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Legalizzare la cannabis è una questione di diritti umani

21 Luglio 2022 12 min lettura

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Legalizzare la cannabis è una questione di diritti umani

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12 min lettura

di Dario Sabaghi

A quasi tre anni di distanza da quando è stato depositato alla Camera e al Senato, il disegno di legge (DDL) unificato Magi-Licatini sulla depenalizzazione della coltivazione domestica di cannabis per uso personale è approdato in Parlamento il 29 giugno a seguito del parere favorevole del testo da parte della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.

Il testo della proposta mira a modificare il Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90) depenalizzando la coltivazione domestica di massimo quattro piante femmina di cannabis per uso personale e prospettando la riduzione delle pene per i fatti di lieve entità riguardanti la cannabis, distinguendo di fatto quest’ultima dalle sostanze cosiddette pesanti, come l’eroina e la cocaina. Ai fini della prevenzione invece, il DDL si pone l’obiettivo di istituire una giornata nazionale sui danni derivanti da alcolismo, tabagismo e uso di sostanze stupefacenti.

Lo stesso giorno del dibattito alla Camera sul DDL, i deputati hanno anche discusso della proposta di legge sullo Ius Scholae. Entrambi i temi sono stati altamente divisivi tra le forze politiche. I partiti di centrodestra, storicamente avversi alla legalizzazione o alla decriminalizzazione della cannabis, hanno espresso parere contrario alla proposta, così come è avvenuto in fase di dibattito in Commissione Giustizia. I partiti di centrosinistra invece, hanno rivendicato la bontà della proposta al fine di garantire al cittadino la liceità di coltivare cannabis per uso personale, sottolineando il fallimento della repressione contro le sostanze stupefacenti come metodo per arginare il fenomeno e accusando il centrodestra di avere preconcetti ideologici.

Il dibattito sulla depenalizzazione della coltivazione domestica della cannabis per uso personale è rientrato nel dibattito pubblico dopo mesi frenetici nei quali alcuni partiti e varie associazioni avevano promosso un referendum abrogativo sulla depenalizzazione della cannabis che aveva raccolto più di 500 mila firme in una settimana. Il quesito referendario era stato poi dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale a febbraio di quest’anno.

Anche in quell’occasione, le forze politiche di centrodestra si erano schierate contro la campagna referendaria, mentre i leader del Partito Democratico (PD) Enrico Letta e il Movimento 5 Stelle (M5S) Giuseppe Conte si erano sottratti a una presa di posizione.

I tentativi di depenalizzare la cannabis non sono nuovi in Italia. Negli ultimi anni, sono stati depositati decine di DDL volti a emanare una legge in proposito. Tale interesse nella decriminalizzazione non è solo frutto di dibattiti sociali e politici che si sono succeduti negli anni. Alcuni attori politici e della società civile hanno visto che diversi paesi nel mondo stanno adottando politiche sulla droga diverse da quelle repressive perpetrate in passato. 

Leggi anche >> Cannabis: effetti sulla salute, legalizzazione e dibattito politico [articolo 2017]

Da quando l’Uruguay divenne il primo paese a legalizzare la cannabis per uso personale nel 2013, anche altri paesi, come più di 19 Stati USA e il Canada, hanno regolato, con modelli diversi, la produzione, la vendita e il consumo della cannabis e dei suoi derivati sia a livello medicinale sia a livello ricreativo nel corso degli anni.

Altre nazioni, come la Spagna e i Paesi Bassi, hanno invece adottato politiche tolleranti verso il consumo di cannabis attraverso l’istituzione della formula dei cannabis club spagnoli e dei coffee shop olandesi.

L’anno scorso, Malta è diventato il primo Stato membro dell’Unione Europea (UE) e legalizzare la coltivazione domestica di cannabis per uso personale e altri paesi europei, come il Lussemburgo, stanno finalizzando politiche simili o avviando progetti pilota al fine di legalizzare la cannabis sia per uso personale, sia per la regolamentazione delle vendite.

La legalizzazione della cannabis è un diritto umano

L’esempio di depenalizzazione della cannabis più singolare è quella avviata dalla Corte Suprema del Messico, che, nel 2015, aveva giudicato incostituzionale proibire l’uso della cannabis per uso personale poiché contro il diritto allo sviluppo, inteso come quel diritto umano inalienabile in virtù del quale ogni persona umana e tutti i popoli sono legittimati a partecipare, a contribuire e a beneficiare dello sviluppo economico, sociale, culturale e politico, in cui tutti i diritti umani e tutte le libertà fondamentali possano essere pienamente realizzati. 

Sono i diritti umani infatti che hanno alimentato il processo di depenalizzazione e legalizzazione della cannabis nelle sue varie forme nei paesi che hanno legalizzato o decriminalizzato la cannabis

La maggior parte delle legislazioni che hanno portato alla legalizzazione della cannabis ricreativa in più di 19 Stati USA è stata approvata con l’obiettivo di contenere lo sviluppo del mercato illegale, garantire la salute pubblica attraverso il tracciamento del prodotto, reintegrare nella società e supportare le minoranze etniche (in particolare quella afroamericana e latina) che sono state le maggiori vittime della politica proibizionista negli ultimi cinquant’anni, anche conosciuta come guerra alla droga. 

In questo contesto, la legalizzazione è una questione di diritti umani perché garantisce molteplici diritti alla società.

Cannabis medica e salute pubblica

L’uso della cannabis nella medicina è l’esempio più manifesto di come la legalizzazione della cannabis possa garantire vari diritti umani, come quello alla salute. 

Nel mese di dicembre 2020, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha riconosciuto il valore medicinale e terapeutico della cannabis rimuovendo la sostanza dalla Tabella IV della Convenzione Unica sugli stupefacenti del 1961.

L’Italia è stato uno dei primi paesi europei a legalizzare la cannabis medica nel 2006. Tuttavia, la produzione interna affidata allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e l’importazione dall’estero tuttora non riescono a soddisfare il fabbisogno dei pazienti e non tutti i medici sono esperti di cannabis medica e quindi molti pazienti si rivolgono a specialisti per ottenere un piano terapeutico. 

Inoltre, poiché la legge sulla cannabis medica è disciplinata a livello regionale, permangono delle profonde differenze da regione a regione, alcune delle quali devono ancora adottare una legge che preveda la rimborsabilità dei farmaci e delle preparazioni galeniche a base di cannabinoidi.  

Ne consegue che la legge italiana sulla cannabis medica, pur essendo considerata sulla carta una delle migliori in Europa, non garantisca appieno il diritto alla salute di molti pazienti. Se da un lato bisogna stabilire una netta differenza tra cannabis medica e la proposta di coltivazione domestica per uso personale, dall’altro quest’ultima pratica è stata usata da molti pazienti, costretti a coltivare cannabis in casa per via dell’assenza di cannabis medica fornita dal sistema sanitario. 

Leggi anche >> Perché in Italia è così difficile accedere alla cannabis terapeutica. Cosa succede in Europa e negli USA

Il caso più popolare è stato quello di Walter de Benedetto, un cinquantenne aretino che da anni soffriva di una grave forma di artrite reumatoide che lo aveva costretto a una semi-immobilità, morto a maggio di quest’anno. Con l’aiuto di un suo amico, aveva coltivato alcune piante di cannabis in casa ed era stato processato con l’accusa di coltivazione illecita di cannabis. Tuttavia, nel 2021 era stato assolto perché il fatto non sussiste. De Benedetto aveva infatti spiegato che la quantità di cannabis medica consentita per legge non era sufficiente a lenire i dolori lancinanti che la malattia gli provocava. 

Ma se De Benedetto aveva avuto la possibilità di coltivare cannabis in casa per sopperire alla scarsità di cannabis terapeutica, molti altri pazienti sono spesso costretti a rivolgersi al mercato illegale, così come fanno milioni di consumatori che usano la cannabis per scopi ricreativi. 

In questo scenario, subentrano una molteplicità di diritti messi in pericolo dalle politiche proibizioniste. Prima fra tutti è la tutela della salute pubblica. L’approvvigionamento di cannabis dal mercato illegale infatti, mette a rischio la salute di molti consumatori. La mancata tracciabilità della cannabis dovuta dall’assenza di una regolamentazione può portare i consumatori ad assumere prodotti contenenti pesticidi, metalli pesanti, contaminanti e sostanze che possono danneggiare la loro salute, così come confermato da vari studi, tra cui uno sulla cannabis illegale venduta in Canada, che ha regolamentato la cannabis per scopi ricreativi nel 2018.

La presenza di sostanze nocive all’interno della cannabis acquistata dal mercato illegale può essere dannosa non solo per i consumatori che la usano per scopi ricreativi, ma soprattutto per coloro che la usano per scopi terapeutici e che spesso hanno un sistema immunitario debole. 

Giustizia e carceri ingolfate

Secondo il World Drug Report 2022 delle Nazioni Unite, la cannabis è la sostanza più utilizzata in assoluto nel mondo, sostanzialmente per tre motivi: la relativa facilità della sua coltivazione, un prezzo d’acquisto relativamente basso e un minore potenziale di rischio e di assuefazione rispetto ad altre sostanze stupefacenti. Si stima che in Italia ci siano circa 6 milioni di persone che hanno consumato cannabis almeno una volta nella vita. Tuttavia, queste stime potrebbero essere calcolate per difetto.

Le politiche proibizioniste non hanno messo solo a rischio la salute pubblica e non hanno impatto nel contrastare il mercato illegale, ma hanno anche severe ripercussioni sul sistema giudiziario e carcerario con ricadute sulla collettività. Secondo la Relazione annuale Antidroga del 2022, nel 2021 le operazioni di polizia finalizzate al contrasto del mercato illegale di cannabis e hashish sono state 10.851. Queste, hanno portato a quasi 70 tonnellate di merce sequestrata, due volte e mezzo di più dei sequestri di cocaina, e a 12.371 denunce, di cui circa la metà sono finite con arresti.

Il Libro Bianco sulle Droghe pubblicato quest’anno riporta che, nel 2021, 10.350 dei 36.539 ingressi in carcere sono stati causati da imputazioni o condanne relative al traffico di stupefacenti, senza però specificarne la tipologia. In totale, su una popolazione carceraria di 54.134 detenuti, quasi il 35% è in carcere per reati relativi alla droga.

Tali dati mettono in evidenza come il problema del sovraffollamento delle carceri sia in parte anche dovuto alla comminazione di pene per reati relativi alle sostanze stupefacenti, spesso reati minori e che hanno a che fare con la cannabis, i quali potrebbero essere evitati con una regolamentazione o con la depenalizzazione della sostanza. A questo c’è da aggiungere che la mancanza di un approccio che si rifaccia alla salute pubblica, criminalizza i cosiddetti tossicodipendenti fuori e dentro le carceri.

A questo si aggiunge la mole di lavoro che grava sulle forze dell'ordine e di sicurezza. Nel 2016, la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNA) aveva formulato un parere su una proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis in Italia. Tra le varie tematiche affrontate, la DNA rilevava che la legalizzazione della cannabis avrebbe potuto liberare risorse umane e finanziarie in diversi comparti della pubblica amministrazione, specie nel settore della giustizia e in quello delle attività delle forze dell’ordine, spesso ingolfati e non efficienti a causa della concentrazione di attività su questi reati. Inoltre, la DNA sottolineava come la legalizzazione avrebbe portato a una perdita economica rilevante per le organizzazioni criminali e, in termini economici, lo Stato avrebbe potuto riscuotere le accise derivanti dalla vendita di prodotti a base di cannabis nel prospetto della vendita regolamentata. Infine, aveva concluso che, a fronte dei deludenti risultati ottenuti dalle politiche repressive, “la legalizzazione della cannabis sarebbe stato un approdo logico e coerente del sistema”.

Le ragioni del centrodestra e la timidezza del centrosinistra

Nonostante tali evidenze, il dibattito italiano sulla legalizzazione della cannabis si fonda ancora su basi ideologiche. Contrariamente a quanto avviene nel centrosinistra, lo schieramento di centrodestra formato da Lega, Fratelli D’Italia e Forza Italia, è compatto sul tema della legalizzazione della cannabis. Sebbene, dal punto di vista comunicativo, le ragioni del centrodestra per contrastare ogni tentativo di depenalizzazione e legalizzazione della cannabis si basino su slogan, come i “No alla droga!” o “La droga è morte” del leader della Lega Matteo Salvini o i toni allarmistici della leader di Fratelli D’Italia Giorgia Meloni, queste portano avanti una serie di notizie false e fallacie logiche che hanno caratterizzato il dibattito sulla legalizzazione della cannabis a livello globale negli ultimi cinquant’anni.

Una delle storiche teorie portate avanti dal centrodestra è l’assunto per il quale la quasi totalità di persone tossicodipendenti ha iniziato il suo percorso con l’assunzione di cannabis. Questa ipotesi, conosciuta anche come Teoria del passaggio (o Gateway Drug Theory) era stata creata negli anni Trenta ed è stata precorritrice delle politiche proibizioniste materializzatesi agli inizi degli anni Settanta, quando Nixon diede ufficialmente il via alla guerra alla droga su scala globale.

Tuttavia, tale teoria non ha mai avuto un riscontro scientifico. Infatti, alcuni studi hanno concluso che ciò che spinge le persone a usare droghe cosiddette “pesanti” non è la cannabis, ma le opportunità individuali e le inclinazioni uniche delle stesse e da come la loro vita è influenzata dalle varie dinamiche sociali ed economiche all’interno dell’ambiente in cui vivono. 

Un’altra fallacia logica perpetrata dal centrodestra è quella di dire che “la droga è morte” quando si parla della legalizzazione della cannabis, ignorando la distinzione tra le cosiddette droghe leggere, come la cannabis, e quelle cosiddette pesanti, come eroina e cocaina. 

Sebbene questa distinzione non avvenga su un piano scientifico dove si parla invece di potenziale di rischio sulla salute, dal punto di vista politico e giuridico questa differenza è consolidata. Basti pensare al governo olandese che applica una netta differenza tra droghe leggere e pesanti nelle sue politiche sulla droga, basandosi sui fattori di rischio, sul grado di dipendenza che queste possono provocare nell’individuo e sull’impatto sulla salute pubblica.

Altre esternazioni pubbliche, come quella della cannabis come droga pericolosa che crea dipendenza, sono coadiuvate da una serie di omissioni. A differenza di alcol e tabacco che sono sostanze nocive sebbene legali, l’uso della cannabis non è stato correlato a nessuna morte per via diretta, sebbene siano note le sue criticità nell’utilizzo e i suoi effetti collaterali. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, l’alcol provoca 17 mila morti ogni anno in Italia, mentre il Ministero della Salute ha attribuito al fumo di tabacco oltre 93 mila morti l’anno.

Per ultimo, i partiti di centrodestra hanno più volte dichiarato, anche attraverso un manifesto contro la droga, che la legalizzazione non sconfigge la mafia.

Questo pensiero si basa su dichiarazioni che non sono mai state fatte dagli anti-proibizionisti, o, che se sono state fatte, sono state riportate in modo erroneo. La legalizzazione della cannabis non sconfigge le mafie, ma le può contenere e indebolire economicamente. Secondo un rapporto di Transcrime, un centro inter-universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale, quasi un quarto dei ricavi dalle sostanze stupefacenti vendute illegalmente dalle criminalità organizzate in Italia proviene dalla vendita illegale di cannabis. Una legalizzazione, che preveda la regolamentazione della vendita di prodotti a base di cannabis a prezzi competitivi con il mercato illegale, toglierebbe ricavi significanti alle organizzazioni criminali. Sebbene queste ultime continuerebbero a vendere cannabis ai minori, i quali sarebbero esclusi dall’accesso al mercato legale, i ricavi derivanti dalle tasse imposte dallo Stato sui prodotti a base di cannabis potrebbero essere utilizzati per programmi di educazione e prevenzione per contenere il consumo di cannabis tra i giovani, così come stanno facendo diversi Stati USA.

Sebbene i partiti di centrodestra manchino di argomentazioni che spieghino i loro punti di vista su base scientifica, dall’altra parte, il centrosinistra, e in particolare Letta, si è spesso smarcato da una presa di posizione netta sulla tematica, sebbene alcuni deputati suoi deputati e altri partiti minoritari dell’area del centrosinistra abbiano dichiarato posizioni favorevoli sulla legalizzazione.

Questa dinamica non ha fatto altro che rinvigorire la narrazione del centrodestra nei confronti di un’opinione pubblica che ha subito per anni una serie di informazioni distorte su cosa sia la cannabis, quali siano i suoi effetti, il suo valore terapeutico e cosa comporti la legalizzazione.  

L’approccio “timido” del PD è sintomo di come il tema possa essere divisivo poiché basato su un piano ideologico. Esporsi direttamente sul tema della legalizzazione della cannabis comporta subire gli attacchi del centrodestra che, sebbene privi di evidenze, influenzano ancora un elettorato ancorato allo stigma sulla cannabis che si è consolidato durante gli anni delle politiche proibizioniste.

Ideologia contro ragione

Tuttavia, queste dinamiche basate su assunti ideologici stanno facendo posto a un nuovo modo di procedere nel dibattito pubblico sulla legalizzazione. Per esempio, negli Stati Uniti, anche i Repubblicani hanno proposto una legge sulla legalizzazione della cannabis a livello federale.

Attualmente, gli occhi degli esperti delle politiche sulle droghe sono puntati su quello che sta succedendo in Germania, dove la nuova coalizione di governo ha appena avviato un iter per legalizzare la cannabis per scopi ricreativi, compresa la sua vendita. La protezione dei minori e la salute pubblica sembrano essere i pilastri su cui si poggerà il disegno di legge previsto entro la fine di quest’anno, che si baserà sullo studio delle evidenze scientifiche e delle dinamiche economiche e sociali e su una serie di audizioni con centinaia di esperti in diversi campi. Tale approccio è risultato vincente anche per diversi Stati USA e per il Canada dove, prima di emanare le leggi, sono stati prodotti e consultati relazioni e documenti sull’impatto della legalizzazione sulla società.

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Negli ultimi anni, la legalizzazione della cannabis in alcuni Stati USA ha scatenato un effetto domino nel paese, sebbene la cannabis sia ancora illegale a livello federale. Un effetto simile potrebbe verificarsi anche in Europa se la Germania dovesse legalizzare la cannabis, anche se con dinamiche differenti a causa della frammentazione socio-economica del continente.

In Europa, Svizzera, Paesi Bassi, Lussemburgo e Portogallo stanno portando avanti progetti pilota o proposte di legge che metterebbero fine alla criminalizzazione della cannabis. Anche diverse organizzazioni non governative internazionali, come Human Rights Watch, hanno iniziato a pressare vari governi, come quello degli Stati Uniti e quello messicano, per arrivare a una legislazione che salvaguardi i vari diritti umani. 

Immagine in anteprima via pulj.org

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