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Turismo di massa, affitti brevi, crisi abitativa: il caso Barcellona e cosa succede nelle città italiane

3 Luglio 2024 13 min lettura

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Turismo di massa, affitti brevi, crisi abitativa: il caso Barcellona e cosa succede nelle città italiane

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Ogni anno si registrano oltre 1,4 miliardi di turisti che si muovono nel mondo: 45 arrivi ogni singolo secondo. Negli ultimi trent’anni i numeri sono più che triplicati, ed entro il 2030 si prevede di raggiungere la soglia degli 1,8 miliardi. Tra i settori più grandi e in rapida crescita, il turismo contribuisce al 10% del PIL mondiale, al 7% delle esportazioni globali, e nella filiera è impiegato circa un lavoratore su dieci. La capacità di attrarre investimenti, generare occupazione e aumentare le esportazioni rende il turismo un pilastro importante per la crescita economica, in particolare delle aree meno sviluppate, ma c’è un rovescio della medaglia: nell’ultimo decennio numerose città hanno vissuto profonde trasformazioni – anche molto negative – legate al turismo.

L’arrivo di un numero consistente di viaggiatori è una delle cause dell’inquinamento e del consumo di suolo, con opere impattanti e infrastrutture pensate esclusivamente per i turisti. L'avvento degli affitti brevi, poi, ha reso la questione più complessa. Piattaforme come Airbnb o Booking mettono in competizione residenti e turisti per accedere a un bene che è sempre più limitato: la casa. Un numero sempre maggiore di proprietari finisce per optare per l’affitto breve, che è più redditizio e mette al riparo da alcuni rischi, come eventuali danni e morosità. In molte città, gli affitti brevi per i turisti hanno comportato un notevole aumento dei prezzi, con la conseguente espulsione degli abitanti meno abbienti e la chiusura di attività commerciali storiche. Nelle mete più in voga si sta assistendo a un vero e proprio spopolamento e desertificazione dei centri storici, che perdono la propria identità. Un circolo vizioso che a volte finisce per consumare e addirittura cancellare le caratteristiche stesse che stanno alla base dell’attrattività delle destinazioni turistiche.

Lo stop di Barcellona agli affitti brevi

Il fenomeno è chiamato overtourism (che possiamo tradurre come “sovraturismo”), termine coniato dal magazine Skift nel 2016 per indicare una cattiva gestione dei flussi, che si traduce spesso in una dicotomia irrisolvibile tra turisti e residenti. Il dibattito si è riacceso lo scorso 21 giugno, quando il sindaco di Barcellona, Jaume Collboni, ha annunciato che nei prossimi anni la città spagnola non rinnoverà le licenze degli oltre 10mila appartamenti che sono attualmente affittati a breve termine ai turisti. La misura è pensata appositamente per affrontare quello che il sindaco ha definito “il più grande problema di Barcellona”, ovvero i prezzi proibitivi degli affitti: se la norma verrà approvata definitivamente, dal 2029 a Barcellona non ci saranno più appartamenti per locazioni brevi, visto che tutte le licenze emesse finora scadranno entro novembre del 2028.

Negli ultimi dieci anni, a Barcellona i canoni di affitto sono aumentati del 68%, mentre il costo di acquisto delle case è cresciuto del 38%, secondo i dati condivisi da Collboni stesso. “Quei diecimila appartamenti saranno utilizzati dai residenti della città o saranno messi sul mercato per l’affitto o la vendita”, ha spiegato. Barcellona è una delle città più colpite dal fenomeno dell’overtourism e per questo non ammette la registrazione di nuovi appartamenti adibiti alla locazione turistica dal 2014: soltanto tra il 2016 e oggi l’amministrazione locale ha ordinato la chiusura di 9.700 appartamenti turistici illegali.

Le città più colpite dall’overtourism

Quella che si sta verificando è una concentrazione di viaggiatori in particolare su alcune città e località, che finiscono per essere più colpite dall’overtourism. Il turismo infatti non “bacia” tutti allo stesso modo: nel mondo, l’80% dei viaggiatori visita solo il 10% delle destinazioni. Il rapporto annuale “The state of tourism and hospitality” mostra quali sono le città più affollate dai turisti, stilando una graduatoria basata sul numero di notti trascorse dai visitatori per chilometro quadrato. Nel 2023 al primo posto c’è Dubrovnik (Croazia), seguita al secondo posto da Venezia e al terzo da Macao (Cina). Tra le prime quindici posizioni compare anche un’altra città italiana, Roma (al tredicesimo posto), appena sotto Parigi (dodicesima).

Per misurare il sovraffollamento turistico in Italia, Demoskopika ha creato un nuovo strumento attualmente in fase sperimentale, l’Indice complessivo di sovraffollamento turistico (ICST). Questo indice si basa su cinque indicatori: densità turistica, densità ricettiva, intensità turistica, occupazione delle strutture e quota di rifiuti generati. Dall’indice è nata poi una mappa interattiva consultabile liberamente, dove le città sono state classificate in cinque livelli di rischio: molto alto, alto, moderato, basso e molto basso. A soffrire maggiormente sono soprattutto sette città, a cui è stato assegnato il livello di rischio molto alto: Venezia, Rimini, Napoli, Verona, Livorno, Trento e Bolzano. In queste aree, il sovraffollamento è molto preoccupante, con impatti critici sulla qualità della vita degli abitanti e sulla sostenibilità stessa del settore turistico. Seguono, con un livello di rischio alto, Roma, Milano, Firenze, Trieste, Savona, Aosta, Ravenna, Imperia, La Spezia, Grosseto, Gorizia, Forlì-Cesena.

“È fondamentale implementare politiche di gestione del turismo”, afferma Raffaele Rio, presidente di Demoskopika. “Servono limitazioni temporali e numeriche per l'accesso ai luoghi più a rischio, insieme a strategie per promuovere destinazioni alternative meno note, ma altrettanto ricche di cultura e bellezza oltre a incentivare il turismo fuori stagione promuovendo i luoghi anche in periodi meno affollati”.

L’impatto del turismo riguarda anche la sua impronta ecologica: un lato il settore consuma grandi quantità di energia, acqua, terra, combustibili fossili, dall’altro riduce la biodiversità, contribuisce all’erosione del suolo e fa aumentare la produzione di rifiuti solidi e acque reflue. Una ricerca di UNEP, il programma ambientale delle Nazioni Unite, mostra che da qui al 2050 il turismo genererà un aumento del 154% nel consumo di energia, del 131% nelle emissioni di gas serra, del 152% nel consumo di acqua e del 251% nello smaltimento dei rifiuti solidi.

Anche il progetto The World Counts, che mette a disposizione una serie di dati per sensibilizzare l'opinione pubblica su importanti sfide globali, ci mette in guardia: oggi il turismo contribuisce da solo a più del 5% delle emissioni globali di gas serra, di cui il 90% è dovuto ai trasporti. Entro il 2030, si prevede un aumento del 25% delle emissioni di Co2 dovute al turismo rispetto al 2016. Non solo: il turismo spesso porta a un uso eccessivo dell'acqua: un campo da golf medio in un Paese tropicale, ad esempio, consuma tanta acqua quanto 60mila abitanti di un villaggio rurale, e utilizza 1500 chili di fertilizzanti chimici, pesticidi ed erbicidi all'anno.

Già nel 2018, durante il settimo vertice mondiale dell'UNWTO (l’Agenzia delle Nazioni unite per il turismo), è stato presentato il rapporto “Overtourism? Understanding and Managing Urban Tourism Growth beyond Perceptions”, che contiene undici strategie che dovrebbero essere messe in campo per rispondere alle sfide della gestione dei flussi turistici nelle città. Tra queste: migliorare le infrastrutture e le strutture cittadine, promuovere la dispersione dei visitatori all'interno della città e al di fuori di essa, rivedere e adattare la normativa, garantire che le comunità locali traggano beneficio dal turismo.

Nel frattempo, nelle città si stanno affermando alternative sostenibili alle classiche piattaforme come Airbnb e Booking. In Italia esiste Fairbnb, la piattaforma per gli affitti brevi che dà la metà di ogni commissione pagata dagli ospiti direttamente alla comunità, e in particolare a progetti e cooperative locali. Ma i numeri sono purtroppo ancora limitati: gli host sono circa 2.200, distribuiti in sette paesi europei.

La politica regola il turismo o il turismo regola la politica?

Negli ultimi anni, la mancanza di regolamentazioni del settore ha comportato che diverse città soccombessero sotto il “peso” dei troppi turisti. Tutto questo è dovuto anche alle scelte fallimentari di alcune amministrazioni, che hanno favorito un tipo di turismo estrattivo e poco sostenibile, che ha finito per modificare le relazioni tra i residenti e i luoghi in cui vivono. C’è però anche un problema strutturale: i Comuni non hanno pieni poteri di legiferare su un settore come quello turistico, appannaggio dello Stato, e oggi molte amministrazioni chiedono di avere la possibilità di trasferire parte di queste competenze per poter introdurre nuove regolamentazioni.

Sulla possibilità dei comuni di porre dei limiti agli affitti a breve termine, a settembre 2020 si è espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha giudicato conforme al diritto europeo una norma del governo francese che riconosceva alle amministrazioni cittadine e ai governi nazionali il diritto di richiedere un’apposita autorizzazione per poter offrire un affitto a breve termine. A febbraio 2024 anche il Parlamento europeo ha adottato nuovi requisiti sulle modalità di raccolta e condivisione dei dati relativi ai servizi di locazione a breve termine, il che, di nuovo, mira ad aumentare la trasparenza: chiunque metta a disposizione alloggi a breve termine dovrà avere un codice identificativo unico, con l’obbligo di esporlo sulle piattaforme; queste ultime, mensilmente, condivideranno le informazioni sugli affitti tramite un portale digitale.

La città che ha fatto da apripista in questo senso è Barcellona, tra quelle che più ha cambiato volto negli ultimi anni per via dell’overtourism: già dal 2011 l’amministrazione comunale ha istituito un sistema di licenze obbligatorie per poter pubblicare annunci sulle piattaforme, per favorire la trasparenza. Nel 2014 ha bloccato la concessione di nuove licenze, e nel 2018 ha introdotto un sistema di identificazione dell’host per verificare che la licenza fosse in regola. Nel 2020, poi, è stato avviato un piano sperimentale che permette ai proprietari di casa di affittare stanze soltanto per un periodo superiore ai 30 giorni.

Anche Berlino è tra le città dove la diffusione degli affitti brevi ha acuito l’emergenza abitativa: secondo uno studio dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), ogni alloggio su Airbnb in più aumenta gli affitti richiesti nelle immediate vicinanze di una media di 13 centesimi al metro quadro. I canoni di locazione sono in continua crescita, mentre in città si stima che manchino circa 112mila case per soddisfare la domanda. “Le attuali dinamiche di mercato continuano a mettere sotto pressione la già limitata offerta”, si legge in un report di Guthmann. “L'aumento dei tassi di interesse dei mutui rende più costoso l'acquisto di una casa, con un conseguente aumento della domanda nel settore degli affitti”. Nel 2014 Berlino ha introdotto una legge che vieta ai proprietari di lasciare gli appartamenti vuoti o di affittare per brevi periodi interi appartamenti, lasciando una deroga solo per le singole stanze, con l’obiettivo di incentivare gli affitti a lungo termine. Il problema è che, dieci anni dopo, ancora manca un registro centralizzato di tutti gli appartamenti vuoti nella città, che rende difficili i controlli.

Gli esempi che si potrebbero fare sono tanti: nel 2021 è stata la volta di Parigi, che ha approvato un nuovo regolamento per sperimentare l’introduzione di un limite massimo di appartamenti destinati agli affitti brevi in determinate vie o quartieri considerati sotto pressione. Ad Amsterdam la scelta è stata ancora più netta: la città ha introdotto un divieto totale di affittare case per brevi periodi nelle tre aree del centro storico più a rischio di overtourism. Un divieto che poi è stato però giudicato illegittimo dalla corte suprema amministrativa.

Dopo l’Europa, la regolamentazione è arrivata anche negli Stati Uniti. Il caso più famoso è quello di New York, una delle città al mondo con il mercato dell’affitto più costoso: oggi le spese per l’alloggio costituiscono in media il 40% delle uscite di chi vive nell’area metropolitana. Nel frattempo la città si sta spopolando, e dal 2020 ha perso più di 500mila abitanti. Nel 2023 l’amministrazione ha introdotto la Local Law 18, che impone agli host su Airbnb di registrarsi presso il Comune e di rispettare tre condizioni chiave: il proprietario deve risiedere nell’immobile che mette in affitto, deve essere presente durante il soggiorno degli ospiti e non può ospitare più di due persone alla volta. Da quel momento, la città ha assistito a una drastica riduzione delle inserzioni su Airbnb: nei successivi tre mesi, gli annunci sono crollati dell’85%. Tuttavia, ci sono vari modi per eludere le regole, e diversi proprietari si sono rivolti ad altre piattaforme per mettere a disposizione i loro appartamenti. Nel frattempo, i prezzi degli hotel sono aumentati senza che scendessero quelli degli affitti.

E in Italia?

In Italia, la città simbolo dell’overtourism ma anche della “lotta” agli affitti brevi è Venezia. La città è passata da oltre 360mila abitanti nel 1970 a 252mila nel 2023, con un calo medio di più di 2mila abitanti ogni anno. Nel centro storico la situazione è ancora più critica, con il numero dei turisti che a fine 2023 ha ufficialmente superato quello dei residenti. Anche per questo, da quest’anno, chi vuole visitare la città deve pagare un biglietto di ingresso di 5 euro: è il primo caso in cui una città diventa “su prenotazione”. L’iniziativa per il 2024 è stata limitata alle 29 giornate in cui si prevede una maggiore affluenza turistica.

L’obiettivo è sempre quello: salvare Venezia dall’overtourism. Secondo molti esperti e attivisti, però, per cambiare trend e impedire lo spopolamento ci sarebbe più bisogno di politiche di medio-lungo periodo che tutelino il diritto all’abitare. “Per Venezia ci vorrebbe un ticket d’uscita”, commenta il gruppo Ocio Venezia (Osservatorio civico sulla casa e la residenzialità). “Viene lecito chiedersi se l’imponente apparato di gestione e controllo di chi arriva in città, messo a punto per il ticket d’ingresso, non possa essere più utile se orientato a conoscere i motivi e le condizioni di chi dalla città è costretto ad andarsene. Un monitoraggio della questione abitativa e della reale efficacia delle proprie politiche sulla casa aiuterebbe l’amministrazione a guardare in faccia la realtà e agire di conseguenza”.

Nel frattempo, a luglio 2022, Venezia era diventata l’unica città in Italia ad avere i poteri di regolamentare gli affitti brevi: era stato possibile grazie al cosiddetto "emendamento Pellicani" del decreto Milleproroghe, che offre all’amministrazione comunale uno strumento normativo per regolare il fenomeno delle locazioni turistiche. L’approvazione di una legge nazionale era necessaria perché gli enti locali non hanno il potere di limitare il mercato degli affitti brevi: il Parlamento ha concesso questo privilegio soltanto a Venezia, anche se Bologna e Firenze avevano chiesto di essere comprese nella legge. A due anni di distanza, però, il Comune ancora non ha emanato un regolamento per limitare gli affitti turistici.

Dopo Venezia c’è Firenze, dove i canoni mensili di affitto sono aumentati del 42% dal 2016 a oggi, passando da 13,4 euro al metro quadrato a 19 euro al mq, e che solo nell’ultimo anno l’aumento è stato del 15%. Nel 2023 il Comune ha provato a mettere un argine al dilagare degli affitti turistici nel centro storico: la norma, voluta dal sindaco Dario Nardella, prevede lo stop agli affitti turistici nell’area Unesco, che copre il 5% del territorio comunale (in pratica il centro storico), ma accoglie il 75% degli appartamenti destinati alla locazione breve. Chi rinuncia ad affittare ai turisti e torna alle locazioni ordinarie si vede azzerare l’Imu per tre anni. Nardella lo ha definito “un provvedimento politico per aprire una breccia nell’inerzia del paese”. Intanto, c'è stata una frenata in attesa del giudizio del TAR sui tanti ricorsi presentati.

E poi c’è Roma, dove i numeri dell’emergenza abitativa assumono dimensioni impressionanti: 15mila famiglie in attesa di una casa popolare, 20mila persone senza dimora, 10mila famiglie sotto sfratto. Parallelamente, 162mila abitazioni sono “non occupate o occupate esclusivamente da persone non dimoranti abitualmente”, secondo i dati Istat più recenti relativi all’anno 2021. “Parliamo di un patrimonio non utilizzato che, pur mantenendo molto bassa la stima di due individui per abitazione, potrebbe dare una casa a oltre 320 mila persone”, scrive il ricercatore Luca Mattei nel report “Di casa a Roma”, realizzato dal banco di mutuo soccorso Nonna Roma. Oggi su Airbnb ci sono oltre 30mila annunci per locazioni brevi, di cui quasi 21mila sono per interi appartamenti, e poco più della metà è concentrata nel primo municipio. «Se si considera che il numero dei turisti in media a Roma giornalmente è di poco inferiore al 10 per cento della popolazione, viene fuori che quel 10 per cento ha a disposizione un’offerta sette volte superiore a quella delle persone residenti», spiega l'urbanista Filippo Celata in un articolo di Maurizio Franco e Claudia Torrisi su IrpiMedia che racconta come la turistificazione stia espellendo tanti abitanti dal quartiere Pigneto. I numeri e il fenomeno sono destinati a crescere per il Giubileo che, secondo le stime più accreditate, porterà a Roma nel 2025 ben trenta milioni di visitatori. “Siamo impegnati per allargare l'offerta della città sia dal punto di vista degli eventi che delle infrastrutture”, ha dichiarato il sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

Il problema dell’overtourism, comunque, ormai non colpisce più solo le città ad alta tensione abitativa, ma anche i piccoli comuni e le città di media dimensione. Secondo l’osservatorio Nomisma, nel primo semestre del 2023 le città che hanno registrato una maggiore la crescita maggiore nei canoni di affitto sono state "Bologna (+3,7%) seguita da Cagliari, Catania, Padova (+2%). Un aumento che va di pari passo con il moltiplicarsi degli annunci sulle piattaforme per l’affitto breve: secondo i dati diffusi dalla provincia autonoma di Bolzano, dal 2016 al 2020 il numero degli alloggi altoatesini su Airbnb è quadruplicato, passando da 1.100 a poco meno di 4.000. Per questo, a settembre 2022 la provincia autonoma di Bolzano ha introdotto un limite al numero dei posti letto in ogni comune”.

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Lo scorso marzo, anche la regione Toscana ha scelto di modificare il proprio Testo unico del turismo, contemplando la possibilità per i piccoli comuni a più alta densità turistica di individuare aree in cui definire limiti per le locazioni brevi.Quello che ancora manca, però, è una normativa a livello nazionale. Il gruppo Alta Tensione Abitativa ha elaborato una proposta di legge che consegni ai Comuni uno strumento concreto per limitare la diffusione incontrollata delle locazioni brevi, ma per ora non ha avuto sviluppi.

Nel frattempo a fine 2023 è stato approvato il “ddl affitti brevi”, voluto dal ministro del turismo Daniela Santanchè per “fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali, e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”. Il ddl prevede l’assegnazione di un codice identificativo nazionale (CIN) a ogni immobile che verrà messo sul mercato degli affitti turistici, e una durata minima del soggiorno di due notti nei centri storici e nei comuni ad alta densità turistica. Molti però hanno giudicato questa norma timida e insufficiente a fronteggiare il problema. “Non produrrà alcun effetto per Milano”, ha detto l’assessore alla Casa di Milano Pierfrancesco Maran. “Si tratta di un’occasione persa. È come dire che non cambia niente”. Mentre l’assessore al Turismo di Roma Capitale Alessandro Onorato ha decretato che “non risolve nulla”: “È gravissimo che il governo si ostini a non riconoscere alle amministrazioni comunali democraticamente elette il diritto di decidere in quali zone limitare le nuove aperture”.

Immagine in anteprima via smbceo.com

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