Il caro energia rischia di bloccare la filiera della raccolta differenziata
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Economia circolare e transizione ecologica sono oggi in cima all'agenda politica, ma l’aumento del costo dell’energia sta bloccando un settore centrale nel processo della rivoluzione verde: quello del riciclo. Le imprese del riciclo, come tutte le aziende energivore, nei mesi scorsi hanno già sostenuto aumenti notevoli, ma nelle ultime settimane il rialzo è stato tale da rendere non più sostenibile il ciclo produttivo: diversi impianti hanno chiuso alcune linee, mentre altri sono rimasti operativi soltanto alcuni giorni della settimana.
“A essere colpite sono state soprattutto le aziende che si collocano alla fine della catena del riciclo, che hanno bisogno di più energia per operare”, spiega Stefano Leoni, coordinatore dell’area Economia circolare e rifiuti della Fondazione Sviluppo Sostenibile. “Pensiamo alle fonderie di alluminio, rame o acciaio, ma anche del vetro, che necessitano di moltissima energia. E poi ci sono le cartiere e le imprese della plastica riciclata”.
Nell’ultimo anno, il costo dell’energia elettrica è passato da 159 euro per megawatt ora (la media mensile di settembre 2021) a 430 euro per megawatt ora (media mensile di settembre 2022): il picco è stato raggiunto lo scorso agosto, con 543 euro per megawatt ora. Un andamento simile è quello del gas, che ad agosto 2021 costava in media 0,45 euro per standard metro cubo e un anno dopo è arrivato a 2,5 euro per standard metro cubo. “I prezzi avevano iniziato a salire anche prima dell’inizio della guerra in Ucraina, per via della speculazione che è in atto sui mercati finanziari”, spiega Leoni. “Esiste un’economia reale, e poi esiste la finanza, che non contempla il concetto di limite e che lavora sulla scommessa: finché non metteremo dei paletti alla speculazione, continueremo a fare i conti con questi meccanismi”.
Il risultato è che, tra le tante industrie che stanno soffrendo per il caro bollette, quella del riciclo è particolarmente esposta: per produrre la stessa quantità di materia prima seconda, ossia materia derivante da processi di riciclo che può essere immessa nel mercato come nuova materia prima, i costi sono lievitati. “Il punto è: come far sì che le materie prime seconde restino concorrenziali rispetto alle materie prime?”, si chiede Leoni. “Per ora il mercato sta tenendo, perché in questo momento il prezzo delle materie prime è comunque alto. Ma attenzione: si tratta di un prezzo molto più volatile rispetto a quello delle materie prime seconde, che hanno dei costi di produzione molto più fissi. Se a un certo punto la quotazione delle materie prime si abbassasse, per via delle fluttuazioni finanziarie o dell’importazione da paesi dove la forza lavoro costa poco, la filiera del riciclo rischierebbe di diventare poco competitiva sul mercato”.
L’industria italiana del riciclo
L’industria italiana del riciclo è tra le più importanti in Europa: secondo lo studio L’economia circolare italiana per il Next Generation EU, in Italia il tasso di riciclo sulla totalità dei rifiuti è pari al 79%, contro il 56% della Francia, il 50% del Regno Unito e il 43% della Germania. L’intera filiera del riciclo ha un fatturato di oltre 70 miliardi di euro, 14,2 miliardi di valore aggiunto e oltre 213mila occupati. In termini ambientali, permette un risparmio annuo pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate di Co2.
Secondo l’ultimo rapporto L’Italia del riciclo, nel 2020 nel nostro paese sono state avviate al riciclo 9,6 milioni di tonnellate di imballaggi, di cui circa 4 milioni di tonnellate di carta (con un fatturato che si aggira intorno ai 4 miliardi di euro), 2,5 tonnellate di vetro (con un fatturato di circa 2 miliardi), e una tonnellata di plastica (con un fatturato di circa 1 miliardo). In totale, si parla di 150 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, ossia rifiuti prodotti da industrie e aziende, più 29 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. “Al nord si ricicla di più rispetto al sud, perché c’è un tessuto industriale che alimenta il settore”, spiega Leoni. “Comunque, non tutto ciò che è avviato al riciclo viene poi effettivamente convertito in materia prima seconda: c’è una percentuale di materiale che si perde nelle diverse fasi di lavorazione”.
La filiera della carta da riciclo
Tra le diverse filiere, quella della carta da riciclo è particolarmente importante per l’Italia: il nostro paese è il secondo utilizzatore europeo (con il 10,9% del totale dei volumi), dopo la Germania e prima della Francia. Nel 2020 si sono registrati i massimi storici per tasso di utilizzo, tasso di riciclo e tasso di raccolta: rispettivamente 61%, 53% e 69%.
Ma molte aziende del riciclo della carta a breve potrebbero vedersi costrette a ridurre sensibilmente il proprio ciclo produttivo, a causa sia del caro bollette, sia del blocco dei settori industriali a valle. Gli impianti di trattamento rifiuti, infatti, ricevono carta e cartone dalla raccolta sia urbana che industriale: il rifiuto viene poi lavorato e dà origine materia prima seconda, la carta da macero, che poi viene inviata alle cartiere, dove viene macerata e trasformata in bobine di carta da riciclo.
“Diverse cartiere stanno fermando la produzione per l’eccessivo costo dell’energia”, spiega Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima, l’Unione nazionale imprese raccolta, recupero, riciclo e commercio dei maceri. “Questo sta comportando per noi una difficoltà nell’allocazione della carta da macero, il cui prezzo ha subito un crollo di circa il 60% tra agosto e settembre. E poi ci sono i problemi di stoccaggio: se non vogliamo fermare le linee, ma le cartiere smettono di acquistare, dobbiamo poter stoccare molta più materia prima seconda, e per farlo dobbiamo ottenere deroghe agli stoccaggi da parte delle Regioni. Deroghe che ancora non ci sono state concesse. Fortunatamente ci sono ancora le esportazioni, in particolare nel Nord Europa e nel Sud Est asiatico, ma i clienti stranieri rappresentano per noi solo il 20% del totale”.
Unirima chiede allora al governo di intensificare le verifiche su eventuali speculazioni, di introdurre un price cap sul prezzo dell’energia e di scollegare il valore delle rinnovabili dal gas, nonché di adottare misure temporanee volte ad incrementare le capacità di stoccaggio degli impianti. “La situazione che si sta determinando potrebbe portare a una crisi ambientale, legata alla forte riduzione della capacità di trattamento degli impianti e alle conseguenti ripercussioni sull’attività di raccolta, trasporto e riciclo dei rifiuti”, afferma Sicilia. “Se fermassimo la nostra produzione, si bloccherebbe un settore vitale dell’economia circolare”.
La filiera della plastica riciclata
A subire l’impatto del caro energia è anche la filiera della plastica riciclata. “Le nostre sono imprese energivore: fino a un anno fa il costo dell’energia incideva per il 30% del totale, oggi le spese sono decuplicate”, spiega Walter Regis, presidente di Assorimap, l’Associazione nazionale delle aziende che riciclano le materie plastiche. “Per un’impresa di medie dimensioni, che produce 20mila tonnellate di plastica riciclata l’anno, la bolletta è passata da 100mila euro al mese a un milione: non c’è più margine, anzi i costi sono molto superiori ai ricavi”.
Così, l’attività di riciclo è già stata ridotta del 40%. In particolare, a soffrire sono quelle imprese che avevano scelto di acquistare energia con tariffe a prezzo variabile: per non chiudere, stanno investendo i guadagni degli anni precedenti e stanno cercando di ricontrattare il prezzo della materia prima seconda con i clienti finali. Ma non sempre è possibile farlo. Anche i lavoratori stanno subendo ripercussioni: alcuni sono stati messi in cassa integrazione, altri hanno perso il posto.
“La filiera rischia di bloccarsi: se non è ancora successo, è perché diverse aziende avevano stipulato contratti energetici a costi fissi”, spiega Regis. “ “Questo fa sì che non stiano ancora subendo l’impatto dei rincari, ma quando a dicembre questi contratti scadranno, le nuove tariffe saranno impossibili da sostenere”. Prima che si arrivi a quel punto, allora, Assorimap chiede alla politica di intervenire fermando le speculazioni e fissando un tetto massimo ai prezzi dell’energia, oltre a dare incentivi ai produttori di imballaggi affinché utilizzino plastica riciclabile.
L’autoproduzione e l’autoconsumo di energia: una possibile risposta
L’impennata dei prezzi e l’incertezza nell’approvvigionamento del gas, insomma, sta rendendo evidente quanto la transizione energetica e l’investimento su fonti rinnovabili sia urgente e non più rimandabile. Il settore del trattamento dei rifiuti risente enormemente della crisi energetica, ma ci sono imprese che hanno trovato un modo per mettersi al riparo dagli aumenti: l’autoproduzione e l’autoconsumo di energia.
“Alcune aziende del riciclo hanno già installato impianti fotovoltaici per abbattere le spese della bolletta”, racconta Alessandra Bonoli, professoressa dell’Università di Bologna esperta di riciclo ed economia circolare. “La direzione deve essere necessariamente questa: in futuro ogni singolo edificio, domestico o industriale, dovrà essere allo stesso tempo produttore e consumatore di energia. Un esempio di questa rivoluzione sono le comunità energetiche”.
Per passare a un modello basato sull’autoproduzione di energia, però, servono tempo e risorse economiche: nel frattempo, in questa fase di emergenza, in che modo si potrebbe supportare il ettore? “Lo stato deve rafforzare i contributi economici erogati attraverso i consorzi pubblici che supportano il sistema di raccolta, selezione e trattamento rifiuti”, conclude Bonoli. “In futuro, poi, bisognerà investire seriamente sull’autoconsumo, cominciando con l’installare pannelli fotovoltaici sugli edifici pubblici come scuole e ospedali. Il tutto in un’ottica di contrasto alla povertà energetica, che sempre più potrebbe colpire le fasce più vulnerabili della popolazione”.
Immagine in anteprima: Syced, CC0, via Wikimedia Commons