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La Cina stringe il cerchio su Taiwan: manovre, propaganda e un messaggio a Trump

10 Aprile 2025 12 min lettura

La Cina stringe il cerchio su Taiwan: manovre, propaganda e un messaggio a Trump

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“Avanzare”. È la parola chiave più utilizzata dalla Cina per raccontare le sue ultime esercitazioni militari intorno a Taiwan, andate in scena tra martedì 1 e mercoledì 2 aprile. “L'Esercito Popolare di Liberazione e la guardia costiera stanno avanzando volta per volta, riducendo tempo e spazio di reazione dell'isola”, hanno spiegato gli analisti interpellati dai media statali cinesi alla conclusione delle manovre. La nuova turbolenza sullo Stretto di Taiwan avviene con un tempismo non certo casuale e si intreccia con una serie di dinamiche in atto nei rapporti intrastretto fra Pechino e Taipei, ma anche nella politica interna taiwanese e nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Ed è il segnale dell'ingresso in una fase ad alto tasso di imprevedibilità.

Di cosa parliamo in questo articolo:

Le esercitazioni

L'ultimo round di ampie manovre militari intorno a Taiwan è il quinto annunciato dal Comando del Teatro Orientale dell'esercito cinese a partire dall'agosto 2022. Come già in altri casi, nessun annuncio preventivo. L'avvio delle esercitazioni è stato comunicato a fatto avvenuto, nelle prime ore del mattino del 1° aprile. Dispiegate forze dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e della Forza missilistica, accompagnate da navi e aerei per avvicinarsi all'isola da più direzioni. 

Da subito è stato chiaro il coinvolgimento della portaerei Shandong, che aveva già preso parte a due precedenti round, ma che stavolta si sarebbe avvicinata come mai prima alle coste taiwanesi. Secondo l'esercito cinese, durante la prima giornata sono state effettuate "pattuglie marittime e aeree di prontezza al combattimento, azioni di acquisizione di un controllo completo, simulazioni di attacco contro obiettivi marittimi e terrestri, blocco di regioni e passaggi chiave". Presidiate anche le acque a est, per creare un effetto accerchiamento che trasforma simbolicamente in un mare interno lo Stretto che divide l'isola dalla Cina continentale. 

L'esercito taiwanese si è attivato per monitorare le manovre rivali, con la solita grande attenzione nei pressi delle 24 miglia nautiche. Qui, al confine che segna l'ingresso nelle acque contigue dell'isola, si sono avvicinate anche navi della guardia costiera cinese e altri mezzi militari. Ma nessuno di questi ha varcato quella soglia, restando dunque all'interno della cosiddetta "area grigia" in cui Taiwan è costretta a osservare e monitorare i movimenti altrui, senza però poter intervenire direttamente. 

La guardia costiera aveva annunciato anche possibili operazioni di controllo sulle navi in transito, ma non sono stati in realtà segnalati episodi in tal senso. L'unico precedente resta quello del marzo 2024, quando fu fermato e perquisito un traghetto di turisti nei pressi delle isole Kinmen, piccolo arcipelago amministrato da Taipei ma a pochi chilometri dalla costa del Fujian cinese. Come sempre, bisogna fare attenzione a quanto viene annunciato e a quanto poi accade realmente, visto che già in passato erano state previste azioni più drastiche che non sono state messe in atto. Rientra tutto in un test psicologico del e in un metodo di comunicazione che tiene conto di necessità politiche interne del Partito comunista, dove l'opinione pubblica ultranazionalista ha rafforzato le richieste di "punire i separatisti".

Durante la prima giornata, il ministero della Difesa di Taipei ha tracciato 76 jet e 15 navi da guerra prendere parte alle manovre. Un elemento osservato da diversi analisti è stato quello della mancanza di un nome per etichettare le esercitazioni. Una rottura della prassi precedente. Nel 2024, i due round di maggio e ottobre avevano preso il nome di Joint Sword 2024A e Joint Sword 2024B. 

Analisti cinesi citati dai media statali hanno suggerito che la mancanza di un nome comunicasse un'ulteriore regolarizzazione delle manovre militari intorno a Taiwan. Ma mercoledì 2 aprile le nuove operazioni sono state denominate Strait Thunder 2025A, suggerendo dunque che ci saranno dei seguiti nel corso dell'anno. L'Esercito Popolare di Liberazione ci ha tenuto a sottolineare che il nome era valevole solo per le operazioni della seconda giornata, non della prima rimaste dunque senza nome. Un modo per enfatizzare la varietà delle esercitazioni e la capacità di predisporre azioni militari sfaccettate e multiformi in tempi brevi. L'obiettivo del secondo giorno di manovre, a cui hanno preso parte 59 jet e 31 navi, era quello di testare le capacità delle truppe nel controllo e regolazione dell'area, nel blocco congiunto e nel colpire con precisione obiettivi chiave.

Contestualmente, sono state condotte esercitazioni a fuoco vivo a lungo raggio nel Mar Cinese Orientale, che nella sua parte meridionale lambisce la punta settentrionale di Taiwan. La collocazione specifica non è stata inizialmente comunicata, aumentando volutamente l'ambiguità sull'entità della parziale escalation. Ma i test sarebbero stati effettuati sulla costa dello Zhejiang, a oltre 500 chilometri di distanza da Taiwan. Siamo dunque lontani dall'effetto psicologico ottenuto dal lancio di missili sullo Stretto operato nell'agosto 2022. A differenza di allora, le autorità taiwanesi non hanno segnalato alcun impatto né sull'aviazione civile né sulle consegne delle navi commerciali, arrivate tutte a destinazione secondo le previsioni. 

La questione energetica, menzionata dalle comunicazioni delle forze armate cinesi, resta però altamente sensibile. Le riserve energetiche di Taiwan dipendono quasi interamente dalle importazioni. Ancora di più dopo che il governo ha ordinato la chiusura delle ultime centrali nucleari rimaste sull'isola. Secondo le stime, qualora Pechino imponesse un blocco navale, l'isola esaurirebbe le riserve nel giro di due o tre settimane. Una debolezza che preoccupa molti.

Il fronte retorico

Se dal punto di vista operativo la principale novità di queste esercitazioni è stata la loro varietà e complessità, sotto l'aspetto retorico c'è stato senz'altro un salto di qualità. 

Il primo manifesto con cui sono state annunciate le manovre si inserisce sul solco dei precedenti, con in grande i caratteri di "avanzata" o "spingere in avanti" in sovrimpressione su un'immagine di Taiwan. Poi sono arrivate in sequenza tre grafiche e animazioni, tutte dedicate a Lai. Nella prima, il presidente taiwanese viene definito "un parassita che avvelena l'isola di Taiwan". La caricatura di Lai, sorridente, emerge in corrispondenza di Tainan, antica capitale nel sud di Taiwan di cui è stato in passato sindaco. Il colore verde emanato da Lai si allarga verso nord, ancora parzialmente coperto dal colore blu. Non sono scelte casuali. Il verde è il colore con cui si identifica il Partito Progressista Democratico (DPP) di Lai, mentre il blu è quello che identifica l'opposizione del Kuomintang (KMT), il partito più dialogante con Pechino. Non è una sorpresa, visto che in passato media e funzionari cinesi hanno definito più volte il DPP come un "tumore" che si diffonde su Taiwan, promuovendo quella che il Partito Comunista Cinese chiama "desinizzazione" in avvicinamento a Taipei, per ora ancora blu. Sembra quasi un appello all'establishment della capitale, dove si concentrano i grandi interessi economici e dove tradizionalmente il gradimento del DPP è più basso di provare a rigettare il "parassita" dell'indipendentismo.

In una seconda animazione, Lai appare piangente, sollevato tramite delle bacchette sopra la sagoma di una Taiwan completamente verde e in fiamme. Anche qui il messaggio è chiaro: se i "compatrioti" taiwanesi non saranno in grado di invertire la tendenza innescata da Lai, sono attesi dalla distruzione. "Indipendenza significa guerra", ripetono costantemente i funzionari di Pechino. La terza animazione è forse la più interessante e inusuale, perché contiene rari riferimenti alla politica interna taiwanese e in cui si sostiene che la democrazia dell'isola sia una sorta di "dittatura mascherata" sotto il segno del "terrore verde", con riferimento al "terrore bianco". Vale a dire la lunga era della legge marziale imposta da Chiang Kai-shek nel 1949, revocata solo nel 1987. Lai è raffigurato con quattro braccia e con ognuna di esse compie un'azione diversa: afferra denaro "sporco" e lingotti d'oro, spinge verso terra una statua di Chiang (un riferimento al piano di rimozione dei monumenti in onore del "generalissimo") e strangola Ko Wen-je, leader del Taiwan People's Party (TPP), finito qualche mese fa in carcere per accuse di corruzione che l'opposizione sostiene "motivate politicamente".

Il significato di questo apparato grafico è evidente: personalizzare la questione Taiwan. Si tratta di una tendenza piuttosto recente, con cui il Partito comunista cerca di rispondere a diverse necessità comunicative. La prima, verso l'interno: allontanare le critiche su un mancato avanzamento della causa della "riunificazione pacifica". Addossando tutte le colpe a Lai ed enfatizzando la retorica della sua opposizione interna significa suggerire che il leader definito "secessionista" esercita il suo potere in modo quasi illegittimo. Un primo segnale in tal senso era arrivato nel primissimo commento alle elezioni presidenziali di gennaio 2024, quando Pechino aveva fatto notare che Lai non rappresentava più "l'opinione pubblica maggioritaria" di Taiwan, mettendo in evidenza la perdita netta di voti del DPP rispetto alle presidenziali 2020, ma soprattutto la sconfitta alle elezioni legislative che ha costretto il partito di governo a cedere la maggioranza parlamentare per la prima volta dal 2016. 

La seconda ragione della personalizzazione è legata a Taiwan: in tal modo, Pechino segnala ai cittadini dell'isola che i rapporti potrebbero essere migliori qualora votassero in modo diverso. La terza ragione è rivolta all'esterno: facendo passare Lai come un "piantagrane", si prova a sostenere che l'instabilità è causata principalmente da Taiwan, non dalla Cina continentale. Secondo questa prospettiva, le esercitazioni e le attività coercitive (come sempre accompagnate anche da un mix di aperture rivolte ai taiwanesi, in particolare sul fronte degli investimenti sulla "terraferma") sarebbero giustificate per evitare un cambio unilaterale dello status quo, vale a dire una potenziale dichiarazione di indipendenza formale di Taipei.

Il contesto

Tutte le precedenti esercitazioni intorno a Taiwan erano avvenute in concomitanza di eventi significativi nella vita politica interna all'isola o su questioni inerenti i rapporti con gli Stati Uniti, che Pechino giudica "interferenze esterne". Ad agosto 2022, a innescare le più imponenti esercitazioni sin dai tempi della Terza Crisi sullo Stretto del 1995-1996 era stata la visita di Nancy Pelosi a Taipei. Ad aprile 2023, il casus belli era stato il doppio transito a New York e in California dell'allora presidente taiwanese Tsai Ing-wen. Nelle ultime due occasioni, maggio e ottobre 2024, le manovre erano apparentemente meno legate alla rivalità con gli Usa, essendo avvenute pochi giorni dopo due importanti passaggi politici taiwanesi: il discorso di insediamento di Lai (che sin da subito ha adottato una retorica assai meno accomodante nei rapporti con Pechino e meno ambigua sullo status di Taiwan) e il suo primo intervento in occasione del Double Ten, il giorno in cui si celebra la festa nazionale della Repubblica di Cina (nome ufficiale di Taiwan).

Visti i precedenti, ci si aspettavano nuove ampie esercitazioni già lo scorso dicembre, dopo che Lai ha effettuato un doppio passaggio nei territori statunitensi di Hawaii e Guam. Nonostante un ampio dispiegamento di mezzi militari al largo delle proprie coste, Pechino non ha mai annunciato nulla in quella occasione, cambiando metodo di comunicazione e interrompendo una sequenza di azione-reazione che pur aumentando i rischi strategici aveva stabilito una sorta di "new normal". Per assurdo, la mancata reazione (quantomeno esplicita) di dicembre aveva aumentato le preoccupazioni di Taipei, che si è interrogata a lungo sul significato del silenzio operativo. L'ambiguità su movimenti e addestramenti potrebbe infatti ulteriormente offuscare il confine tra esercitazioni e reale preparazione al combattimento, riducendo ulteriormente i tempi di reazione dell'isola di fronte a un'ipotetica azione militare concreta da parte di Pechino.

Le esercitazioni degli ultimi giorni segnano invece un ritorno alla dinamica precedente. Pechino ha esplicitamente citato il discorso di Lai dello scorso 13 marzo come loro giustificazione. Rispondendo a un netto aumento di casi di spionaggio all'interno delle forze armate, in quella data Lai ha presentato un controverso piano anti infiltrazioni in 17 punti. Tra le proposte, figura il ritorno dei tribunali militari, istituzione che era stata abolita nel 2013 proprio dopo numerose proteste del suo partito, che li vedeva come un simbolo dell'epoca della legge marziale. Proposto un aumento della supervisione delle attività dei taiwanesi che risiedono o viaggiano in Cina continentale, compreso l'eventuale possesso di documenti come carte d'identità di Pechino. Attenzione anche ad artisti come cantanti o attori, che secondo Taipei subirebbero pressioni dalle autorità cinesi per appoggiare le rivendicazioni del Partito comunista sull'isola, per esibirsi o lavorare sul "continente". Annunciando il suo piano anti infiltrazioni, Lai ha inoltre definito la Cina una "forza straniera ostile", una svolta retorica che da Pechino è stata letta come una "provocazione" con cui si provano a recidere i legami tra le due sponde dello Stretto. 

Rispetto al passato, però, la risposta si è fatta attendere molto di più. Solitamente, le esercitazioni sono sempre partite nel giro di un massimo tre o quattro giorni rispetto alla presunta "provocazione". Stavolta, di giorni ce ne sono voluti 18. Non è probabilmente casuale che le prime grandi manovre intorno a Taiwan effettuate durante il secondo mandato di Donald Trump, siano avvenute subito dopo la prima visita di Pete Hegseth in Asia. Il neo segretario alla Difesa degli Stati Uniti si è recato nelle Filippine e in Giappone, da dove ha definito indispensabile il ruolo dei due paesi nel contenimento della Cina e della difesa di Taiwan. Non solo. Documenti riservati del Pentagono di cui si è parlato sui media statunitensi indicano nell'Asia-Pacifico la priorità strategica di Washington, inclusa la difesa di Taiwan, a scapito del teatro europeo. 

Durante tutto questo periodo, sui social cinesi in molti avevano criticato la sostanziale assenza di reazione al discorso di Lai, invitando il governo a passare all'azione. Le esercitazioni rispondono dunque a due necessità: mostrare forza all'opinione pubblica interna e, in attesa di un potenziale ma non ancora fissato vertice tra Xi Jinping e Trump, segnalare alla Casa Bianca che la Cina è pronta a negoziare su tutto, dazi compresi, ma non su Taiwan.

L'impatto

A Taiwan la vita è proseguita regolarmente e senza nessun panico, durante le esercitazioni. Anzi, la borsa ha chiuso con un +2,82%, la migliore in Asia, dopo il crollo del giorno precedente a causa dei timori sui dazi reciproci della Casa Bianca. Se proprio dovesse esserci un impatto, questo potrebbe essere in realtà favorevole a Lai. Diversi precedenti mostrano che più la Cina tira fuori i muscoli e più i taiwanesi se ne allontanano. L'amministrazione Lai soffre di una cronica debolezza, vista la mancanza di una maggioranza parlamentare. È anche per rispondere all'inazione interna e al calo di gradimento degli ultimi anni che Lai ha aumentato il volume retorico sulla Cina, presentandosi come "grande difensore" di Taiwan. Le ultime mosse sembrano quasi spinte dalla volontà di tracciare una linea: chi sta con Taiwan e la democrazia sta col DPP (e dunque Lai), chi non sta col DPP (e Lai) è contro Taiwan e al fianco di Pechino. È in questo clima, che l'opposizione definisce di "caccia alle streghe maccartista", che è nato il piano anti infiltrazioni. 

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Pur rispondendo a un problema reale e concreto, c'è chi non ha apprezzato la politicizzazione di quelle misure, né di una controversa vicenda legata a tre influencer. Proprio nel giorno delle esercitazioni, le autorità taiwanesi hanno deportato una donna cinese, colpevole di aver pubblicato dei video su Douyin (il TikTok cinese) in cui auspica la "riunificazione", con riferimenti anche all'opzione militare. Altre due donne cinesi, sposate con uomini taiwanesi e residenti sull'isola insieme ai figli, hanno dovuto lasciare Taiwan. L'ultima delle quali con la forza. La questione ha provocato diverse polemiche. Non solo sul fronte politico, ma anche su quello della società civile. 75 accademici (alcuni vicini al KMT, ma non tutti) hanno criticato il "populismo" di Lai e la presunta "erosione della libertà di parola". Un'altra professoressa, nota per aver concesso alcune interviste alla televisione di stato cinese, è stata convocata dai principali del suo istituto dopo che degli studenti avevano segnalato che durante le lezioni si sarebbe espressa a favore della "riunificazione" (o "unificazione", come la chiamano a Taipei). Le nuove esercitazioni hanno dato la possibilità a Lai di provare a far finire il dibattito in secondo piano, spostando il discorso sulla "minaccia cinese". Dando nuova spinta a una vasta campagna per la rimozione dei deputati del KMT, accusati di ostruzionismo e di aver tagliato parti rilevanti del budget 2025.

Sull'impatto più ampio delle ultime manovre, bisognerà decifrare le intenzioni di Trump. Nonostante i tentativi di rassicurazione di Hegseth, a Taipei ci sono molti dubbi sul suo impegno in merito a Taiwan. Nel suo secondo mandato, il presidente degli Stati Uniti si è occupato di Taiwan soprattutto per accusarla di aver "rubato l'industria dei chip" all'America. Col recente investimento da 100 miliardi di dollari annunciato dal colosso taiwanese TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), una quota non banale della produzione di chip verrà localizzata su territorio statunitense. Mossa che ha creato qualche timore tra i taiwanesi, visto che si tratta di un'industria strategica profondamente intrecciata alla sicurezza di Taiwan. Il timore di diversi taiwanesi è che, quando non avranno più bisogno della produzione taiwanesi, gli Usa potrebbero non essere più incentivati a difendere l'isola. Era stato spiegato che l'investimento avrebbe migliorato i rapporti con Trump e aiutato a evitare i dazi. Così non è stato, visto che il 2 aprile la Casa Bianca ha imposto tasse aggiuntive del 32% sui prodotti taiwanesi. Semiconduttori esclusi, ovviamente.

Immagine in anteprima: frame video Reuters via YouTube

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