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Beppe Grillo, l’uomo qualunque

20 Gennaio 2013 5 min lettura

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Beppe Grillo, l’uomo qualunque

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«Se l'esercizio del potere diventa professione e 'una fonte di lucro', i capi diventano 'professionisti del potere'», si legge ne Il qualunquista, resoconto della vicenda umana e politica di Guglielmo Giannini, fondatore de L'Uomo Qualunque. «Nascono così quelli che Giannini chiama, con un acronimo di sua creazione, gli UPP, 'uomini politici professionali'», scrive Carlo Maria Lomartire, autore del saggio (Mondadori, 2008), spiegando un settimanale divenuto partito del Secondo Dopoguerra e al contempo un blog - almeno altrettanto di successo - divenuto MoVimento della Seconda Repubblica: quello di Beppe Grillo. Che, alla radice, sostiene lo stesso: «tutti i regimi, tutte le ideologie e tutti i partiti si equivalgono per la Folla: 'Tutti i programmi (tranne il nostro!) si assomigliano perché tendono alla conquista del potere'».

Sposando appieno la retorica della società civile, diversa e sempre preferibile ai politicanti, la Folla in Giannini (e in Grillo) «non è un'entità unica ma è composta da individui: 'galantuomini', persone di 'buon senso, buon cuore e buona fede', tutta gente normale (cittadini a cinque stelle!), 'onesta laboriosa e pacifica (ragazzi con la faccia pulita!) che forma l'enorme maggioranza della popolazione in tutti i Paesi del mondo'». Ma che ovunque è in catene, come scrisse Rousseau: perché questa è la natura dei «Capi», degli «UPP». Così che i migliori rinunciano, e i peggiori trionfano. Che al bene comune si sostituisce il bene «da arraffare» (che li paghiamo a fare?). E che al posto delle parole semplici, comprensibili alla Folla che li dovrebbe votare una volta e per sempre, viene il gergo falsamente tecnico dei «filosofi imbroglioni».

Ma è oggi il tempo per cambiare, scriveva Giannini a fine giugno 1944: basta Capi, basta UPP. Merito della tecnologia, in fondo. Perché, scrive Lomartire, è «il progresso tecnico e scientifico» che «ha ormai messo l'uomo nella condizioni di farne a meno e di vedere con chiarezza ciò che è utile alla collettività. Solo le ideologie (il tempo delle ideologie è finito!), delle quali i Capi si servono, occultano l'evidenza: 'La Folla di oggi non è più un branco di disorientati che aveva bisogno di Prometeo per accendere il fuoco'» (uno vale uno!).

Basta professionismo della politica! I nuovi governanti verranno resi intercambiabili (democrazia liquida! parlamentarie online!), e soprattutto avranno un incarico a scadenza ben precisa (due mandati!, due mandati e poi a casa!): «questi nuovi uomini politici non godranno più degli enormi privilegi che sono sempre stati loro riservati» (abbasso la Casta!); «non saranno più degli UPP, professionisti della politica, ma semplici e onesti controllori a tempo determinato per conto della collettività» (portavoce?), così che «non ci sarà più quella terribile lotta di sempre per sostituirli che va sotto il nome di politica» (non è antipolitica, la nostra, ma buona politica!). Al suo posto i nuclei qualunquisti, i gruppi degli «amici» dell'Uomo Qualunque che ricordano i MeetUp e le prime liste ispirate a Grillo.

E se la Folla non dovesse riuscire a scalzare gli UPP, una volta per tutte, il rischio è la rivoluzione: una «collera spaventevole può esplodere da un momento all'altro (...) in tutto il mondo: e non ci sarà angolo dimenticato di terra dove i Capi, buoni o cattivi, potranno morire di vecchiaia» (sono morti! rivoluzione!). Il Grillo della polemica sulla lista civetta e il rischio di non partecipare alle elezioni, con la solita ridda di complotti e contro-complotti, non si discosta di molto.

C'è una differenza nell'esperienza umana (inevitabile, la detta la storia), nella concezione dello Stato (minimo o con le palle) e dell'economia (liberista o in decrescita). Ma a leggere i tra parentesi in corsivo il paragone sulla visione politica regge. Il Giannini provocatoriamente fascista e insieme comunista (senza essere l'uno né l'altro), il Giannini accusato di simpatie fasciste e avversato da l'Unità e i comunisti è il Grillo che altrettanto provocatoriamente apre (o meglio, non chiude, sul lessico si contano i cadaveri) a Casapound e al contempo dice che le aziende devono essere di chi ci lavora - e polemizza, soprattutto, con il Pd. Il Giannini de La Folla è il Grillo di Siamo in guerra e di questa urlatissima campagna elettorale: due uomini di spettacolo, finiti in politica quasi contro la loro stessa volontà, consapevoli di essere a capo di organizzazioni instabili e capaci di produrre consenso solo in maniera direttamente proporzionale alla loro esposizione pubblica. E due uomini costantemente in violenta polemica con il potere, che in entrambi i casi ha ricambiato e ricambia di buon grado.

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Non sono indispensabili le assonanze, pur raccontate da Riccardo Chiaberge su Lettera43, Gian Antonio Stella sul Corriere e Giuliano Santoro nel volume Un Grillo qualunque, nell'uso di nomignoli. Non è quello il punto. E a nulla vale, se non a ribadire l'ovvio, che qualunquista è anche (o soprattutto, fa poca differenza in termini di risultati) chi «ha promesso di tutto» con linguaggio più sobrio. Allo stesso modo sostenere, come ha fatto Chiaberge, che oggi Giannini sarebbe per un governo di tecnocrati non mina la fondatezza del paragone. Anche per Grillo sono le persone competenti a dover governare: tramite l'istituto della delega liquida, revocabile in ogni momento dai cittadini di cui il tecnico è solamente summa, riassunto della loro (internettiana) intelligenza collettiva. Eppure sfido chiunque a dirlo montiano.

Quanta differenza c'è, poi, tra il «buon ragioniere che entri in carica il 1° gennaio e se ne vada il 31 dicembre» di Giannini e Monti? Non poca, se si vuole dare senso all'annotazione con cui Lomartire spiega che, tra i motivi di successo del settimanale L'Uomo Qualunque, ci fosse «l'imbarazzo nel dover accettare come democratico il nuovo potere senza che abbia ancora ricevuto alcuna investitura popolare». Non esattamente dei montiani prima maniera. Per non parlare della polemica contro l'elitismo di Croce, che oggi potrebbe semmai tradursi in un rigetto della «democrazia a trazione elitaria» (sempre montiana, ma seconda maniera) che il Foglio approfondisce in questi giorni. Il punto, al contrario, è che l'analisi del potere in Giannini e Grillo è fondamentalmente la stessa. E quella dei rimedi, sempre al potere, pure.

Il partito dell'Uomo Qualunque, fondato nel '45, raccolse 1,2 milioni di voti: poco più del 5% (preso a destra e sinistra), e 30 deputati. Il non-partito di Grillo promette un risultato almeno doppio. Il Fronte si sciolse rapidamente per confluire nelle diverse anime della destra; Grillo ha i dissidenti e problemi di democrazia interna: chissà che il passaggio in Parlamento non sia altrettanto fugace (nota per il comico: le aperture a sinistra sono fatali ai qualunquisti). I presupposti, pur profondi, ci sono. Così l'ideologia del non della folla - sempre buona, giusta, onesta, lavoratrice, migliore - che, grazie alla tecnica, diventa governo della folla potrà passare al prossimo uomo qualunque. E al prossimo Beppe Grillo.

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