“Buona scuola”: tutti i punti critici della riforma
7 min letturaArticolo in partnership con i quotidiani locali del gruppo Espresso.
Passerà alla storia come uno dei Ddl più rimaneggiati dell'Italia repubblicana. Quello sulla "Buona Scuola", la riforma scolastica che dovrebbe essere una sorta di manifesto del nuovo corso renziano, vanta già innumerevoli cambiamenti in corso d'opera. Doveva ad esempio essere un decreto legge, ma si è trasformato in disegno; doveva eliminare per i docenti gli scatti di anzianità, per erogare solo ed esclusivamente aumenti di stipendio in base al “merito”, ed invece gli scatti di anzianità rimarranno. Ma il testo finale che domani inizia il suo percorso parlamentare presenta criticità e parti non chiare che rischiano di comprometterne la pretesa riformatrice.
Il "preside sceriffo"
Il centro della riforma renziana è costituito dalla figura del nuovo dirigente scolastico (il Preside, per intenderci). Secondo il DdL, sarà lui a scegliere gli insegnanti che dovranno prestare servizio della sua scuola. Il come, però, non manca di suscitare qualche dubbio. Non solo fra gli insegnanti ma anche fra gli stessi dirigenti.
Attualmente il dirigente scolastico deve limitarsi ad accettare nella sua scuola gli insegnanti che provengono dalle graduatorie. Sono i docenti che scelgono una rosa di sedi dove chiedere di entrare in ruolo, o essere trasferiti da altre cattedre precedenti, e ottenere le sedi desiderate per punteggio, stabilito sulla base dell'anzianità di servizio, e dei titoli posseduti (abilitazione per concorso, corsi di formazione riconosciuti, scuole di specializzazione), cui si aggiungono punteggi speciali (per i figli piccoli, avvicinamento alla famiglia, necessità di assistere parenti invalidi o invalidità del richiedente).
Una volta approvata la riforma, i docenti che verranno assunti a partire dal 2015, assieme a quelli già di ruolo che vorranno chiedere trasferimento o che perdano la cattedra nell'istituto in cui l'avevano precedentemente perché c'è stato un calo di iscrizioni e sono calate le classi, finiranno in un albo regionale o provinciale, in cui i dirigenti potranno liberamente scegliere chi ritengono più opportuno. Salterà quindi ogni punteggio di anzianità: i docenti verrano scelti solo in base al curriculum, che il dirigente valuterà a sua discrezione. Infatti il collegio dei docenti potrà indicare alcuni criteri base per l'individuazione degli insegnanti più adatti, ma tale organo avrà comunque funzione solo consultiva.
I trasferimenti fra gli istituti diverranno molto più complicati, da tutti i punti di vista, e addirittura improbabili quelli interprovinciali o interregionali: se oggi un docente X che voglia cambiare scuola o provincia può tentare ogni anno di fare domanda, contando sul fatto che prima o poi il suo punteggio di anzianità sarà tale da consentirgli di ottenere il trasferimento, con la riforma potrà solo restare in lista nell'albo, sperando che prima o poi un dirigente lo noti, cosa che potrebbe anche non accadere mai.
Se da un lato la riforma consentirà al dirigente di “ritagliarsi” o costruirsi una propria squadra di docenti, introduce però un forte margine di discrezionalità nella scelta: docenti con lunga anzianità di servizio potrebbero trovarsi sorpassati da colleghi più giovani; inoltre il fatto di iscriversi ad un albo regionale o provinciale e non poter più scegliere la sede in pratica non garantirà al docente neoassunto o che vuole trasferirsi di ottenere una sede per lui comoda, o di finire mai nella scuola desiderata.
I docenti così assunti, inoltre, avranno un contratto per tre anni, rinnovabile. Non è chiaro cosa succeda però se il contratto triennale non verrà rinnovato allo scadere del termine: rientreranno negli albi provinciali e dovranno sperare che un'altra scuola li chiami? E se non ci fossero più cattedre libere per la loro materia quell'anno o in quelli successivi? E se alla fine nessuna scuola li chiamasse e loro fossero già di ruolo, dove e come verranno impiegati?
Ugualmente non chiaro è come avverranno le selezioni: il dirigente dovrebbe considerare i curricoli di tutti i presenti in graduatoria, ed eventualmente sottoporli ad un colloquio. Ma contando che le graduatorie potranno essere formate anche dai centinaia di nomi per ogni classe di concorso, sostenere decine o addirittura centinaia di colloqui potrebbe costringere i dirigenti a sospendere ogni altra attività per mesi, senza contare poi i problemi legali che scaturirebbero per eventuali ricorsi degli scartati. La scelta poi del docente potrebbe risultare macchinosa: ora, siccome è il docente a far domanda per le varie scuole e metterle in ordine di preferenza, la scelta avviene automaticamente e il docente non può poi rifiutare la scuola in cui viene assegnato. Ma con gli insegnanti iscritti ad un albo, la faccenda cambia: il Dirigente dell'istituto X, infatti, potrebbe, a seguito della lettura del curriculum, scegliere come suo candidato ideale il professor Rossi, ma il professor Rossi potrebbe a quel punto declinare perché ha già accettato l'offerta del Dirigente Scolastico dell'istituto Y, che gli piace di più o gli è più comodo. Al che il povero Dirigente X si troverebbe di nuovo con la cattedra scoperta e dovrebbe in fretta e furia ripiegare su un docente che non è di sua scelta, ma è l'unico rimasto disponibile.
Si rischia di creare una disparità fra insegnati: infatti quelli assunti prima del 2015 ed entrati in ruolo, se non chiedono trasferimento o cambio di cattedra, potranno mantenere la titolarità nell'istituto in cui sono: tutti gli altri no, potrebbero trovarsi a diventare docenti “nomadi” costretti a cambiare sede ogni tre anni.
L'organico funzionale
Il dirigente dovrà predisporre un piano triennale in cui prevede il numero di docenti di cui avrà bisogno nella sua scuola, e che entreranno nell'organico funzionale, i cui compiti però nel decreto risultano piuttosto vaghi. L'idea è che dovrà aiutare a tamponare le assenze degli insegnanti delle classi, anche se non è bene chiaro come. Per le supplenze brevi, infatti, fino a 10 giorni, è previsto che debbano essere coperte con personale interno, anche senza tener conto del grado di scuola di appartenenza. Il che vuol dire che in un istituto comprensivo con materne, elementari e medie, in caso di assenza del professore di matematica alle medie il collega maestro alle elementari o alla materna potrebbe essere mandato in classe a fare supplenza, e viceversa. Non è ben chiaro come una maestra elementare di italiano potrebbe coprire per una decina di giorni le ore di un professore di tecnica delle medie, se non limitandosi a sorvegliare la classe, senza però garantire ore effettive di lezione, né quale qualità potrebbe garantire un professore di matematica mandato a supplire una insegnante della materna e del tutto ignaro di come si lavora con bambini di quattro anni.
Per le supplenze più lunghe non appare semplice determinare come si potrà fare. Il dirigente, infatti, per quanto accorto, non può prevedere nel 2015, all'atto di fare il piano triennale, che nel 2017 l'insegnante di musica andrà in maternità o quello di arte dovrà rimanere assente per due mesi per motivi di salute; a meno che nell'organico funzionale, per puro caso, non abbia previsto di assumere un collega di tecnica o di musica che sarà però già oberato di altri mille incarichi, non si capisce come potrà evitare di chiamare un supplente temporaneo. Il fatto che le scuole potranno consorziarsi in rete non garantisce nulla: infatti il docente di tecnica in servizio nella scuola A avrà comunque già una serie di ore in quella, e anche se chiamato dalla scuola B per supplire un assente, non è detto che riesca a farlo incastrando le ore con quelle che già ha occupate.
Chi fa parte dell'organico funzionale dovrebbe anche servire ad ampliare l'offerta formativa con corsi di potenziamento. Anche qui non è chiaro se in ore curriculari o extra, e che fine farebbero i corsi nel caso in cui il docente debba essere improvvisamente impiegato per supplire colleghi assenti per lunghi periodi.
Ancora più problematica è la facoltà data ai dirigenti di affidare gli insegnamenti di alcune materie a docenti che abbiano l'abilitazione per “materie affini”: visto che uno dei punti fondamentali della riforma era l'idea che solo chi ha superato il concorso pubblico può entrare in ruolo, come può poi un dirigente assegnare ad un docente l'insegnamento di una materia per cui non ha vinto il concorso, solo perché “affine”? Il Ddl prevede inoltre che il dirigente possa contattare e offrire di far parte dell'organico funzionale anche a insegnanti di ruolo in altre scuole. Anche qua non è ben chiaro come: con un part time? O cercando di convincerli a trasferirsi nel suo istituto? E se sì, con quali mezzi? È ovvio che non potrà offrire apertamente, come per esempio, si fa nel privato, maggiorazioni stipendiali. E allora, come? Il rischio è che nasca un vero far west, con Dirigenti che fanno promesse a docenti che “interessano” o riservano loro trattamenti di favore, mentre gli altri sono lasciati al palo.
Il problema del merito
L'altro cardine della riforma è che gli insegnanti saranno valutati in base al “merito”. Concetto molto affascinante, ma che non è chiaro a che cosa corrisponda e in che modo sarà possibile valutare. Come è già stato fatto notare da alcuni esperti, la riforma renziana è infatti carente dal punto di vista della didattica: non ci sono chiare indicazioni di cosa o come si dovrebbe insegnare efficacemente. Il merito degli insegnanti dovrebbe consistere soprattutto nella loro capacità di insegnare bene: ma per ora gli unici mezzi a disposizione sono i test invalsi, che però coprono soltanto matematica e italiano, e un sistema di valutazione di istituto che è tutto da costruire.
In mancanza di altro, il merito degli insegnanti pare ridursi alla loro disponibilità a svolgere compiti extra a scuola, come collaboratori del dirigente o per corsi pomeridiani di potenziamento o recupero.
Pare che saranno anche rese obbligatorie 50 ore l'anno non retribuite di formazione per i docenti. Ma anche qua, non essendo chiaro come saranno organizzate e su cosa dovrebbe vertere l'aggiornamento, non è dato sapere se avranno delle ricadute pratiche reali, e il rischio è che fioriscano una serie di corsi di dubbio valore offerti agli istituti o peggio proposti ai docenti che se li dovranno pagare di tasca propria per assolvere agli obblighi di legge.
Ogni docente inoltre potrà godere di un bonus di 500 euro per i consumi culturali. Anche qua non è chiaro né come verranno erogati né in base a quali criteri o pezze giustificative saranno dati i rimborsi.
Dubbi anche sulla quantità degli aumenti in busta paga legati al merito: i calcoli variano di molto: se si deciderà di premiare una ristretta rosa di pochi collaboratori del dirigente si potrebbe anche arrivare all'aumento di qualche centinaio di euro per i docenti “prescelti”, che però saranno uno o due per istituto; se invece si vorrà allargare a tutti, gli aumenti rischiano di ridursi ad una sessantina o addirittura una ventina di euro al mese in più dopo tre anni in cui si è dovuto fare di tutto e di più. Pochi per giustificare un impegno così gravoso come quello richiesto.
La riforma così impostata, inoltre, è già a forte rischio ricorsi: qualche anno fa la Corte Costituzionale, per esempio, bocciò una legge regionale della Lombardia che voleva dare ai dirigenti la potestà di scegliere i docenti. Sindacati ed associazioni hanno già annunciato ricorsi in base a questa sentenza, oltre a quelli che promettono tutti coloro che dovessero venire “scartati” alle selezioni dai Dirigenti. Si rischia insomma che le aule in cui più si discuterà della riforma renziana non siano quelle scolastiche, ma quelle di tribunale.