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Riorganizzazione interna e nuovi equilibri mondiali: la Cina entra in una nuova era

14 Marzo 2023 11 min lettura

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Riorganizzazione interna e nuovi equilibri mondiali: la Cina entra in una nuova era

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C’erano già state alcune indiscrezioni che lo preannunciavano in primavera, e alla fine l’agenzia di stampa Reuters ha reso noto una data più o meno certa della visita di Xi Jinping da Putin: i due presidenti si incontreranno a Mosca la prossima settimana, come hanno riferito alcune fonti ufficiali a conoscenza del piano. A poche ore di distanza, il Wall Street Journal ha aggiunto che a seguito dell’incontro con Putin, Xi Jinping terrà un colloquio video con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in quello che sarà il primo dialogo diretto tra Kyiv e Pechino dall’inizio della guerra. 

Un avvenimento che irrompe sulla scena a pochi giorni dalla notizia del riavvicinamento diplomatico di Arabia Saudita e Iran, dove la Cina ha svolto un importante ruolo di mediazione dimostrando che quando c’è volontà e interesse, Pechino ha sufficienti capacità e influenza per far sedere al tavolo due parti in disputa. Tra l’altro in una zona geografica in cui gli Stati Uniti fanno da protagonisti. 

Iran e Arabia Saudita riapriranno le ambasciate nell’arco di un paio di mesi e i ministri degli Esteri terranno presto un vertice per definire alcuni dettagli dell’accordo. Le relazioni tra i due paesi si erano interrotte nel 2016 quando l’ambasciata saudita a Teheran era stata presa d’assalto da manifestanti in protesta per l’esecuzione di un eminente studioso sciita accusato da Riyadh di terrorismo. Nella guerra in Yemen – dove da un anno regge una tregua sostenuta dalle Nazioni Unite – l’Iran sostiene i ribelli Houthi mentre l’Arabia Saudita la coalizione militare a sostegno del governo. 

La Cina e il nuovo (dis)ordine globale – Conversazione con Simone Pieranni [podcast]

Pechino sta dunque cambiando postura a livello internazionale ricoprendo un ruolo diplomatico attivo e abbandonando quell’ambiguità strategica che finora l’ha tenuta in equilibrio tra il rischio delle sanzioni e il non voltare le spalle a Mosca? “Il viaggio a Mosca e poi la telefonata con Zelensky possono effettivamente dare l’idea che la Cina voglia avere un ruolo più attivo per arrivare a dei negoziati tra Ucraina e Russia - spiega a Valigia Blu il giornalista Simone Pieranni - ma il vero grande dubbio è quanto Putin ascolti la Cina. Nel caso di Iran e Arabia Saudita, entrambi i paesi avevano buoni motivi per riprendere il dialogo: l’Arabia Saudita vuole uscire dalla guerra in Yemen mentre l’Iran ha bisogno di stabilità fuori dai confini, visti i disordini interni. Se guardiamo invece alla guerra in Ucraina, non possiamo dare per scontato che Mosca accetti un’eventuale indicazione di un cessate il fuoco", continua Pieranni. 

La notizia di questi due eventi significativi, che vedremo come e se avranno un impatto sulla guerra in Ucraina, arriva nel momento politico più importante dell’anno in Cina, durante le “due sessioni”.

La nomina di Li Qiang e la riorganizzazione interna della Cina

In occasione delle “due sessioni” (lianghui) l’Assemblea nazionale del popolo e la Conferenza politica consultiva cinese si riuniscono per approvare le principali riforme e per ratificare le nuove nomine interne al Partito Comunista Cinese. 

Nomine che hanno visto soprattutto confermare quanto era stato già deciso ad ottobre al XX Congresso, quando il presidente Xi Jinping ha ottenuto un terzo inedito mandato e ha rafforzato la propria leadership circondandosi ancor di più di uomini fedelissimi. 

La Cina si prepara al XX Congresso tra censura, rare proteste contro Xi e la speranza che rimanga aperta al resto del mondo

In particolare l’ufficialità della nomina del premier Li Qiang conferma che l’era della leadership collegiale è arrivata al termine, nota il giornalista Lorenzo Lamperti che per La Stampa ne ha tratteggiato un profilo: già ex capo di gabinetto di Xi ai tempi in cui era governatore dello Zhejiang, Li ha studiato meccanizzazione agricola ed è un appassionato di tecnologia. Alla luce della sua nuova posizione, ci si chiede se la sua vicinanza al presidente farà di lui un “mero attuatore” oppure se forte del rapporto di fiducia riuscirà ad assicurarsi maggiore autonomia. 

Nel discorso di chiusura, Xi Jinping è tornato sulla necessità di accelerare il processo verso l’autosufficienza tecnologia – obiettivo sempre più impellente dopo lo stop degli Stati Uniti all’esportazione di componenti e macchinari per la fabbricazione di chip avanzati – e, a una platea di circa tremila delegati, ha promesso di portare avanti con fermezza la riunificazione con Taiwan.  

Perché Taiwan è così importante per la Cina (e per gli USA)

Le due sessioni sono un evento che guardano strettamente agli affari interni, ma con i rapporti tra le due superpotenze ai minimi storici, il neo ministro degli Esteri Qin Gang, ambasciatore uscente dagli Stati Uniti, in una conferenza stampa a margine, ha dedicato parte del suo primo intervento da ministro al “gioco a somma zero” che, secondo Pechino, stanno conducendo gli Stati Uniti: “Se gli Stati Uniti non frenano e continuano invece ad accelerare sulla strada sbagliata, nessun guardrail potrà impedire il deragliamento e ci saranno sicuramente conflitti e scontri”, ha detto. 

“Gli Stati Uniti sostengono che quella con la Cina sia competizione e non ricerca di un conflitto, in realtà quella che gli Stati Uniti chiamano competizione è una [forma] totale di contenimento e soppressione, un gioco a somma zero dove o vivi o muori”, ha aggiunto. 

Anche il presidente Xi Jinping ha criticato apertamente la campagna dell’Occidente guidata da Washington per “contenere, accerchiare e reprimere la Cina portando sfide senza precedenti  allo sviluppo del nostro paese”. Il commento lo ha pronunciato durante un discorso ai membri dell’organo consultivo.

Nota il Wall Street Journal che solitamente Xi, nelle dichiarazioni in contesti pubblici che vengono poi riportate dalle agenzie di stampa, è più misurato e vago riguardo gli Stati Uniti e il blocco occidentale. Non li nomina esplicitamente, cosa che invece ha fatto in questa occasione – anche se nella trascrizione inglese sull’agenzia di stampa Xinhua non c’è il riferimento al “contenimento”, si legge invece un invito ad “avere il coraggio di combattere mentre il paese affronta cambiamenti profondi e complessi nel panorama internazionale”. 

Le parole del presidente Xi e del ministro Qin Gang seguono una serie di eventi che Pechino non ha accolto con favore, tra cui l’abbattimento del pallone spia cinese nei cieli del South Carolina e l’accusa di essere in procinto di vendere armamenti alla Russia. 

Dietro la notizia dell’invio di armi c’è la Russia?

Le informazioni di intelligence ottenute dagli Stati Uniti secondo cui la Cina starebbe considerando l’invio di armi alla Russia potrebbero essere trapelate da funzionari russi, raccontano delle fonti ufficiali statunitensi alla NBC News. La notizia arriva dopo settimane complicate in cui la Casa Bianca aveva dichiarato di avere prove - mai rese pubbliche - di un possibile ampliamento del supporto cinese alla Russia anche sul piano militare.

Che dietro l’indiscrezione ci siano i russi probabilmente non è così sconvolgente, anzi è l’ennesimo segnale di disperazione che sta lanciando Mosca. Sia Stati Uniti che Russia vogliono dipingere la Cina come stretta alleata della Russia per due diverse ragioni: gli Stati Uniti vogliono allontanare l’Europa da Pechino mentre la Russia vuole accrescere le tensioni e le paure in Europa per avere maggiore leva di scambio. 

Il giornalista e autore del noto podcast Sinica, Kaiser Kuo, è ricorso alle dinamiche di coppia nel dare una lettura al comportamento di Mosca: “Immagino la Russia guardare agli Stati Uniti e la Cina come ad una coppia sposata, il cui matrimonio si è ormai esaurito e che tuttavia è costretta a condividere la stessa casa. La Russia odia profondamente gli Stati Uniti e cosa fa per accelerare la rottura? Lascia un messaggio alla Cina in un posto dove è sicura che andranno a guardare anche gli Stati Uniti, e sul quale scrive che la scorsa notte è stata meravigliosa e che dovrebbero fuggire insieme”. 

Potrebbero essere solo congetture, intanto Pechino ha negato di aver considerato di fornire qualsiasi aiuto militare alla Russia definendo le accuse di Washington “disinformazione”. Il 2 marzo, il  portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano John Kirby, nel corso della conferenza stampa, alla precisa domanda se l’amministrazione Biden sia in possesso di ulteriori evidenze su un eventuale passo avanti della Cina rispetto al rifornimento di aiuti militari alla Russia, ha risposto: “Non abbiamo alcuna indicazione che abbiano preso questa decisione. Non l’hanno tolta dal tavolo, ma da questo punto di vista non abbiamo alcun segnale”. 

È evidente che il coinvolgimento militare della Cina amplierebbe i confini del conflitto finora limitati al territorio ucraino trasformandolo in una guerra per procura tra le due superpotenze mondiali. L’alto Rappresentante per la politica estera in Europa, Josep Borrell, ha espresso le proprie preoccupazioni all’inviato cinese Wang Yi durante la sua visita in Europa spiegando che per Bruxelles rappresenterebbe una linea rossa nelle loro relazioni. Borrell ha poi dichiarato alla stampa: “[Wang Yi] mi ha assicurato che non stanno per inviare armi e che non hanno in piano di farlo. Rimarremo comunque vigili”. 

Simili dichiarazioni sono arrivate dal cancelliere tedesco Olaf Scholz che in conferenza stampa con la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha assicurato che la Cina non fornirà armi alla Russia. Mentre in un’intervista alla CNN ha spiegato che ci sarebbero sicuramente delle conseguenze [sanzioni ndr] nel caso in cui la Cina supportasse militarmente la Russia, ma si è detto ottimista che questa “fase chiarificatrice" avrà successo pur rimanendo molto cauti. 


Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in un’intervista con l’emittente ABC News, ha detto “di non prevedere grandi iniziative da parte della Cina nel rifornimento di armi alla Russia” mostrandosi meno preoccupato del Segretario di Stato Antony Blinken che, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, aveva detto che presto avrebbero condiviso altre informazioni secondo cui la Cina starebbe seriamente prendendo in considerazione l’invio di armi. 

Biden ha proseguito l’intervista spiegando che, durante la lunga conversazione telefonica avuta la scorsa estate, ha messo il presidente Xi davanti all’evidenza di come non sia servito alcun incentivo governativo nel far ritirare più di 600 società americane dal mercato russo a seguito dell’invasione, e che se la Cina deciderà di essere partecipe della stessa brutalità di cui si sta macchiando la Russia potrebbe trovarsi nella stessa situazione. 

Non c’è nessun “piano di pace”, quello di Pechino è un modo per scrollarsi di dosso la nomea di complice silenzioso della Russia

Intanto, a un anno esatto dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la Cina ha elaborato la propria posizione rispetto alla guerra in un documento di dodici punti. Nei giorni precedenti alla pubblicazione si erano create grandi aspettative intorno a quello che doveva essere un “piano di pace” - in questi termini lo aveva anticipato anche il ministro per gli Affari Esteri Antonio Tajani a seguito del colloquio con Wang Yi  - tali aspettative, però, sono state disattese.

Il position paper di Pechino non è altro che una lista nella quale la Cina elenca gli stessi punti che abbiamo sentito ripetere dall’inizio del conflitto: rispetto della sovranità territoriale, condanna delle sanzioni unilaterali e rifiuto della mentalità da guerra fredda. Non si entra mai nel merito delle contese territoriali o di garanzie di sicurezza per l’Ucraina che potrebbero portare i due paesi in conflitto a sedere allo stesso tavolo. 

Questa intenzionale vaghezza - sottolinea Alexander Gabuev, analista del Carnegie Endowment - riflette i vari e complessi interessi della Cina. Pechino è in prima linea per la difesa del principio dell’integrità territoriale per gli ovvi motivi legati alla questione di Taiwan, ma anche ai movimenti separatisti interni ai propri confini (vedi Xinjiang ndr). Se poi guardiamo alla Russia, quest’ultima per anni ha rifornito di armamenti la Cina - L’Economist parla di una media di 2 miliardi di dollari all’anno tra il 2001 e il 2010 - compresi modelli avanzati come il caccia multiruolo Su-35 e il sistema d’arma antiaereo a lungo raggio S-400. Per Pechino - prosegue Gabuev - uno scenario in cui la completa sconfitta della Russia possa portare alla caduta di Putin e all’insediamento di un governo filo-occidentale è l’incubo strategico che la Cina vuole evitare e per il quale è disposta ad aiutare il Cremlino. 

Dall’altra parte c’è l’Occidente e il rischio di potenziali sanzioni in grado di bloccare i proficui scambi commerciali. Già gli Stati Uniti hanno bloccato le esportazioni verso la Cina di tutta la componentistica utile alla produzione di semiconduttori altamente tecnologici trovando l’appoggio del Giappone e recentemente anche dell’Olanda, una situazione simile con l’Europa è da scongiurare.  

Che poi settori strategici come quello dell’automotive, tra gli altri, hanno tutto l’interesse a rimanere nel mercato cinese, come dimostrano le visite degli amministratori delegati che si sono susseguite dalla riapertura dei confini – tra i primi ad andare è stato Oliver Blume della Volkswagen. 

Da questo punto di vista il position paper, preceduto dal viaggio diplomatico di Wang Yi, è il tentativo di Pechino di persuadere l’Europa ad allontanarsi dalla linea anti-Cina degli Stati Uniti. È una mossa a costo zero – vista la vaghezza (e inutilità) del “piano di pace” nessuno andrà mai a chiedere conto del documento reclamando azioni concrete – che serve a presentarsi all’Occidente come attore ancora in grado di interloquire con Putin. 

Le reazioni che hanno fatto seguito alla pubblicazione sono state molto tiepide da ogni parte politica: Biden, in un’intervista ad ABC News, ha liquidato il documento affermando di “non aver visto nulla nel piano che indichi un qualche vantaggio che non sia per la Russia”. Von der Leyen l’ha definito “una serie di principi e non un piano di pace. La Cina si è già schierata siglando un’amicizia senza limiti con la Russia poco prima che iniziasse l’invasione dell’Ucraina”. Il Segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha dichiarato invece che “la Cina non ha alcuna credibilità perché non è stata in grado di condannare l’illegale l’invasione dell’Ucraina”. 

Tiepida anche la risposta della Russia che, tramite il portavoce Peskov, ha detto che “ogni tentativo di formulare tesi per raggiungere una soluzione pacifica è il benvenuto, le sfumature però sono importanti”. Di fatto non c’è alcun prerequisito per interrompere l’“operazione speciale” militare che prosegue fino a quando non saranno raggiunti gli obiettivi del Cremlino. 

Più inaspettata l’apertura del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che torna a chiedere un incontro con Xi Jinping – vedremo se dopo l’incontro con Putin Pechino aprirà il dialogo.

Tutto si incastra perfettamente con il disegno di Pechino: “La prossima volta che verrà accusata di favorire silenziosamente l’aggressione di Putin - scrive ancora Gabuev - potrà dire che se lo sforzo diplomatico è fallito prima ancora di iniziare c’è un solo colpevole, e quel colpevole è l’Occidente”. 


Bielorussia e Cina ancora più vicine dopo la visita di Lukashenko

Il primo marzo i due stretti alleati della Russia hanno rilanciato una partnership strategica “per tutte le stagioni”. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, socio di minoranza di Mosca, è andato a far visita a Pechino a quello di maggioranza, Xi Jinping, dove i due hanno rinnovato “la reciproca fiducia politica e il sostegno reciproco nei rispettivi percorsi di sviluppo”.

Lukashenko, però, non è andato fino a Pechino solo per il sostegno politico. Colpita dalle sanzioni e isolata dalla comunità internazionale, la Bielorussia è alla ricerca di entrate economiche. Titolava qualche settimana fa il China Observers, osservatorio sull’influenza di Pechino nei paesi dell’est Europa, che “nel mezzo della radiosa retorica, la Cina ha limitato gli investimenti in Bielorussia”. 

Nonostante l’interesse di Minsk nel prendere parte alla Nuova via della seta (Belt and Road Initiative) - di cui Xi e Lukashenko hanno parlato anche durante il recente incontro - molti dei soldi che dovevano arrivare tramite finanziamenti non sono mai giunti a destinazione. 

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La Bielorussia formalmente non è parte attiva nella guerra in Ucraina, ma ha aiutato Mosca in molti modi, primo tra tutti ha permesso alle truppe russe di entrare in territorio ucraino passando per il confine bielorusso. A tutti gli effetti si può definire uno stato satellite della Russia che l’ha legata a sé con una serie di accordi in cambio del supporto dato a Lukashenko nel reprimere le proteste antigovernative del 2020. 

Da una fuga di documenti, Yahoo News sarebbe entrata in possesso di un dettagliato piano nel quale viene indicata la strategia del Cremlino per prendere il pieno controllo della Bielorussia nel prossimo decennio.

Immagine in anteprima via chinamediaproject.org

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