sei mesi), il diritto di soggiorno a tempo indeterminato o un permesso di soggiorno, la capacità di assicurare il mantenimento proprio e dei familiari a carico, l'assenza di condanne penali, la dimostrazione di una sufficiente conoscenza della lingua tedesca e la conoscenza dell’ordinamento sociale e giuridico tedesco. Anche i figli minori dei coniugi o dei conviventi registrati stranieri possono essere naturalizzati. In questo caso, il periodo di soggiorno richiesto per presentare richiesta è di tre anni, mentre la durata del matrimonio o della convivenza registrata deve essere di almeno due anni.
In Spagna, infine, è prevista la cittadinanza per chi nasce da padre o madre spagnoli, per i figli di genitori di cittadini stranieri, se almeno uno di essi è nato in Spagna, per coloro che nascono nel territorio spagnolo da genitori stranieri, se entrambi non possiedono alcuna cittadinanza o la legislazione dei loro paesi d’origine non assegna al figlio la cittadinanza, per nati in Spagna la cui filiazione non risulti accertata. La cittadinanza spagnola può anche essere acquisita con due modalità: in primo luogo attraverso il rilascio di un “certificato di cittadinanza” (carta de naturaleza) mediante “Real Decreto”, emanato a discrezione dell’autorità competente, ma soltanto nei casi in cui il richiedente si trovi in “circostanze eccezionali”, in secondo luogo, nella maniera più frequente, l’ottenimento della cittadinanza avviene con il requisito della “residenza in Spagna”, su concessione del ministro della Giustizia. Il Centro studi del Senato spiega che il requisito fondamentale, per la richiesta in base alla residenza, è quello della “residenza legale e continuata” in Spagna per un periodo di 10 anni, come regola generale. Per questo criterio di base sono previste però alcune eccezioni ad esempio per coloro che sono stati riconosciuti come rifugiati politici (5 anni di residenza) e per coloro che sono nati in Spagna (1 anno di residenza).
Foto in anteprima di DMEPhotography