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Caso Paragon: tutte le cose che non tornano sul segreto di Stato posto dal governo

19 Febbraio 2025 3 min lettura

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Caso Paragon: tutte le cose che non tornano sul segreto di Stato posto dal governo

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Pubblichiamo con il permesso del direttore di Fanpage Francesco Cancellato il suo articolo sul caso Paragon, dal titolo "Il governo mette il segreto di Stato sul caso Paragon: tutte le cose che non tornano". Facciamo nostre le sue domande, dopo la decisione del governo Meloni di porre il segreto di Stato.

“Segreto di stato”. Così il governo Meloni ha messo una pietra tombale sulle nostre legittime domande relative al caso Paragon, l’azienda che produce lo spyware Graphite con cui sono stati infettati il telefono di chi scrive e di altri sei cittadini italiani. L’ha fatto per non rispondere a due interrogazioni parlamentari dell’opposizione che ponevano la stessa domanda: è vero che la polizia penitenziaria ha in dote questo strumento per le sue attività di polizia giudiziaria?

Non ci è chiaro, e probabilmente non ci sarà mai chiaro, perché il governo abbia tante remore a rispondere a questa domanda, laddove invece ha tranquillamente ammesso che i nostri servizi segreti – l’Aise, in particolare – hanno in dotazione questo strumento. Così come allo stesso modo polizia, carabinieri e guardia di finanza, tramite il loro ministero di riferimento, hanno già candidamente ammesso, al pari, di non averlo a disposizione.

Non fosse inquietante, insomma, farebbe sorridere che le comunicazioni del governo si interrompano proprio in relazione al potenziale utilizzatore di Paragon più improbabile di tutti. Anche perché, a questo punto il giallo si infittisce.

Primo: qual è la forza di polizia che ha in dotazione il software spia di Paragon? Da Israele ci fanno sapere che un contratto c’è, e che è stato interrotto al deflagrare dello scandalo, per violazioni nell’uso dello strumento. Dalle principali procure d’Italia e da tutte le forze di polizia (meno una) ci dicono che no, quel software non è in uso. E quando si chiede conto dell’ultima di queste forze di polizia, mettono il segreto di Stato. Applausi e sipario.

Secondo: come mai c’è tutto questo alone di mistero sulla penitenziaria, la forza di polizia che risponde al sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro e che, tra le altre cose, ha l’incarico di presidiare il centro di detenzione dei migranti da rimpatriare in Albania? Se la polizia penitenziaria non usa lo spyware di Paragon, perché non dirlo, come l’hanno detto polizia, carabinieri e guardia di finanza?

Terzo: come mai il dibattito deve spostarsi dal Parlamento al Copasir, dove le sedute si svolgono a porte chiuse? Davvero lo spionaggio di un giornalista e qualche attivista che il governo Meloni considera ostili è una questione tale da non poter essere discussa in Parlamento? Cosa c’è in gioco di tanto segreto da impedire una discussione pubblica? 

Quarto: cosa (o chi) sta proteggendo il governo mettendo il “segreto di Stato” sulla vicenda? Non gli spiati, che dall’esecutivo e dalla maggioranza che li sostiene non hanno ricevuto nessun attestato di solidarietà, ma solo silenzio, rimproveri e minacce. Se non gli spiati, speriamo almeno che con questa mossa il governo non intenda tutelare degli improvvidi spioni.

Quinto:  perché tutte le mezze verità e tutte le omissioni e tutti i misteri di questi giorni? Perché non dire subito che l’Italia utilizzava Paragon e ammetterlo solo dopo che l’azienda stessa faceva sapere di aver interrotto entrambi i contratti con l’Italia? Perché parlare sempre e solo del contratto tra Paragon e i servizi segreti, omettendo sistematicamente di dare qualsivoglia informazione sul presunto contratto in uso a una non meglio precisata forza di polizia? Perché parlare di contratto pienamente funzionante, salvo poi smentirsi e dire che è sospeso, nel giro di 24 ore?

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L’impressione, già l'ha scritto il condirettore di Fanpage, Adriano Biondi, è che il governo stia provando a confondere le acque in attesa che si abbassi l’attenzione sul caso. Dovessero arrivare risposte puntuali e convincenti saremo i primi a rallegrarcene e a darne conto, con mille scuse. Dovesse continuare invece questa sequenza di silenzi e bugie, continueremo a scavare e a fare domande, fino a che la verità non verrà a galla. E questa è una promessa, non una minaccia.

Immagine in anteprima via Fanpage

 

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