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Dopo tre anni la Cina è ancora impreparata contro la pandemia: aumentano vertiginosamente i contagi e non è colpa solo delle aperture

21 Dicembre 2022 8 min lettura

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Dopo tre anni la Cina è ancora impreparata contro la pandemia: aumentano vertiginosamente i contagi e non è colpa solo delle aperture

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A tre anni di distanza dal primo caso di Covid-19 individuato a Wuhan, la Cina ha posto fine alla politica del covid-zero facendo in pochi giorni un'inversione di marcia su tutta una serie di restrizioni che, fino a poche settimane fa, per il presidente Xi Jinping e per tutta la dirigenza del Partito Comunista Cinese non potevano essere messe in discussione. Niente più lockdown, via covid-center e app di tracciamento e a lavoro si va anche da positivi, come stanno raccontando in questi giorni le cronache da Pechino, la prima città che si è trovata ad affrontare il picco dei contagi. Riporta Reuters che negli ospedali della capitale stanno chiedendo al proprio personale sanitario di continuare a lavorare vista la carenza di medici e infermieri e, secondo la testimonianza di un medico da loro intervistato, in alcuni ospedali di Pechino l’80% del personale sarebbe infetto. 

Non va meglio per le farmacie che hanno dovuto appendere dei cartelli per avvisare che ibuprofene, antipiretici e sciroppi per la tosse sono tutti esauriti. Online sono andati a ruba anche limoni, pesche sciroppate e qualsiasi tipo di integratore con la vitamina C. Proprio per far fronte all’enorme richiesta di ordini online, il gigante dell’e-commerce JD ha fatto sapere che manderà su Pechino mille lavoratori in più per sanare i ritardi nelle consegne. Molti, infatti, stanno optando per fare la spesa online invece di andare di persona nei supermercati, ma i fattorini - tra le categorie in prima linea nella pandemia - si stanno ammalando, e gli ordini di conseguenza impiegano più tempo ad essere evasi. 

Sui social poi stanno girando numerose immagini delle file che si formano ogni giorno alle “cliniche per la febbre”, centri per le malattie infettive situati all’interno degli ospedali e utilizzati già durante la Sars su cui il governo centrale ha investito molto in questi anni di pandemia. In un briefing della Commissione nazionale per la Salute che si è tenuto mercoledì 14 dicembre, è stata annunciata l’apertura di 14mila cliniche per la febbre in grandi ospedali e di altre 33mila all’interno di ospedali di comunità. In alcune province - riporta China Daily - si stanno trasformando anche i centri di tamponamento in cliniche per la febbre.

Diversi studi scientifici hanno dimostrato come la medicina del territorio non sia il punto di primo accesso del cittadino al sistema sanitario nazionale che predilige piuttosto strutture ospedaliere nei centri urbani. Eppure la figura di quello che noi chiameremmo medico di base non è estranea alla tradizione cinese: durante la Rivoluzione culturale, nelle zone rurali vi erano i cosiddetti “medici scalzi”, contadini con nozioni basilari di profilassi, igiene e contraccezione che si occupavano delle cure primarie nella propria comunità. Una figura che poi è rimasta e si è evoluta. Con la crescente urbanizzazione e le politiche sanitarie degli ultimi decenni, la medicina di base è però passata sempre più in mano ai centri ospedalieri portando a frequenti sovraffollamenti da parte di persone che hanno bisogno principalmente di cure primarie. 

Una tendenza che si riscontra anche in questi giorni, dove la difficoltà nel gestire grandi quantità di pazienti ha portato a soluzioni emergenziali come quella di fornire le cure direttamente nelle automobili come avvenuto in Hubei.

Su Weibo, il twitter cinese, l’hashtag “Prima ondata di picco di contagi per provincia” è entrato in tendenza questa settimana per via di una mappa sulla quale vengono indicate le date in cui verrà raggiunto il picco di contagi in ciascuna provincia, sulla base delle previsioni fatte dall’economista Chen Qin. Le stime dell’impatto che avrà questa nuova ondata di contagi sulla popolazione sono riportate invece in un report, uscito in pre-stampa questo mese e in parte finanziato dal “Chinese Center for disease control and prevention” che parla di 1 milione di morti evitabili attraverso la quarta dose di vaccinazione, anti-virali e mantenimento di alcune misure sociali. Su una popolazione di 1,4 miliardi di persone, i modelli per il miglior scenario possibile prevedono tra le 627 mila e le 742 mila morti, ovvero 448-530 morti ogni milione di abitanti. 

Con l’annuncio della fine della maggior parte delle restrizioni, il governo ha annunciato di accelerare sulle dosi booster, soprattutto tra i più anziani (80+) che secondo i dati più recenti risultano vaccinati con la terza dose solo per il 40% a fronte di una media del 60% dell'intera popolazione. A rischio, infatti, c’è la tenuta del sistema sanitario che può reggere non più di 1,2 ospedalizzazioni giornaliere ogni 10mila abitanti (la degenza media è di circa 8 giorni) e ha a disposizione meno di un posto letto in terapia intensiva sempre ogni 10mila abitanti. D’altronde a parlare di più di un milione e mezzo di morti in caso di interruzione della politica covid-zero era stato già uno studio dell’Università Fudan di Shanghai pubblicato su Nature il maggio scorso. 

Alle porte poi c’è il Capodanno cinese che quest’anno cadrà domenica 22 gennaio e prevede lo spostamento di milioni di persone da provincia a provincia, dai centri urbani alle zone rurali, meno preparate a fronteggiare una emergenza sanitaria. Sarebbe stato meglio, dunque, continuare con la linea del covid-zero? Con le numerose proteste esplose in diverse città in Cina - scoppiate a seguito, ricordiamo, di un incendio ad Urumqi nella regione dello Xinjiang che ha provocato la morte di dieci persone - alcune fasce della popolazione si sono opposte con forza alla politica del covid-zero e, in alcuni casi, hanno contestato la dirigenza del PCC e lo stesso presidente, come mai prima da quando Xi Jinping è al governo. 

Il fatto è che le scelte fatte dalle autorità cinesi stanno mettendo a serio rischio la popolazione anziana e su più di un milione e mezzo di possibili morti, centinaia di migliaia di queste sono prevenibili – scrivono sull’Economist Eyck Freymann e Yanzhong Huang. Perché seppur revocando le restrizioni in risposta ai manifestanti, la loro impreparazione di fronte alla peggiore delle possibili prospettive lascia perplessi. Si poteva rendere obbligatoria la vaccinazione per le persone maggiormente a rischio, stoccare grandi quantitativi di medicinali e anti-virali, formare nuovi infermieri, ampliare i reparti di terapia intensiva nelle zone più povere del paese, importare vaccini mRNA che offrono una migliore copertura soprattutto per quanto riguarda l’ospedalizzazione. Anche solo tre o quattro mesi di pianificazione sarebbero bastati a rendere la Cina meno vulnerabile rispetto all’ondata che si prospetta. Invece, il grosso della spesa dedicato al covid è stato indirizzato in test e centri di quarantena a scapito del potenziamento delle strutture ospedaliere, laddove la sola spesa pubblica per i tamponi fatti nel 2021 corrisponde a un quinto del budget sanitario in epoca pre-pandemica. 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), poi, le infezioni da covid stavano in realtà esplodendo già ben prima che il governo decidesse di fare dietrofront sul covid-zero. “Si sta facendo questa narrazione secondo cui nel momento in cui la Cina ha rimosso le restrizioni, improvvisamente la situazione è uscita fuori controllo, ma credo che il virus si stia diffondendo in modo intensivo perché le misure di controllo in sé non sono più efficaci. Ritengo che la decisione della Cina sia stata strategica perché [le misure] non erano più l’opzione migliore”, ha dichiarato il direttore per le emergenze dell’OMS, Mike Ryan. 

Intanto, con la diminuzione del numero di tamponi, il sistema di tracciamento non è più così affidabile per comprendere le dimensioni del contagio. La media è di quasi 3 mila nuovi contagi al giorno, ma si teme che il numero sia molto più alto come anche quello dei morti. Lunedì 19 dicembre sono stati registrati cinque morti da Covid-19 portando il conteggio totale dall’inizio della pandemia a 5.242 morti – in Italia al 16 dicembre se ne contano più di 183 mila – ma la Cina non inserisce nel computo dei deceduti le persone che presentano altre malattie. Giornalisti occidentali poi che si trovano a Pechino o a Chongqing sono andati a verificare le condizioni in cui vertono i crematori della città che negli ultimi giorni hanno lavorato a pieno ritmo gestendo un numero di salme di tre se non quattro volte superiore alla media. 

Nel corso delle ultime due settimane, tirocinanti in medicina si sono mobilitati per reclamare paghe più alte e maggiori strumenti di protezione. Le proteste sono scoppiate a seguito della morte di un giovane studente 23enne in un Ospedale universitario a Chengdu, nel Sichuan. L’ospedale ha fatto sapere che il ragazzo è deceduto a causa di un arresto cardiaco, ma diversi post online hanno riportato un’altra versione dei fatti che l’ospedale ha negato: il 23enne avrebbe lavorato per più giorni consecutivi nonostante avesse una febbre persistente. 

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Gli studenti di medicina, in Cina, portano avanti in contemporanea gli studi e turni di lavoro a tempo pieno, ma in quanto studenti percepiscono uno stipendio minimo di 1.000 yuan (135 euro). Con l’aumento dei casi poi rischiano di non poter tornare a casa dalle famiglie per le vacanze invernali. Il quotidiano di Hong Kong, South China Morning Post, ha potuto verificare che in almeno due ospedali in cui ci sono state le proteste - uno a Wuhan e l’altro a Nanjing - gli amministratori hanno acconsentito ad alcune delle richieste avanzate dagli studenti. 

Questa nuova ondata di rimostranze segue di poche settimane quelle dei “fogli bianchi” avvenute a novembre, quando migliaia di persone sono scese nelle strade di diverse città tenendo in mano un A4 bianco. Le autorità hanno represso le proteste e individuato i manifestanti anche attraverso l’utilizzo massiccio di dispositivi di sorveglianza come videocamere e tracciamento dati degli smartphone, mentre il presidente Xi Jinping in occasione di un incontro con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, li ha definiti “studenti frustrati”. Movimenti del genere non hanno alcuna traiettoria definita tantomeno un risultato garantito. I cambiamenti [nella società] - scrive su ChinaFile Yangyang Cheng, ricercatrice all’università di Yale - non avvengono dal giorno alla notte. Ma se la maggior parte dei semi della rivoluzione si perderà nel vento, qualcuno di questi riuscirà ad attecchire sul terreno fertile. 

Immagine in anteprima: frame video RSI

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