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C’è posta per te è l’ennesimo caso di normalizzazione della violenza domestica

2 Febbraio 2023 6 min lettura

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C’è posta per te è l’ennesimo caso di normalizzazione della violenza domestica

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Sono passate poche settimane dall’episodio di C’è posta per te, il programma-corazzata di Canale 5 condotto da Maria De Filippi, in cui una donna che si era allontanata da una relazione violenta veniva persuasa davanti alle telecamere a tornare con il compagno, e già ci risiamo. 

Questa volta, la donna in questione, Valentina, non ha subito violenze fisiche ma psicologiche ed economiche: moglie di un uomo, Corrado, che la controllava in tutto, che le impediva di lavorare e che si è adombrato per avere scoperto che lei chattava con un altro uomo, e per questo ha chiesto il divorzio. Da quando è andato via di casa, continuano ad avere rapporti sessuali regolari: lei però non vuole essere l’amante di suo marito, che è stato l’unico uomo della sua vita, e vuole ricomporre il matrimonio.

È difficile parlare dei contenuti della televisione generalista senza scadere nel moralismo, o peggio, senza puntare il dito su chi la guarda e magari se la gode pure, sospendendo il giudizio. Difficile, senza che il classismo si faccia strada nel ragionamento e vada ad aumentare la distanza percepita fra “gli intellettuali” e “la gente vera”. Eppure è proprio dalla televisione generalista che possiamo dedurre lo stato di avanzamento della cultura nazionale, quale lettura diamo alla realtà e alle cose che ci succedono. La storia portata da Valentina a C’è posta per te può essere raccontata in modi diversi: come matrimonio in crisi che può ancora avere una possibilità se Corrado le concede il suo perdono, perché dopotutto è un “uomo all’antica” e va capito; oppure come una storia in cui una giovane donna viene trascurata, umiliata, controllata dall’uomo al quale si è unita quando era ancora troppo giovane, che pretende che lei sia soltanto moglie e madre e che viva in funzione di lui e delle sue esigenze, senza desiderare altro. Con un distacco solo apparente, De Filippi e gli autori del programma hanno scelto la prima interpretazione dei fatti. Le privazioni riportate da Valentina vengono trattate come normale amministrazione in un matrimonio e negate dal coniuge, come anche i rapporti regolari fra i due, che lui arriva a derubricare a “sfogo”.

Le dinamiche di abuso sembrano evidenti anche nello scambio fra i due: la voce di Valentina trema di rabbia e sofferenza, mentre Corrado pare godersi la possibilità di infliggerle l’ennesima umiliazione davanti a un pubblico di milioni di persone. Non è difficile immaginarsi la terribile vertigine della donna davanti alla fine dell’unica relazione che ha conosciuto, quella che l’ha accompagnata dall’adolescenza alla vita adulta, e la disperata volontà di rinunciare ancora una volta ad assecondare i suoi desideri per mettere l’orgoglio di lui davanti a tutto. Sono congetture: nessuno può improvvisarsi psicanalista di qualcuno che ha visto per meno di mezz’ora su uno schermo. Ma quello che conta è che ancora una volta la prima serata di Canale 5 ci ha raccontato una storia di violenza domestica, rinunciando a trattarla come tale e utilizzando la sofferenza di una donna per fare audience.

Oppure, a seconda del punto di vista, ci ha raccontato un amore naufragato per le troppe incomprensioni e per un errore della moglie, che ha tradito la fiducia di un compagno sicuramente imperfetto ma bravo padre, marito e lavoratore e che non le ha fatto mai mancare nulla. Nel pubblico c’era di sicuro qualcuno che l’ha pensata così, e ha urlato “apri!” a Corrado, invitandolo ad accettare le scuse della moglie e a ricucire il matrimonio. Forse era una reazione alla sofferenza di vederla umiliata, o forse davvero – com’è probabile – la trama del patriarcato che ci avvolge stretti e rende impossibile pensare altrimenti, immaginarsi che per Valentina fosse meglio ricevere un rifiuto e tenere fede alla decisione di rompere definitivamente il matrimonio, con tutta la sofferenza che questa scelta comporta.

La normalizzazione di comportamenti che rientrano nella sfera dell’abuso non è un’esclusiva di Mediaset, anche se il volume dei programmi a tema relazionale che vanno in onda sulle reti dell’azienda rende più evidente la frequenza con cui questa normalizzazione ha luogo. Il fortunatamente defunto Temptation island, che fino dalle premesse si annunciava come un programma basato su una serie di rapporti sentimentali soffocanti, malfunzionanti e quindi perfetti per la messa in scena della loro distruzione, ha ospitato nelle varie edizioni un vasto assortimento di uomini che costruivano la loro virilità su qualche forma di violenza psicologica ai danni delle compagne, fra telefonini controllati, movimenti ristretti e gestione di ogni dettaglio della vita, dell’abbigliamento, delle compagnie. La gelosia, che invariabilmente insorgeva e veniva portata al parossismo, era considerata un segno d’amore e non la spia di una volontà di possesso. Il tutto senza che nessuno, né il conduttore né gli altri concorrenti, facesse mai notare un problema o inquadrasse le dichiarazioni e le frasi dei concorrenti come atti violenti. Chiamare in causa la possibilità del poliamore e della non-monogamia etica sarebbe uno sforzo inutile di fronte alla rigida normatività della coppia eterosessuale che fa da sostrato al programma.

E che dire di Grande Fratello VIP, il programma in cui gente dei reality e vecchie glorie dello spettacolo si prestano a recitare il copione a soggetto di un’umanità compressa in poche stanze e pilotata a forza di confessionali, personaggi divisivi inseriti con il solo scopo di creare attrito, montaggi e forzature. Se da un lato qui gli abusi veri e propri sono rari, dall’altro il modello relazionale che va in onda (e del cui grado di autenticità è legittimo dubitare, dato che creare “dinamiche” dentro una casa è un ottimo modo per accumulare fan e assicurarsi voti: Suzanne Collins in The Hunger Games non si è inventata niente) è povero, fatto tutto di gelosie e bisticci in favore di camera. Non dimentichiamo, però, che proprio a Grande Fratello VIP l’ex pugile Clemente Russo e l’ex calciatore Stefano Bettarini furono protagonisti di una conversazione di rara brutalità, fra Bettarini che faceva l’elenco delle sue conquiste sessuali e Russo che definiva Simona Ventura (ex di Bettarini) una “poco di buono” che per averlo tradito sarebbe dovuta “restare morta nel letto”. Russo venne espulso, Bettarini sgridato, entrambi sono già stati riabilitati e sono comparsi a L’isola dei famosi. Ah, questa cancel culture, signora mia.

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E la Rai? La sostanziale assenza di reality dal suo palinsesto (fatta eccezione per Il Collegio, che ha altri problemi) rende questi incidenti molto più infrequenti, ma non del tutto assenti. Nelle ultime settimane, gli spettatori di Un posto al sole (storica soap trasmessa nella fascia dell’accesso di Rai 3) stanno assistendo alla vicenda di Nunzio, giovane scapestrato e impetuoso, oggetto di una falsa denuncia per violenza sessuale da parte di Alice, teenager viziata e volitiva con cui lui ha avuto una relazione clandestina in un momento di debolezza. L’intera sottotrama si basa sulla disponibilità immediata della nonna Marina e del di lei fidanzato Roberto a credere ad Alice e a “farla pagare” a Nunzio (sottotesto: le donne sono bugiarde, vengono credute sulla parola e non bisogna mai fidarsi di loro). Sarebbe già tutto abbastanza brutto se non fosse che Roberto, storico cattivo della serie, negli anni si è reso colpevole di diversi casi di stupro per i quali non ha mai “pagato”. E per restare nelle sottotrame di Un posto al sole, che dire della relazione fra Clara, una ragazza di umili origini, e il facoltoso avvocato Roberto Palladini: un rapporto fatto di maltrattamenti, manipolazioni e dipendenza economica, giustificati dal lirismo con cui Palladini sospira alla compagna che lei e il figlioletto sono “tutta la sua vita”. Funzioni, non persone.

Un posto al sole è, per molti versi, arte espressiva: fiction, che va quindi misurata con il metro della qualità e non con quella della pedagogia. Chi la segue, però, sa benissimo che la pedagogia è parte integrante della scrittura della serie, che non ha mai rinunciato ad affrontare temi sociali e a dare a ogni sottotrama la risoluzione adatta a indicare agli spettatori il modo più corretto per affrontare un pericolo, una difficoltà o un dilemma morale. Ti hanno fatto un torto? Denuncia alle autorità, che seguiranno il tuo caso fino alla risoluzione. Hai un problema a scuola? Parlane con i tuoi genitori. Sei incinta ma non vuoi portare avanti la gravidanza? Puoi abortire in una struttura pubblica (ma non lo farai! In Un posto al sole nessuna abortisce mai!) E così via. È disturbante vedere come anche in questo contesto di sostanziale (e poco realistica) correttezza sopravvivano sacche di apparente inconsapevolezza del messaggio. Chissà, magari ci saranno delle svolte. Attendiamo. Se non altro ci potremo dire: non è la vita vera. Nessuna morirà.

(Immagine in anteprima: grab via YouTube)

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