Dal Cile al Libano i cittadini in piazza contro disuguaglianze e crisi economica
9 min letturaAggiornamento 29 ottobre 2019: Il primo ministro libanese Saad Hariri ha annunciato le dimissioni del governo in un discorso in Tv: "Salgo ora al palazzo presidenziale di Baabda per rassegnare le mie dimissioni al presidente della Repubblica Michel Aoun. Ho preso questa decisione dopo aver ascoltato le richieste dei manifestanti", ha detto Hariri appellandosi al popolo affinché "mantenga la stabilità e la sicurezza del paese. I ruoli vanno e vengono, ma la dignità e la sicurezza del paese sono più importanti". La decisione è arrivata dopo 13 giorni di proteste in tutto il Libano culminate nella catena umana di domenica scorsa lunga 170 km, una manifestazione pacifica che ha unito il paese da nord a sud.
Aggiornamento 28 ottobre 2019: In un discorso dal palazzo presidenziale di Santiago del Cile, il presidente Piñera ha dichiarato l’intenzione di aumentare la pensione di base universale del 20%, congelare le tariffe sull’elettricità e proporre una legge in base alla quale lo Stato coprirà i costi delle cure mediche.
Queste dichiarazioni da parte del presidente cileno arrivano dopo 5 giorni di violenti proteste che hanno causato la morte di 5 persone e portato all’arresto di oltre 1900 persone, secondo quanto dichiarato dall’ex Presidente del Cile e attuale Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU, Michelle Bachelet. Oggi è previsto lo sciopero generale, annunciato da parte della Copper Workers Federation (FTC) e al quale parteciperanno anche insegnanti e impiegati del settore pubblico.
«Di fronte ai bisogni legittimi e alle esigenze sociali della cittadinanza, abbiamo ricevuto con umiltà e chiarezza il messaggio che i cileni ci hanno dato», ha detto Piñera. Il presidente ha poi pubblicato su Twitter la nuova agenda politica con un’infografica che mostra le misure annunciate nel discorso ufficiale.
Hemos escuchado fuerte y clara la voz de la gente expresando pacíficamente sus problemas, sus dolores, sus sueños y sus esperanzas de una vida mejor. Hoy quiero compartir con todos mis compatriotas las principales medidas y componentes q impulsaremos con esta #NuevaAgendaSocial pic.twitter.com/gSb88mMrvG
— Sebastian Piñera (@sebastianpinera) October 23, 2019
Venerdì 25 ottobre un milione di persone ha partecipato a una nuova grande manifestazione pacifica di protesta contro il governo nella capitale Santiago. Sventolando bandiere e usando mestoli e padelle, i manifestanti hanno chiesto nuove riforme per ridurre le disuguaglianze economiche e sociali nel paese e chiedere le dimissioni del Presidente Sebastián Piñera.
Chile hoy vive una jornada histórica. La RM es protagonista de una pacífica marcha de cerca de 1 millón de personas que representan el sueño de un Chile nuevo, de forma transversal sin distinción. Más diálogo y marchas pacíficas requiere nuestro país ❤! #ArribaStgo💪 #RMdeTodos pic.twitter.com/RWcLBU67LD
— Karla Rubilar Barahona (@KarlaEnAccion) October 25, 2019
Piñera, che ha annunciato la fine dello stato d'emergenza nel paese e un ampio rimpasto di governo, resta però ancora al suo posto.
In diverse città solo sabato e domenica è stato sospeso il coprifuoco. Secondo il Guardian centinaia di persone sono state uccise durante i disordini. Mentre per il governo afferma che almeno 20 persone sono morte nelle proteste, riferisce Associated Press.
Le proteste di questi giorni in Cile, ha spiegato sul Guardian Cristóbal Rovira Kaltwasser, professore di Scienze Politiche alla Diego Portales University di Santiago de Chile, “sono, in sostanza, un messaggio urgente per l'élite cilena: sono necessari profondi cambiamenti per ricostruire il contratto sociale. Più tempo impiegherà il governo a capirlo, più difficile sarà uscire da questa catastrofe”.
Se è successo in Cile, percepito come il paese più stabile e prospero dell’America Latina, può succedere ovunque, ha commentato su Bloomberg, John Auters. “Molti presumevano che proteste come questa si sarebbero verificate in seguito alla Grande Recessione, invece stanno accadendo un decennio più tardi e in un momento di lenta ripresa ma al tempo stesso in cui stanno aumentando le disuguaglianze sociali”, scrive il senior editor di Bloomberg, esperto di mercati e finanza, che ha aggiunto: “Il fatto che i cileni si siano ribellati al costo della vita suggerisce che una situazione simile potrebbe accadere più facilmente nel resto dei paesi in via di sviluppo. Le immagini televisive delle proteste in Libano e altrove amplificano solo il messaggio che arriva dal Cile” e che in precedenza è arrivato dalle proteste dei Gilet Gialli in Francia, dalle manifestazioni per l’aumento del 20% dei prezzi del carburante in Messico, nel 2017, dallo sciopero dei camionisti per l’aumento del prezzo del diesel e la carenza del carburante l’anno scorso in Brasile.
In Libano, intanto, le proteste di massa proseguono da 11 giorni: scuole, università e uffici sono rimasti chiusi mentre centinaia di migliaia di persone in tutto il paese continuano a scendere in piazza per manifestare contro condizioni economiche disastrose, l’austerità e la corruzione, chiedendo ai leader del paese di dimettersi.
«Per la prima volta in assoluto c'è una vera unità nel paese», ha detto alla BBC un manifestante, Christian Manachi. "Le persone si stanno rendendo conto che un cristiano che vive in estrema povertà non è diverso da un sunnita o sciita che si trova nelle stesse difficili condizioni».
Lunedì scorso, il primo ministro Saad Hariri a sorpresa ha dichiarato di essere pronto ad approvare una serie di riforme economiche, nella speranza di fermare le proteste. Hariri ha promesso di ridurre la retribuzione dei politici, investire in centrali elettriche e approntare misure per ridurre il debito pubblico. Ma secondo molti manifestanti è troppo tardi: «È tutto così vago. Perché non l'hanno fatto 30 anni fa?», ha affermato un altro manifestante sempre alla BBC.
Domenica 27 ottobre migliaia di persone hanno manifestato pacificamente formando una catena umana lunga 170 km da Tripoli a Tiro, passando per la capitale Beirut, ha unito il Libano da nord a sud per chiedere il rovesciamento delle élite politiche che hanno governato il Paese dalla fine della guerra civile (1975-1990) e dare un segnale di unità nazionale.
«L'idea alla base di questa catena umana è quella di mostrare l'immagine di un Libano che, da nord a sud, rifiuta qualsiasi affiliazione settaria», ha dichiarato Julie Tegho Bou Nassif, tra gli organizzatori della catena umana. «Oggi non stiamo facendo richieste politiche, vogliamo solo inviare un messaggio di unità semplicemente portando tra le mani la bandiera libanese». «L'idea è che da nord a sud, siamo uniti e prendiamo posizione insieme», ha detto un altro degli organizzatori al Guardian.
Sul lungomare di Beirut, uomini, donne e bambini si tenevano per mano, alcuni portavano bandiere libanesi, molti intonavano l'inno nazionale.
«È un messaggio di amore e solidarietà», ha detto Julian Bourjeili, un architetto che ha preso parte alla catena umana con la fidanzata. «Vogliamo mostrare l'immagine civilizzata e pacifica di questo movimento».
Proteste, saccheggi e incendi in quello che fino ad ora era considerato il paese più prospero e stabile dell'America Latina. Dieci persone sono morte in Cile negli ultimi giorni in seguito alle proteste iniziate la scorsa settimana per il rincaro dei prezzi della metropolitana e poi esplose per il costo eccessivo della vita e le disuguaglianze sociali.
Due persone sono morte carbonizzate durante il saccheggio a un grande magazzino di materiali per l'edilizia e il bricolage, altre cinque erano rimaste uccise durante un incendio scoppiato nel corso di un altro saccheggio in una fabbrica di vestiti a nord della capitale Santiago, mentre altre due persone erano rimaste vittima di un incendio in un supermercato nel Comune di San Bernardo.
Le proteste sono iniziate per l’aumento del costo dei biglietti dei trasporti pubblici e sono proseguite nei giorni successivi nonostante il provvedimento sia stato ritirato da parte del governo di Sebastián Piñera, nelle strade siano state dispiegate oltre 10mila forze dell’ordine e sia stato indetto da due giorni un coprifuoco dalle 21 alle 7 nelle aree di Santiago, Valparaíso, Coquimbo e Biobío. Non accadeva dai tempi della dittatura di Pinochet, quasi 30 anni fa. Il provvedimento è arrivato dopo la proclamazione dello stato d’emergenza. Le autorità hanno comunicato di aver arrestato quasi 1500 persone dall’inizio delle contestazioni.
«Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile, che non rispetta nessuno, che è disposto a usare la violenza senza limiti, anche se ciò significa la perdita della vita umana» , ha dichiarato Piñera domenica sera in un discorso trasmesso in televisione in tutto il Cile. «Abbiamo visto la capacità di distruzione di questi vandali, di queste persone che rappresentano il male», ha aggiunto spiegando di accogliere le ragioni delle proteste ma che queste non possono tradursi in vandalismo.
Ma come spiega al Wall Street Journal Constanza Uribe, una studentessa universitaria di 18 anni che era con un gruppo di manifestanti domenica: «L'aumento del prezzo del biglietto dei trasporti è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ritengo necessaria la distruzione della metro perché non credo che avremmo potuto ottenere risultati senza distruggere». L'aumento della tariffa aveva inizialmente portato gli studenti a irrompere nelle stazioni della metropolitana e saltare sui tornelli o scivolare sotto senza pagare. Il loro slogan era: "Evadi, non pagare, un'altra forma di lotta".
«Questa era una pentola a pressione economica in ebollizione da decenni e alla fine all'improvviso è esplosa», ha spiegato Rodrigo Booth, professore all'Università del Cile, in un'intervista al Washington Post.«Queste proteste hanno poco a che fare con il trasporto pubblico. In Cile le situazioni di disuguaglianza erano diventate brutali». Il Cile è esploso, prosegue il professore, perché quelle stesse politiche che lo hanno reso uno dei paesi più ricchi del Sud America, hanno creato forti disparità economiche e portato all'indebitamento di molti cileni. E poi è saltato il sistema di base: l'acqua, le autostrade, il sistema pensionistico sono stati tutti privatizzati. Fino al caso della metropolitana di Santiago, un'infrastruttura di trasporti moderna, la più grande del Sud America, motivo di orgoglio per molti cileni. Ma i ripetuti aumenti delle tariffe sono diventati così insostenibili rispetto alla stagnazione dei salari al punto che una famiglia che guadagna un salario minimo sarebbe stata costretta a utilizzare un sesto del proprio reddito per i soli trasporti.
Inoltre, le proteste – scrive Teo Arnus sul Washington Post – riflettono anche una netta divisione generazionale tra coloro che sono abbastanza grandi da ricordare la repressione della dittatura militare del generale Augusto Pinochet - un periodo di 17 anni in cui i dissidenti furono imprigionati, torturati e, in molti casi, sono "scomparsi" - e i giovani cileni, nati dopo la sua fine e che sono scesi in strada con molto meno abbandono.
Lebanon Roiled by Second Day of Protests as Frustration Over Chronic Corruption Boils Over https://t.co/pklavJ1ZcB pic.twitter.com/iILp9Bu80r
— New York Times World (@nytimesworld) October 19, 2019
Nel frattempo in Libano si sono scatenate le proteste più violente e partecipate degli ultimi 14 anni. L’annuncio di una nuova tassa sulle chiamate fatte via WhatsApp, Facebook Messenger e FaceTime, un tentativo per raccogliere nuovi fondi e fronteggiare una grave crisi fiscale, ha spinto tante persone a manifestare nelle strade di Beirut e Tripoli mettendo in crisi il governo di unità nazionale del primo ministro Saad Hariri. A Tripoli una persona è morta dopo che la guardia personale di un politico aveva iniziato a sparare contro i manifestanti.
La legge è stata nel frattempo ritirata ma le manifestazioni domenica sono ricominciate per il quarto giorno consecutivo e Hariri ha minacciato di dimettersi se entro tre giorni i suoi alleati di governo non approveranno importanti riforme economiche. «Ai libanesi non sono mancati motivi per protestare negli ultimi anni», ha scritto la corrispondente del New York Times da Beirut: “L’economia è sterile e costringe molti giovani a emigrare in cerca di lavoro, le discariche e le spiagge sono stracolme di spazzatura e il governo è da tempo incapace di approvare riforme. Ma l’ultimo mese ha portato più delusioni del solito: ci sono stati problemi di valuta, una crisi del grano e del gas e, questa settimana, il governo si è dimostrato così impreparato da aver dovuto chiedere aiuto ai paesi vicini per spegnere una serie di grossi incendi boschivi”. In particolare il debito pubblico è salito al 150% del PIL, le riserve delle banche centrali sono precipitate del 30% nell'ultimo anno, la valuto si è svalutata rispetto al dollaro negli ultimi mesi.
Durante le proteste, in molti hanno chiesto le dimissioni del governo, accusando Hariri e altri politici di corruzione. A differenza che in passato, prosegue il New York Times, le proteste hanno coinvolto tutti: “Nei quartieri sunniti, i manifestanti hanno stracciato i poster di Hariri, il più potente sunnita del paese. Nelle zone a maggioranza sciita del sud del Libano ci sono stati cori contro Nabih Berri, il presidente del parlamento, la cui popolarità è solitamente altissima. Nelle zone controllate da Hezbollah ci sono stati attacchi contro gli uffici dei parlamentari di Hezbollah”.
Immagine in anteprima via freepressjournal