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Il caso dello stupro e la vittima ubriaca. Cosa ha stabilito la Cassazione

17 Luglio 2018 5 min lettura

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Il caso dello stupro e la vittima ubriaca. Cosa ha stabilito la Cassazione

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Ieri pomeriggio agenzie di stampa e quotidiani hanno pubblicato la notizia di una sentenza della Corte di Cassazione (n.32462/18) su un caso di stupro commesso da due 50enni ai danni di una ragazza che aveva bevuto a cena con loro. “La vittima si ubriaca, stupro senza aggravante”, riportava il lancio dell’Ansa, seguito da titoli molto simili di altri giornali.

Nel corpo degli articoli veniva poi spiegato come i giudici, confermando la condanna per violenza sessuale di gruppo della Corte d’Appello di Torino, avessero escluso l’aggravante di “aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche” — e così il relativo aumento di pena — dal momento che la donna aveva consumato alcolici volontariamente.

La notizia ha fatto molto discutere, scatenando polemiche e critiche sui social e nel mondo della politica.

“Stuprare una donna ubriaca è comunque e sempre gravissimo anche se ha bevuto volontariamente. Il sottotitolo della sentenza è ‘in fondo se l’è cercata’, ha scritto su Twitter Alessia Morani del Pd. La deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria ha parlato di “decisione sconcertante. Far passare anche solo lontanamente l’idea che approfittare della mancanza di pieno autocontrollo da parte di una donna non sia un comportamento da punire in maniera ancora più dura è un passo indietro nella cultura del rispetto e nella punizione di un gesto ignobile e gravissimo quale è lo stupro”. “Stuprare una donna ubriaca è PIÙ grave, non meno grave, a prescindere se abbia bevuto di sua volontà. Siamo ancora al ‘se l’è cercata’? La Cassazione ci fa fare un brutto salto all’indietro”, il commento dell’ex candidato per il PD alla Regione Lombardia, Giorgio Gori. Alessia Rotta, vicepresidente vicaria dei deputati del Partito Democratico, ha criticato come si trovino “attenuanti, come l’aver bevuto volontariamente, a un reato tanto odioso quanto grave. È una sentenza che rischia di vanificare anni di battaglie”.

La maggior parte dei commenti, infatti, sottintendeva che l’ubriachezza volontaria della ragazza fosse stata considerata dai giudici come un’attenuante per i colpevoli.

In realtà, la sentenza della Cassazione dice che c’è stata “violenza sessuale di gruppo con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica”. Secondo i giudici, infatti, integra questo reato “la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall’assunzione di bevande alcooliche, essendo l’aggressione all’altrui sfera sessuale connotata da modalità insidiose e subdole, anche se la parte offesa ha volontariamente assunto alcool e droghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichica o fisica seguente all’assunzione delle dette sostanze”.

Quello su cui secondo la Cassazione incide la volontarietà o meno dell’assunzione di alcol da parte della ragazza è semmai la sussistenza a carico dei colpevoli dell’aggravante specifica. L’articolo 609-octies del codice penale sulla violenza sessuale di gruppo, infatti, prevede la reclusione da sei a dodici anni che però può essere aumentata “se concorre taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 609-ter”. Tra queste c’è l’aver commesso la violenza “con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa”.

Per i giudici, “l’assunzione volontaria dell’alcool esclude la sussistenza dell’aggravante, poiché la norma prevede l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti (o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa)”: l’uso delle sostanze alcoliche, “deve essere quindi necessariamente strumentale alla violenza sessuale, ovvero deve essere il soggetto attivo del reato che usa l’alcool per la violenza, somministrandolo alla vittima”. Invece, “l’uso volontario, incide sì, come visto, sulla valutazione del valido consenso, ma non anche sulla sussistenza dell’aggravante”.

Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale dell’associazione Differenza Donna che dal 1994 gestisce i centri anti violenza a Roma, ha spiegato a SkyTg24 che la sentenza della Cassazione “non lede i diritti della donna in quanto riconosce che si tratta di violenza sessuale perché il consenso non è valido, essendo la vittima in stato di ubriachezza: “La legge prevede l’applicazione delle circostanze aggravanti quando è lo stupratore a somministrare l’alcol, quindi in questo caso la Cassazione ha giustamente affermato che essendo stata la donna a fare uso di alcol volontariamente, la stessa è vittima di violenza sessuale ma non può essere applicata l’aggravante”. L’avvocata ha sottolineato che “presso i centri si rivolgono molte giovani stuprate approfittando dello stato di ubriachezza e pertanto questa sentenza è positiva anche se non riconosce le aggravanti che nel caso specifico non potevano essere applicate. Alle donne interessa che venga riconosciuta la violazione del loro corpo”.

Anche la penalista Francesca Longhi ha detto al Corriere della Sera che la sentenza “è giuridicamente corretta”. “Sarebbe stato scandaloso — ha aggiunto — se i supremi giudici avessero teorizzato che lo stupro non c’era perché la vittima si era ubriacata. Nessuno ha detto: è colpa tua perché hai bevuto. La violenza sessuale è stata ritenuta sussistente. Ma l’aggravante dell’alcol non è imputabile a chi ha commesso il reato, perché si applica nei casi in cui la vittima viene fatta ubriacare, per esempio, con la benzodiazepina, la polverina dello stupro”. Dello stesso parere anche l’avvocata Caterina Malavenda, secondo cui “l’assunzione di alcol incide sul consenso: se tu bevi non puoi più prestare il consenso a un rapporto sessuale; in quelle condizioni non c’è mai”. L’aggravante, invece, “c’è se lo stupratore ha creato la situazione facendo bere la vittima; si applica solo quando c’è una precisa intenzione di farla bere per approfittare di lei. Stando ai fatti accertati, invece, la donna ha bevuto di sua volontà”.

Insomma, i giudici hanno riconosciuto lo stupro di gruppo con abuso della condizione di inferiorità fisica: la ragazza era ubriaca, il che invalida il suo consenso al rapporto. La corte però non ha potuto aggiungere l’aggravante di averla fatta bere per poi abusare di lei.

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Il caso adesso tornerà alla Corte d’Appello, ed è lì che — semmai — potranno essere rivalutati i fatti, considerato che quello della Cassazione è un giudizio di legittimità, sulle questioni di diritto. “Ora la Corte di Appello dovrà rivalutare tutto — ha spiegato Malavenda — in particolare, capire chi ha fatto bere la vittima e perché. Tu puoi bere senza rendertene conto se c’è qualcuno che ti riempie continuamente il bicchiere. Ma perché lo sta facendo?”.

Articolo pubblicato in origine su Medium

Foto in anteprima via Ansa.

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