La Cina si prepara al XX Congresso tra censura, rare proteste contro Xi e la speranza che rimanga aperta al resto del mondo
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Striscioni rossi con grosse scritte bianche campeggiano sulle principali arterie di Pechino: “Unitevi stretti al compagno Xi Jinping, cuore del Comitato centrale del Partito comunista”. La capitale cinese è ormai pronta ad accogliere 2.300 delegati provenienti da tutto il paese in rappresentanza dei 97 milioni di membri del Partito comunista cinese e dare inizio all’evento più rilevante per la politica interna: il XX Congresso. L’assemblea si riunisce ogni cinque anni nella Grande sala del popolo, in piazza Tienanme, e serve a nominare la nuova leadership del partito. Nella piramide gerarchica, l’organo più importante scelto dal Congresso è quello del Comitato permanente che a sua volta nominerà il Segretario generale.
Il 16 ottobre, e di lì ai giorni successivi, ci si aspetta la riconferma dell’attuale Segretario Xi Jinping in uno storico e inusuale terzo mandato. Inusuale perché prima di lui, nella storia della Repubblica popolare cinese, solo Mao Zedong è rimasto alla guida del paese per più di dieci anni. Xi, inoltre, violerà un’altra regola non ufficiale ma ormai diventata consuetudine: l’età di pensionamento fissata a 68 anni stabilita vent’anni fa dal presidente Jiang Zemin.
I giochi quindi sembrerebbero in qualche modo già fatti con la tenuta di potere indiscussa di Xi, eppure sono diverse le cose che dovranno essere osservate nel corso del XX Congresso. La prima ovviamente è la nuova composizione del Comitato permanente del politburo, i sette uomini più potenti del paese, che solitamente una volta eletti si presentano di fronte all’assemblea camminando in ordine gerarchico con in testa il Segretario generale.
Bloomberg ha stilato una lista di sei possibili scenari che segnerebbero una vittoria o una sconfitta per Xi. Una nomina del capo dello staff Ding Xuexiang, del capo del partito di Pechino Cai Qi, e quello di Chongqing Chen Min’er significherebbe una maggioranza piena per Xi Jinping; meno graditi invece risulterebbero i nomi del consigliere politico Wang Yang e del vicepremier Hu Chunhua. Per quanto entrambi – come scrive Simone Pieranni nella sua newsletter Il Partito – siano favoriti alla successione del premier Li Keqiang, ultimamente sembrano aver ritrovato una certa sintonia con il Segretario generale sperticandosi in lodi per la “prosperità comune” e la politica di Xi.
Un altro elemento che bisognerà ancora osservare è se Xi Jinping terrà o meno le tre cariche di Segretario generale, Presidente e Comandante in capo delle forze militari. Un’eventuale apertura in questo senso verrebbe vista come una spartizione del potere e, in ottica futura, una designazione di un possibile successore. Da tempo poi si specula sull’appellativo di “timoniere”: Xi riuscirà ad accaparrarsi anche questo riconoscimento dato esclusivamente a Mao? Già nel 2020, durante il Quinto plenum, era stato usato un termine simile che potremmo tradurre con “pilota al timone”. Insomma, concetto analogo ma non proprio la stessa parola. Che poi - ricorda China Media Project con tanto di foto di un testo ufficiale - essere “timoniere” non è neanche tanto un’esclusiva di Mao, visto che nel 1945 ci si riferiva così anche al suo acerrimo nemico, Chiang Kai-shek.
Al Congresso non si discute solo di nomine. Il Segretario generale solitamente tiene un lungo discorso in cui si delineano gli obiettivi raggiunti nei cinque anni precedenti e si prospettano quelli che il Partito dovrà perseguire nei cinque anni successivi. Ed è proprio a questo che dobbiamo guardare nel corso del XX Congresso - così scrive la direttrice di The Diplomat, Shannon Tiezzi - evitando che le nomine per il Comitato Permanente e quelle del Politburo ne oscurino i contenuti. Uno dei primi quesiti è se la politica del Covid Zero, che dopo più due anni ha creato delle importanti fratture tra Partito e popolazione civile, sarà ancora un pilastro della politica interna. Giovedì hanno fatto il giro dei social le foto di due striscioni comparsi a Pechino sorprendenti per l’unicità della protesta, per il tipo di frasi scritte sopra e poi per la loro tempistica – alla vigilia del Congresso i livelli di sicurezza nella città sono ai massimi livelli. Affissi sul ponte Si Tong, situato in un incrocio ad alto scorrimento nel quartiere di Haidian dove hanno sede università e società tech, i due striscioni sovrastati da un fumo grigio recitavano:
“Rimuovere il dittatore traditore Xi Jinping”
“Non vogliamo test ma cibo, non vogliamo quarantene ma la libertà, non vogliamo bugie ma dignità, non vogliamo la rivoluzione culturale ma riforme, non vogliamo leader ma elezioni, non vogliamo essere schiavi ma persone”
La polizia è subito intervenuta per rimuoverli, e il Wall Street Journal riporta che la presenza delle forze dell’ordine all’incrocio era consistente quando la giornalista è arrivata sul posto. Uno degli agenti ha fatto il giro dei negozi lì vicino per fare domande ai presenti e nel giro di qualche ora, sui social cinesi la ricerca “ponte Sitong” così come “Quartiere Haidian” non produceva più alcun risultato, e persino la generica “Beijing”, Pechino.
Per tornare a quanto scrive Tiezzi su The Diplomat, sicuramente Xi Jinping durante il suo discorso loderà gli sforzi intrapresi e il basso numero di morti da Covid-19 avuti nel paese rispetto agli altri paesi, ma inquadrerà la politica del Covid Zero all’interno di una battaglia già vinta o in una ancora da vincere? Negli ultimi giorni gli organi di stampa sembrerebbero spingere per la linea del non “appiattimento” sulle politiche occidentali, che vorrebbe dire mantenere misure più severe e non cercare una “convivenza” con il virus.
Altra questione è quella economica. La Cina sta affrontando una forte battuta d’arresto in parte dovuta alle restrizioni Covid che ne hanno rallentato la produzione, ma le ragioni più profonde sono da ricercare nel modello che le ha permesso di crescere anno dopo anno a doppia cifra e che ora si sta rivelando non più sostenibile. Il settore immobiliare è in crisi e non potrà essere il traino dell’economia del prossimo decennio. Nel 2017, Xi Jinping parlò di “industrializzazione, settore IT, urbanizzazione e modernizzazione dell'agricoltura". Vedremo se tornerà anche quest’anno sugli stessi settori e se, in particolar modo, metterà di nuovo al centro della politica economica la “prosperità comune”.
Le altre due questioni su cui c’è particolarmente attesa, almeno agli occhi della comunità estera, sono Taiwan e la Nuova via della seta. Rispetto a Taiwan, negli ultimi anni si è assistito ad un inasprimento dei toni diventato evidente in un discorso del 2019 in cui Xi Jinping avvertiva Taiwan che “la riunificazione dei due lati dello stretto” fa parte del naturale andamento della storia e può passare anche attraverso l’uso della forza, come anche la pubblicazione di un libro bianco lo scorso agosto, mese in cui Nancy Pelosi, speaker della Camera americana, ha fatto visita alla presidente Tsai Ing-wen e alle più alte cariche di Taipei, e alla quale sono seguite esercitazioni a fuoco vivo che hanno superato la linea mediana dello Stretto. Infine, per quanto riguarda la Nuova via della Seta gli analisti hanno notato un certo affievolimento rispetto alla promozione del “progetto del secolo”. Ma anche se il nome del grande complesso di infrastrutture internazionali viene nominato meno, non vuol dire che il concetto che c’è alla base sia scomparso. Si sta trovando solo una formula diversa che pare essere stata individuata nella nuova veste di “Iniziativa di Sviluppo Globale”.
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L’ascesa di Xi e il suo posto nella storia
A una manciata di ore dall’inizio del XX Congresso e quindi all’inizio del terzo mandato di Xi Jinping, abbondano sulle testate internazionali le analisi che ripercorrono la vita del leader cinese, le politiche perseguite in questi dieci anni, il culto della personalità che è stato in grado di costruire intorno a sé. Xi è diventato sempre più l’autocrate, l’uomo solo al comando in discontinuità con il passato, il leader che attraverso una massiccia campagna anti-corruzione ha silenziato le opposizioni interne al Partito. Il “principe rosso”, appartenente “di nascita” alla fazione più importante del PCC perché suo padre, Xi Zhongxun, era tra le fila degli eroi che combatterono al fianco di Mao Zedong.
Eppure, la vita del giovane Xi non è stata sempre semplicissima. Durante la rivoluzione culturale, il padre finì nelle maglie della campagna di epurazione che colpì molti dirigenti di partito, la famiglia cadde in disgrazia e il giovanissimo Xi venne mandato nelle comunità contadine nello Shaanxi. Il partito - sapeva bene - era stata la causa di anni di sofferenze lontano dalla famiglia. Una cosa, però, che gli aveva insegnato il padre – scrive Kerry Brown sul New York Times – era di non perdere mai la fiducia nel Partito, non importa come questo ti tratti. E Xi quel partito lo scala: viene mandato prima in Hebei, tra le province più povere, poi nella corrotta Fujian e ancora nella ricca Zhejiang.
Il podcast dell’Economist, “The Prince”, a firma della giornalista Sue-Lin Wong, nella terza puntata ripercorre il periodo in cui Xi Jinping è governatore nel Fujian, dal 1999 al 2002. Sono gli anni in cui scoppia lo scandalo di Lai Changxing, il contrabbandiere diventato ricco grazie allo smercio di auto, sigarette e molto altro fuggito in Canada e che ha dispensato a lungo mazzette nella città di Xiamen, proprio nel Fujian. Il caso fa cascare diverse teste tra i funzionari locali che si erano lasciati corrompere, ma non quella di Xi. L’altro evento poi che ha segnato definitivamente l’ascesa di Xi è stato l’arresto di Bo Xilai.
Politico carismatico, fautore di una sorta di “neo maoismo”, Bo Xilai era tra i più probabili candidati alla nomina di Segretario Generale del PCC nel 2012. A febbraio di quell’anno venne investito, però, da uno scandalo gigantesco: Wang Lijun, capo della polizia di Chongqing da poco rimosso dall’incarico dallo stesso Bo, dichiarò che dietro la morte di un cittadino britannico di nome Neil Heywood c’erano proprio Bo Xilai e la moglie Gu Kailai. Dopo un lungo processo giudiziario conclusosi nel 2013, durante il quale il partito lo estromise completamente dalla vita politica, Bo si è visto confermare la condanna di primo grado all’ergastolo.
E arriviamo, quindi, al ruolo di Xi Jinping all’interno del Partito. Sempre Kerry Brown sul New York Times scrive che “il posto di Xi Jinping nella storia della Cina dipende dal fatto che il partito duri a lungo, anche dopo il suo abbandono della politica” perché l’obiettivo fondamentale è quello di riportare la Cina al ruolo di grande nazione degna del suo nome “Zhongguo”, paese centrale. Anche la dura campagna anti-corruzione voluta da Xi non è da vedere nella sola ottica di silenziamento dell’opposizione: la missione di più ampio spettro è quella di rendere il partito più efficiente e restituirgli un’immagine positiva. Anche Minxin Pei per Nikkei Asia in un certo senso non fa un’analisi troppo dissimile: durante il XX Congresso non si dovrà guardare solo a Xi, perché è in questa occasione che si getteranno le basi per il futuro del partito, e quindi della Cina. Anche se si dovrà procedere con cautela: una cosa che è diventata particolarmente evidente negli ultimi anni è che i palazzi del potere a Pechino sono diventati sempre più imperscrutabili.
Già nel 2012 – racconta Pieranni nel podcast “Altri Orienti” – molti profili che vennero scritti sul neoeletto e “moderato” Xi Jinping non trovarono poi riscontro nella realtà degli anni successivi. E anche quando in Occidente arrivano racconti di persone che provengono dai gangli del potere di Pechino è sempre bene non arrivare a conclusioni affrettate. È il caso di Cai Xia, politica di lungo corso del PCC ora dissidente, espulsa dal partito nel 2020, e che da tempo rilascia interviste e scrive lunghi articoli sulla stampa occidentale. Fa notare Neil Thomas su The China Story che il rischio è quello di basare interpretazioni su racconti aneddotici, ovviamente fondamentali per la comprensione della politica cinese, che però necessitano dello stesso rigore di analisi e di incrocio di informazioni per non cadere nella trappola delle “grandi supposizioni” e “giudizi radicali”.
Insomma, capire cosa si muove a Pechino è estremamente complicato e quello che preme maggiormente in questo momento storico è che la Cina rimanga aperta al resto del mondo e faccia inversione di marcia in questo percorso di chiusura avviato con lo scoppio della pandemia.
Immagine in anteprima via chinamediaproject.org