Oggi si vota su Brexit: cosa può succedere? 5 possibili scenari
8 min letturaAggiornamento 16 gennaio 2019: La proposta di accordo sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea presentata da Theresa May è stata bocciata dalla Camera dei Comuni: 432 i no, 202 i sì. Il Governo ha poi però superato il voto di fiducia chiesto dal leader dei Laburisti, Jeremy Corbyn, ottenendo 325 voti a favore e 306 contro. Ora May dovrà proporre entro lunedì un nuovo testo per evitare di arrivare al 29 marzo, giorno in cui entrerà in vigore Brexit, senza un accordo approvato dal Parlamento.
Potrebbe essere una giornata storica per il Regno Unito e per l'Europa. Stasera il Parlamento britannico è chiamato a votare per appoggiare o meno l’accordo di uscita dall’Unione europea proposto dal Governo guidato da Theresa May. Si tratta di un testo giuridicamente vincolante che definisce i termini per lasciare l’Europa dopo il referendum Brexit del 2016 che avrà inizio il 29 marzo e durerà 2 anni entro i quali Regno Unito e Ue negozieranno le relazioni commerciali future. Separatamente, ai parlamentari verrà anche chiesto di votare un altro documento, molto più breve, che offre una panoramica dei rapporti tra le due parti dopo Brexit. Si tratta di una dichiarazione politica non vincolante alla quale nessuno dovrà attenersi nel dettaglio.
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L’accordo di uscita, ricostruisce BBC, dirime alcune questioni chiave come quanti soldi il Regno Unito dovrà pagare all’Ue per andare via (si tratta di circa 39 miliardi di Sterline, quasi 44 miliardi di Euro), cosa accadrà ai cittadini europei che vivono nel Regno Unito ed evitare un blocco doganale al confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, che diventerebbe di fatto la nuova frontiera tra Regno Unito ed Europa. È stato concordato un lasso di tempo della durata di circa due anni (dal 29 marzo 2019 al 31 dicembre 2020), chiamato “periodo di transizione”, per consentire al Regno Unito e all'Ue di stringere un accordo commerciale e dare alle imprese il tempo di adeguarsi.
Si inizierà a votare alle ore 20 inglesi (le 21 in Italia). Affinché il testo proposto passi, al governo, che non ha la maggioranza assoluta del 650 parlamentari, potrebbero essere sufficienti 318 voti. Tuttavia, l’esito del voto – già rinviato lo scorso 11 dicembre perché l’accordo, così come era stato presentato, rischiava di essere bocciato – è incerto: May rischia di avere defezioni anche all’interno del suo partito. In particolare, a destare perplessità è il cosiddetto “backstop”, una soluzione d’emergenza nel caso in cui entro i prossimi due anni Regno Unito e Ue non riusciranno a trovare un’intesa. Molti Conservatori, favorevoli a una Brexit più estrema, hanno già dichiarato che voteranno contro il piano perché rischia di chiudere il Regno Unito in una sorta di gabbia. Il testo proposto da May prevede che, in assenza di un accordo nei prossimi due anni, il Regno Unito resterà all’interno dell’area doganale europea senza poter stringere accordi commerciali con terze parti.
Anche il partito nord-irlandese DUP, che sostiene il governo, garantendogli la maggioranza, si è detto contrario al “backstop”, proprio per quel che prevede riguardo al confine tra Irlanda del Nord ed Eire, che diventerebbe di fatto la nuova frontiera tra Ue e Regno Unito. In base alla soluzione d’emergenza, l’Irlanda del Nord (a differenza del Regno Unito) continuerebbe a seguire alcune regole dell’Unione europea (come, ad esempio, quelle sui prodotti alimentari), rimanendo così all’interno del cosiddetto “mercato unico”. È proprio quest’ultimo aspetto che non piace ai parlamentari del DUP.
The #dup's @eastantrimmp tells @BBCNews his party wants guarantees from the #eu on the backstop rather than the 'one sided commitment' in the Murrison amendment so doesnt look at this stage they will back even an amended version of the deal pic.twitter.com/E6IlFa1uGO
— iain watson (@iainjwatson) 14 gennaio 2019
Nei giorni scorsi il governo è stato già battuto due volte: i parlamentari hanno approvato un emendamento che riduce i poteri del governo di aumentare le tasse e di controbilanciare con aumenti di spesa gli effetti di un mancato accordo senza l’approvazione parlamentare. Un ulteriore emendamento (firmato anche da ex ministri Conservatori) ha ridotto i tempi entro i quali Theresa May può presentare un cosiddetto piano B: dai precedenti 21 giorni ora il governo, in caso di bocciatura da parte del Parlamento, avrebbe solo tre giorni per proporre un’alternativa. Inoltre, qualsiasi piano alternativo presentato in caso di bocciatura potrà essere nuovamente emendato dai parlamentari.
BBC ha prospettato 5 possibili scenari per il voto di stasera. Innanzitutto, la possibilità che non venga votato alcun accordo che aprirebbe ad altre 4 strade da percorrere che potrebbero essere intraprese anche dal Governo per evitare di votare l’accordo (e quindi una possibile bocciatura): la richiesta di una nuova rinegoziazione, la proposta di nuove elezioni, il ricorso al voto di fiducia sul Governo, un nuovo referendum sulla Brexit. In tre casi, il Regno Unito dovrebbe chiedere all’Unione europea di prorogare l’avvio del processo di uscita oltre il termine previsto del 29 marzo. E non è detto che ciò accada perché è necessario il consenso di tutti gli Stati membri.
Tuttavia, prosegue BBC, è impossibile stabilire con certezza cosa accadrà. La scadenza del 29 marzo potrebbe essere prorogata o, addirittura, secondo quanto affermato recentemente dalla Corte di giustizia europea, il Regno Unito potrebbe persino annullare unilateralmente la Brexit.
#ECJ: UK is free to unilaterally revoke the notification of its intention to withdraw from the EU – Case C-621/18 Wightman #Brexit pic.twitter.com/KUOI2eQ48C
— EU Court of Justice (@EUCourtPress) 10 dicembre 2018
La Corte di giustizia europea era stata chiamata a esprimersi da un gruppo trasversale di politici scozzesi e dal Good Law Project che voleva sapere se il Regno Unito avrebbe potuto revocare la decisione di lasciare l'Unione europea senza ottenere l'approvazione dagli altri Stati membri, aprendo la strada a un'opzione alternativa alla Brexit.
Sia il Governo del Regno Unito che l'Ue si sono detti contrari a quanto dichiarato dalla Corte di giustizia europea. Per l’Ue si tratterebbe di un pericoloso precedente che potrebbe incoraggiare altri paesi a minacciare un’uscita dall’Europa per ottenere condizioni migliori per l'adesione, prima di tornare sui propri passi, per il Governo britannico quanto prospettato dalla Corte è un caso puramente ipotetico in quanto "il Regno Unito non intende revocare la sua decisione".
Il leader dei Laburisti, Jeremy Corbyn, ha già dichiarato che il suo partito voterà contro l’accordo e ha chiesto elezioni generali in caso di sconfitta del governo e dimissioni di May. In caso di future elezioni e vittoria dei Laburisti, Corbyn ha affermato che proporrà una rinegoziazione dei termini dell’accordo Brexit con l’Ue, non escludendo però l’ipotesi di un nuovo referendum nel caso in cui non si vada al voto.
Ieri, Theresa May ha respinto categoricamente ogni ipotesi di procrastinazione della Brexit, sottolineando la necessità di un’uscita ordinata dall’Europa: «Partiremo il 29 marzo, sono stata chiara. Non credo che dovremmo estendere l'articolo 50 [ndr, che definisce la procedura per lasciare volontariamente l’Unione europea] e non credo che dovremmo avere un secondo referendum», ha dichiarato il primo ministro. Posizioni già espresse in passato, quando la premier britannica aveva dichiarato che se la mozione fosse stata respinta, senza un accordo, il Regno Unito avrebbe lasciato l’Unione europea il 29 marzo come previsto.
No surprise here but May did not give any indication what she would do next if her deal was vote down at the '22. Stressed that her party needed to come together to deliver Brexit and stop Corbyn..
— Dan Sabbagh (@dansabbagh) 14 gennaio 2019
Per molti osservatori politici, scrive DW, il voto su Brexit si sta trasformando in una lotta di potere tra Governo e Parlamento che potrebbe portare a una crisi costituzionale dagli esiti incerti. Da un punto di vista politico, spiega il Guardian, molto dipenderà dai voti che May riuscirà a prendere: se fossero un centinaio in meno rispetto alla sua maggioranza, le sue dimissioni sono molto probabili. Altrimenti, il primo ministro potrebbe continuare a cercare una nuova soluzione. Attualmente, non c’è una maggioranza per nessuna delle opzioni disponibili: nessun accordo tra Ue e Regno Unito, una Brexit morbida o un secondo referendum.
Gli scenari possibili
1. Nessun accordo
Il testo non passa e non si riesce a votare nessuna altra intesa entro tre giorni. In questo caso si avvierebbe una Brexit senza accordo: il Regno Unito lascia l’Unione europea entro il 29 marzo 2019, non ci sarà nessun periodo di transizione dopo il 29 marzo e le leggi dell’Ue smetteranno di essere applicate immediatamente. Il Governo ha già iniziato a pianificare questa eventuale situazione pubblicando una serie di linee guida su diversi aspetti, dai passaporti degli animali domestici alle conseguenze sulle forniture elettriche.
Alla luce del voto dell’8 gennaio scorso quando i parlamentari hanno sconfitto il Governo, impedendogli di alzare le tasse in caso di mancato accordo, il Parlamento potrebbe tentare di trovare un testo su cui convergere con il Governo. Se il Governo non si spostasse dalla sua proposta, è probabile si ricorra a un voto di sfiducia.
2. Il Governo chiede una nuova rinegoziazione
In caso di voto contrario, il Governo potrebbe proporre di negoziare un nuovo accordo sulla Brexit. Non si tratterebbe di piccoli ritocchi al testo, ma di una rinegoziazione completa che richiederebbe del tempo e, presumibilmente, un’estensione dell’articolo 50 per ritardare l’inizio della Brexit.
In base all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, ogni Stato membro può decidere di ritirarsi dall’Unione europea conformemente alle sue norme costituzionali. Per farlo, deve informare il Consiglio europeo della sua intenzione e negoziare un accordo sul suo ritiro, stabilendo le basi giuridiche per un futuro rapporto con l’Ue. L’accordo deve essere approvato da una maggioranza qualificata degli Stati membri e avere il consenso del Parlamento europeo. Ci sono due anni di tempo dalla data in cui viene chiesta l’applicazione dell’articolo 50 per concludere un accordo, ma questo termine può essere esteso. Nel caso in cui uno Stato volesse tornare sui propri passi, andrebbe avviata una procedura di ammissione.
Le strade sono due. Il Regno Unito chiede all’Unione europea una dilatazione dei tempi. Se tutti gli Stati membri dell’Ue sono d’accordo, questa richiesta viene concessa. A quel punto, il Governo deve modificare il giorno di uscita dall’Ue nel testo ufficiale di uscita. I parlamentari potranno votare questa modifica.
L’Ue rifiuta di rinegoziare l’accordo. Al Governo restano le altre opzioni: voto di fiducia, nuove elezioni, nuovo referendum.
3. Nuove elezioni
Theresa May potrebbe decidere che la soluzione migliore per uscire da questa situazione di stallo sia quella di proporre elezioni politiche anticipate per cercare di ottenere un mandato politico per il suo accordo.
Per accogliere questa proposta, è necessario il voto di due terzi dei parlamentari. Non si potrebbe votare prima di 25 giorni lavorativi dallo scioglimento delle Camere. Questa ipotesi potrebbe comportare, dunque, una richiesta all’Ue di estensione dell’articolo 50.
4. Voto di sfiducia
Se l’accordo proposto viene respinto, i Laburisti hanno già fatto sapere che chiederanno un voto formale di sfiducia nei confronti del Governo. Anche May potrebbe chiedere un voto di fiducia per cercare di rafforzare il suo esecutivo offrendo qualche nuova concessione ai parlamentari che attualmente si oppongono al testo presentato dal Governo.
Se in 14 giorni il Governo non riesce a ottenere la fiducia e non si riesce a formare nessun’altra maggioranza (uno degli scenari che potrebbe prospettarsi è la nascita di un Governo conservatore di minoranza con un primo ministro diverso, un Governo di coalizione o un Governo di minoranza guidato da un altro partito), si va a elezioni anticipate. Nel caso in cui si riuscisse a formare un nuovo Governo, cambierebbero gli scenari anche sulla Brexit.
5. Nuovo referendum
Il Governo potrebbe decidere di indire un nuovo referendum. Anche in questo caso si andrebbe incontro alla richiesta di un’estensione dell’articolo 50 per posticipare l’uscita dall’Ue. I tempi di organizzazione di un nuovo referendum sono lunghi: bisognerebbe fare un atto legislativo che ne stabilisca le regole (come, ad esempio, chi può votare) e, una volta approvato, aspettare il periodo di campagna elettorale prima del voto. Secondo gli esperti, non si voterebbe prima di 5 mesi, molto oltre il 29 marzo.
Immagine in anteprima via euronews.com