Perché la vicenda Pozzolo è un caso politico
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Durante un cenone di Capodanno, in una Pro Loco nel biellese, la pistola di Emanuele Pozzolo, deputato della Repubblica italiana, ha sparato un colpo. Il proiettile ha ferito il parente di un agente di scorta di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia e compagno di partito di Pozzolo. Non sono ancora chiare le dinamiche dell’episodio, al vaglio degli inquirenti.
Pozzolo ha infatti dichiarato ai carabinieri di non aver sparato. Secondo il deputato, il colpo sarebbe partito accidentalmente mentre la pistola era nelle mani di un’altra persona, addirittura dello stesso ferito, che quindi si sarebbe sparato da solo. Secondo altri testimoni, invece, sarebbe stato Pozzolo stesso a sparare.
Uno di questi, riporta l’ANSA, ha dichiarato che Pozzolo era “molto allegro” la sera dell’incidente. Secondo il racconto, il deputato avrebbe estratto la pistola, un mini-revolver, per mostrarla ai presenti, tra cui c’erano anche dei bambini. Secondo un altro testimone, un agente di polizia, il colpo è partito dopo che Pozzolo ha estratto la pistola per mostrarla: "un gesto superficiale, assolutamente immotivato".
Intervistato da Repubblica, il sottosegretario Delmastro ha detto che Pozzolo aveva telefonato per chiedere di poter passare, facendo un brindisi in compagnia dei colleghi di partito. Delmastro ha inoltre detto di trovarsi in un’altra stanza, quando è esploso il colpo, e di non sapere che Pozzolo fosse armato.
In un caso del genere, per quanto assurdo, ci sono molte cose sbagliate che andrebbero evitate. Prima di tutto, provare a ricorrere all’immunità parlamentare per evitare i test sui vestiti, alla ricerca di tracce di polvere da sparo. Test necessari per capire chi potrebbe aver sparato. E invece - tu pensa! - inizialmente Pozzolo ha fatto ricorso proprio all’immunità parlamentare, mentre la mattina dopo l’incidente si è sottoposto ai test.
In secondo luogo, poiché l’episodio coinvolge due esponenti di un partito di governo, tra cui un membro dello stesso, sarebbe fuori luogo se l’ufficio stampa di quel partito, come prima reazione, sminuisse il tutto come “fatto di cronaca”, criticando la volontà di farne “un caso politico”. E invece - tu pensa! - l’ufficio stampa di Fratelli d’Italia ha pensato bene di adottare questa linea.
Ma se la pistola di un parlamentare spara a una festa, è per forza di cose un fatto politico. Pozzolo dovrebbe rispondere del perché va in giro con una pistola: teme per la sua incolumità o semplicemente pensa che sia fico girare armati? Se un deputato teme per la sua incolumità e ha bisogno di andare armato a una festa, la questione ha anche dei profili di rilevanza pubblica. Senza contare che Pozzolo è attualmente indagato per lesioni aggravate. Era ampiamente prevedibile finisse così.
Inoltre, sia che abbia sparato lui o meno, deve rispondere per la sicurezza dell’arma. Chiunque ha una pistola e un minimo di giudizio sa che per legge le armi vanno custodite “con la massima diligenza possibile”. Un fattore su cui incide anche l’eventuale consumo (o abuso) di alcolici, nel momento in cui l’arma spara.
Da questo punto di vista, la dichiarazione dell’ufficio stampa di Fratelli d’Italia sa un po’ di “fatevi i fatti vostri” in salsa istituzionale. Hai voglia a ripescare vecchi status o tweet di Pozzolo, a menzionare posizioni antivacciniste o apprezzamenti per Mussolini, buttandola sul soggetto impresentabile. Bisogna quanto meno fingere che in quell’area politica gli apprezzamenti per Mussolini o l’antivaccinismo siano un problema, per portare avanti un discorso del genere su un singolo parlamentare. A certe altezze politiche, in realtà, fanno entrambi curriculum.
Il problema è perciò alla testa del partito, e riguarda i processi di selezione della classe dirigente, non certo le diramazioni periferiche di questo o quel capo bastone. Riguarda i leader e i cerchi magici di fedelissimi da proteggere a ogni costo, e oltre quella cerchia le varie clientele politiche. Senza questa regola, senza una certa protezione da consorterie di alto livello, è lunga la lista di politici della maggioranza che avrebbero già dovuto fare i bagagli, a partire dallo stesso Delmastro.
In questo clima, gli uffici stampa si accodano, applicando evidentemente una specie di schema prefabbricato di scuse, in base al quale se non è possibile dare la colpa a un immigrato, tanto vale accusare l’opposizione di strumentalizzare. Lo stesso presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha ribadito la tiritera: il caso “non è politico”.
Mentre la già citata intervista a Delmastro pubblicata da Repubblica ha un incipit da riunione di condominio finita male, non da sottosegretario alla Giustizia che rende conto di quanto accaduto:
Sottosegretario Delmastro buon anno.
«Buon anno un c….».
È arrabbiato?
«Vedi un po’ te, che vai a una festa di Capodanno, esci per buttare la monnezza, torni, e trovi un puttanaio della M...».
Beh, come inizio d’anno lascia a desiderare.
«Ho passato una giornata terribile, che non riuscirò più a smaltire, mi sento veramente sfortunato...».
Completa il quadro il balletto “sull’ira di Giorgia” (Meloni). È un classico della stampa italiana: il leader di turno è raffigurato come una vittima furibonda, e così viene messo da parte rispetto a qualunque responsabilità politica. Considerando che la conferenza stampa di fine anno è stata rinviata a domani, questo tipo di retorica aiuta a depotenziare qualunque domanda sull’accaduto verrà fatta in quella sede. Eppure che Fratelli d’Italia abbia un problema di classe dirigente non è una novità di questi giorni, o di questo caso. Lo scrivevamo ad agosto dell’anno scorso, ben prima delle elezioni.
Al di là di qualunque penoso tentativo di sminuire l’evento, va menzionato anche un certo clima politico e culturale legato al culto delle armi e della sicurezza. Episodi di questo tipo sono contigui a quella mentalità, su cui incidono i rapporti con le lobby delle armi e della caccia. Come ricorda Leonardo Bianchi, è caratteristico della maggioranza la “difesa a spada tratta delle armi da fuoco, che spesso si traduce in proposte di legge assurde”.
Gli ultimi giorni del 2023 hanno visto il ministro Lollobrigida bloccare una proposta del suo stesso partito per permettere ai 16enni di possedere armi da caccia. A novembre, nel pacchetto sicurezza era stata inserita una norma che permette agli agenti di pubblica sicurezza di portare armi private fuori servizio, senza licenza. A febbraio, invece, era scoppiato un caso attorno al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, per un progetto legato all’insegnamento delle armi a scuola. Infine, risale al dicembre 2022 l’emendamento che autorizza l’abbattimento di animali selvatici in città, “per motivi di sicurezza stradale”.
A questi esempi recenti va poi associata tutta l’infausta retorica sulla “difesa sempre legittima”, che trasforma casi di cronaca nera in battaglie politiche, sia a ridosso delle sparatorie, sia quando chi spara viene poi eventualmente condannato. Una doppia strumentalizzazione che dimostra come non tutti i proiettili siano uguali agli occhi degli uffici stampa: quando fa comodo sono casi politici, quando non fa comodo sono casi di cronaca. In tal senso, va ricordato il caso più eclatante: l’uccisione a Voghera di Youns El Boussettaoui, un episodio avvenuto nel luglio 2021 per cui l’allora assessore Massimo Adriatici è attualmente a processo con l’accusa di eccesso colposo di legittima difesa.
Il mito dei sindaci sceriffo e dei cittadini giustizieri, le continue emergenze sicurezza in barba alle statistiche, le leggi volte a rendere più accessibili le armi, il peso dell’industria delle armi. Sono questi i lati di una cornice entro cui, poi, i casi di cronaca si inseriscono perfettamente, senza alcuna sbavatura lungo i bordi. Il disegno resta appeso qualche giorno, attira visitatori, commenti, polemiche, inchieste, qualche rarissima dimissione. Poi il disegno viene riposto, finché non sarà il momento di incorniciarne un altro. E, nel frattempo, qualcuno viene ferito, oppure muore.
(Immagine in anteprima: grab via YouTube)