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Che cosa ha veramente fatto Berlusconi all’Italia: ritratto di un magnate che ha privatizzato una democrazia

14 Giugno 2023 6 min lettura

Che cosa ha veramente fatto Berlusconi all’Italia: ritratto di un magnate che ha privatizzato una democrazia

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Silvio Berlusconi avrebbe sicuramente adorato la copertura mediatica della sua morte. Anche perché non è proprio una “copertura”, ma una canonizzazione catodica a reti unificate.

La processione di volti, filmati, aneddoti, elogi e ricordi è martellante in qualsiasi rete, a qualsiasi ora. Il ritratto che emerge è quello di un santo poliedrico, che è stato contemporaneamente un imprenditore geniale, un uomo di famiglia amorevole, un innovatore, un arci-italiano, un rivoluzionario politico, uno statista, un padre della patria e un gigante della storia.

Come ogni santo, ripetono i fedeli, anche Berlusconi è stato perseguitato in vita: dalle “toghe rosse” che l’hanno “aggredito” incessantemente perché mosse dall’invidia; e più in generale da chiunque non lo amasse incondizionatamente.

In sostanza, l’agiografia post-mortem ha scolpito nella pietra tutti i capisaldi della propaganda berlusconiana. Per certi versi, è come trovarsi di fronte alla brochure dal retrogusto nordcoreano che veniva inviata per posta – amplificata però all’ennesima potenza.

Il revisionismo è talmente plateale da risultare straniante: quella di Berlusconi risulta infatti una vita immacolata, priva di sbavature, scevra di contraddizioni e senza la minima ombra.

Ma sappiamo che non è assolutamente così. E visto che la memoria in questo paese è sempre repentina e selettiva, vale la pena fare un breve ripasso della figura imprenditoriale, politica e culturale di Berlusconi.

Anzitutto, com’è accertato in varie sedi, il suo impero economico e mediatico è stato costruito con capitali di provenienza opaca (per usare un eufemismo), reati finanziari, frodi fiscali, pagamenti a Cosa Nostra, iscrizioni a logge massoniche eversive, corruzione di pubblici ufficiali e intrallazzi con la politica – su tutti Bettino Craxi.

Non a caso, i suoi più stretti collaboratori hanno commesso reati piuttosto gravi. Giusto per fare due esempi: Marcello Dell’Utri è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa; e Cesare Previti per corruzione in atti giudiziari.

La famigerata “discesa in campo” del 1994 non è stata dettata dall’amore per il paese, né tanto meno per impedire ai “comunisti” di prendere il potere; si era resa necessaria per sopravvivere al crollo dei vecchi referenti politici e per evitare di essere travolti da Tangentopoli – cioè di finire in carcere.

Per metterla giù brutalmente: bisognava salvare la pelle e la roba. Cosa che Berlusconi ha cercato di fare per oltre vent’anni, trascinando l’intero paese dentro un’aula di tribunale e trasformando il parlamento in uno studio di avvocati penalisti.

Fa impressione – specialmente di fronte ai problemi che stiamo affrontando adesso – ripensare allo sforzo collettivo e alla quantità di tempo persa dietro alla “legge ex Cirielli”, alla “legge Gasparri” al “lodo Schifani”, al “lodo Alfano”, al legittimo impedimento, alle rogatorie internazionali e alle decine di norme varate con l’unico obiettivo di salvare il capo e farlo diventare ancora più ricco.

La privatizzazione delle istituzioni democratiche, oltre a generare continuamente crisi costituzionali, ha gettato il paese in abissi morali davvero profondi.

Il punto più basso si è probabilmente raggiunto il 5 aprile del 2011, quando la maggioranza di destra diede la legittimazione parlamentare a una delle più clamorose balle dell’era berlusconiana: ossia che Karima el Marhroug, di origini marocchine, fosse la nipote dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak.

Passando poi all’aspetto più squisitamente politico, Berlusconi è stato un liberale solo a parole.

Anzitutto, per primo nella storia repubblicana, ha sdoganato postfascisti e leghisti: non lo dico io, ma l’ha detto lui stesso qualche anno fa vantandosene pure.

Invece di addomesticarli, come sperava di fare, ha dato loro l’opportunità di approvare una serie di leggi razziste e proibizioniste – su tutte la Bossi-Fini o la Fini-Giovanardi – che continuano a causare danni immensi, nonostante siano state parzialmente smantellate dalla Corte Costituzionale.

Nonostante le promesse mirabolanti (tra cui quella di sconfiggere il cancro “entro tre anni”), i suoi governi sono sempre riusciti a realizzare ben poco.

Il “milione di posti di lavoro in più”, ad esempio, si è tradotto nella “legge Biagi” che ha condannato intere generazioni al precariato. Il “nuovo miracolo italiano”, invece, è consistito in anni di stagnazione economica ed è culminato nella crisi del debito sovrano del 2011. La tanto sbandierata “meritocrazia” è consistita in tagli lineari alla ricerca, alla scuola e all’università.

Un altro aspetto molto poco liberale di Berlusconi è stata la sua assoluta intolleranza al dissenso.

Va ricordato che è proprio sotto un suo governo che si è svolto il G8 di Genova, cioè “la più grave violazione dei diritti umani occorsa in una democrazia occidentale dal dopoguerra” secondo la definizione di Amnesty International.

“La più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Perché è importante parlare ancora del G8 di Genova venti anni dopo

Chiunque ha provato a insidiare il suo potere – o l’ha contrastato sul serio – è stato epurato, sommerso di querele e cause civili, censurato o randellato mediaticamente dai suoi dipendenti. Basti pensare al “metodo Boffo”, oppure ai calzini turchesi del giudice Raimondo Mesiano.

Non a caso, Berlusconi andava molto d’accordo con autocrati e dittatori. Su tutti l’amico Vladimir Putin, il “dono di Dio” che ha difeso fino alla fine. Solo pochi mesi fa ha dipinto Zelensky come una specie di criminale di guerra e ha giustificato l’invasione criminale dell’Ucraina, causando le solite polemiche.

Del resto, al di fuori dei confini italiani Berlusconi non è mai stato ritenuto un partner affidabile, serio o credibile; tutt’altro. Basta guardare la stampa estera: di lui si ricordano le frasi imbarazzanti, le battute degradanti, i siparietti penosi ai vertici europei e gli scandali sessuali.

E soprattutto, lo si ricorda come il primo politico di una democrazia occidentale che ha sfruttato spudoratamente il suo gigantesco conflitto d’interessi per ottenere il potere, un mentitore seriale che denunciava brogli inesistenti, l’anticipatore del populismo di destra contemporaneo e il precursore di Trump, Johnson, Bolsonaro e tanti altri.

Infine, Berlusconi ha avuto un impatto sulla cultura italiana davvero devastante.

Delle sue televisioni è già stato detto tutto ciò che c’era da dire; così come dello sdoganamento del sessismo e della misoginia, due pilastri fondanti del berlusconismo insieme all’omofobia e al disprezzo di ogni diversità.

Parlare male dei morti: l’eredità difficile (e indicibile) di Silvio Berlusconi

Ma c’è anche qualcosa di più profondo. Per trent’anni Berlusconi non si è limitato a dominare il ciclo delle notizie: ha letteralmente sequestrato l’immaginario del paese, imponendo il suo linguaggio e le sue categorie culturali – anche a chi gli si opponeva.

Dopotutto, il suo apparato mediatico poteva (e può ancora) decidere le sorti di una carriera. E fare la foglia di fico nelle trasmissioni più becere magari non è il massimo della vita, ma garantisce comunque una certa visibilità.

Piuttosto significativamente, una parte dell’antiberlusconismo è finita a pensare come Berlusconi – soprattutto sull’invasione dell’Ucraina. E diversi osservatori, negli ultimi anni, lo hanno rivalutato definendolo addirittura un “argine al populismo”.

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Ma Berlusconi non è mai stato un argine; piuttosto, è stato l’esplosivo che ha fatto saltare in aria la diga.

L’attuale classe politica italiana è interamente una sua creatura. Nel senso che parla come lui, mente spudoratamente come lui, si comporta come lui, ha lo stesso sprezzo delle regole che aveva lui e vuole scassare la democrazia liberale esattamente come voleva fare lui.

Con la morte di Berlusconi, insomma, non si è chiusa un’era.

Anzi: siamo ancora intrappolati nel suo mondo, e ci rimarremo a lungo.

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