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Il futuro del Cile al voto

3 Settembre 2022 8 min lettura

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Il Cile dice no alla nuova Costituzione. Brusca battuta d'arresto per il lungo processo iniziato con le rivolte del 2019

Aggiornamento 5 settembre 2022: Il Cile ha detto no alla nuova Costituzione. Il lungo processo iniziato con la rivolta sociale dell’ottobre 2019 ha ricevuto una brusca battuta d’arresto. Lo scoppio delle proteste era poi passato attraverso un accordo della classe politica per una nuova Costituzione, di cui l’attuale presidente Boric è stato uno dei principali artefici. In un primo referendum quasi l’80% dei partecipanti aveva approvato il cambio della Carta costituzionale. Il voto del 4 settembre ha invertito il risultato: il 62,86% dei votanti si è espresso per il no, il 38,14% per l’approvazione della nuova Costituzione.

Il presidente Boric ha riconosciuto la sconfitta e ha promesso di "costruire insieme al Congresso e alla società civile un nuovo itinerario costitutivo": "Prendo questo messaggio e lo faccio mio, dobbiamo ascoltare la voce della gente", ha detto, annunciando un incontro già per il 5 settembre con le massime autorità del Parlamento e tutte le forze politiche "per far partire il più rapidamente possibile un nuovo processo costituente".

La feroce strategia mediatica messa in campo dalla destra attraverso principali media e social network ha dato risultati, soprattutto facendo breccia in quella grande fetta della popolazione che di solito non va a votare e che questa volta l'ha fatto per l’introduzione del voto obbligatorio. Non ha giocato a favore del sì nemmeno il livello di coinvolgimento del governo nel destino della nuova Costituzione, che ha probabilmente veicolato nel voto un malcontento nei confronti della gestione di Boric, della crisi economica che pesa in un paese con livelli insopportabili di diseguaglianza sociale e che risente di un "pinochettismo" ancora forte nella generazione dei padri, mentre i figli spingono per un cambiamento sociale che però dovrà cercare nuove strade se vorrà prevalere.

Manca un giorno al referendum sulla nuova Costituzione in Cile e il risultato finale è più che mai incerto. Con il voto si decide se approvare il nuovo testo costituzionale, che è stato scritto durante l’ultimo anno da una Convenzione di 154 membri eletti dalla popolazione, oppure se rifiutare la proposta e mantenere l’attuale Costituzione, scritta nel 1980 durante la dittatura militare di Pinochet.

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In gioco c’è la possibilità di cambiare le regole neoliberiste che hanno fatto del Cile il “giaguaro dell’America Latina” per i suoi tassi di crescita economica e allo stesso tempo il paese con i più alti livelli di diseguaglianza della regione. Quel che si decide domenica è anche, soprattutto, l’esito di un lungo processo iniziato il 18 ottobre 2019 con una rivolta sociale inedita, esplosa contro l’insostenibile modello politico ed economico che ha consolidato per decenni il potere di una piccola élite sempre più ricca su un’enorme maggioranza che convive con i debiti e senza stato sociale, dove l’educazione, la sanità, le pensioni sono affidate al settore privato, le materie prime sono nelle mani di poche grandi imprese e perfino l’acqua viene ripartita secondo diritti d’uso privati, nonostante la siccità in Cile rappresenti un’emergenza climatica da oltre un decennio.

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La nuova Costituzione che viene sottoposta al voto questo 4 settembre definisce il Cile come uno “Stato sociale e democratico di diritto”, plurinazionale, interculturale, ecologico, e ha sollevato un grande interesse internazionale: “Sono stata in Spagna, a Berlino, in Francia, a Bruxelles e ho trovato ammirazione per il lavoro che abbiamo svolto”, afferma a Valigia Blu Manuela Royo, avvocata eletta nella Convenzione come rappresentante del movimento Modatima, di difesa dell’accesso all’acqua. 

Insieme a lei, al voto del 15 e 16 maggio dell’anno scorso, per designare chi avrebbe redatto il nuovo testo costituzionale, sono state scelte molte figure indipendenti dalla politica tradizionale e dai partiti politici. Per la prima volta in Cile c’erano seggi riservati per i popoli indigeni e la parità di genere tra i membri eletti è un inedito mondiale. “All’estero viene valorizzato il processo e il risultato di una Costituzione che è all’avanguardia, che è un contributo al mondo”, continua Manuela Royo. 

Sebbene la Convenzione abbia dovuto affrontare un gran numero di ostacoli fin dal suo insediamento, la nuova Carta Magna è stata scritta attraverso un processo partecipativo e plurale, che ha garantito centralità ai diritti delle donne, che ha permesso di affermare la plurinazionalità e il riconoscimento delle popolazioni originarie, che si esprime contro i crimini di lesa umanità, la tortura, il genocidio e che sancisce il diritto alla salute, all’educazione, alla casa e a un sistema previdenziale dignitoso.

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Si tratta di un cambio radicale nella visione del paese rispetto al testo costituzionale vigente che, sebbene sia stato riformato i numerose occasioni, risponde ancora alla logica ideata dai Chicago Boys e protegge i privilegi di una élite che, in effetti, ha fatto di tutto per difenderlo. Per questo la battaglia elettorale è così aspra, e il risultato per niente scontato.

Da mesi tutti i sondaggi mostrano come vincente il "no" che, sebbene nelle ultime settimane abbia perso terreno, continua a mantenere un vantaggio tra i 4 e il 12 punti rispetto al “sì”. 

“Si può sostenere che l’opzione del rifiuto si sia installata artificialmente come vincente” spiega a Valigia Blu Pedro Santander, direttore del gruppo di ricerca Demoscopía Electronica del Espacio Público (DEEP), dell’Universidad Católica di Valparaiso, che ha analizzato il comportamento dei social network in relazione al plebiscito. “In poco tempo in Cile ci sono stati tre eventi elettorali in cui si è affermata sempre l’ala politica che rappresenta l’approvazione della nuova Costituzione”, chiarisce, facendo riferimento innanzitutto al primo referendum dell’ottobre del 2020, dove si decideva se avviare o meno il processo costituente e dove il “sì” ha vinto con l’80% delle preferenze. Inoltre, l’elezione dei delegati a scrivere la nuova Carta Magna, nel maggio del 2021, ha visto una dura sconfitta dei partiti di destra, che non hanno raggiunto nemmeno un terzo dei seggi, minimo necessario per imporre il veto sulle decisioni dell’organo costituente. Infine, anche nelle elezioni presidenziali, il 19 dicembre 2021, Gabriel Boric si è imposto con 11 punti di distacco sul candidato dell’estrema destra Antonio Kast. 

Considerando l’andamento degli ultimi due anni, che vinca il voto per mantenere in vigore l’attuale Costituzione sembra un controsenso. “La destra è riuscita a creare un clima sociale avverso alla nuova Costituzione con diverse strategie”, spiega ancora Santander. “Hanno usato molto le fake news e hanno reso il lavoro della Convenzione un continuo scandalo, lungo un anno, occupando l’agenda dei media mainstream. Hanno puntato a screditare i suoi membri, a danneggiare la loro reputazione, e fin dal primo giorno hanno cercato di distruggere e boicottare il processo dall’interno”.

La dinamica è cambiata dopo il 4 luglio di quest’anno quando, consegnato il testo definitivo della nuova Costituzione, la Convenzione si è sciolta ed è iniziata la campagna in vista del plebiscito. Secondo l’analisi del gruppo di ricerca DEEP, a differenza di quel che si registrava a ridosso del referendum nel 2020, oggi su Facebook e Instagram chi è per il "sì" è maggioritario, e anche su Twitter sono di più, sebbene la comunità per il “no” generi un volume maggiore di messaggi e menzioni.

Ci sono poi altri fattori da considerare: gli stessi sondaggi presentano un alto numero di indecisi, che oscilla tra il 10 e il 15% e può far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Un’altra incognita è rappresentata dal fatto che per la prima volta in Cile il voto sarà obbligatorio, mentre l’affluenza alle urne negli ultimi appuntamenti elettorali si è attestata attorno al 50% ed è difficile prevedere come voterà questa metà silenziosa del paese.

Quel che invece è palpabile nelle ultime settimane è la grande attività della comunità che promuove la nuova Costituzione, che ha mobilitato il mondo della cultura, ha convocato intellettuali nazionali e internazionali, ha coinvolto l’ambiente accademico e si è riversata nello spazio pubblico: dibattiti, iniziative di piazza, concerti, biciclettate hanno riempito i quartieri della capitale in modo crescente mentre la campagna per il “no” non è altrettanto visibile e ha reagito in più occasioni con menzogne e violenza nel dibattito elettorale. Il suo lavoro strategico si osserva soprattutto sul versante mediatico, e ha portato dalla sua parte anche figure politiche di spicco appartenenti alla ex Concertación, la storica coalizione di centro sinistra. Nel tentativo di diluire la connotazione pinochettista del “no”, i volti più noti della destra tradizionale ed estrema non appaiono in questa campagna, dominata sui social da utenti anonimi e sui grandi media dai politici della Democrazia Cristiana che hanno abbracciato il “no” oltre a figure di secondo piano dei partiti di centro.

In Cile, a opporsi alla trasformazione sociale ci sono due destre secondo Sergio Grez, storico e docente dell’Universidad de Chile. “Il lavoro della Convenzione è stato egemonizzato dalle forze politiche di centro e centro-sinistra - evidenzia a Valigia Blu, - che spesso hanno votato insieme alla destra per evitare che le posizioni più radicali entrassero nel testo della nuova Costituzione”. 

Le stesse regole del processo costituente, negoziate dai parlamentari di un ampio arco politico nell’accordo del 15 novembre del 2019, restringevano le possibilità di conformare un’assemblea costituente completamente sovrana. L’attuale presidente Boric, che questa settimana occupa la copertina del Time, ha riaffermato il suo ruolo in quell’accordo, che all’epoca era stato duramente criticato, anche all’interno del Frente Amplio, la sua coalizione politica: si trattava di “incanalare il conflitto” che si esprimeva con proteste quotidiane di migliaia di persone in tutto il paese.

Il risultato è stato un processo costituente con diverse restrizioni, che ha dovuto raggiungere la maggioranza altissima dei 2/3 per deliberare su ogni norma e che, per esempio, non ha potuto ridiscutere gli accordi internazionali di libero commercio già stipulati dal Cile. “Inoltre, non hanno raggiunto il quorum le proposte che facilitavano la nazionalizzazione delle materie prime come il rame e il litio, cioè le risorse che possiede il Cile per finanziare il suo stato sociale”, continua Sergio Grez, evidenziando gli ostacoli concreti che affronterà il Paese a partire dal 5 di settembre, anche nel caso in cui sia approvata la nuova Carta Magna. 

Una delle parole d’ordine della politica istituzionale, che ha dominato la campagna elettorale, è quella delle riforme alla Costituzione, sia da parte del “no”, con lo slogan del “rifiuto con amore, per una Costituzione migliore”, sia da parte del settore che invita ad approvare per poi correggere e modificare.

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Si intuisce quindi che il processo costituente andrà avanti nei prossimi anni, con la graduale trasformazione delle funzioni delle Camere, con la formulazione di leggi e regolamenti in linea con i nuovi principi costituzionali e, prima ancora, con modifiche al testo che diversi settori politici hanno già promesso. “Quel che è certo è che se non approviamo ora il progetto attuale, non ci sarà nessuna riforma”, conclude Manuela Royo. “È necessario almeno liberarsi della Costituzione della dittatura per aprire il dibattito, e le decisioni dovranno essere prese dalla popolazione, in un processo democratico, se vogliamo vedere un cambio”. 

Il cammino, insomma, è ancora lungo e per niente spianato. Con il voto di domenica però si compie un ciclo politico nato grazie alle proteste che hanno scosso il Cile nell’ottobre del 2019, e allo stesso tempo ci si gioca la possibilità di aprirne uno nuovo, dove discutere le regole del paese da consegnare alla prossima generazione.

Immagine in anteprima: Josè Pereira, Licenza Creative Commons, via The Loop

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