La città a 30 chilometri orari è una questione di democrazia dello spazio pubblico
|
C’è chi l’ha definito un “limite vessatorio”, chi ha parlato di una “proposta demagogica”, chi invece l’ha presentata come “una nuova idea di civiltà”. Negli ultimi giorni si è infiammato il dibattito sulle città30, dove il limite di velocità per tutti i mezzi è fissato a 30 chilometri orari: si tratta di un nuovo modello che ha già preso piede in molte città del mondo, e che ora si sta affacciando anche in Italia. A diventare la prima grande città italiana a 30 chilometri orari è stata Bologna, che nel 2022 ha approvato le linee di indirizzo per la realizzazione del piano: da martedì 16 gennaio sono partiti i controlli, e con loro le polemiche. “Ricordo bene che le prime obiezioni alla città30 furono che ‘tanto i limiti non verranno fatti rispettare’, ma se si annunciano i controlli scoppiano le guerre puniche”, ha detto la consigliera comunale Simona Larghetti, che già dal 2014 aveva lavorato alla prima campagna sulle zone 30. “Solo in un paese con scarsissima cultura del rispetto del prossimo il giorno in cui entra in vigore una nuova regola è ‘il giorno delle multe’”.
A schierarsi contro il nuovo limite di velocità è stato anche il ministro dei trasporti Matteo Salvini, che sta studiando una direttiva contro i 30 chilometri all’ora in città. “Penso che il diritto al canto degli uccellini e all’udibilità del loro canto debba essere contemperato con il diritto al lavoro di centinaia di migliaia di persone, perché multare chi va a 36 chilometri allora non vuol dire tutela dell’ambiente”, ha dichiarato. A rispondergli, tra gli altri, è stato il sindaco di Bologna, Matteo Lepore: sul tema “ci sono tante fake news che purtroppo, come ho visto, sono state anche rilanciate dal ministro Salvini. Questo mi dispiace perché il nostro compito nelle istituzioni è quello di compiere scelte coraggiose”, ha detto il sindaco che ha ricordato come già le linee guida pubblicate sul sito del Ministero per le Infrastrutture (approvate dal governo Draghi) invitino città e comuni a introdurre le zone 30 per raggiungere l'obiettivo, fissato da Organizzazione mondiale della sanità e Nazioni Unite, di dimezzare i morti sulle strade.
Di cosa parliamo in questo articolo:
Le città30, un nuovo modello di spazio pubblico
Ma facciamo un passo indietro: cosa sono le città30? Non si tratta solo di un limite di velocità, ma di un modello che punta a rivoluzionare la concezione che abbiamo della città e degli spazi urbani. Gli obiettivi sono molteplici: aumentare la sicurezza stradale, promuovere la mobilità sostenibile, ridurre l’inquinamento e le emissioni, favorire l’economia di prossimità e i negozi di vicinato, ma anche rendere lo spazio pubblico più bello e democratico. Ecco perché, per diventare una città30, non basta solo abbassare il limite di velocità: si tratta di un intervento più ampio e complesso, infrastrutturale ma anche culturale, per riqualificare l’ambiente urbano con lo scopo di restituire lo spazio pubblico ai pedoni e ai ciclisti.
Basti pensare che la strada rappresenta l’80% dello spazio pubblico delle nostre città. Eppure, vivere quello spazio è ancora pericoloso: nel 2022 l’Istat ha registrato più di 220mila feriti (+9% rispetto al 2021) e 3.159 vittime di incidenti stradali, 284 in più dell’anno prima. I dati pubblicati dalla Commissione Europea mostrano che nel 2022 l’Italia ha visto un aumento delle vittime degli incidenti stradali del 9% rispetto al 2021, quando la mobilità era ancora in parte ridotta a causa della pandemia, contro una crescita media europea del 3%. L'Osservatorio Ciclisti di Asaps (Associazione sostenitori e amici della polizia stradale) ha registrato 197 ciclisti deceduti nel 2023 in Italia. Nelle prime tre settimane di gennaio 2024 sono stati già 16 i ciclisti morti sulle strade italiane, il dato più alto degli ultimi sei anni: quasi uno al giorno. Più della metà delle morti avvenute in città è dovuta a sole tre cause: eccesso di velocità, guida distratta e mancata precedenza ai pedoni sulle strisce.
“In Italia consideriamo ancora la strada come il regno dell’auto”, ha spiegato l’urbanista Matteo Dondè, specializzato in pianificazione della mobilità ciclistica, moderazione del traffico e riqualificazione degli spazi pubblici. “È un problema in primis culturale: siamo l’unico paese dove il pedone ringrazia l’automobilista per essersi fermato alle strisce pedonali. La bici è ancora considerata ‘di sinistra’, l’auto ‘di destra’, e se rispetti il limite di velocità sei visto come uno sfigato. Da anni si sta discutendo della necessità di cambiare il linguaggio delle nostre strade. Dobbiamo passare dal linguaggio dell’automobile al linguaggio delle persone: puntare sul verde urbano, fare spazio a marciapiedi più ampi, favorire la socialità con tavolini e panchine. È una questione di democrazia dello spazio pubblico, che deve essere distribuito equamente a tutti gli utenti della strada”.
Misurare i benefici della città30
A Bologna le prime zone 30 sono nate tra gli anni Ottanta e Novanta. Dal 2019, quando è stato approvato il Piano urbano della mobilità sostenibile, si è cominciato a ragionare su un’intera città30: nel 2022 la giunta ha approvato le linee di indirizzo per la realizzazione del piano “Bologna città30”, con un investimento di oltre 18 milioni di euro per la ciclabilità, la pedonalità, l’abbattimento delle barriere architettoniche e la sicurezza stradale. Da luglio, quando il piano di Bologna è entrato nella fase operativa, sono stati installati 500 nuovi cartelli stradali e applicati 300 segnali sulle strade, i grandi simboli con il limite di velocità verniciati sull’asfalto.
Bologna però non è la prima città30 in Italia: prima c’era stata Cesena, che aveva adottato questo modello nel 1998, seguita nel 2021 da Olbia. Anche nel resto del mondo esistono già diverse città che vanno a 30 chilometri orari, tra cui Berlino, Barcellona, Edimburgo, Bruxelles, Parigi e Toronto, ognuna in forme diverse a seconda delle esigenze. In Spagna nel 2021 è stata approvata una modifica al codice della strada che impone il limite dei 30 in tutti i centri urbani del paese.
Visto che il modello è stato già implementato in contesti anche molto diversi, la domanda allora è: la città30 funziona? Diversi studi mostrano che i risultati sono molto positivi: a Bruxelles, nei primi sei mesi di sperimentazione gli incidenti sono calati del 22%, le vittime sono la metà, ed è stato dimezzato l’inquinamento acustico. I chilometri percorsi dagli abitanti in una giornata sono aumentati di cinque milioni. La quota delle auto è diminuita del 15%, mentre gli spostamenti a piedi o in bici sono cresciuti rispettivamente del 5 e 7%. A Edimburgo, il numero di incidenti è calato del 40%, il numero di feriti del 33% e le vittime del 23. A Barcellona per la prima volta è stato studiato anche l’impatto di questo modello sulla salute, grazie alla riduzione dell’inquinamento atmosferico da biossido di azoto: si stima che vengano prevenute 667 morti premature all’anno, l’aspettativa di vita aumenti di quasi 200 giorni in media a persona e si generi un risparmio annuo di 1,7 miliardi di euro. Ma la ricerca più completa è stata condotta a Londra per vent’anni, dal 1986 al 2006. Il risultato è inequivocabile: il limite a 30 chilometri orari ha portato a un dimezzamento dei morti e degli incidenti gravi.
Visti i benefici della città30, nel 2021 le Nazioni Unite hanno lanciato la campagna #love30, per chiedere ai politici di abbassare il limite di velocità a 30 chilometri orari in tutte le città del mondo. Parallelamente il Parlamento europeo ha emanato una risoluzione per chiedere l’introduzione del limite in tutte le città dove siano presenti zone residenziali e un elevato numero di ciclisti e pedoni: la risoluzione rientra all’interno della strategia “Vision Zero” dell’Unione Europea, che punta ad azzerare le morti e i feriti gravi entro il 2050.
Verso una legge nazionale
Eppure la città30 è ancora bersaglio di molte critiche: a Bologna martedì 16 gennaio le auto blu hanno sfilato in corteo sui viali e sabato scorso in centinaia hanno protestato sotto il palazzo del Comune contro il nuovo limite di velocità. Molti indossavano le maschere con il volto di Javier Milei, il neoeletto presidente dell'Argentina ultraliberista, che è diventato per alcuni il simbolo della lotta contro il provvedimento. Nel frattempo un comitato appoggiato dal centrodestra si propone di raccogliere 200mila firme per chiedere un referendum sul limite a 30 chilometri orari.
Alla base delle proteste c’è un assunto: la città30 provoca ingorghi e ritardi che peggiorano la vita delle persone. Ma davvero andare piano significa arrivare dopo, in città? Il Comune di Bologna ha realizzato un’analisi quantitativa costi-benefici e il ritardo medio è stato calcolato in 12 secondi per ogni viaggio di ciascun automobilista. “Dodici secondi non valgono il numero assurdo di incidenti che registriamo sulle nostre strade”, ha detto Alfredo Drufuca, consulente esperto nella pianificazione del traffico e dei trasporti per il comune di Bologna. “Che senso ha paragonare 12 secondi alla vita di una persona?”.
Altri contestano il fatto che Bologna "non sia ancora pronta" per diventare una città30, perchè la rete del trasporto pubblico e ciclabile non sarebbe abbastanza sviluppata. Eppure i dati di Openpolis, elaborati da un'analisi di Legambiente, mostrano che Bologna è la città italiana che ha investito di più sulle piste ciclabili: da qui al 2030 verranno costruiti altri 721 chilometri, che si sommeranno ai già presenti 248 chilometri, portando la città in testa alla classifica italiana. Parallelamente è stato potenziato il trasporto pubblico: da quest'anno è disponibile un servizio di bus notturni, con sei linee e corse ogni mezz'ora.
Oltre a Bologna, ci sono tante altre città in Italia che stanno avviando il percorso per diventare città30. Un percorso culturale e di dibattito pubblico, prima ancora che amministrativo. Parma diventerà città30 già da quest’anno, a Torino è in corso la discussione per decidere dove applicare i 30 all’ora, e anche Milano aumenterà le aree con velocità ridotta. Ad accelerare questo passaggio è stata la morte dell’ex campione di ciclismo Davide Ribellin, travolto il 30 novembre 2022 mentre andava in bicicletta per strada nel vicentino. È nata così la piattaforma Città30, che mette insieme diverse organizzazioni che si occupano del tema e che ha pubblicato un vademecum di intenti comuni: nei mesi successivi sono state organizzate mobilitazioni, flash mob, piste ciclabili e strisce pedonali umane.
Lo scorso 6 maggio, poi, è stata lanciata la prima proposta di legge nazionale sulle città30, promossa da Legambiente, FIAB, Salvaiciclisti, Kyoto Club, Amodo, Clean Cities, Asvis e Fondazione Michele Scarponi, il ciclista vincitore del Giro d'Italia nel 2011 e ucciso investito da un autocarro mentre si allenava nel 2017. L’idea è di capovolgere il principio che regola la mobilità nelle nostre città, dove la norma è il limite a 50 chilometri orari, e l’eccezione sono le zone con limite a 30: se la legge passasse, nei centri urbani la norma sarebbe il limite ai 30, con alcune eccezioni di arterie a grande scorrimento ai 50. Oltre a questo, la proposta di legge prevede interventi di urbanismo tattico per ridurre la velocità delle auto, dà più poteri ai comuni e alla polizia locale, e pianifica attività di educazione alla sicurezza stradale e alla mobilità sostenibile.
“L’auto ha una pericolosità molto maggiore rispetto a tutti gli altri strumenti della nostra quotidianità: la usiamo con grande disinvoltura, senza pensare che abbiamo un’arma tra le mani”, conclude ancora Drufuca. “In Italia abbiamo un ritardo ingiustificabile su questi temi: abbiamo dormito sui nostri morti per troppi anni. È arrivato il momento di trovare nuove risposte”.
Immagine in anteprima: frame video Fanpage via YouTube