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Ma davvero Cambridge Analytica ha manipolato il voto usando i dati online degli utenti?

6 Aprile 2018 16 min lettura

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Ma davvero Cambridge Analytica ha manipolato il voto usando i dati online degli utenti?

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di Francesca Amenduni

In seguito alle vicende delle ultime settimane che hanno messo sotto accusa Facebook per l’incapacità di tutelare la privacy dei suoi utenti, l’interesse per l’impatto della metodologia di Cambridge Analytica sui risultati elettorali di Donald Trump e della Brexit sembra essersi riacceso: i metodi di Cambridge Analytica rappresentano una minaccia per la democrazia? Quanto sono stati efficaci i messaggi personalizzati sulla base delle caratteristiche di personalità, che qualcuno ha definito i “demoni interni” dell’elettorato americano? C’è il rischio di una manipolazione di massa dell’elettorato da parte di agenzie di comunicazione politica?

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Per rispondere a queste domande, in moltissimi articoli si è fatto ricorso a diverse tipologie di fonti: le dichiarazioni contraddittorie da parte dei vertici di Cambridge Analytica, opinioni di ex clienti dell’agenzia, catastrofiche dichiarazioni da parte degli ex impiegati dell’agenzia inglese, argomentazioni di carattere teorico formulate da prestigiosi esponenti accademici ed evidenze delle ricerche sperimentali. In questo articolo si cercherà di rispondere alle incognite relative all’efficacia del metodo proposto da Cambridge Analytica, chiarendo quali siano le evidenze a disposizione e operando una distinzione tra le opinioni, le argomentazioni di carattere teorico e i risultati di studi scientifici.

Su quali fonti si è basato il dibattito sino ad oggi?

Prima di rispondere alle domande relative all’efficacia del metodo di Cambridge Analytica, è utile operare una distinzione sulle fonti che verranno prese in esame:

Opinioni. Sono state riportate diverse testimonianze, in particolare quelle basate sull’esperienza degli ex clienti di Cambridge Analytica. Sebbene le opinioni siano ampiamente prese in considerazione nelle scienze sociali, quando trattate in isolamento ci dicono poco sull’efficacia di un intervento. Ad esempio, nel caso delle opinioni di un cliente di un’agenzia di comunicazione politica, potrebbero interferire alcuni bias: aspettative irrealistiche, profezie auto-avveranti, scetticismo, mancata comprensione della metodologia e attribuzione di responsabilità all’esterno (se ho fallito, è stata colpa dell’agenzia). Per quanto riguarda opinioni e argomentazioni basate su teorie abbiamo usato come fonte l'articolo "The big data panic" pubblicato da Felix Salmon su Medium.

Argomentazioni basate su teorie. Evidenze non empiriche, basate sulla logica ossia l’interconnessione tra teorie e risultati di studi precedenti. Queste argomentazioni consentono di formulare delle ipotesi, da sottoporre al vaglio di una ricerca scientifica.

Evidenze empiriche. Sono i risultati di ricerche scientifiche, ricavati attraverso dei protocolli progettati per ridurre l’effetto degli errori sistematici (ad esempio tramite tecniche di campionamento, l’uso della statistica e così via).

Le 4 principali questioni su cui verte il dibattito

Le criticità inerenti al metodo di Cambridge Analytica riguardano le diverse fasi del processo, che Alexander Nix, amministratore delegato di Cambridge Analytica, descrisse durante il Concordia Summit del 2016 negli Stati Uniti. Il CEO dichiarò di poter creare contenuti cuciti su misura basandosi sul profilo di personalità, orientamento politico, religioso ed etnia di ogni singolo elettore. Nix in quell’occasione non spiegò, però, in che modo Cambridge Analytica era entrata in possesso dei dati sensibili di gran parte dell’elettorato americano.

In un’inchiesta del Guardian del 2015 fu reso noto che l’agenzia aveva ricavato quei dati tramite un’applicazione di Facebook (nelle scorse settimane è emerso che si chiamava “thisisyourdigitallife”) sviluppata da Aleksandr Kogan, docente dell’università di Cambridge. I 320.000 utenti che scaricarono l’App risposero alle domande di un test di personalità, che permetteva a Kogan di conoscere i livelli di estroversione, apertura alle nuove esperienze, stabilità emotiva, coscienziosità e piacevolezza, ossia i 5 tratti fondamentali del modello Big 5. Un’impostazione di Facebook, nota come “friend permission”, consentiva agli sviluppatori di accedere non solo ai profili di chi scaricava l’app ma anche ai dati di tutti i loro amici e ciò permise a Kogan di accedere alle informazioni di 87 milioni di utenti (si tratta, ha specificato Facebook, di un calcolo per eccesso utilizzato per capire il possibile numero di utenti coinvolti) che non avevano scaricato l’App e che includevano tutto ciò che può essere condiviso all’interno di un profilo di Facebook: Like, immagini, link, contenuti testuali e così via. Facebook nel 2015 decise di rimuovere la funzione “friends permissions”, di eliminare l’App di Kogan e richiese a Cambridge Analytica di cancellare tutti i dati da loro raccolti. Tutta la vicenda è riesplosa nei giorni scorsi con le confessioni a The Observer e New York Times dell'ex dipendente di Cambridge Analytica, Christopher Wylie, che avrebbe dichiarato che la società era ancora in possesso dei dati e di averli usati per le campagne elettorali di Donald Trump e della Brexit. Ipotesi negate da Cambridge Analytica.

Per comprendere dunque se il metodo di Cambridge Analytica abbia avuto un impatto nelle elezioni in cui è stata coinvolta, è necessario sapere se tutti i passaggi della metodologia funzionano.

1. È possibile ricavare un profilo di personalità attendibile attraverso le impronte digitali ("Like" di Facebook, Post, Tweet e così via)?

Per creare dei contenuti persuasivi, la strategia dichiarata da Cambridge Analytica è personalizzare il messaggio elettorale combinando i dati socio-anagrafici (sesso, etnia, religione, orientamento politico) con le caratteristiche di personalità dell’elettore. Sia i dati socio-anagrafici che i dati psicologici furono raccolti tramite l’App sviluppata da Kogan thisisyourdigitallife attraverso due principali modalità: le risposte alle domande di un test di personalità e l’incrocio di una molteplicità di impronte digitali ("Like" di Facebook, immagini, link).

Gli utenti che scaricarono l’App di Kogan risposero alle 120 domande di un questionario che si chiama IPIP-NEO, la versione online e open-source del test del Big 5. Ricerche empiriche mostrano che il questionario possiede buone proprietà psicometriche e questo implica che Kogan disponesse di dati accurati riguardo il profilo di personalità dei 320mila utenti Facebook che scaricarono l’app.

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Per quanto riguarda gli amici di chi scaricò l’app invece, Kogan adoperò un procedimento statistico chiamato analisi fattoriale, una tecnica che consente di estrapolare un numero ridotto di tratti latenti (ad esempio, i cinque tratti di personalità del modello Big 5) partendo da una moltitudine di variabili direttamente osservabili (i "Like" di Facebook, ad esempio). Una volta estrapolati i tratti di personalità attraverso l’analisi fattoriale, Kogan avrebbe potuto continuare a utilizzare e implementare il modello persino nel caso in cui Cambridge Analytica avesse davvero cancellato i dati grezzi di Facebook. Come spiega Matthew Hindman, professore della George Washington University, è come se una foto in alta risoluzione venisse convertita in una qualità più bassa, per poi essere cancellata: l’immagine continuerebbe a esistere, seppur in una versione semplificata. Su quanto l’analisi fattoriale abbia permesso a Cambridge Analytica di ricavare dati utili emerge una prima contraddizione tra evidenze empiriche e dichiarazioni di due protagonisti della vicenda, Kogan e Nix, rilasciate il 20 marzo, pochi giorni dopo lo scoppio dello scandalo di Facebook.

Il famoso articolo di Kosinski e Stilwell del 2013 fu il primo studio scientifico a osservare che attraverso i like di Facebook fosse possibile conoscere i tratti di personalità degli utenti con una soddisfacente accuratezza. Una conferma a tali evidenze è arrivata da una recente meta-analisi, che ha confrontato 24 studi inerenti la valutazione della personalità di un’utente attraverso l’analisi delle sue impronte digitali (immagini, testi, like): i ricercatori osservarono che le tracce digitali possono essere utilizzate per ricavare i tratti di personalità con un’accuratezza che varia da 0,29 per il tratto di personalità piacevolezza a 0,40 per l’estroversione. Questi valori corrispondono ad un indice conosciuto come “coefficiente di personalità” che descrive la forza predittiva della personalità sui comportamenti in genere come ad esempio il divorzio e il successo lavorativo. La meta-analisi riporta, inoltre, che, combinando le tracce digitali con dati demografici, la precisione della previsione aumenta.

In contraddizione con i risultati di questi studi, arriva una dichiarazione che Kogan rilascia per la CNN, in cui spiega che il modello adoperato non aveva funzionato granché bene e un’altra di Nix per la BBC, durante la quale in maniera sorprendente afferma “non siamo d’accordo con la maggior parte di coloro che decantano la potenza dei dati da noi impiegati. Abbiamo testato molti modelli e, quando abbiamo scoperto che i dati non erano utili, ci siamo mossi su percorsi differenti”. Tuttavia, ad oggi, le dichiarazioni di Kogan e Nix non possono essere verificate in quanto non è stato pubblicato alcuno studio scientifico basato sui dati raccolti tramite thisisyourdigitallife. Inoltre, come nota Matthew Hindman, professore della George Washington University, chiunque sarebbe pronto a sottostimare il suo contributo nel bel mezzo di uno scandalo di così alta portata.

Per personalizzare un messaggio elettorale, conoscere la personalità di qualcuno non è sufficiente ed uno dei dati più importanti da ricavare è indubbiamente l’orientamento politico. Nell’articolo del 2013 di Kosinski e colleghi, venne riportato che i "Like" di Facebook possono essere utilizzati per ricavare con l’85% di accuratezza informazioni sull’orientamento al partito democratico o repubblicano. A differenza da quanto riportato da Felix Simon su Medium come prova dell’inconsistenza del modello di Cambridge Analytica, l’agenzia non utilizzò i profili di personalità per anticipare l’orientamento politico (infatti, la relazione tra personalità e orientamento politico è solo del 5%) ma adoperò le impronte digitali degli utenti Facebook.

2. Personalizzare il messaggio sulla base della personalità rappresenta una strategia efficace per influenzare il comportamento d’acquisto?

L’idea di personalizzare il messaggio elettorale combinando i dati socio-anagrafici (sesso, etnia, religione) con le caratteristiche di personalità dell’elettore è stata probabilmente ispirata dagli studi dei ricercatori di Cambridge che hanno applicato il metodo nella vendita di prodotti commerciali.

Fig. 1 Esempi di messaggi pubblicitari personalizzati per persone con alta e bassa estroversione (A) e alta e bassa apertura alle nuove esperienze (B)

Nella pubblicazione del 2017, che incluse tre esperimenti effettuati su un campione di 3,5 milioni di persone, Kosinski e i colleghi di Cambridge osservarono che messaggi pubblicitari personalizzati sulla base del profilo di personalità influenzavano in maniera significativa il comportamento degli utenti. In uno dei tre studi, i ricercatori personalizzarono i messaggi pubblicitari di un’azienda di cosmetici suddividendo il target in donne estroverse (energiche, attive, socievoli) e introverse (timide, riservate, taciturne). Per i profili estroversi vennero progettati una decina di messaggi come, ad esempio, “balla come se nessuno ti stesse guardando (anche se in realtà sei sotto gli occhi di tutti)”, e lo stesso fu fatto per i profili introversi (fig. 1). I risultati mostrano che i gruppi che ricevettero messaggi coerenti rispetto al profilo di personalità cliccavano il 40% delle volte in più sui banner pubblicitari e portavano a termine l’acquisto il 50% delle volte in più rispetto al gruppo di controllo e alla controparte che riceveva messaggi incoerenti. Sebbene le evidenze riportate da questi studi siano solide, l’efficacia di una strategia di marketing applicata ai prodotti non può essere estesa alla comunicazione elettorale, in quanto la scelta di un candidato o di un fondotinta si basano su processi decisamente diversi.

3. Dunque, personalizzare il messaggio sulla base della personalità è una strategia efficace per influenzare il comportamento elettorale?

Il targeting mirato è stato impiegato in politica per la prima volta da Barack Obama sia nella campagna elettorale del 2008 sia nel 2012. Secondo le opinioni di alcuni accademici, tra cui Bruce Newman, tale strategia fu decisiva per il successo elettorale di Obama. In un’intervista del 2016, Newman spiega: “Esaminando ciò che successe nel 2012, per esempio, vediamo che Obama raggiunse la maggioranza sul voto popolare con il 3% di margine, mentre sul Collegio Elettorale ottenne un vantaggio di circa il 30%. Ciò è accaduto perché il micro-targeting e i big data sono stati impiegati per inviare messaggi personalizzati all’elettorato, lo stesso meccanismo del marketing di un prodotto o di un servizio”.

Tuttavia, non vi sono ad oggi studi sperimentali a supporto della tesi di Newman. Cambridge Analytica avrebbe aggiunto un nuovo ingrediente alla ricetta adottata da Obama: utilizzare non solo i dati socio-anagrafici, ma anche i profili di personalità dell’elettorato americano per creare messaggi personalizzati. Molti articoli recenti, hanno reagito con scetticismo alle dichiarazioni riportate da Wylie in un’intervista per The Guardian: “Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere i profili di milioni di persone e costruito modelli per sfruttare ciò che sappiamo di loro e colpire i loro demoni interiori”. Per destrutturare “la narrativa dell’onnipotenza” di Cambridge Analytica, sono state riportate, sino ad oggi, le opinioni dei protagonisti di questa vicenda e le argomentazioni dei docenti universitari basate su teorie.

Opinioni

Un articolo su The Verge cita Tom Dobber, dottorando dell’Università di Amsterdam: “non sappiamo quanto sia efficace una strategia di micro-targeting basata sulla psiche. Penso che Cambridge Analytica sia più una compagnia di marketing che di analisi del elettorato”. Secondo The Verge, ci sarebbero buone ragioni per credere a Dobber: in particolare, le testimonianze degli ex clienti di Cambridge Analytica, riportate anche da Medium e da MotherJones, ridimensionano drasticamente l’impatto di Cambridge Analytica sulla vittoria di Donald Trump.

Rick Tyler, consulente della comunicazione del senatore Ted Cruz, spiegò, ad esempio, che più della metà dei votanti dell’Oklahoma, identificati dall’agenzia come supporter di Cruz, si orientarono verso altri candidati. Inoltre, Cambridge Analytica promise di fornire a Chris Wilson, direttore della strategia digital di Cruz, un software in grado di integrare la gestione del database degli elettori con le strategie di micro-targeting, porta a porta, raccolta fondi e sondaggi. In realtà, al momento delle trattative tra Cambridge Analytica e Wilson, il software non era ancora stato finalizzato. Dopo ripetute richieste da parte di Wilson sul software, un impiegato di Cambridge Analytica ammise: “Ripon (ndr, il software) non esiste e non esisterà mai. Ho deciso di dare le dimissioni perché non posso più sopportare di mentire ogni giorno”. Il team Cruz non è stato l’unico a manifestare insoddisfazione. Anche la squadra di Ben Carson lamentò degli errori grossolani nell’acquisto di spazi pubblicitari televisivi da parte della compagnia inglese. Inoltre, pochi sanno che anche Brad Parscale, capo della strategia Digital di Donald Trump, dichiarò in un’intervista a 60 Minutes che lui non credeva che il metodo psicografico di Cambridge Aanalytica fosse efficace.

Della stessa opinione è stato Mike Murphy, capo del comitato politico “Right to rise”, secondo il quale credere nella possibilità di reinventare la persuasione politica con la psicografica sarebbe stato un ridicolo atto di fede.

Un altro elemento che desterebbe dei sospetti sulla metodologia di Cambridge Analytica proviene da un’inchiesta di Channel 4 pubblicata il 19 marzo in cui Alexander Nix, CEO dell’agenzia, fu video-ripreso a sua insaputa durante una conversazione con un inviato. Durante la trattativa con il potenziale cliente, Nix propone una formula molto lontana dall’analisi psicografica dei Big Data: iniettare propaganda nel flusso sanguigno di internet, divulgare video dei rivali mentre accettano tangenti o frequentano bellissime ragazze ucraine.

Argomentazioni dei docenti universitari basate su teorie

Anche molti accademici hanno ridimensionato l’impatto di Cambridge Analytica e, più in generale, la possibilità di utilizzare la personalità per influenzare il comportamento di voto.

In accordo con la tesi di Eitan Hersh, professore di scienze politiche presso la Tufts University, proposta in un celebre libro del 2015, “Hacking the Electorate”, l’impiego dei dati provenienti da Internet non sarebbe in grado di fornire alcun vantaggio ulteriore rispetto alle informazioni reperibili in archivi pubblici. Secondo l’autore, le scoperte più recenti riguardo la psicografica non sono tali da costringerlo a pubblicare una versione aggiornata del suo libro, come evidenzia in un suo tweet.

La posizione di Hersh è argomentata in modo più chiaro in un articolo di The Verge in cui il professore spiega come non sia possibile affidarsi ai "Like" di Facebook per l’anticipazione del comportamento in quanto ciò che piace alla gente tende a modificarsi nel tempo. In secondo luogo, il micro-targeting funzionerebbe meglio per messaggi semplici (per un prodotto commerciale o un emendamento), ma durante una campagna elettorale è necessario condividere un gran numero di informazioni di natura complessa.

Inoltre, anche la migliore strategia di micro-targeting presenta una probabilità di non centrare il bersaglio, e la mancata corrispondenza tra il contenuto del messaggio e le caratteristiche del ricevente rischia di generare un effetto controproducente, come riportano le ricerche di Hersh.

Infine, persuadere le persone a compiere determinate scelte elettorali dipende fortemente dal contesto. È più semplice mobilitare gli elettori che sono già in parte favorevoli a votare un certo candidato piuttosto che persuadere qualcuno a cambiare idea sulla scelta del futuro presidente degli Stati Uniti. Dunque, se la psicografica e il micro-targeting possono influenzare il comportamento d’acquisto dei prodotti, ciò non vale necessariamente anche per la scelta elettorale in quanto l’orientamento politico costituisce un fondamento per l’identità di molte persone, difficile da manipolare.

Come Hersh, Daniel Kreiss, professore dell’Università del North Carolina a Chapel Hill, crede che ci siano diverse ragioni per essere scettici sull’efficacia della metodologia di Cambrdige Analytica. Secondo Kreiss, a prescindere dal metodo impiegato, la persuasione politica può spostare pochissimi voti in quanto parte dell’elettorato è già politicamente orientato. Le campagne di comunicazione politica, rispetto ad altre variabili, hanno davvero poco potere, come diversi studi hanno mostrato.

Jessica Baldwin-Philippi, professoressa della Forham University spiega: “Nessuno può valutare con esattezza l’efficacia di un qualsiasi tipo di strategia politica, e in più le tecniche proposte da Cambridge Analytica non sono ancora state testate empiricamente”. In accordo con quanto riportato da Hersh, Baldwin Philippi afferma che ad oggi i dati più sicuri su cui basare una campagna elettorale sono reperibili dai censimenti e, dunque, il mito della “psicografica” sarebbe principalmente un’esca per i clienti.

Rasmus Kleis Nielsen nota che, essendo Cambridge Analytica una compagnia privata for-profit, sia assurdo trattare dichiarazioni fatte nei loro interessi economici come evidenze dell’efficacia del metodo. Nielsen aggiunge che diverse forme di micro-targeting possono essere utili per le campagne elettorali, ma gli effetti non dovrebbero essere sovrastimati. “Non è una pallottola d’argento e non è un fattore decisivo nel risultato elettorale”. Nielsen fa riferimento ad una delle prime teorie della comunicazione massmediatica, conosciuta come teoria dell’ago ipodermico o del proiettile invisibile. Tali modelli, sviluppati durante i regimi totalitari, suggerivano che un certo messaggio raggiungesse la mente di un ricevente a discapito della sua consapevolezza, influenzandone il comportamento. La teoria è stata negli anni notevolmente revisionata e oggi la comunicazione è concepita come un processo polisemantico per cui il ricevente può interpretare in diversi modi un messaggio, anche se progettato scientificamente dal mittente. Come spiega Felix Salmon su Medium, "se un messaggio mirato vuole spingere Enrica Rossi ad astenersi, non significa che Enrica interpreti il messaggio per quello che è il suo obiettivo (o comprenderlo e riconoscerlo del tutto - come suggerisce Russell Neuman, siamo sorprendentemente buoni a ignorare la pubblicità e la propaganda). Se anche Cambridge Analytica fosse stata efficace, come sosteneva, nel rivolgersi a individui specifici con contenuti cuciti su misura, ciò non significa che abbia avuto alcun effetto significativo".

4. Cambridge Analytica è stata la prima ad adoperare strategie psicologiche all’interno delle reti digitali per influenzare il comportamento degli utenti?

Cambridge Analytica non è stata la prima ad aver tentato di adoperare la psicologia per influenzare il comportamento attraverso i social network.

Nel 2012 alcuni fu condotto uno studio su un campione di 70.000 profili Facebook per esaminare il fenomeno del contagio emotivo, ossia il trasferimento di uno stato emotivo da una persona ad un’altra. I ricercatori si chiesero se il fenomeno, ampiamente riconosciuto nelle relazioni interpersonali faccia a faccia, fosse generalizzabile all’interno dei network digitali. Per una settimana, il newsfeed degli utenti fu manipolato in modo da mostrare a metà del campione solo contenuti tristi e all’altra metà solo contenuti allegri. Lo studio, pubblicato nel 2014, mostrò che, seppur con un effetto statisticamente molto basso, gli utenti tendevano a condividere contenuti con una connotazione emotiva coerente rispetto all’umore del proprio newsfeed. Lo studio sollevò una polemica circa le ripercussioni di carattere etico, mettendo in secondo piano la presenza di un effetto di contagio emotivo molto basso.

Ancora, nel 2012 fu pubblicato su Nature il primo studio ad aver dimostrato che il mondo online può influenzare in maniera significativa il comportamento delle persone su larga scala. Secondo i ricercatori, che condussero lo studio su 61 milioni di utenti dei social network, circa 340.000 persone in più votarono alle elezioni degli Stati Uniti del 2010 grazie ad una specifica tipologia di messaggio diffuso tramite Facebook. Nello specifico, i ricercatori osservarono che gli amici più stretti esercitavano un’influenza quattro volte superiore sul comportamento di voto rispetto agli altri collegamenti su Faceboook. Secondo gli autori, ciò poteva essere spiegato perché i legami forti generano processi di influenza e costruzione dell’identità sociale. I meccanismi psicologici riportati dallo studio del 2012 sono evidentemente ben lontani dall’idea di personalizzare il messaggio elettorale sulla base delle caratteristiche di personalità.

Se ci sono così poche evidenze riguardo il reale effetto delle strategie di Cambridge Analytica, perché stiamo avendo ancora questo dibattito?

Per Russell Neuman, professore di Media Technology, questo dibattito è il frutto di un sentimento di rifiuto nei confronti dell’avanzamento dirompente delle tecnologie e del terrore ancestrale della manipolazione di massa. Inoltre, il modus operandi giornalistico tenderebbe a privilegiare narrative sensazionalistiche e a cavalcare la cresta dell’onda di una notizia. Infine, per il docente si tratterebbe del classico dibattito conseguente alla vittoria di un candidato improbabile, che può essere tollerata solo attribuendo tutta la responsabilità al “deus ex machina”, cadendo così nel bias per il quale un avvenimento viene spiegato da un unico fattore piuttosto che da una serie di concause.

Sebbene, ad oggi, non vi siano evidenze che la profilazione di Cambridge Analytica abbia sortito un effetto nelle elezioni del 2016, il dibattito è in parte frutto di una presa di consapevolezza circa la velocità dell’avanzamento tecnologico, che procede in maniera più rapida rispetto alla ricerca svolta dalle università e rispetto alle risposte che i policy makers riescono fornire. Secondo David Carroll, docente della Parsons School di Design a New York, è plausibile immaginare che in futuro verranno sviluppate tecnologie in grado di raccogliere molte più informazioni su di noi rispetto a quelle che è possibile reperire oggi. Lo scenario peggiore è che le tecnologie di elaborazione di dati sensibili vengano combinate con la generazione automatica di contenuti persuasivi, non solo testi ma anche immagini, audio e video, come riportato dal rapporto sulla manipolazione politica dell’European Data Protection Supervisor.

Dunque, è plausibile che i servizi di Cambridge Analytica siano stati sovrastimati. D’altro canto, in assenza di evidenze empiriche, non si dovrebbe correre il rischio di sottostimare l’impatto del micro-targeting e della psicografica. Sarà possibile quantificare l’efficacia solo se i dati raccolti dalla compagnia inglese verranno messi a disposizione di ricercatori indipendenti in grado di studiare il fenomeno con metodologie adeguate.

Immagine in anteprima via blog.ecostampa.it

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