Salvini, la castrazione chimica e la logica della vendetta
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Uno dei pilastri della propaganda politica è la ripetizione. I politici di successo sanno che un fattore chiave nel renderli affermati e conosciuti, se non proprio popolari, è la reiterazione di slogan chiari e comprensibili. Nel corso della carriera di Matteo Salvini (sul cui successo è legittimo sindacare, ma sta di fatto che al momento è di nuovo e ancora ministro), i tormentoni si sono moltiplicati. Alcuni sono passati rapidamente (come quello della ruspa), altri invece sono durati di più: una mamma e un papà, le droghe fanno male, via i clandestini, a metterli tutti in fila sembra di stare al bar sotto casa. Alcuni, però, sono più inquietanti.
La richiesta di castrazione chimica per i reati sessuali è uno di questi. Alcuni giorni fa, insieme al Decreto Sicurezza, la Lega è riuscita a far approvare un Ordine del giorno, a firma di Igor Iezzi, che impegna a istituire al più presto un tavolo tecnico per valutare il provvedimento, che Salvini sostiene essere già utilizzato in altri paesi del mondo. Al momento, gli unici paesi in cui questo avviene senza il consenso del condannato sono la Russia e la Polonia, i cui indirizzi politici sono o sono stati (in tempi recenti) improntati alla soppressione dei diritti di autodeterminazione individuale.
Questa storia della “castrazione chimica” Salvini l’ha ripetuta negli anni talmente tante volte che i dettagli si perdono nelle nebbie del tempo (e della ricerca su Google): per ogni caso di stupro che arriva in cronaca nazionale c’è almeno un’esternazione di Salvini sull’argomento, con la precisione del martelletto che fa scattare avanti il ginocchio. È così che il leader della Lega affronta un po’ tutto, va detto, ma in particolare il tema della violenza sessuale, specialmente in casi spendibili per costruire consenso. Nell’estate del 2023, in seguito a un caso di presunto stupro di gruppo avvenuto a Palermo che aveva scosso l’opinione pubblica, Salvini ha anche promosso e fatto depositare un progetto di legge (a prima firma di Mara Bizzotto) che prevede l’introduzione di questa misura per chi commette il reato di violenza sessuale.
Sul perché il leader leghista torni e ritorni su questo specifico provvedimento (non con la pacatezza di chi vuole incorporare l’opzione in un percorso terapeutico ma con la veemenza di chi la vuole imporre) mi concentrerò più avanti, perché prima bisogna spiegare cosa sarebbe la “castrazione chimica” e perché continuo a mettere l’espressione tra virgolette. Il termine corretto, infatti, è “blocco androgenico totale”, e descrive un tipo di terapia utilizzato nel trattamento del tumore della prostata, come spiega il sito dell’AIRC. Gli effetti collaterali di questo trattamento ormonale sono, fra gli altri: riduzione della libido, astenia, debolezza e perdita di massa muscolare. Gli stessi farmaci possono inoltre essere utilizzati nell’ambito delle cure per l’affermazione di genere delle persone trans assegnate alla nascita al genere maschile.
Il punto della riduzione della libido è quello che rende il blocco androgenico così popolare a destra, perché richiama l’idea - tanto errata quanto pericolosa - che lo stupro abbia a che vedere con il desiderio, e non con una volontà di sopraffazione che funge da eccitante. Quella volontà rimane anche se manca la libido, perché ha a che vedere con la dominanza, e la dominanza e il controllo - del territorio, delle donne come parte del territorio, dei corpi delle persone che si ritengono inferiori - sono elementi fondanti della maschilità tradizionale.
L’uomo “vero”, insomma, si afferma anche e soprattutto attraverso l’esibizione di una virilità aggressiva, che comanda, che può disporre dell’altro, e se l’altro si ribella deve essere punito. Non è un caso che lo stupro venga utilizzato come mezzo “correttivo” o punitivo delle persone LGBTQIA+. La storia vera di Brandon Teena, raccontata nel film Boys don’t cry del 1999 diretto da Kimberly Peirce, è la storia di un ragazzo trans violentato e poi ucciso dalla famiglia della ragazza di cui si era innamorato.
La libido non c’entra nulla con lo stupro. I farmaci utilizzati per il blocco androgenico possono inibire alcune funzioni sessuali, ma non eliminano il desiderio di sopraffazione. Un trattamento che miri a inibire in qualche modo le funzioni vitali che nell’immaginario sono legate alla potenza virile rischia, in assenza di un adeguato sostegno terapeutico, di aumentare la frustrazione dell’uomo soggetto a questa misura e di spingerlo a incanalare il suo desiderio di affermazione in azioni ancora più violente. Un rischio che potrebbe diventare ancora più concreto se il trattamento dovesse essere imposto, come da proposta di legge della Lega.
L’assenza di erezione non ha mai impedito a nessuno di compiere una violenza: alcuni stupratori agiscono, anzi, proprio a compensazione di una disfunzione sessuale, scaricando sulle vittime la “colpa” di non riuscire a rimediare al loro problema. Restano inoltre escluse le donne abusanti, che pur essendo poche (dal punto di vista statistico, la stragrande maggioranza degli abusi sessuali è compiuto da uomini) comunque esistono, e non potrebbero essere “disattivate” con farmaci mirati. Il celebre caso di Mary Kay LeTourneau, l’insegnante che negli anni ‘90 abusò di un suo studente tredicenne ed ebbe da lui due figli (i due hanno divorziato qualche anno fa) ci ricorda che l’abuso sessuale si verifica in condizioni di squilibrio di potere.
Se a destra l’idea della “castrazione chimica” è così gradita è perché è, in primo luogo, assolutoria: lo stupratore e il pedofilo sono trattati come “mostri” da correggere, uomini con una disfunzione da limitare e punire, diversi dagli “altri” uomini, gli “uomini buoni”, come quelli che accorrevano a frotte a violentare il corpo addormentato di Gisèle Pélicot, in Francia, raccontandosi che lei fosse consenziente. Come quelli che pensano che le donne possano provocare una violenza sessuale.
Come quelli che davanti ai casi di stupro o molestie che toccano la loro sfera pubblica o privata si affrettano a difendere l’accusato e a screditare o mettere in dubbio la parola di chi accusa. Salvini non è estraneo a queste tattiche: a memoria, si è espresso in questo senso sia nel caso dei due Carabinieri che nel 2017 hanno aggredito due studentesse americane (finito con la condanna di entrambi) sia nel caso delle molestie denunciate a Rimini da parte degli Alpini nel corso di uno dei loro raduni (finito poi, come spesso accade, con l’archiviazione).
Posto che l’inasprimento delle pene non è per automatismo un deterrente dei reati, e che esistono motivi fondati per credere che nemmeno le pene in sé, inasprite o meno, riescano nel concreto a far desistere chi vuole commettere un reato, specialmente un reato violento, la “castrazione chimica” come proposta da Matteo Salvini è particolarmente inutile sotto il profilo della prevenzione del reato, dato che sarebbe somministrata in presenza di una condanna, quindi di una pena detentiva. Se da un lato è vero che chi compie reati violenti ha un tasso di recidiva significativo (anche a causa dell’inefficienza del sistema penale nel recupero dei condannati), non è chiaro nella retorica salviniana quando questa misura aggiuntiva dovrebbe essere comminata, e come, e per quanto tempo dopo la scarcerazione (Questione Giustizia ha un approfondimento che tocca anche questi punti, legato a un’altra proposta di legge, sempre della Lega, risalente al 2018).
Questo fermo restando che per le persone che subiscono violenza sessuale è molto difficile arrivare non solo a una condanna di chi ha agito l’aggressione, ma anche solo a un processo: la cultura patriarcale rende complesso anche solo denunciare, e la cultura dello stupro (spiegata, con riferimento al mondo del calcio, in questo articolo di Valerio Moggia) tende ad assolvere gli aggressori e a scaricare sulle vittime la responsabilità e la vergogna per la violenza subita.
L’imposizione di un’ulteriore misura coercitiva, peraltro pensata per minare e compromettere l’integrità psicofisica del detenuto, è agita nello spirito della vendetta, che Salvini e i leghisti sanno essere presente nella società e di cui si cibano, fomentandolo, a scopo elettorale. Il nostro ordinamento e la Costituzione dicono chiaramente che la pena detentiva dovrebbe avere un fine riabilitativo, ma basta scorrere i commenti a qualsiasi articolo o post di una testata giornalistica sui social che parli dello stato delle carceri italiane per essere investiti da un’ondata di malessere e di desiderio di rivalsa. Il cittadino comune pensa al detenuto sempre come a una persona violenta e pericolosa, per cui la pena detentiva non è sufficiente: chi ha sbagliato deve soffrire, deve essere umiliato, come ritorsione per il dolore che ha causato. A questo contribuisce non poco il sistema mediatico, che si nutre di sensazionalismo e ha sempre bisogno di nuovi mostri da sbattere in prima pagina, per alimentare la necessità del pubblico di avere un colpevole da odiare.
A cosa serve, questa ritorsione? A niente, in termini pratici. Nel caso della “castrazione chimica”, si tratterebbe comunque di un provvedimento preso dopo che la violenza è già avvenuta, che toccherebbe soltanto i pochi stupratori arrivati a condanna e risparmierebbe la grande maggioranza di quelli che, pur avendo commesso violenza sessuale, rimangono a piede libero grazie a una legge lacunosa e che non tutela le vittime. Quello che davvero ci servirebbe per far diminuire e (idealmente) eliminare la violenza sessuale, oltre a una legge che faccia davvero giustizia e permetta a chi la subisce di denunciare quando ha la forza per farlo (e questo non è quasi mai l’anno concesso da Codice Rosso), è un’azione educativa fino dalla più tenera età, che purtroppo il governo di destra vede come il fumo negli occhi, dato che la assimila alla fantomatica “ideologia gender”. A questo andrebbe associata anche un’azione preventiva (almeno in parte), mirata agli uomini che hanno già esibito tratti violenti, che dovrebbe essere strutturata nel pubblico come già avviene per i centri antiviolenza, con risorse dedicate e percorsi terapeutici specifici, come quella del CAM Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti. Quest’ultima soluzione viene in genere rigettata dai conservatori (e non solo) perché ritenuta colpevolizzante nei confronti dell’intero genere maschile.
In questi giorni è possibile firmare una petizione per introdurre l’educazione sessuale, affettiva e relazionale nelle scuole, lanciata da Flavia Restivo e sostenuta da Rise Up. Sono anni che se ne parla, ma nessun governo ha ritenuto di dover investire le risorse necessarie a farla accadere, nemmeno con i soldi del PNRR, che pure dovevano essere destinati almeno in parte alle politiche per la parità di genere. Sono anni che se ne parla, eppure nessun politico di rilievo è riuscito a trasformarla in un tormentone efficace. Chissà perché.
Immagine in anteprima via Il Sole 24 Ore