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“Bolsonaro genocida”: in Brasile le proteste travolgono il governo

8 Giugno 2021 9 min lettura

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“Bolsonaro genocida”: in Brasile le proteste travolgono il governo

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di Susanna De Guio e Alessandro Peregalli

Le immagini aeree dell’avenida Paulista inondata di persone hanno fatto il giro del mondo lo scorso fine settimana. L’immensa manifestazione lungo il famoso viale al centro di San Paolo, la città più popolata del Brasile, simboleggiava quel che si stava ripetendo in oltre 200 municipi in tutto il paese. Il 29 maggio, nelle principali capitali regionali, i cortei hanno portato in strada decine di migliaia di persone e si sono replicati anche in 13 città all’estero. Si tratta della prima grande manifestazione contro Bolsonaro con adesione di massa dall’inizio del suo governo.

L’evento acquisisce un’importanza significativa perché avviene in un contesto di grande fibrillazione sociale in tutta la regione latinoamericana, in cui il Brasile sembrava finora il grande assente. Ma soprattutto si inserisce in un conflitto politico e istituzionale che dura nel paese fin dall’inizio della pandemia e che ha visto finora le strade occupate dai supporters del presidente, negazionista nei confronti della pandemia, mentre all’opposizione è toccato sostenere ed esigere politiche per la riduzione dei contagi che prevedono misure di distanziamento fisico.

Leggi anche >> Sistema sanitario al collasso, contagi fuori controllo, il negazionismo del presidente Bolsonaro: il Brasile travolto da un “inferno violento”

Perché dunque movimenti, partiti e sindacati sono disposti adesso a scendere in piazza, nonostante il rischio di assembramenti, e con un numero di contagi quotidiano tutt’altro che rassicurante?

Il negazionismo di Bolsonaro di fronte alla Covid-19

Per capire che cosa è cambiato in Brasile rispetto a un anno e mezzo fa, quando si registravano i primi contagi di SARS-CoV-2, è necessario analizzare le strategie adottate da Bolsonaro per affrontare l’emergenza sanitaria, la peggiore gestione del mondo secondo uno studio dell’istituto australiano Lowy uscito lo scorso gennaio.

Il presidente brasiliano ha dimostrato fin dall’inizio della pandemia di sottovalutarne gli effetti, qualificandola come una gripezinha, una febbriciattola, rifiutando l’uso della mascherina, promuovendo medicinali la cui efficacia non è comprovata, come la clorochina, e soprattutto negando l'introduzione di quarantene e restrizioni per ridurre la propagazione del virus - cosa che invece stava accadendo in Europa e nei paesi vicini in America Latina - per salvaguardare la produzione, come affermava chiaramente la campagna comunicativa del governo: “il Brasile non si può fermare”.

Eletto nel 2018 come un presidente anti-establishment, in controtendenza rispetto alle regole della vecchia politica, Bolsonaro ha adottato l’ambiguità come strategia comunicativa di fronte a un contesto di crisi sanitaria mondiale, che avrebbe invece richiesto di prendere decisioni chiare e argomentate con tempestività. In Brasile la gestione della pandemia è stata lasciata in mano ai governatori dei diversi Stati federali e al Sistema Unico di Salute (SUS), mentre Bolsonaro si è preoccupato di scaricare le responsabilità delle scelte inefficaci o sbagliate e si è appropriato dei risultati positivi, come ad esempio l’implementazione dell’aiuto economico di emergenza, promosso inizialmente dall’opposizione nel Congresso federale, che ha sostenuto circa 60 milioni di persone da aprile a dicembre 2020.

Sono numerosi gli esempi delle affermazioni polemiche, poi ritrattate e nuovamente riproposte nel discorso pubblico di Bolsonaro, che nel contesto della pandemia si sono fatte più evidenti e grottesche. Per esempio, coerente con la sua radicale sinofobia, a ottobre dell’anno scorso affermava che il governo non avrebbe comprato il vaccino cinese, mentre in gennaio 2021, quando l’Agencia de Vigilancia Sanitaria dava avvio alla campagna vaccinale, l’unico disponibile era proprio il CoronaVac, procurato dal governatore di San Paolo, João Doria. Allo stesso tempo, nonostante le iniziative del Brasile per avviare la produzione locale di vaccini contro il Covid-19, Bolsonaro non ha intenzione di vaccinarsi e continua a promuovere metodi di “attenzione medica precoce” sul suo canale YouTube.

Cambia il vento nell’opinione pubblica

La disapprovazione verso Bolsonaro nei sondaggi ha avuto un picco a gennaio, in seguito alla crisi negli ospedali di Manaos che, lasciati senza rifornimenti di ossigeno, hanno registrato la morte di almeno 30 persone per insufficienza respiratoria. Nello stesso momento la prima somministrazione di vaccini nel paese cominciava con attriti diplomatici e ritardi nell’arrivo delle dosi dalla Cina. 

Il 1° febbraio, con il ricambio alla presidenza delle due Camere parlamentari, Bolsonaro sperava di poter sfuggire alle oltre 60 richieste di impeachment accumulate per atti antidemocratici, crimini ecologici, contro le minoranze etniche e contro la salute pubblica nel contesto della pandemia. La nuova maggioranza ottenuta nel Congresso è dovuta al sostegno di quell’area politica che in Brasile si conosce come Centrão, una quantità di partiti considerati “fisiologici”, che rispondono a capi locali perlopiù conservatori o figure militari senza un’ideologia definita e che prestano il loro appoggio per convenienza politica. I partiti del Centrão sono stati ricambiati con una serie di assunzioni clientelari a personaggi della “vecchia politica” e con il sacrificio di alcuni dei ministri dell’ala più ideologica del governo, come il ministro degli Esteri Ernesto Araujo e il ministro della Salute, il generale Eduardo Pazuello.  

Nonostante questo effimero sostegno, insieme a un nucleo duro di consensi nell’elettorato, che corrisponde a un 30% di seguaci convinti, Bolsonaro non ha potuto evitare, ad aprile, l’apertura di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta (CPI) da parte del Senato, destinata a indagare le eventuali omissioni e responsabilità del governo negli errori e nelle difficoltà di gestione della crisi sanitaria che fanno del Brasile uno dei Paesi più colpiti dal Covid-19 a livello mondiale, con quasi 17 milioni di contagi e 469mila morti.

La vastissima attenzione pubblica riscossa dalle attività della Commissione, trasmesse in diretta televisiva, parla di un cambiamento generale nell’opinione sul presidente, sempre più messo all’angolo dalle rivelazioni dei diversi personaggi interrogati. In particolare, a metà maggio ha generato profonda indignazione la deposizione del presidente di Pfizer in America Latina, Carlos Murillo, in cui dichiarava che Bolsonaro e l’allora ministro della Salute Pazuello hanno ignorato almeno cinque offerte di vaccini tra agosto e novembre 2020, pari a 1,5 milioni di dosi che così sarebbero state disponibili già lo scorso anno. In generale, tra i ritardi nell’acquisto del CoronaVac e il rifiuto di comprare Pfizer, si calcola che ad oggi si sarebbero potute evitare 94mila morti, oltre ovviamente a un numero indecifrato di vittime attraverso politiche di isolamento sociale. 

Il lento crescere del dissenso

L’enorme scandalo legato al rifiuto di comprare i vaccini ha generato un salto di qualità nella percezione generale della popolazione rispetto al governo Bolsonaro. L’appellativo di “genocida”, basato sull’idea del presidente di portare avanti una politica di “immunità di gregge” con la diffusione accelerata del contagio, viene usato da più di un anno dalle organizzazioni di sinistra, però ora il termine è diventato comune tra la popolazione. 

Nell’ultimo anno e mezzo Bolsonaro, agevolato da un discorso negazionista fortemente de-responsabilizzante, ha avuto buon gioco nel mobilitare i suoi sostenitori, in certi contesti appoggiandosi alle manifestazioni pro-governo per attaccare il parlamento o la Corte Suprema o minacciare direttamente un colpo di Stato militare. Tuttavia, nonostante la generale inclinazione dei partiti e movimenti di sinistra ad astenersi dalla protesta di piazza, non sono mancati momenti attivi di ripudio al governo, spesso spontanei, lanciati da organizzazioni e collettivi estranei alla sinistra istituzionale, oppure realizzati attraverso forme di lotta nuove.

Il primo di questi momenti è stato esattamente un anno fa, agli inizi di giugno del 2020, nel periodo di maggior rischio di sterzata autoritaria del regime, con alcune manifestazioni di piazza lanciate da gruppi di ultras antifascisti e dal movimento afro-brasiliano Vidas Negras Importam, nato in coincidenza e solidarietà con l’esplosione di Black Lives Matter negli Stati Uniti. Un altro punto di contrasto al governo è stato a gennaio di quest’anno, quando le centrali sindacali hanno lanciato una serie di carreatas (manifestazioni in macchina), che però per forza di cose non ha avuto una partecipazione al di là di settori della classe media. Più in generale, nel corso degli ormai quasi 15 mesi di pandemia, sono stati frequenti i panelaços, in cui la gente protestava dalle finestre di casa facendo rumore con pentole e stoviglie, ma anche in questi casi a partecipare sono stati soprattutto settori della piccola borghesia. A livello popolare, forme di lotta più diffuse, ma spesso non riconducibili a uno schema politico di appoggio o contrasto al governo, sono state gli scioperi dei riders contro le condizioni di super-sfruttamento imposte dalle imprese di delivery, i blocchi dei camionisti, generati dal fortissimo aumento dei prezzi della benzina, e la creazione di cordoni sanitari nelle comunità rurali e indigene.

Il #29M Fora Bolsonaro

Da marzo, con la situazione pandemica precipitata e l’inizio delle attività della Commissione Parlamentare d’Inchiesta, l’aumento della povertà a causa della brusca fine degli aiuti d’emergenza da gennaio, e probabilmente grazie anche all’eco delle mobilitazioni colombiane, la necessità di mobilitarsi si è diffusa anche in quei settori della sinistra politica e sociale che fino ad ora erano rimasti fermi sulla parola d’ordine del #FiqueEmCasa (resta a casa). 

A facilitare la decisione di coalizioni sociali come Frente Brasil Popular e Povo Sem Medo di lanciare finalmente un’iniziativa di piazza ha contribuito anche la conferma scientifica sulla capacità delle maschere PFF2 e N95 di proteggere adeguatamente  in situazioni di assembramenti all’aria aperta, tanto che negli ultimi mesi sono sorti collettivi che si sono dedicati a distribuire questi tipi di maschere.

La dimensione di massa delle manifestazioni del 29 maggio ha segnato un punto di svolta nella lotta contro Bolsonaro, non solo perché è riuscita a offuscare le iniziative che settimanalmente vengono promosse dai sostenitori del governo, ma anche perché ha segnato una disposizione alla lotta delle forze democratiche che da anni in Brasile era sopita. Oltre allo slogan Fora Bolsonaro, non sono mancate altre rivendicazioni, chiaramente espresse nei numerosi cartelli portati in piazza non solo da movimenti, partiti e organizzazioni politiche ma spesso da singole e singoli cittadini indignati: una politica di acquisto, produzione e distribuzione efficienti del vaccino, un reddito di emergenza dignitoso per tutte le persone che, per le precarie condizioni economiche, non possono permettersi di stare in quarantena, e lo stop alle politiche di privatizzazione che vengono discusse in questi giorni dal Parlamento, come quella dell’impresa postale e quella di Electrobras. 

Le manifestazioni sono state pacifiche e non hanno registrato episodi di repressione statale, con la forte eccezione della cittá di Recife, dove la polizia ha sferrato un pesantissimo attacco al corteo, con fitto lancio di lacrimogeni e pallottole ad altezza uomo, che hanno lesionato gli occhi di tre persone, mentre una consigliera comunale del PT è stata attaccata con spray al peperoncino. Lo stesso governo statale di Pernambuco, guidato dal partito di centrosinistra PSB (Partito Socialista Brasiliano), ha dichiarato di non aver ordinato la repressione, per cui si pensa sia stata un’iniziativa autonoma della polizia, che è uno dei settori più dominati da militanti pro-Bolsonaro. L’episodio getta dunque una luce oscura sulla capacità di azione autonoma ed eversiva che hanno settori della polizia militare, già intravista nell’insubordinazione avvenuta nel Ceará nel febbraio 2020, anche in quel caso uno Stato governato dall’opposizione.

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Tra polarizzazione sociale e scenario elettorale

Una nuova ondata di contestazioni al presidente è avvenuta mercoledì scorso durante il suo discorso a reti unificate, e nel frattempo i movimenti sociali hanno convocato una nuova manifestazione per il 19 giugno. Allo stesso tempo, spicca il silenzio di Lula, il principale oppositore politico che, dopo l’assoluzione dai carichi giudiziari che l’hanno tenuto in carcere per oltre un anno, sta tornando a costruire alleanze politiche, spesso soprattutto a destra, per sfidare Bolsonaro alle prossime presidenziali. La strategia di Lula e del PT sembra essere quella di logorare lentamente Bolsonaro, nella previsione di poterlo facilmente sconfiggere nel 2022, mantenendo però la polarizzazione per evitare l’emergere di una terza via centrista. Un calcolo tuttavia azzardato, e non privo di opportunismo, in quanto il bolsonarismo, seppur in crisi, sta dimostrando di preservare uno zoccolo duro di consenso, una resilienza e soprattutto un radicamento militante in settori chiave della società brasiliana che lo rendono ancora pericoloso. 

Nel mezzo di un contesto politico in cambiamento e di forte polarizzazione, a soli due giorni dalle manifestazioni, Bolsonaro ha deciso di soffiare sul fuoco della crisi. Sembra andare in questa direzione infatti la sfacciata decisione di accogliere la richiesta della Conmebol di ospitare la Coppa America, già declinata dalla Colombia a causa del conflitto sociale in corso e dall’Argentina per l’emergenza legata alla COVID-19. Per tutta risposta, sui social network riprende a circolare lo slogan Não vai ter Copa!, Non ci sarà nessuna coppa, già cantato in piazza nel 2013 da un potentissimo movimento che, opponendosi alle speculazioni urbane in vista dei mondiali dell’anno successivo, scosse alle fondamenta il sistema politico brasiliano. Allora al governo c’era il PT di Dilma Rousseff, il Brasile si credeva un paese felice e in crescita, e percepì a fatica il malcontento crescente in un modello sociale di inclusione ma anche di forti lacerazioni sociali. Oggi quello slogan risuona in uno scenario drammaticamente più macabro, se non necropolitico. Forse davvero la Storia si ripresenta sempre due volte, ma in questo caso la prima come farsa, e solo poi, come tragedia.

Immagine in anteprima: video via Guardian

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